Secondo i dati ISTAT pubblicati oggi, in Italia la percentuale di individui a rischio di povertà o esclusione sociale è scesa nel 2013 rispetto al 2012 (28,4% da 29,9%), ma rimane la quota più alta tra i principali paesi dell’Eurozona a eccezione della Grecia (35,7%).
Nonostante il miglioramento dell’indice, l’Italia è ancora molto lontana dagli obiettivi di Europa 2020: nel 2013 le persone a rischio di povertà o esclusione sociale superavano i 17 milioni, il 25% in più rispetto al target europeo.
Gli individui a rischio di povertà o esclusione sociale sono persone che presentano almeno una delle seguenti tre condizioni:
- rischio di povertà dopo i trasferimenti sociali: hanno un reddito equivalente inferiore o pari al 60% del reddito equivalente mediano delle persone residenti;
- forte deprivazione materiale: vivono in una famiglia con almeno 4 dei 9 problemi seguenti: non poter sostenere spese impreviste di 800 euro, non potersi permettere una settimana di ferie all’anno lontano da casa; avere arretrati per mutuo, affitto, bollette o per altri debiti come acquisti a rate; non potersi permettere un pasto adeguato ogni due giorni, cioè con proteine della carne o del pesce (o equivalente vegetariano); non poter riscaldare adeguatamente l’abitazione; non potersi permettere una lavatrice o un televisore a colori o un telefono o un’automobile;
- bassa intensità lavorativa: vivono in una famiglia dove in media gli adulti lavorano meno del 20% del potenziale in un anno.
Nel 2013 la contrazione dell’indice è ascrivibile al calo della quota di persone in famiglie gravemente deprivate (12,4% dal 14,5%); stabile la percentuale di famiglie a rischio di povertà (19,1%) e in lieve aumento quella di chi vive in famiglie a bassa intensità lavorativa (11,0% dal 10,3%).