La dinamica dei prezzi al consumo in Italia aumenta in ottobre (+0,3% annuo, da +0,2% a settembre; minimo a -0,6% a gennaio), restando comunque ancora troppo vicina alla soglia della deflazione e lontanissima dall’obiettivo BCE (poco sotto il +2,0% annuo).
Una spinta al rialzo viene dai prezzi alimentari, che accelerano al +1,8% annuo in Italia (da +1,5%); in particolare, per gli alimentari non lavorati si registra una fiammata al +4,2% (da +3,3%).
Cresce, di poco, anche la dinamica dei prezzi core, cioè al netto di alimentari e energia (+0,9% annuo, da +0,8%), sulla scia della ripartenza dell’economia nel 2015. Al suo interno, i prezzi dei beni industriali crescono solo del +0,5% annuo, la metà rispetto a quelli dei servizi (+1,0%).
Viceversa, continuano a ridursi in misura marcata i prezzi al consumo energetici (-7,7% annuo, da -7,6%), a causa dei precedenti ribassi della quotazione del petrolio. Ciò, da un lato, tiene bassa la dinamica totale dei prezzi in Italia, ma dall’altro libera risorse per la crescita dei consumi di beni e servizi.
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Al di là delle fluttuazioni mensili, si consolida la risalita dell’occupazione in Italia: nonostante il -0,2% di settembre su agosto, il terzo trimestre si chiude con 102mila occupati in più rispetto al secondo (+0,5%), stessa variazione registrata nel trimestre precedente. Il numero delle persone occupate è ai massimi da autunno 2012.
Il tasso di disoccupazione nel terzo trimestre si attesta sull'11,9%, sui livelli di inizio 2013; in settembre il numero di disoccupati in percentuale della forza lavoro è 11,8%, a seguito di una contrazione della forza lavoro (-0,3% su agosto).
Tasso di disoccupazione in discesa nella media dell’Eurozona (10,8% in settembre, da 10,9% nei due mesi precedenti); alto in Spagna (21,6%), ma in costante riduzione da inizio 2013; in lieve contrazione in Francia (10,7% da 10,8%) e ai minimi in Germania (4,5%).
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Il Comitato Centrale del Partito Comunista cinese ha decretato che le coppie cinesi potranno avere fino a due figli, ponendo fine alla politica del figlio unico in vigore dal 1979.
Questa politica ha avuto successo nel frenare la crescita demografica in Cina, tra i paesi più popolosi al mondo (con una densità quasi tripla rispetto alla media mondiale). L’aumento della popolazione, infatti, è stato frenato dal +2,3% medio annuo nella prima metà degli anni Settanta (più della media mondiale) al +0,5% negli ultimi cinque anni (meno della metà di quello mondiale) ed era atteso diventare negativo tra dieci-quindici anni (previsioni Onu).
Ciò però costituisce un freno alla crescita del PIL e si traduce in invecchiamento della popolazione, minore quota di forza lavoro e consumi deboli. La misura dei due figli è un passo importante, anche simbolicamente, verso un modello di crescita più sostenibile ed equilibrato, fondato su domanda interna, servizi e innovazione.
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Rallenta all’1,5% congiunturale (annualizzato) la crescita del PIL USA nel terzo trimestre 2015, dopo il +3,9% del secondo trimestre. La frenata è da attribuirsi quasi esclusivamente al forte contributo negativo fornito dalle scorte (-1,4%), che lascia, però, ben sperare per i prossimi trimestri, quando le imprese, per soddisfare una domanda interna in solida espansione, dovranno ripristinare un livello di scorte adeguato. Pressoché nullo è stato il contributo del settore estero, dove l’export (+1,9% dopo il +5,1% nel secondo trimestre) ha risentito delle difficoltà dei paesi emergenti e del dollaro forte.
Sono cresciuti a ritmi sostenuti i consumi, che costituiscono più di due terzi dell’economia americana (+3,2% dopo il +3,6% nel secondo trimestre), sostenuti da un’occupazione in costante aumento e dalla bassa inflazione, che ha fatto lievitare il potere d’acquisto delle famiglie. Il reddito disponibile, aumentato dell’1,2% in termini reali nel secondo trimestre, è infatti balzato del 3,5% nel terzo.
Hanno rallentato gli investimenti (+2,9% dopo un +5,2%), per il calo di quelli in strutture non residenziali (-4,0% dopo un +6,2%) legato, in particolare, alla chiusura di impianti nel settore energetico e estrattivo. Sono, invece, balzati del 5,3% quelli in macchinari (dopo il +0,3% nel secondo), anche per la necessità da parte delle imprese di sostituire macchine e attrezzature ormai obsolete.
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Nella riunione del 28 ottobre la FED ha rinviato ancora il primo rialzo del tasso ufficiale di interesse (fermo a 0-0,25%), da tempo annunciato per fine 2015. L’ulteriore rinvio è stato giustificato con un rallentamento della crescita USA, ma soprattutto con le preoccupazioni per la frenata dell’economia globale e l’elevata incertezza nei mercati finanziari, che però viene accresciuta dalla stessa opacità della strategia della FED. La Banca, comunque, ha confermato con chiarezza che nel prossimo meeting del 16 dicembre è possibile il primo rialzo dei tassi dal 2006, prendendo in contropiede i mercati che ormai assegnavano una probabilità molto bassa se non nulla a tale evento, sebbene la decisione rimanga dipendente dai prossimi dati in uscita.
Anche la BCE, il 22 ottobre, non ha preso nuove decisioni, ma ha sottolineato con forza di essere pronta ad accrescere gli interventi espansivi, muovendosi quindi in direzione opposta alla FED. Ciò viene giustificato con i rischi al ribasso per crescita e prezzi nell’Eurozona che provengono dalla frenata degli emergenti, dal ribasso delle commodity e dalla volatilità dei mercati finanziari. In particolare, la BCE ha ribadito la possibilità di espandere, nella riunione di dicembre, il programma di acquisto titoli (Quantitative Easing), in termini di dimensione complessiva e/o durata, e di ridurre ancor più in territorio negativo il tasso con cui remunera i depositi effettuati presso di lei dalle banche.
La banca centrale della Cina (PBOC), invece, si è già mossa per sostenere un’economia in deciso rallentamento: il 23 ottobre ha tagliato ulteriormente il tasso di interesse ufficiale e quello sui depositi (di 0,25 punti base), per la sesta volta in 12 mesi. Inoltre, ha abbassato il coefficiente di riserva obbligatoria per le banche dello 0,50%, liberando 600-700 miliardi di yuan di liquidità (circa 90 miliardi di euro). Gli analisti si attendono ulteriori interventi espansivi della PBOC nei prossimi mesi. Ciò dovrebbe anche riportare fiducia nei mercati finanziari cinesi, favorendone la stabilizzazione.
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Il CSC rileva un incremento della produzione industriale dello 0,2% in ottobre su settembre quando ha stimato una variazione di +0,8% su agosto1 .
Nel terzo trimestre del 2015 il CSC calcola un aumento della produzione dello 0,6% sul secondo, quando si era registrato un progresso dello 0,4% sul precedente. La variazione congiunturale acquisita nell’ultimo trimestre di quest’anno è di +0,6%.
La produzione, al netto del diverso numero di giornate lavorative, è avanzata in ottobre del 3,1% rispetto allo stesso mese dello scorso anno; in settembre è stato rilevato un aumento del 3,2% su settembre 2014.
Gli ordini in volume hanno registrato una crescita dello 0,6% su settembre e del 2,3% su ottobre 2014. In settembre: +1,5% su agosto e +4,1% sui dodici mesi.
La fiducia tra le imprese manifatturiere è ancora aumentata in ottobre e traccia una tendenza positiva dell’attività anche nei prossimi mesi: l’indice è salito di 1,5 punti (dopo +1,5 in settembre), a 105,9, massimo da gennaio 2011; in miglioramento, rispetto al mese scorso, giudizi e attese sui livelli di produzione e sugli ordini interni ed esteri.
Il CSC
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I dati diffusi dalla BCE (in anticipo di due settimane rispetto al comunicato ufficiale Banca d'Italia) mostrano che lo stock di prestiti bancari erogati alle imprese italiane è rimasto fermo a settembre, dopo essersi ridotto dello 0,4% al mese a luglio-agosto (dati destagionalizzati dal CSC).
Nel terzo trimestre 2015, quindi, lo stock di credito registra in media un calo dello 0,3% al mese, dopo che nella prima metà dell’anno la caduta si era sostanzialmente arrestata (-0,03% al mese; -0,4% nel 2012-2014).
Nonostante l’avvio del recupero dell’attività economica in Italia, le banche restano dunque molto prudenti nelle erogazioni. Il principale freno è costituito dall’enorme stock di prestiti deteriorati nei loro bilanci, che le ha rese avverse al rischio di credito. Può aver inciso, inoltre, la discussione in corso a livello internazionale sulla definizione di ulteriore regolamentazione per il sistema bancario (in particolare sulla composizione del passivo, in vista dell’entrata in vigore nel 2016 del bail-in, cioè del salvataggio a carico di azionisti e creditori della banca).
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Prosegue in ottobre il miglioramento della fiducia di imprese e consumatori italiani e delinea una tendenza positiva di consumi e investimenti anche nel trimestre in corso.
L’indice composito di sentimento economico delle imprese è aumentato di 1,4 punti in ottobre su settembre (a 107,5), raggiungendo il valore massimo da ottobre 2007, superiore di 2,7 punti rispetto alla media del terzo trimestre. L’indicatore di fiducia è diminuito solo nelle costruzioni (-3,5 punti), dopo due robusti incrementi mensili consecutivi; particolarmente marcato l’aumento nel commercio al dettaglio (+7,4, a 116,6, massimo storico); è continuato il recupero anche nei servizi di mercato (+0,9, secondo rialzo consecutivo).
Nel manifatturiero l’indice di fiducia è salito a 105,9 (+1,5 punti, come in settembre), favorito da un incremento in tutte le componenti: attese e giudizi su ordini interni e (soprattutto) esteri e sui livelli di produzione. Il livello di ottobre è il più elevato da gennaio 2011 e superiore di 2,2 punti a quello medio del terzo trimestre. Il miglioramento è più marcato nel settore di produzione di beni di consumo.
Tra i consumatori la fiducia è aumentata per il terzo mese di fila (+3,9 punti, +9,9 da agosto) ed è al top da febbraio 2002, grazie soprattutto alla componente relativa al clima economico (+9,1 punti); il clima personale è migliorato di 0,3 punti dopo due forti incrementi di fila. Le valutazioni strettamente connesse alle decisioni di spesa sono meno favorevoli: migliorano ancora i giudizi e, in misura maggiore, le attese sulla situazione economica della famiglia; per la prima volta dopo quattro mesi peggiorano invece le valutazioni sui bilanci familiari, pur restando sui valori più elevati da quattro anni.
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Negli Stati Uniti gli ordini di beni capitali sono di nuovo diminuiti a settembre: -5,6% rispetto ad agosto, quando erano scesi del 7,0% su luglio. Il calo si riduce a -0,3% (dopo il -1,6% di agosto) se si escludono difesa e aeromobili, settori particolarmente volatili. Il dato conferma la debolezza del settore manifatturiero americano, penalizzato dalla forza del dollaro e dal rallentamento delle economie emergenti.
È calata in ottobre anche la fiducia delle famiglie (a 97,6 da 102,6) per il peggioramento, in particolare, dei giudizi sulla situazione economica corrente (-8,2 punti). Ciò, insieme ai recenti dati su occupazione (solo +142mila unità quella non agricola in settembre, ben sotto le 228mila registrate in media negli ultimi due anni) e produzione industriale (in calo negli ultimi due mesi estivi), ha indotto molti analisti a rivedere al ribasso le stime di crescita sia per il terzo sia per il quarto trimestre 2015.
La persistente debolezza degli investimenti e una rinnovata cautela sulle nuove assunzioni da parte delle imprese rendono più incerto il timing dell’inizio della stretta monetaria da parte della FED, da molti atteso prima della fine dell’anno.
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Il fatturato dell’industria italiana è arretrato, a prezzi costanti, dello 0,9% in agosto (stime CSC, -1,6% a prezzi correnti), dopo -0,6% in luglio. Il contributo più negativo viene dal mercato interno (-1,5%), sulla cui dinamica ha inciso parzialmente la fine (il 30 giugno) degli incentivi per gli acquisti di alcune categorie di beni strumentali, che lo avevano gonfiato in maggio e giugno. Quello estero è rimasto quasi stabile (-0,1%, dopo +0,6%). La variazione congiunturale acquisita del fatturato totale nel terzo trimestre è di -0,5% rispetto alla media del secondo (+1,2% sul primo).
Gli ordinativi sono diminuiti del 4,8% congiunturale in agosto (-5,5% a prezzi correnti), dopo due mesi di recupero (+3,9% cumulato). Il calo è attribuibile soprattutto alla domanda nazionale (-6,8%), che era in aumento da dicembre 2014 (+14,5% cumulato) ed è spiegato, in parte, dal confronto col rimbalzo di luglio (+3,5%), dovuto a una grossa commessa registrata nel settore degli “altri mezzi di trasporto”. Gli ordini esteri sono diminuiti del 2,4%. L’acquisito per gli ordinativi nel terzo trimestre è di -1,3% (+5,1% nel secondo).
I dati di agosto sono molto volatili a causa dei bassi livelli di attività nel mese, per cui anche piccoli cambiamenti nei valori di fatturato possono comportare variazioni percentuali ampie. Essi riflettono, comunque, un rallentamento della domanda interna nei mesi estivi; le indagini qualitative (ISTAT e Markit) segnalano una migliore dinamica in autunno.
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In settembre le esportazioni italiane, in valore, verso i paesi extra-Ue sono tornate a crescere (+5,2% mensile), recuperando solo parzialmente il crollo di agosto (-8,2%). Nel terzo trimestre, infatti, si sono ridotte del 4,2% rispetto al secondo; tutti i comparti hanno registrato una variazione negativa, con il calo maggiore nella componente energetica, anche per la caduta delle quotazioni petrolifere; al netto dell’energia, l’export extra-Ue è diminuito del 3,2%.
In crescita in settembre anche l’import dai paesi extra-UE (+1,5% rispetto ad agosto), dopo due riduzioni mensili consecutive (-2,7% ad agosto e -6,6% a luglio). Nella media del terzo trimestre l’import extra-Ue è comunque diminuito del 5,4% sul secondo (-3,4% al netto dell’energia). La debole performance delle importazioni risente della riduzione delle esportazioni.
Tra i mercati di destinazione, sono aumentate le vendite verso gli Stati Uniti, l’India e i paesi EDA (Economie Dinamiche Asiatiche: Tailandia, Malesia, Taiwan, Hong Kong, Singapore e Corea del Sud), mentre la Cina ha ridotto la domanda di prodotti italiani. Il rallentamento della domanda extra-Ue, soprattutto di quella cinese, continuerà a frenare le vendite italiane anche negli ultimi mesi dell’anno.
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In agosto le esportazioni italiane sono diminuite del 3,2% a prezzi costanti, a causa del crollo delle vendite nei paesi extra-Ue (-7,9%), mentre sono aumentate quelle nei paesi Ue (+0,6%). Nel bimestre luglio-agosto l’export si è ridotto dell’1,7% sul secondo trimestre (+0,1% intra-Ue e -4,0% extra-Ue).
Sono diminuite anche le importazioni, riflettendo la debolezza delle esportazioni: -1,0% a prezzi costanti in agosto su luglio e -0,9% nell’ultimo bimestre. In calo ad agosto gli acquisti dall’estero in tutti i comparti, a eccezione dei beni di consumo (+1,2%): -3,8% i prodotti energetici, -1,8% quelli strumentali e -2,6% gli intermedi.
Giù, in agosto, anche le esportazioni di Germania (-5,0% a prezzi costanti) e Francia (-2,0%). Pesa la debolezza della domanda mondiale, a causa, in particolare, del rallentamento delle economie emergenti. Le prospettive per l’export italiano restano comunque positive, secondo gli indicatori qualitativi sugli ordini esteri nel manifatturiero (PMI e giudizi delle imprese), anche grazie al sostegno dell’euro debole e all’attesa normalizzazione (a bassi ritmi) degli scambi globali.
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Nel primo rilevamento dopo lo scoppio dello scandalo delle emissioni diesel alla Volkswagen, l’indice ZEW, che misura la fiducia tra analisti e investitori tedeschi, è sceso in ottobre di ben 10,2 punti rispetto a settembre, attestandosi a 1,9 (ampiamente sotto i 6 punti attesi dai mercati). Si tratta del valore minimo da un anno, molto sotto la media di lungo periodo (24,8). Peggiorano significativamente anche le valutazioni sulla situazione economica corrente (a 55,2 da 67,5).
Non hanno certamente aiutato a rinsaldare la fiducia tra gli operatori i recenti dati negativi (relativi ad agosto) sulla produzione industriale (-1,2% su luglio), sugli ordini (-2,1%) e sulle esportazioni (-5,8%), tutti peraltro fortemente influenzati dal minor numero di giorni lavorati. Inoltre, hanno pesato sul giudizio degli analisti i timori per i riflessi sulle prospettive di crescita della Germania del sensibile rallentamento delle economie emergenti.
La riduzione dei costi di produzione per il calo dei prezzi dell’energia, la maggiore competitività di prezzo per l’indebolimento dell’euro e il graduale recupero delle economie dell’Eurozona dovrebbero però limitare gli effetti negativi del calo della domanda estera; mentre i consumi, favoriti dai forti guadagni di potere d’acquisto delle famiglie e dai sensibili aumenti salariali, dovrebbero trainare quella interna.
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Il CSC rileva un incremento della produzione industriale italiana dello 0,9% in settembre su agosto, quando c’è stato un calo dello 0,5% su luglio, comunicato oggi dall’ISTAT.
Nel terzo trimestre 2015 è stimato un aumento dell’attività dello 0,7% sul precedente, il più alto da inizio 2011 e in accelerazione dal +0,4% del secondo. Rispetto al terzo trimestre
2014 si è avuto un progresso del 2,1%.
Il quarto 2015 eredita una variazione congiunturale di +0,4%.
Nei mesi autunnali la tendenza dell’attività si delinea ancora in miglioramento. Secondo i direttori degli acquisti (indagine PMI Markit) in settembre gli ordini ricevuti dalle imprese
manifatturiere hanno continuato ad aumentare, seppure a un passo più lento (indice a 53,9, per l’ottavo mese sopra la soglia neutrale di 50). Nei mesi estivi l’indice è risultato superiore al valore medio registrato in primavera (+0,3 punti, a 55,7). Tale progresso è dovuto soprattutto all’andamento della domanda interna.
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Lo stock di prestiti erogati alle imprese italiane è calato in agosto dello 0,4%, dopo un’analoga flessione a luglio (dati destagionalizzati dal CSC). Nella prima metà del 2015, invece, la caduta del credito si era quasi fermata (-0,04% al mese). Rispetto al picco del settembre 2011, la riduzione dei prestiti è del 13,8% (pari a -126 miliardi).
Le banche sono ancora prudenti nell’assumere nuovo rischio di credito, perché le sofferenze nei loro bilanci continuano a salire: 142 miliardi in agosto (18,2% dei prestiti), da 141 a luglio. Il ritmo di crescita dello stock di sofferenze, comunque, si è ridotto: +0,7% al mese a luglio-agosto, da +1,2% mensile nella prima metà del 2015, grazie alle misure varate dal Governo per favorirne lo smaltimento e all’inizio del recupero dell’attività economica.
I tassi di interesse pagati dalle imprese italiane sono scesi al 2,0% in media in agosto, da 2,1% a luglio (3,5% a inizio 2014), grazie anche al QE che tiene bassi i rendimenti benchmark a medio-lungo termine. Il minor costo del credito favorirà il proseguire della risalita della domanda nei prossimi mesi.
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Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha rivisto all’ingiù le previsioni di crescita dell’economia mondiale: +3,1% nel 2015 (-0,2 punti percentuali rispetto alle stime di luglio) e +3,6% nel 2016 (-0,2). Previsioni in linea con le stime CSC di settembre (+3,2% quest’anno e +3,6% nel prossimo) e coerenti con una stabilizzazione della crescita a un ritmo inferiore a quello pre-crisi.
L’appiattimento della dinamica del PIL mondiale, secondo l’FMI, è il combinato disposto di una crescita minore del previsto sia dei paesi avanzati (+2,0% nel 2015, -0,1 punti su luglio, e +2,2% nel 2016, -0,2) sia di quelli emergenti (+4,0% quest’anno e +4,5% nel prossimo, -0,2 punti in entrambi i casi). Per questi ultimi, inoltre, sono aumentati i rischi al ribasso, connessi alla caduta dei prezzi delle commodity, alla volatilità finanziaria (con possibili crolli azionari e fuoriuscite di capitali) e all’esposizione debitoria, in particolare in valuta estera (che si aggrava con il deprezzamento delle loro valute). Spicca, in particolare, il rischio di una brusca frenata della Cina.
Le previsioni per l’Italia sono state riviste marginalmente all’insù: +0,8% nel 2105 e +1,3% nel 2016 (+0,1 punti percentuali in entrambi gli anni). Una dinamica che implica un brusco rallentamento del ritmo di crescita del PIL nella seconda parte di quest’anno e un’altrettanto brusca accelerazione all’inizio del prossimo; un profilo molto strano. Le stime CSC per l’Italia sono pari a +1,0% nel 2015 e +1,5% nel 2016.
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Ad Atlanta, dopo cinque anni di negoziati, è stato concluso il Trattato Transpacifico di libero commercio e investimenti (Trans-Pacific Partnership, TPP), il più grande accordo di libero scambio della storia, tra 12 economie che rappresentano il 40% del PIL mondiale e il 25% degli scambi globali (Stati Uniti, Canada, Giappone, Australia, Brunei, Cile, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam). L’accordo entrerà in vigore soltanto dopo la ratifica di ogni paese coinvolto. La Cina, grande esclusa da questo primo round, potrebbe aderire in un secondo momento.
Il trattato crea un’area di libero scambio tra le economie coinvolte attraverso l’eliminazione di 18mila dazi su beni e servizi e introduce, tra l’altro, misure sui diritti dei lavoratori, sulla tutela dell’ambiente e sugli arbitrati internazionali. Particolare rilevanza, dopo lo scandalo Volkswagen, assume la definizione di regole nel settore automotive sul paese d’origine delle auto e delle loro componenti, che favoriscono la creazione di una catena di fornitura transpacifica, con effetti benefici soprattutto per l’industria automobilistica giapponese.
Questo accordo è stato raggiunto grazie a un’accelerazione dei negoziati avvenuta negli ultimi dieci giorni, dopo lo scoppio dello scandalo Volkswagen. Il rischio per l’Unione europea è quello di avere un ruolo di secondo piano nella fissazione degli standard internazionali, visto che il negoziato sul Trattato Transatlantico tra Usa e Ue (Transatlantic Trade and Investment Partnership, TTIP) è in alto mare. È auspicabile che quest’ultimo tragga spinta dall’accordo sul TPP per una più rapida conclusione.
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In settembre il PMI composito per l’Italia (che sintetizza la dinamica complessiva nel manifatturiero e nel terziario) segnala una significativa espansione dell’attività, seppure a un ritmo più lento rispetto ad agosto, quando aveva raggiunto il massimo da 53 mesi (53,4 da 55,0). Nel terzo trimestre il valore dell’indice è poco superiore a quello registrato nel secondo (54,0 da 53,9, al top da inizio 2011) e segnala una crescita del PIL in linea con quella registrata nei mesi primaverili (+0,3% congiunturale).
Il dettaglio settoriale segnala il proseguimento di una tendenza positiva sia nel manifatturiero (53,8) sia nei servizi (54,6, -1,3 punti su agosto). Nel terziario, in particolare, attività e nuovi ordini sono rimasti in area di espansione per il settimo mese di fila e sono nettamente migliorate le attese. È tornato, invece, sotto la soglia neutrale di 50 l’indicatore dell’occupazione (il 13% delle aziende ha dichiarato di avere ridotto gli organici). Nel terzo trimestre, comunque, l’indice è superiore di 0,3 punti rispetto alla media del secondo e riflette un rafforzamento della domanda interna.
Nell’Euroarea continua l’espansione, ma a ritmi meno rapidi (53,6 da 54,3, minimo da 4 mesi), a causa, in particolare, del marcato rallentamento dell’occupazione (51,3 da 52,2). Resta, però, solida e in leggera accelerazione la crescita degli ordini (53,3 da 53,2). Tra i maggiori paesi, frenano Germania (54,1 da 55,0) e Spagna (54,6, minimo da 9 mesi) e accelera sensibilmente la Francia (51,9 da 50,2, massimo da 3 mesi).
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Negli ultimi tre anni le retribuzioni reali sono cresciute del 4,6% nel manifatturiero. L’arretramento del Paese e le maggiori tasse hanno reso poco percepiti gli aumenti. La quota del valore aggiunto che va al lavoro è ai massimi storici, mentre la redditività delle imprese è ai minimi, con un impatto negativo sulla dinamica degli investimenti e sulla crescita, anche futura.
In Italia il potere d’acquisto delle buste paga è migliorato tra il 2000 e il 2014. Le retribuzioni lorde per unità di lavoro sono aumentate del 6,5% più dell’incremento dei prezzi al consumo, con una variazione media annua dello 0,5%. Nel solo manifatturiero sono salite del 17,6% reale, +1,2% annuo. Incrementi ben superiori a quelli registrati dalla produttività.
L’ultima tornata contrattuale ha determinando nel settore manifatturiero una crescita delle retribuzioni reali pari al 4,6% nel triennio 2013-15, essendosi basata su previsioni di inflazione che si sono rivelate molto più alte di quella effettiva. A regime l’extra-costo annuo per le imprese è di 4,1 miliardi e comporta una netta riduzione della competitività, che indebolisce i bilanci aziendali e abbassa il PIL e l’occupazione. Secondo le regole stabilite dai contratti stessi, lo scostamento tra inflazione prevista e inflazione effettiva andrebbe recuperato. Questo è un nodo che i prossimi rinnovi devono affrontare. In futuro le dinamiche retributive andranno maggiormente legate alla produttività.
Dagli inizi degli anni Duemila il sostenuto andamento delle retribuzioni ha spinto in alto la quota del valore aggiunto che va al lavoro, tanto che essa è tornata ai picchi storici di metà anni Settanta. Nel manifatturiero è arrivata al 74,3% nel 2014 (74,2% nel 1975).
Ciò ha causato una forte erosione dei margini di profitto che scoraggia gli investimenti, il cui minor livello indebolisce la crescita, anche futura. Questa erosione è in controtendenza con l’aumento dei profitti avvenuto in quasi tutti i maggiori paesi avanzati e smentisce l’opinione diffusa secondo cui in Italia i lavoratori sono stati sfavoriti a vantaggio del reddito di impresa.
La questione salariale, cioè una dinamica delle retribuzioni ritenuta insoddisfacente, va ricondotta all’arretramento del reddito prodotto dal Paese e alle maggiori tasse. Non c’è stata, infatti, alcuna penalizzazione del fattore lavoro, che anzi è uscito rafforzato nella distribuzione del valore aggiunto. Il reddito da lavoro è l’unico ad aver tenuto durante la crisi, mentre tutte le altre forme di guadagno hanno subito pesanti diminuzioni.
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Negli Stati Uniti, a settembre, l’occupazione nel settore non agricolo è aumentata di 142mila unità, molto meno dei 203mila nuovi posti di lavoro attesi dagli analisti. Il Labor Department ha anche rivisto al ribasso (per complessive 59mila unità) i dati degli ultimi due mesi. È rimasto invariato al 5,1% il tasso di disoccupazione, per il calo significativo della forza lavoro (-350mila).
Salgono, inoltre, i timori per le ripercussioni sull’economia USA del rallentamento dell’economia globale. A settembre, l’indice ISM (50,2 da 51,1 in agosto) ha segnalato un significativo rallentamento dell’attività nel settore manifatturiero, penalizzato anche dalla forza del dollaro. Pur restando appena al di sopra della soglia neutrale di 50, sono calate, in particolare, le componenti dell’indice relative a produzione, occupazione e ordini (con quelli esteri in forte contrazione, a 46,5).
Questi dati alimentano i dubbi sul timing dell’aumento dei tassi di interesse da parte della FED, in un contesto di bassa inflazione (+0,3% in agosto, ben al di sotto dell’obiettivo del 2%) e salari orari in crescita moderata (invariati rispetto ad agosto, +2,2% annuo). Tuttavia, le aspettative di rialzo dei tassi entro la fine dell’anno vengono corroborate dal buon andamento della domanda interna (balzate a 18,2 milioni le vendite annualizzate di auto a settembre, massimo da oltre 10 anni), favorita dal forte recupero di potere d’acquisto da parte delle famiglie. Nei prossimi mesi, essa è attesa compensare il rallentamento di quella estera e trainare al rialzo la produzione.
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Frena la discesa dei prezzi delle case in Italia: -0,1% nel secondo trimestre 2015 sul primo (-0,3% le abitazioni nuove e -0,1% quelle esistenti), dopo un calo dello 0,9% nel trimestre precedente. Il -0,1% è il dato migliore dal terzo trimestre 2011.
Sono i primi segnali di stabilizzazione dei prezzi, dopo il crollo del 15,0% avvenuto negli ultimi quattro anni. Il livello delle quotazioni risulta ancora dell’1,8% sopra la media di lungo periodo in rapporto al reddito disponibile pro-capite, cioè alla capacità di spesa delle famiglie. Tuttavia, la massiccia riduzione dei tassi di interesse, che sono ai minimi storici, ha fatto impennare la convenienza ad acquistare casa tramite mutuo ipotecario, tanto che l’affordability index calcolato dal CSC è del 22,6% sopra il livello del 2000 e del 67,9% sopra il minimo del terzo trimestre 2008.
Ciò è coerente con la risalita delle compravendite residenziali (soprattutto di quelle finanziate da mutuo), che risultano nel secondo trimestre in aumento per il quarto periodo consecutivo (+8,2% tendenziale). Sono in miglioramento le prospettive per il mercato delle abitazioni nel terzo trimestre, secondo le valutazioni delle agenzie immobiliari.
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