Dopo la stabilizzazione osservata dall’ultimo quarto 2013, l’occupazione in Italia mostra in settembre i primi segnali di ripresa. Secondo le stime preliminari ISTAT, il numero di persone occupate è cresciuto dello 0,4% (+82mila unità rispetto ad agosto). L’aumento mensile (il più ampio da marzo 2011) porta la variazione nel terzo trimestre 2014 a +0,2% sul secondo, quando l’occupazione era rimasta piatta sui livelli di fine 2013.
A fronte di una forza lavoro in forte espansione (+0,5% in settembre su agosto), segno di diffusione di una percezione di miglioramento, il tasso di disoccupazione si è attestato sul 12,6% (stesso livello di novembre 2013, +0,1 punti sul mese precedente) e il numero di persone in cerca di occupazione ha toccato il massimo storico di 3 milioni e 236mila unità.
L’impatto della crisi continua a essere più marcato per i giovani: in settembre il tasso di disoccupazione tra i 15-24enni rimane al 42,9% e il tasso di occupazione al 15,6%.
Tasso di disoccupazione fermo su alti livelli anche nella media dell’Eurozona (in settembre sull’11,5% per il quarto mese consecutivo); elevatissimo in Spagna (24,0%), seppur in lenta riduzione dal picco di febbraio 2013 (26,3%); alto e fermo in Francia (10,5%), ai minimi in Germania (5,0%). Tra i 15-24enni il tasso di disoccupazione medio nell’Eurozona è al 23,3% (dal 24,0% di un anno prima), con ancora più ampia variabilità tra paesi membri: 53,7% in Spagna, 24,4% in Francia e 7,6% in Germania.

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La Banca Mondiale ha tagliato le proprie previsioni di crescita per la Cina spiegando che “le misure prese per contenere il debito dei governi locali, per controllare il sistema bancario ombra e per contrastare le capacità in eccesso, la forte domanda energetica e l'elevato inquinamento, ridurranno gli investimenti e la produzione manifatturiera”.
Secondo la World Bank, il PIL della Cina si espanderà quest'anno del 7,4% (dal +7,7% nel 2013) in misura inferiore a quanto stimato in precedenza (+7,6%), sostanzialmente in linea con l'obiettivo di una crescita "intorno al +7,5%" più volte ribadito dal governo cinese. Nel 2015 l'economia cinese crescerà del 7,2% invece che del 7,5%, come previsto precedentemente.
Si tratta di un rallentamento fisiologico rispetto al ritmo di crescita medio del periodo 2000-2007 (+10,5%) per un'economia che sta riducendo il gap con i paesi avanzati e sta riequilibrando la struttura della domanda dagli investimenti ai consumi privati. La Cina contribuisce per poco meno di un terzo alla crescita del PIL mondiale in termini percentuali e la decelerazione della sua economia ha anche ripercussioni a livello globale su domanda e prezzi delle commodity.
Il CSC, già negli Scenari economici del dicembre 2013, ha abbassato le proprie previsioni per il PIL cinese nel 2014 a +7,3% e nel 2015 a +7,0%. Per la prossima settimana sono attese le nuove previsioni del Fondo Monetario Internazionale contenute nel World Economic Outlook.
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Il CSC stima un calo della produzione industriale dello 0,2% in settembre su agosto, quando c’è stato un aumento dello 0,3% su luglio, comunicato oggi dall’ISTAT.
Nel terzo trimestre del 2014 si rileva una flessione della produzione dello 0,6% sul precedente, in ulteriore peggioramento rispetto al -0,4% che si era registrato nel secondo e al -0,1% nel primo. Il quarto trimestre eredita dal terzo una variazione congiunturale nulla.
Questa dinamica è coerente con un marginale calo del PIL anche nei mesi estivi.
Le indagini qualitative condotte presso le imprese manifatturiere confermano un quadro nel complesso debole e non lasciano intravedere significativi miglioramenti nei mesi autunnali. Il PMI manifatturiero (fonte: Markit) in settembre registra una diminuzione della componente ordini (scesa a 50,2 da 50,9, minimo da 15 mesi), e ciò preannuncia una dinamica sostanzialmente piatta dell’attività nei prossimi mesi; la domanda interna ha spinto al ribasso gli ordini mentre quella estera ha offerto un contributo positivo, essendo giudicata in accelerazione rispetto ad agosto (54,1 da 53,0), grazie alle maggiori commesse provenienti dai paesi extra-UE.
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Nel secondo trimestre 2014 è continuata la discesa dei prezzi delle abitazioni: -0,6% rispetto al primo trimestre, quando erano diminuiti dell'1,0% sul quarto 2013 (fonte ISTAT).
La velocità di caduta è in rallentamento, ma le prospettive per il terzo trimestre rimangono negative (indagine Banca d'Italia).
Da metà 2011 le quotazioni delle case sono diminuite del 12,8%. In particolare, dal picco di inizio 2008 le abitazioni esistenti hanno perso più di un quinto del loro valore (-20,8%).
Nonostante questo forte calo, senza precedenti nel secondo dopoguerra, il rapporto tra prezzi delle case e reddito disponibile pro-capite, che misura l'accessibilità delle abitazioni, è ancora del 2,2% superiore alla media di lungo periodo, a causa della contemporanea flessione dei redditi.
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I dati di commercio estero cinesi in settembre hanno superato le attese. L’avanzo commerciale (31 miliardi di dollari), seppure inferiore a quello di agosto (50 miliardi), è rimasto a livelli elevati; nel trimestre ha toccato il massimo storico grazie soprattutto alla debolezza dell’import nei mesi di luglio e agosto.
Le esportazioni sono cresciute del 15,3% su base annua (+12% la variazione attesa, da +9,4% in agosto), anche grazie a una base di riferimento molto bassa nel settembre 2013. Con riferimento alla destinazione dell’export il rimbalzo è legato alle vendite verso Hong Kong (+34,0% da -2,1%); in passato fluttuazioni congiunturali anomale di questo tipo sono state collegate a fenomeni di sovrafatturazione. Le importazioni sono tornate a salire (+7,0% annuo da -2,4% in agosto; -2,0% la variazione attesa per settembre), ma il recupero sembra essere legato a fenomeni di import di semilavorati per la riesportazione più che a un effettivo aumento della domanda interna.
Per i prossimi mesi l’export dovrebbe risentire ancora della debolezza della domanda globale e della forza della valuta cinese, ma l'aspetto importante è che l’import beneficerà di una domanda interna più vivace grazie al secondo ciclo di allentamento delle politiche monetaria e di bilancio varato dal Consiglio di Stato la scorsa settimana per favorire il raggiungimento dell’obiettivo di crescita del PIL (“intorno” a +7,5% nel 2014).
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La fiducia dei consumatori italiani è scesa di 0,8 punti in ottobre, lungo la tendenza calante iniziata lo scorso maggio, quando aveva raggiunto il valore massimo degli ultimi tre anni. La riduzione dell'indice generale è dovuta soprattutto al rapido ridimensionamento della componente economica (che riguarda principalmente le valutazioni sull’Italia), il cui saldo è diminuito di 16 punti in cinque mesi; la componente personale (relativa alla situazione economica della famiglia), che incide più direttamente sulle decisioni di spesa, ha mostrato invece una sostanziale stabilità sin dalla scorsa primavera, al di là delle modeste oscillazioni mensili.
In ottobre le variabili più strettamente connesse con le scelte di consumo hanno evidenziato dinamiche divergenti: sono migliorati in misura marginale i giudizi sulla situazione economica della famiglia (sostanzialmente stabili rispetto al terzo trimestre), mentre sono peggiorati, per il secondo mese consecutivo, quelli sul bilancio finanziario famigliare (in ottobre il saldo è inferiore di 4 punti rispetto alla media dei mesi estivi). Il saldo dei giudizi relativo all’opportunità di acquisto di beni durevoli, dopo un forte rimbalzo in settembre, è tornato sui livelli di luglio (e del 3° trimestre).
Le attese non offrono indicazioni chiare: le famiglie italiane mostrano infatti una maggiore preoccupazione per le prospettive della propria situazione economica (saldo in peggioramento da cinque mesi), mentre migliorano le aspettative sulla disoccupazione.
La tendenza di questi indicatori è coerente con una dinamica ancora fiacca della spesa delle famiglie nel terzo e nel quarto trimestre. Nei primi due era aumentata, rispettivamente, dello 0,1% e dello 0,2% congiunturale.
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I prestiti bancari alle imprese italiane si sono ridotti dello 0,3% in agosto, dopo il +0,2% registrato a luglio (dati destagionalizzati dal CSC). La lunga fase di caduta del credito, dunque, non è ancora alle spalle. Anche se i dati qualitativi forniti dall'indagine Banca d'Italia hanno mostrato un (timido) allentamento della forte stretta dell'offerta nel 2° trimestre e una stabilizzazione della domanda già dal primo.
La caduta dei prestiti che si sta registrando nel 2014 è molto più attenuata di quella vista nel biennio precedente. Nei primi otto mesi del 2014, infatti, la variazione mensile è stata pari in media a -0,2%, contro il -0,4% medio al mese registrato tra il picco del settembre 2011 e la fine del 2013. In agosto lo stock di prestiti risulta inferiore dell'1,4% rispetto al livello di fine 2013, ma da maggio si osserva una sostanziale stabilizzazione.
Sull'andamento di agosto ha sicuramente inciso lo sblocco della nuova tranche di pagamenti degli arretrati della pubblica amministrazione, che sono saliti di oltre 5 miliardi tra metà luglio e la seconda metà di settembre. Al netto di questo fattore, i prestiti dovrebbero essere di fatto invariati. Perciò il nuovo calo è in buona misura più apparente che reale. Le condizioni del credito rimangono molto severe, ma qualche piccolo progresso si intravede.
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In Brasile Dilma Rousseff (Partito dei lavoratori) con il 51,6% dei voti è stata confermata presidente nel ballottaggio con Aecio Neves (SocGen) nelle elezioni più equilibrate degli ultimi venti anni. Il paese si è spaccato in due: il nord ancora povero ha votato per Rouseff, il sud ricco, industrializzato e alla ricerca di un passo avanti nei diritti di cittadinanza dopo l’uscita dalla povertà per Neves.
I due candidati portavano infatti due proposte diverse di modello economico: quello interventista-protezionista della Rousseff, basato sull’aumento del reddito individuale, sussidi e crediti al consumo, calo della povertà e riduzione della disuguaglianza, ha prevalso sul liberismo economico di Neves, basato su una minore presenza dello Stato e un maggiore coinvolgimento dei privati nei processi di investimento.
Il secondo mandato della Rousseff (che corrisponde al quarto consecutivo per il suo partito, dopo i due mandati di Lula) vedrà quindi una politica economica in linea con il passato: attenzione all’interno ai programmi socio-economici e protezionismo verso l’estero; lo Stato rimarrà protagonista come regolatore, nelle politiche economiche, nella politica industriale e come finanziatore negli investimenti. A ciò la Rousseff ha aggiunto nel suo programma l'importante novità per una "competitività produttiva per aumentare la produttività del paese".
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In Ucraina una robusta maggioranza filo-europeista e riformatrice sembra emergere dai risultati non definitivi delle elezioni per il rinnovo della Rada, il parlamento ucraino: sia il Fronte nazionale del premier Yatseniuk sia il Blocco, che fa capo al presidente Poroshenko, hanno ottenuto tra il 21% e il 22% dei voti, mentre i nazionalisti moderati di Samopomich si piazzano al terzo posto con più del 10%.
Entrano in parlamento anche i filo-russi del Blocco Opposizione che raccolgono voti (tra l’8% e il 10% in totale) soprattutto nelle regioni separatiste di Lugansk e Donetsk, dove l’affluenza alle 16 di ieri era molto più bassa che a livello nazionale (23%, 27% e 40% rispettivamente). Si stima che tre milioni di persone nelle due regioni separatiste non abbiano potuto votare a causa dell’occupazione armata dei separatisti.
Una possibile soluzione negoziata nell’Est del paese dipende da quanto forte uscirà dalle urne l’attuale premier Yatseniuk, fortemente contrario al dialogo con la Russia che ha già riconosciuto la validità delle elezioni. L'ampia maggioranza filo-occidentale in parlamento sembra comunque assicurare il sostegno alle riforme politiche ed economiche che dovrebbero permettere all’Ucraina di bussare alle porte dell’Unione europea nel 2020.
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In agosto l’export italiano è aumentato dell’1,1% su luglio a prezzi costanti. In crescita le vendite sia nei mercati UE (+1,4%) sia in quelli extra-UE (+0,9%). L’import è rimasto sostanzialmente invariato (-0,1%). Si è quindi ampliato il saldo commerciale (+500 milioni di euro rispetto a luglio, dato destagionalizzato).
Tuttavia nel bimestre luglio-agosto l’export è diminuito dell’1,3% sul secondo trimestre. Peggiorano le prospettive per il quarto trimestre in base agli indicatori qualitativi del commercio estero: in calo i giudizi sugli ordini e le attese sul fatturato; giù le previsioni sull’andamento della domanda; in rallentamento anche la componente ordini esteri del PMI manifatturiero.
La crescita acquisita delle esportazioni nei primi otto mesi del 2014 è pari all’1,2%, grazie a un aumento delle vendite intra-UE (+3,3%) che ha più che compensato una riduzione di quelle extra-UE (-1,3%).
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In linea con il recupero della produzione industriale, in agosto il fatturato totale (in volume) è aumentato dello 0,4% congiunturale, per effetto di un incremento nel mercato estero (+3,0%) e di un calo in quello interno (-1,0%). Dal livello massimo in un anno e mezzo raggiunto a gennaio, il fatturato totale ha perso il 2,3%; la domanda interna risulta la componente più debole: -3,8% cumulato dall’inizio dell’anno; quella estera, nonostante il rimbalzo di agosto, risulta sostanzialmente piatta (+0,2%).
Stando agli ordinativi, le prospettive per l’attività nei prossimi mesi non sono favorevoli, soprattutto per l’arretramento della componente estera della domanda. Pur avendo registrato un incremento dell’1,5% in agosto su luglio, gli ordini totali sono diminuiti da aprile (picco da fine 2011) del 3,4% cumulato, con un significativo calo di quelli esteri (-7,7%) e un’invarianza di quelli interni (-0,1%).
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Più forte del previsto, a settembre, l’aumento di occupati non agricoli negli USA (+248 mila, dopo il +180 mila di agosto) e cala ancora il tasso di disoccupazione, a 5,9% della forza lavoro (da 6,1%), il livello più basso da luglio 2008.
L’andamento dell’occupazione riflette, con leggero ritardo, la forte ripresa del PIL nel secondo trimestre (+4,6% annualizzato) ma è anche foriero di un’ulteriore espansione dell’economia nel terzo come, peraltro, segnalato dagli indici di attività ISM sia nel manifatturiero (a 56,6% a settembre da 59,0), sia nei servizi (58,6 da 59,6).
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L’analisi AQR (asset quality review) realizzata da BCE-EBA sui bilanci delle banche europee mostra che nessuno dei 15 maggiori istituti italiani ha oggi carenza di capitale rispetto agli elevati requisiti minimi considerati (8% per la parte di migliore qualità), una volta verificata la qualità degli attivi e l’adeguatezza della loro valutazione, le garanzie e gli accantonamenti. Tale risultato è stato ottenuto grazie alle misure di rafforzamento patrimoniale realizzate da vari di questi istituti nel 2014 (per 11,1 miliardi totali), che hanno colmato le carenze di capitale riscontrate al dicembre 2013 in 8 banche (per 3,2 miliardi).
Lo stress test BCE-EBA evidenzia una potenziale carenza di capitale per quattro istituti italiani (3,3 miliardi totali), anche dopo i rafforzamenti già realizzati. Conteggiando ulteriori misure avviate da alcuni istituti (per 4,1 miliardi, dati Banca Italia), quelli con residue carenze scendono a due (2,9 miliardi). Questi dati si riferiscono a uno scenario molto sfavorevole (e poco probabile): prolungata recessione dell’economia italiana nel triennio 2014-2016 (-1,1% il PIL in media all’anno) e riacutizzarsi della crisi del debito sovrano (+2 punti sui titoli di Stato italiani). Gli istituti con carenze di capitale nello stress test presenteranno alla BCE piani di rafforzamento entro due settimane, da attuare entro nove mesi, in prima battuta con ricorso a fonti private.
Per gran parte del sistema bancario italiano i risultati BCE-EBA mostrano una situazione favorevole. Anche sotto stress, 13 istituti su 15 avrebbero una eccedenza di capitale (25,1 miliardi totali). La trasparenza sui bilanci bancari ottenuta con queste analisi e la severità dello scenario avverso considerato possono far sì che i risultati, se ben interpretati, accrescano la fiducia nel sistema bancario italiano, favorendo un progressivo allentamento della stretta sul credito (come ipotizzato nelle previsioni CSC). L’effetto positivo su fiducia e credito potrebbe essere limitato da alcuni fattori: perdurante debolezza dello scenario economico complessivo; eventualità di una risposta “irrazionale” dei mercati, originata da una lettura parziale dei risultati; tempi lunghi per la realizzazione dei necessari piani di rafforzamento.
Quel che emerge con chiarezza è che ora non è la scarsità di capitale delle banche a frenare i prestiti alle imprese.
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Il PMI flash manifatturiero del Giappone ha accelerato in ottobre a 52,8 (da 51,7), segnalando un'attività manifatturiera in espansione al ritmo più veloce dal febbraio scorso. Tra le componenti la produzione ha registrato una moderata espansione per il terzo mese consecutivo (52,3 da 53,4), mentre hanno segnato un'accelerazione i nuovi ordini (55,1 al massimo da 8 mesi) e gli ordini dall'estero (52,6 da 51,1).
I segnali di recupero dell'attività manifatturiera e dell'export (+6,9% annuo a settembre, variazione più elevata da 7 mesi) potrebbero smorzare le preoccupazioni emerse a vari livelli nell'opinione pubblica nipponica che la terza economia mondiale non sia pronta a sopportare un secondo aumento della tassa dei consumi nel 2015 (dall'attuale 8% al 10%), dopo il rialzo dal 5% all'8% messo in atto nello scorso aprile.
La decisione sarà presa a dicembre dal governo dopo la pubblicazione dei risultati del PIL del terzo trimestre. Il Fondo Monetario Internazionale, che prevede una crescita trimestrale annualizzata del PIL del 3-4% per il periodo luglio-settembre e una crescita dello 0,9% per l'intero 2014, ha ieri di nuovo stimolato le autorità giapponesi a continuare con il secondo aumento dell'IVA nel 2015 per mantenere la credibilità del processo di risanamento dei conti pubblici.
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Secondo il governatore della Banca centrale del Giappone l'economia sta gradualmente recuperando dopo lo shock indotto dall'aumento dell'IVA dal 5% all'8% in aprile, i cui effetti stanno via via scomparendo nonostante alcuni segni di debolezza siano ancora presenti nella dinamica della produzione industriale (-1,9% mensile in agosto su luglio, da -0,4%). L'inflazione core rimarrà intorno all'1,3% nel prossimo futuro e la Bank of Japan continuerà il suo allentamento qualitativo e quantitativo fino al raggiungimento dell'obiettivo del 2%. Eventuali modifiche della politica monetaria saranno decisi dopo la pubblicazione delle nuove previsioni sull'andamento dell'economia e dei prezzi nella riunione del 31 ottobre.
Nel frattempo il primo ministro Abe ha fatto capire che potrebbe rinviare il secondo aumento dell'IVA dall'8% al 10%, che è fortemente richiesto dalla Banca centrale, dal ministero dell'economia, dalle grandi imprese e infine anche dal Fondo Monetario Internazionale al fine di ridurre il fardello pesantissimo del debito pubblico (240% del PIL). Secondo Abe non ha senso aumentare ancora la tassa sui consumi se questo contribuisce a decelerare troppo l'economia comportando una contrazione delle entrate pubbliche che annullerebbe l'effetto del nuovo regime di tassazione indiretta. Una decisione sul secondo aumento dell'IVA verrà preso all'inizio di dicembre quando i dati sul PIL del terzo trimestre saranno definitivi, ma a questo punto la decisione appare meno scontata rispetto a tre mesi fa.
Il governo nipponico deve prendere decisioni importanti non solo dal punto di vista fiscale, ma anche sulle riforme strutturali dell'Abenomics e sulla possibile riapertura delle centrali nucleari, la cui attività è stata fermata dopo il disastro di Fukushima nel 2011 rendendo il paese dipendente dall'import di beni energetici. Sul fronte interno Abe non è aiutato dalle dimissioni annunciate oggi di due ministri, il ministro della giustizia, accusata di aver violato la legge elettorale, e la quarantenne appena incaricata del ministero dell'industria e del commercio coinvolta in uno scandalo sull'utilizzo di fondi pubblici. Nonostante ciò la borsa di Tokio, sulla scia dei buoni dati USA (nuove case e fiducia dei consumatori) di venerdì, ha chiuso con un +3,7% stamattina, segnando il più forte rialzo dal giugno del 2013 e annullando in buona parte le perdite del 5% registrate nella scorsa settimana.
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Il giorno dopo l’annuncio della fine del quantitative easing americano la Banca centrale del Giappone ha sorpreso i mercati con l'inattesa estensione del suo programma di allentamento qualitatitivo e quantitativo monetario. L'ulteriore stimolo è stato messo in atto perché considerato necessario per raggiungere l'obiettivo di un'inflazione stabile al 2% e prevenire la caduta delle aspettative di rialzo dei prezzi: in settembre l'indice core dei prezzi ha infatti ancora rallentato al 3,0% e a "solo" l'1,0% escludendo gli effetti dell'aumento dell'IVA nell'aprile scorso.
Le nuove mosse, prese con una maggioranza di appena 5 voti contro 4 all'interno del Board della Bank of Japan, prevedono: l'aumento della variazione annua della base monetaria a 80mila miliardi di yen (equivalenti a circa 600 miliardi di euro) rispetto ai 60-70mila miliardi del programma iniziale; l'incremento dei titoli in entrata nel portafoglio della Banca centrale a 80mila miliardi di yen all’anno (da 50mila); l'estensione della durata media dei titoli in portafoglio da 7 a 10 anni.
Il governatore Kuroda ha ribadito che l’economia nipponica continuerà nel suo percorso di moderata ripresa, dopo la contrazione nel 2° trimestre dovuta all’aumento della tassa sui consumi, e crescerà nei prossimi anni sopra il proprio potenziale (stimato allo 0,5%): a settembre la produzione industriale e i consumi delle famiglie sono tornati a crescere (+2,7% e +1,5% rispettivamente su agosto) dopo le contrazioni dei mesi estivi.
La borsa di Tokio ha reagito alla notizia con un +4,83% salendo ai massimi da 7 anni, favorita anche dall’indiscrezione che nell’ambito delle riforme contenute nella terza freccia dell’Abenomics il Fondo pensioni pubblico amplierà la propria esposizione al mercato azionario al 25% del portafoglio dall'attuale 12%. Lo yen si è indebolito sul dollaro ai minimi da gennaio 2008.
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L’economia globale prosegue lungo le tendenze emerse in estate. Il traino che viene dalla locomotiva americana e dalla Cina, e in generale dall’Asia, rimane potente. Negli USA gli investimenti hanno iniziato a ingranare, gettando le basi per il consolidamento della crescita. La Cina è pilotata verso un atterraggio morbido (sopra il 7%). Nonostante la cattiva performance di Brasile e Russia e le difficoltà di altri mercati, il commercio internazionale è tornato ad accelerare.
L’Eurozona, all’opposto, sta scivolando verso una stagnazione, se non proprio una recessione; la Germania questa volta non fa eccezione e la Francia perde ulteriore terreno. La consapevolezza delle gravi difficoltà nell’Area inizia a essere diffusa, ma mancano il senso dell’urgenza e il consenso sulle misure da intraprendere, proprio quando l’azione della BCE da sola non appare sufficiente ad avviare la ripresa. In questo scenario è arrivata la sorpresa del brusco calo del prezzo del petrolio e di altre importanti commodity; il calo riflette sia la debolezza della domanda sia il forte aumento dell’offerta e favorirà i paesi importatori.
In Italia l’andamento degli indicatori comincia a essere meno uniformemente negativo: anche se gli indici di fiducia sono bassi e l’anticipatore OCSE prefigura un peggioramento della dinamica economica fino a primavera, tuttavia emerge qualche segno di stabilizzazione, in particolare nella produzione industriale. Si sta componendo un mosaico di fattori propizi alla ripartenza nel 2015: la caduta del costo del greggio e la svalutazione dell’euro determinano un aumento del PIL di quasi un punto percentuale; la morsa del credit crunch tenderà ad allentarsi (grazie agli interventi BCE già decisi e al superamento dell’esame dei bilanci bancari). La Legge di stabilità, nella versione concordata con la Commissione, sottrae qualche risorsa rispetto al 2014, ma ha una composizione favorevole alla crescita.
Per maggiori dettagli si veda la Congiuntura Flash di ottobre nella Libreria del CSC.
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Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) nel rapporto autunnale sull’economia mondiale ha abbassato le previsioni per la crescita mondiale: +3,3% nel 2014 (era al +3,4% nelle previsioni di luglio) e +3,8% nel 2015 (dal +4,0% di luglio).
La ripresa rimane “debole” e “diseguale” e il futuro resta “nuvoloso”. Sussistono chiari rischi al ribasso: i) la possibile sottovalutazione dei rischi sui mercati finanziari causata da un periodo molto lungo di bassi tassi di interesse; ii) le tensioni geopolitiche divenute più rilevanti; iii) la possibilità che la ripresa nell’Area euro entri in stallo, la domanda si indebolisca ulteriormente e la bassa inflazione si trasformi in deflazione.
Non cambia la previsione per i paesi avanzati che cresceranno dell’1,8% quest’anno e del 2,3% il prossimo. Faranno ancora da traino gli Stati Uniti che cresceranno del 2,2% nel 2014 (previsione rivista al rialzo dall’1,7% di luglio) e del 3,1% nel 2015, mentre si trova in una sostanziale fase di stagnazione l’Eurozona, il cui PIL salirà dello 0,8% nel 2014 (rivisto al ribasso da 1,1% in luglio) e dell’1,3% nel 2015 (da 1,5%). Per i paesi emergenti, che cresceranno del 4,4% nel 2014 e del 5,0% nel 2015, il tema dominante è la riduzione del potenziale di crescita. Se considerati nel loro insieme il potenziale è oggi più basso di 1,5 punti percentuali rispetto a quello del 2011.
Gli esperti dell’FMI raccomandano il mantenimento dell’attuale contesto di politica monetaria accomodante e bassi tassi di interesse fintanto che la domanda rimarrà debole e l’utilizzo di politiche economiche che non mettano in dubbio la credibilità dei percorsi di consolidamento dei conti pubblici messi in atto negli ultimi anni. Questo non significa che non c’è spazio per politiche di sostegno alla ripresa: gli investimenti pubblici in infrastrutture, anche quando finanziati dal debito, possono aiutare a sostenere la domanda nel breve termine e l’offerta potenziale nel medio termine. Resta fondamentale l’implementazione di riforme strutturali calibrate sulle necessità dei singoli paesi ed effettivamente attuabili a livello politico.
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La dinamica dei prezzi al consumo in Italia è risalita in territorio positivo in ottobre: +0,1% annuo secondo i dati preliminari ISTAT, da -0,2% a settembre. Si interrompe quindi la fase di prezzi in riduzione, durata due mesi. In Eurolandia la dinamica dei prezzi sale in ottobre a +0,4% (da +0,3% a settembre).
In Italia si è attenuato il calo dei prezzi al consumo energetici (-2,5% annuo in ottobre, da -4,5%) e quelli alimentari sono risaliti al +0,2% (erano fermi in termini annui a settembre). Il forte calo del petrolio a ottobre si rifletterà sui prezzi al consumo nei prossimi mesi.
La variazione dei prezzi al consumo dei beni industriali in Italia si avvicina sempre più allo zero (+0,1% annuo, da +0,2% a settembre), riflettendo la debolezza dell’economia. Quella dei prezzi dei servizi, viceversa, tiene di più (+0,7%, da +0,6%). Nel complesso, l’inflazione core guadagna un decimo (+0,5%, da +0,4%), restando molto bassa.
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Il CSC rileva un incremento della produzione industriale dello 0,2% in ottobre su settembre, quando è stata stimata una variazione di -0,2% su agosto.
La produzione, calcolata al netto del diverso numero di giornate lavorative, in ottobre è diminuita dello 0,9% su ottobre 2013; in settembre si era avuto un calo dell’1,1% sullo stesso mese dell’anno precedente.
Nel terzo trimestre il CSC stima una diminuzione dell’attività dello 0,6% sul precedente (-0,4% nel secondo sul primo). In ottobre la variazione acquisita è di +0,2%.
Gli ordini in volume hanno registrato in ottobre un incremento dello 0,3% su settembre e dello 0,6% su ottobre 2013. In settembre erano aumentati dello 0,1% su agosto e dell’1,6% sui dodici mesi.
Per il quarto trimestre gli indicatori qualitativi mostrano una sostanziale stabilità: nell’indagine ISTAT sulla fiducia presso le imprese manifatturiere il saldo dei giudizi sui livelli di produzione è risalito (-21 da -22 di settembre), attestandosi sui livelli medi del terzo trimestre; anche quello sugli ordini totali è meno negativo rispetto al mese scorso (-25 da -26) grazie alla componente interna (che migliora per la prima volta da giugno), a fronte di una stabilizzazione di quella estera sui bassi livelli di settembre (e dei mesi estivi); le attese di produzione sono invariate (saldo a 2), mentre quelle sugli ordini indicano un marginale recupero.
Il CSC
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L’indicatore anticipatore dell’OCSE segnala crescita stabile nei prossimi due-tre trimestri per l'insieme dei paesi avanzati, anche se con graduale perdita di slancio. L'indicatore ha registrato in agosto il quarto calo mensile consecutivo (anche se si tratta di variazioni molto contenute: -0,03% in agosto). L'indicatore precorre i punti di svolta del ciclo con un anticipo di circa un semestre.
Ma la situazione è molto differenziata e tra i principali paesi l'indicatore prefigura la prosecuzione del forte rallentamento in Giappone (-0,25% in agosto, -1,84% da gennaio 2014) e soprattutto in Germania (-0,32% su luglio, -1,29% cumulato da febbraio 2014).
In generale, l'indicatore conferma che il deterioramento del quadro economico nell'Eurozona proseguirà nei prossimi sei-nove mesi: -0,10% in agosto (quarta flessione consecutiva).
In Italia l’indicatore preannuncia un ulteriore peggioramento: il calo di agosto (-0,08%) è il secondo consecutivo, dopo che il -0,03% in luglio aveva interrotto il recupero protrattosi ininterrottamente dall’ottobre 2012. Ciò suggerisce che l'arretramento del PIL italiano proseguirà almeno fino alla primavera del 2015, a parità di politiche economiche.
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In Germania gli ordini all’industria sono calati più dell'atteso in agosto (-5,7% su luglio, -4,1% rispetto ad un anno prima) e ciò rende sempre più concreto il rischio di contrazione dell'attività manifatturiera in autunno. Al crollo degli ordini esteri (-8,4%) si è aggiunto la flessione di quelli interni (-2,0%). I primi hanno risentito del rallentamento dei paesi emergenti; su di essi hanno, inoltre, pesato gli effetti delle sanzioni che hanno penalizzato l’export verso la Russia. Ma anche la domanda dal resto dell’Eurozona va male (-5,7%).
Stando alle indagini qualitative le difficoltà sono proseguite in settembre. L'indice IFO sulla fiducia delle imprese tedesche è sceso, infatti, per il quinto mese consecutivo: -1,6 punti, con la componente ordini passata da -11,7 a -14,3 (da -13,3 a -15,7 la valutazione sugli ordini esteri).
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La stima preliminare del PIL britannico per il 3° trimestre indica che l’economia del Regno Unito è cresciuta dello 0,7% congiunturale (dal +0,9% nel 2°); la variazione su base annua è stata del +3,0% (da +3,2% nel 2°). Alla fine del 3° trimestre 2014 il PIL si trova a un livello del 3,4% superiore rispetto al picco pre-crisi del 1° trimestre 2008.
La produzione è aumentata in tutti e quattro i principali comparti dell’economia nel 3° trimestre sul 2°: +0,7% i servizi, che ha fornito il maggiore contribuito alla crescita (0,58 punti percentuali), +0,5% l’industria, +0,8% le costruzioni e +0,3% l'agricoltura.
Il Regno Unito si conferma il paese avanzato con la crescita più vivace, ma secondo il Cancelliere dello Scacchiere Osborne non è immune dalla debolezza dell’area euro e dall’incertezza derivante dalle condizioni economiche globali. Considerate anche le ridotte spinte inflazionistiche (+1,2% l’indice dei prezzi in settembre) il primo rialzo del tasso ufficiale da parte della Banca d’Inghilterra, atteso nel primo trimestre 2015, potrebbe essere ulteriormente posticipato a dopo le elezioni generali del prossimo maggio.

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La Banca centrale russa ha alzato il tasso di riferimento di 150 punti base, al 9,5%. L'entità del rialzo ha sopreso i mercati che attendevano un rialzo più contenuto, al massimo di 50 punti base.
Quello di oggi è il quarto rialzo nel 2014 del tasso ufficiale, che da febbraio è salito di 400 punti base per contenere le spinte inflazionistiche legate alle conseguenze sui prezzi delle restrizioni imposte sul commercio estero e della forte perdita di valore del rublo: l'inflazione è attesa rimanere al di sopra dell'8% fino alla fine del 2014 e nel primo trimestre del 2015, ben al di sopra dell'obiettivo di medio termine del 4%.
La Banca centrale stima una crescita del PIL dello 0,2% congiunturale per il 3° trimestre e un'economia piatta negli ultimi tre mesi dell'anno (dopo il +0,2% nel 2° triemstre e il +0,1% nel primo).
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Regole numerose e per di più complesse, tempi di risposta lunghi e costi insostenibili caratterizzano il contesto amministrativo in cui operano le imprese italiane e riducono la capacità di crescere del sistema paese.
Nella graduatoria del Doing Business 2015, stilata dalla Banca Mondiale in base ai dati disponibili a giugno scorso, l’Italia è al 56° posto su 189 paesi. Rispetto all’anno scorso perdiamo 4 posizioni (eravamo al 52° se si considera la medesima metodologia usata nell’indagine di quest’anno). Sempre molto indietro rispetto ai principali concorrenti: Stati Uniti (stabile al 7° posto), Regno Unito (8° posto, dal 9° dello scorso anno), Germania (14°, dal 13°), Francia (31°, dal 33°) e Spagna (33°, dal 32°).
Il pesante carico fiscale sulle imprese e il peso delle procedure burocratiche sono le urgenze maggiori che l’Italia deve risolvere. In un anno un’impresa impiega 269 ore di lavoro amministrativo per effettuare 15 pagamenti, che pesano per il 65,4% sul suo profitto (si considerano le imposte pagate da un’impresa tipo sui redditi d’impresa, i contributi sociali e previdenziali e le altre imposte). E su questo tema l’Italia vede nuovamente peggiorare il suo ranking, scendendo al 141° posto dal 137° dello scorso anno. Si aggravano anche le graduatorie relative all’accesso alla rete elettrica, ai rapporti import/export, all’accesso al credito e alle procedure di esigibilità degli obblighi contrattuali. L’unico miglioramento è riscontrabile nella classifica relativa all’avvio di un’impresa (si passa al 46° posto dal 61° dello scorso anno), grazie alla riduzione dei tempi e delle procedure necessarie.
Per maggiori approfondimenti si veda il rapporto DB15 in Documentazione congiunturale.
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Secondo le nuove stime di contabilità nazionale (con cui l’ISTAT aggiorna il sistema di misurazione alle regole europee Sec 2010 e contemporaneamente introduce innovazioni nelle fonti e nelle metodologie) l’industria manifatturiera italiana risulta più produttiva che nei vecchi conti. Dal 2000 al 2013 la produttività per ora lavorata è cresciuta del 9,6% cumulato, più del 6,3% precedentemente stimato ma comunque troppo poco nel confronto internazionale e, in particolare, rispetto al +48,3% del manifatturiero spagnolo, il +35,9% di quello tedesco e il +32,6% del francese (le stime per gli altri paesi sono ancora sui vecchi conti, ma è difficile che le revisioni possano incidere su una forbice così ampia).
Nei nuovi conti nazionali si registra inoltre una crescita del costo del lavoro per unità di prodotto inferiore rispetto a prima. Un’altra buona notizia, ma anche in questo caso la revisione non incide in maniera significativa sul confronto internazionale. Dal 2000 al 2013, il CLUP nel manifatturiero italiano è aumentato del 36,7% (non del 39,3%), comunque troppo rispetto all’11,6% in Francia, il 10,0% in Spagna e il -3,1% in Germania.
Più elevato, infine, il margine operativo lordo, che, in percentuale del valore aggiunto, risulta di 4-5 punti più alto nella nuova contabilità rispetto alle vecchie stime: 22,3% nel 2013 (dal 17,0% precedentemente stimato). Si conferma tuttavia il trend di decennale discesa: la perdita complessiva dal 1995 è di 15,4 punti.

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L'indicatore PMI, costruito sulla base delle risposte dei responsabili nelle imprese per gli acquisti sia nel manifatturiero sia nei servizi, segnala in ottobre una maggior crescita nell’Eurozona: l’indice è salito a 52,2 da 52,0 di settembre (>50 indica espansione), quando aveva raggiunto il livello più basso da dicembre 2013. Il valore di ottobre è migliore delle attese (che erano di 51,5) ma risulta inferiore alla media registrata nel terzo trimestre (52,8). Il modesto afflusso di nuovi ordini preannuncia per l’autunno una dinamica nel complesso ancora debole.
Nel manifatturiero il PMI mostra un modesto incremento (50,7 da 50,3), ma con nuovi ordini in calo per il secondo mese consecutivo; nel terziario riflette una bassa crescita, a un ritmo analogo a quello evidenziato in settembre (52,4), ma inferiore rispetto alla media che si è avuta nei mesi estivi (53,2).
La dinamica tra i principali paesi dell’Eurozona è divergente. In particolare, in Germania il PMI composito indica un ritmo di crescita quasi costante rispetto a settembre (54,3 da 54,1), ma con un minor incremento degli ordini; si registra un aumento di attività nel manifatturiero (il cui PMI è tornato in territorio espansivo: 51,8, da 49,9) e una più bassa dinamica nei servizi (54,8 da 55,7 di settembre). In Francia, all'opposto, si è accentuata la caduta dell'attività (indice a 48,0 da 48,4, sotto 50 da sei mesi), con produzione e ordini in maggiore calo (questi ultimi al ritmo più negativo dal giugno 2013) sia nel manifatturiero sia nel terziario.
I livelli del PMI composito nel terzo trimestre sono coerenti, secondo Markit, con un lieve aumento del PIL nell’Eurozona: +0,25% sul secondo, quando si era avuta una variazione congiunturale nulla. Se si tiene conto che il valore medio nel secondo trimestre era 53,4 e nel terzo 52,8, questa previsione appare ottimistica.
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Nell’Eurozona il PMI dei servizi è sceso in settembre a 52,4 da 53,1 di agosto. Sono emersi ulteriori indicazioni di rallentamento della crescita di ordini e attività, i cui indici hanno toccato i minimi da sei mesi. Tra le principali economie europee l’indice terziario registra un’accelerazione solo in Germania (55,7 da 54,9), grazie al maggiore afflusso di nuovi ordini; in Spagna indica una minore espansione (55,8 da 58,1) con ordini in frenata e occupazione stabile; come rilevato in Italia, il PMI dei servizi continua a peggiorare anche in Francia, dove è sceso a 48,5 (da 50,3) con ordini in calo e prospettive in marcato deterioramento.
Il PMI composito, che sintetizza le performance del terziario e del manifatturiero, segnala un rallentamento dell’attività nell’Eurozona, soprattutto a causa della contrazione rilevata in Francia e Italia, che è stata mitigata dalla migliore performance della Germania, unica nazione dove si è registrata un’accelerazione del ritmo di crescita della produzione (grazie ai servizi). In settembre l’indice è sceso a 52,0 da 52,5 (minimo da 10 mesi), portando la media trimestrale a 52,8 (da 53,8 nel secondo) ai livelli più bassi dal quarto trimestre 2013. La componente nuovi ordini segnala una crescita meno veloce rispetto ai mesi scorsi e ciò preannuncia una dinamica debole dell’attività nell’ultimo trimestre dell’anno.
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L’indagine mensile sul settore terziario italiano (condotta da Markit) conferma in settembre il quadro di profonda debolezza già emerso nei mesi scorsi: il PMI dei servizi italiano è diminuito per il terzo mese consecutivo, attestandosi a 48,8 (da 49,8 di agosto, minimo da dicembre 2013), al di sotto della soglia neutrale di 50 che separa l’area di contrazione da quella di espansione. Il calo è guidato dalla riduzione degli ordini, dovuta all’ulteriore indebolimento della domanda interna.
Nel terzo trimestre l’indice è sceso a 50,5 (dal 52,2 nel secondo) segnalando una sostanziale stagnazione dell’attività nei servizi; più marcato il peggioramento della componente nuovi ordini, con il relativo indice che è calato a 50,9 (-2,4 punti in meno nel trimestre), evidenziando un debole afflusso di commesse.
Il PMI composito, che sintetizza la dinamica nel manifatturiero e nei servizi, è sceso in settembre a 49,6 (dal 49,9 in agosto, minimo da novembre scorso), per il secondo mese consecutivo in area di contrazione. La flessione è dovuta al settore terziario, visto che la produzione manifatturiera è stata giudicata in lieve aumento a settembre. Nel trimestre il PMI composito si è attestato a 50,9 da 53,2, valore coerente con una sostanziale stagnazione del PIL nei mesi estivi.
Il modello trimestrale del CSC, che tiene conto anche di altri indicatori (qualitativi e quantitativi), segnala invece una flessione dello 0,1% sul secondo trimestre.
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A settembre la variazione annua dei prezzi al consumo in Italia è scesa a -0,2%, da -0,1% in agosto. Il dato definitivo di settembre è più basso di quello preliminare, che indicava un -0,1% annuo. I prezzi si sono ridotti dello 0,4% mensile, la maggiore flessione dal novembre 2008 (nel settembre 2013 si era registrato un -0,3%).
I prezzi energetici sono sempre più in calo (-4,5% annuo a settembre, da -3,6% in agosto), sulla scia della flessione delle quotazioni petrolifere. I beni alimentari registrano prezzi fermi in termini annui.
La dinamica dei prezzi core (esclusi energia e alimentari) resta positiva, sebbene sia bassa e calante: +0,4% annuo a settembre (da +0,5% in agosto). Al suo interno, i prezzi dei beni industriali hanno frenato al +0,2% annuo, a causa della persistente debolezza dell’attività economica, quelli dei servizi al +0,6%.
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La produzione nelle costruzioni è aumentata del 6,0% in agosto su luglio, con l’indice risalito sui livelli di gennaio 2014. Il rimbalzo di agosto è spiegato in gran parte dal fatto che molti cantieri hanno ripreso l'attività dopo averla sospesa in luglio per le cattive condizioni meteorologiche (quest’anno è stato il luglio più piovoso degli ultimi 80 anni).
Nel bimestre luglio-agosto l’attività è diminuita dello 0,7% rispetto al secondo trimestre, quando era calata dell’1,0% sul primo.
L’evoluzione per i prossimi mesi, nelle valutazioni degli imprenditori edili, è negativa: in settembre l’indagine trimestrale Banca d’Italia-Il Sole 24 Ore ha rilevato un peggioramento dei giudizi sull’andamento della domanda nel settore (il saldo è sceso a -14,1 da -7,2 in giugno); analoghe indicazioni vengono dall’indagine ISTAT condotta in settembre presso le imprese di costruzioni.
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Sintesi della Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza
(approvata dal Governo il 30 settembre e resa pubblica il 2 ottobre 2014)
Quadro macroeconomico[1]: il Governo rivede al ribasso in modo significativo le stime di crescita: quest’anno si chiuderà con una riduzione del PIL dello 0,3% (contro una stima presentata ad aprile di un aumento dello 0,8%); il prossimo la crescita del PIL si attesterà allo 0,5%. Nel 2016 dovrebbe salire allo 0,8%, l’anno successivo all’1,1% e nel 2017 attestarsi all’1,2%. In termini nominali, la crescita del PIL è stimata allo 0,5% quest’anno (contro l’1,7% stimato ad aprile scorso), all’1,0% l’anno prossimo (contro il 2,5% di aprile), al 2,1% nel 2016, al 2,7% nel 2017 e al 2,8% nel 2018. Questo scenario incorpora gli effetti delle riforme immediatamente efficaci sinora approvate (quadro tendenziale). Accanto a questo, il Governo ha presentato uno scenario programmatico che incorpora anche gli effetti delle principali misure previste dal disegno di legge di stabilità che verrà presentato nei prossimi giorni (rifinanziamento dello sgravio IRPEF, riduzione del prelievo fiscale sulle imprese, effetti delle riforme di giustizia, PA, competitività e lavoro). In questo la crescita del PIL dovrebbe essere leggermente superiore rispetto allo scenario tendenziale sia nel 2015 (+0,1%) sia negli anni a seguire (+0,2%).
La revisione al ribasso delle previsioni di crescita sconta il peggioramento del quadro economico attribuibile, secondo la Nota, all’indebolimento del commercio internazionale e ad una dinamica sfavorevole dei prezzi relativi di beni e servizi tra Italia e gli altri paesi euro. A ciò si aggiunge un effetto negativo sugli investimenti privati attribuibile al pagamento dei debiti delle PA più diluito nel tempo di quanto programmato ad aprile e la revisione al ribasso degli effetti derivanti dalle riforme già realizzate e dovuta ai ritardi nella loro implementazione. Per il prossimo anno la debole ripresa sarebbe attribuibile, secondo il Governo, all’attenuazione del credit crunch, anche grazie agli interventi della BCE, e all’aumento delle esportazioni derivante dalla ripresa della domanda interna all’Eurozona.
Finanza pubblica: nella Nota i saldi di bilancio sono rivisti in peggioramento rispetto a quanto indicato nel DEF presentato ad aprile scorso. Nello scenario tendenziale il deficit quest’anno è stimato al 3,0% del PIL (contro il 2,6% di aprile), l’anno prossimo al 2,2% (contro l’1,8% di aprile), nel 2016 all’1,8%, nel 2017 all’1,2% e l’anno dopo allo 0,8% del PIL. Il rallentamento del PIL nominale, che influisce negativamente sul deficit, è solo in parte compensato dalla riduzione dei tassi di rendimento sui titoli di Stato che vale un risparmio di spesa, rispetto a quanto indicato ad aprile, quantificato dal Governo in 5,8 miliardi (0,4% del PIL) quest’anno e 7,8 miliardi (0,5% del PIL) il prossimo.
Nello scenario programmatico il Governo indica che intende rallentare il percorso di rientro del deficit rispetto a quanto indicato in precedenza. L’obiettivo del pareggio strutturale viene rinviato al 2017 (dal 2016) e per il 2015 è programmata un’espansione di 0,7 punti di PIL (11,5 miliardi) rispetto al deficit tendenziale che, nelle intenzioni del Governo, dovrebbe finanziare spese per la crescita e la riduzione della pressione fiscale. Il deficit programmato per il 2015 è quindi pari al 2,9% del PIL mentre quello strutturale allo 0,9%. La deviazione nel percorso di risanamento è giustificata, secondo quanto prevedono i trattati europei, con il peggioramento del quadro economico e con l’intenzione di realizzare importanti riforme strutturali.
D’altra parte, il Governo ha quantificato gli effetti che avrebbe sull’economia italiana, una manovra correttiva di dimensione tale da raggiungere il pareggio strutturale nel 2015: occorrerebbe una manovra da 0,9 punti percentuali di PIL che genererebbe una contrazione del PIL, rispetto al tendenziale, di 0,3 punti nel 2015 e di 0,1 punti nel 2016. Il rispetto della regola del debito imporrebbe una correzione di 2,2 punti di PIL e la contrazione del PIL salirebbe a 0,8 nel 2015 e a 0,1 punti nel 2016. Le stime delle ricadute sul PIL sono da considerare per difetto, perché utilizzano parametri che si sono rivelati negli ultimi anni decisamente sottostimati.
Nello scenario programmatico il percorso di rientro viene rinviato al biennio 2016-2017, anni in cui, per raggiungere il pareggio di bilancio (in termini strutturali), si intende realizzare una correzione strutturale di 0,9 punti (0,5 nel 2016 e 0,4 l’anno successivo). Il deficit complessivo dovrebbe scendere nel 2016 all’1,8% del PIL, l’anno seguente allo 0,8% per raggiungere lo 0,2% nel 2018. La correzione strutturale viene blindata da una clausola di salvaguardia che verrà inserita nella prossima legge di stabilità e che, in mancanza di interventi alternativi, recupererà 12,4 miliardi nel 2016, 17,8 miliardi nel 2017 e 21,4 miliardi nel 2018 attraverso l’aumento delle aliquote IVA e di altre imposte indirette. Si tratta di un intervento che, secondo le stime del Governo, se realizzato genererebbe una perdita di PIL quantificabile in 0,7 punti percentuali a tutto il 2018. Anche questa stima va considerata per difetto. D’altra parte la clausola di salvaguardia è in questo momento indispensabile per rendere credibile il nuovo percorso di rientro e quindi più accettabile per i partner e la Commissione europei l’aumento del deficit nel 2015 e il rinvio dell’aggiustamento del saldo strutturale.
Inevitabilmente, rallenta il percorso di riduzione del debito pubblico per effetto del peggioramento del quadro economico e del rinvio del pareggio di bilancio. Su quest’anno influiranno anche le minori entrate da privatizzazioni, rispetto a quelle previste, per circa 0,4 punti di PIL. Per il 2015-18 è invece confermato l’obiettivo di incassare, da queste, lo 0,7% del PIL all’anno.
[1] La Nota di aggiornamento al DEF tiene conto della revisione del sistema dei conti nazionali (passato dal SEC95 al SEC2010). Tale innovazione ha comportato per il 2013 un miglioramento di due decimi di punto del rapporto deficit/PIL e di 4,8 punti del rapporto debito/PIL.
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L'indice dei prezzi al consumo del Regno Unito in settembre ha rallentato al ritmo più basso dall'ottobre 2009: +1,2% su base annua, dal +1,5% di agosto (+1,4% la variazione attesa), segnando per il nono mese consecutivo una variazione inferiore all'obiettivo del +2,0% della Banca d'Inghiterra. Su base mensile il livello dei prezzi è rimasto invariato, dopo il +0,4% in agosto (ci si attendeva un +0,2%).
Il rallentamento dell'inflazione negli ultimi mesi è dovuto a una serie di fattori: il rafforzamento della sterlina, la disinflazione in atto nei prezzi degli alimentari (accresciuta da una sorta di guerra sui prezzi tra le principali catene di supermercati), incrementi più lenti dei prezzi energetici e dei costi di trasporto (che riflettono la diminuzione del prezzo del petrolio). Anche l'indice core dei prezzi al consumo ha rallentato al +1,5% (da +1,9%), ai minimi da aprile 2009, a ulteriore dimostrazione che molti rivenditori al dettaglio stanno cercando di competere sul prezzo per incentivare all'acquisto i consumatori. I cui salari nominali aumentano a un ritmo più lento dell'inflazione, nonostante un tasso di disoccupazione in luglio ai minimi dalla fine del 2008 (6,2%).
La dinamica dei prezzi potrebbe ulteriormente posticipare la decisione della Banca d'Inghiterra di essere la prima Banca centrale a rialzare il tasso ufficiale di interesse, attualmente allo 0,50%. Finora ci si attendeva questa mossa nella riunione di febbraio 2015, ma non è escluso a questo punto che essa possa arrivare più avanti nel corso dell'anno. Molto dipenderà, come ha più volte ribadito il governatore Carney, dall'andamento dell'economia negli ultimi mesi dell'anno e da quanto aumentaranno i salari in risposta alle condizione più favorevoli del mercato del lavoro. La Banca centrale ha comunque escluso che il momento del primo rialzo sarà influenzato dal fatto che le prossime elezioni nazionali si svolgeranno il 7 maggio 2015.
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Aumenta in ottobre l’indice di fiducia economica della Commissione Europea (da 99,9 a 100,7), riposizionandosi appena sopra il valore medio di lungo periodo. Il risultato è la sintesi di un miglioramento in tutti i settori di attività economica, molto forte nelle costruzioni (+3,1), consistente nei servizi (+1,2), solo marginale nell’industria (+0,4) dove, tuttavia, si registrano valutazioni più positive sia sulle aspettative di produzione, sia sugli ordini. Resta sostanzialmente stabile (+0,3) la fiducia dei consumatori, i cui giudizi sono invariati sulla situazione corrente ma mostrano un po’ più di ottimismo sul futuro.
Tra i maggiori paesi, il sentimento economico peggiora, seppur di poco, solo in Spagna (-0,7). Aumenta in Germania (+0,6), grazie alla maggiore fiducia nelle costruzioni e tra i consumatori, mentre cala per il terzo mese consecutivo quella nell’industria. Per il secondo mese consecutivo sale (di 1,1 punti, a 96,4), la fiducia in Francia, grazie ad un marcato progresso nell’industria; resta, però, a livelli piuttosto depressi e ancora ben lontani dalla media di lungo periodo. In Italia l'indice di fiducia sale a 97,4 da 96,9 con incrementi in tutti i settori e nonostante il leggero arretramento tra i consumatori.
Complessivamente, l’indice rimane di 0,2 punti al di sotto della media del terzo trimestre, su un livello coerente con una crescita nulla del PIL dell’Eurozona nell'ultimo trimestre del 2014.
Il CSC
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Secondo i dati ISTAT pubblicati oggi, in Italia la percentuale di individui a rischio di povertà o esclusione sociale è scesa nel 2013 rispetto al 2012 (28,4% da 29,9%), ma rimane la quota più alta tra i principali paesi dell’Eurozona a eccezione della Grecia (35,7%).
Nonostante il miglioramento dell’indice, l’Italia è ancora molto lontana dagli obiettivi di Europa 2020: nel 2013 le persone a rischio di povertà o esclusione sociale superavano i 17 milioni, il 25% in più rispetto al target europeo.
Gli individui a rischio di povertà o esclusione sociale sono persone che presentano almeno una delle seguenti tre condizioni:
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rischio di povertà dopo i trasferimenti sociali: hanno un reddito equivalente inferiore o pari al 60% del reddito equivalente mediano delle persone residenti;
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forte deprivazione materiale: vivono in una famiglia con almeno 4 dei 9 problemi seguenti: non poter sostenere spese impreviste di 800 euro, non potersi permettere una settimana di ferie all’anno lontano da casa; avere arretrati per mutuo, affitto, bollette o per altri debiti come acquisti a rate; non potersi permettere un pasto adeguato ogni due giorni, cioè con proteine della carne o del pesce (o equivalente vegetariano); non poter riscaldare adeguatamente l’abitazione; non potersi permettere una lavatrice o un televisore a colori o un telefono o un’automobile;
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bassa intensità lavorativa: vivono in una famiglia dove in media gli adulti lavorano meno del 20% del potenziale in un anno.
Nel 2013 la contrazione dell’indice è ascrivibile al calo della quota di persone in famiglie gravemente deprivate (12,4% dal 14,5%); stabile la percentuale di famiglie a rischio di povertà (19,1%) e in lieve aumento quella di chi vive in famiglie a bassa intensità lavorativa (11,0% dal 10,3%).
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L'ottimismo dei consumatori americani non è frenato né dalle tensioni geopolitiche in Ucraina e Medio Oriente, né dai timori per una possibile diffusione dell’epidemia Ebola. E in ottobre ha toccato i massimi dal luglio del 2007. Ciò consolida l'attesa di buona crescita dell'economia USA.
L’indice di fiducia dei consumatori elaborato dall’Università del Michigan è, infatti, salito a 86,4 in ottobre (+1,8 punti su settembre). In particolare, sono migliorate le aspettative (di ben 3 punti, ai massimi da ottobre 2012) mentre è restato invariato a 98,9 il giudizio sulla situazione corrente.
Alimentano l’ottimismo la continua creazione di nuovi posti di lavoro (248mila in settembre), il calo della disoccupazione (a 5,9% della forza lavoro) e il buon andamento del mercato immobiliare: in settembre, sono salite più dell'atteso le vendite di case esistenti (+2,4% su agosto), sono stati aperti 1,017 milioni di nuovi cantieri (+6,3%) e rilasciati 1,018 milioni di nuovi permessi di costruzione residenziali (+1,5%).
Il calo del prezzo della benzina (-13,4% dagli inizi di luglio), che contribuisce a rafforzare il reddito disponibile delle famiglie, è un altro fattore emotivamente importante nel forgiarne la fiducia.
Il CSC
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Un po' più basse delle attese, in settembre le vendite al dettaglio negli Stati Uniti sono diminuite rispetto ad agosto (-0,3%) ma aumentate del 4,3% rispetto a settembre 2013. In calo, benché elevate, anche le vendite di auto e veicoli leggeri (-0,8% su agosto, +10,4% in un anno).
Le prospettive rimangono buone: nei primi 8 mesi del 2014 il reddito disponibile delle famiglie è aumentato del 2,5% in termini reali rispetto allo stesso periodo del 2013 grazie, in particolare, all’aumento degli occupati (+227mila unità in media al mese da gennaio a settembre) e delle ore complessivamente lavorate.
Ciò, insieme al miglioramento della situazione finanziaria delle famiglie e al calo del prezzo della benzina, terrà alta la propensione al consumo e scongiurerà un ulteriore rialzo del tasso di risparmio, che in agosto era al 5,4% del reddito disponibile, un livello pressoché identico a quello dell’agosto 2013 (5,3%).
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