Il CSC rileva un incremento della produzione industriale dello 0,1% in novembre su ottobre, quando ha stimato un aumento dello 0,3% su settembre.
La variazione congiunturale acquisita nell’ultimo trimestre di quest’anno è di +0,4%.
La produzione, al netto del diverso numero di giornate lavorative, è avanzata in novembre dell’1,9% rispetto allo stesso mese dello scorso anno; in ottobre è stato rilevato un progresso del 2,2% su ottobre 2014.
Gli ordini in volume hanno registrato una crescita dello 0,3% su ottobre e dell’1,6% su novembre 2014. In ottobre: +0,5% su settembre e +2,3% sui dodici mesi.
Secondo gli imprenditori il rallentamento della domanda estera continua a influenzare le prospettive. La fiducia tra le imprese manifatturiere è diminuita di 1,1 punti in novembre su ottobre (dopo +1,4), quando aveva raggiunto il picco da inizio 2011. Sono migliorati i giudizi sugli ordini interni a fronte, però, di un peggioramento di quelli sugli ordini esteri; meno favorevoli, rispetto a ottobre, le attese su produzione e ordini.
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Lo scenario economico globale non è più contrassegnato solo da fattori favorevoli. La frenata degli emergenti, la paura generata dagli attacchi terroristici e l’escalation militare in Siria costituiscono venti che soffiano contro un’economia europea che non viaggia certo a pieni giri.
Tuttavia, rimangono prevalenti gli impulsi fortemente espansivi da tempo inquadrati, che anzi si sono irrobustiti attraverso un ulteriore calo del prezzo del petrolio e il nuovo arretramento del tasso di cambio dell’euro.
Nel Mondo intero e in molte sue singole parti l’insidia maggiore continua a rimanere la deflazione che depotenzia l’azione della politica monetaria, aggrava il peso dei debiti e induce il rinvio degli acquisti. L’ampia capacità produttiva inutilizzata, la generale discesa delle quotazioni delle materie prime, le aspettative degli operatori e le ricadute della concorrenza globale e dell’innovazione tecnologica continuano a spingere all’ingiù la dinamica inflattiva. Ciò terrà a lungo bassi i tassi di interesse, anche negli USA, e giustifica ulteriori allentamenti da parte della BCE.
In Italia l’economia stenta a prendere quota, come indicano i deludenti dati del terzo trimestre, appesantiti dai contraccolpi della debole domanda estera. Comunque, la domanda interna è più vivace e i primi indicatori qualitativi autunnali sono in miglioramento rispetto all’estate. In attesa che si faccia sentire la spinta del contenuto espansivo della Legge di stabilità.
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Il commercio mondiale è tornato a crescere in settembre (+0,5% in volume su agosto), dopo due cali mensili consecutivi. Nella media del terzo trimestre registra un aumento dell’1,1% sul secondo, la prima variazione trimestrale positiva dell’anno. La crescita acquisita nel 2015 rispetto al 2014 è pari allo 0,8%, nettamente inferiore a quella degli ultimi anni.
Ha pesato, in particolare, la debolezza della domanda dei paesi emergenti. Le loro importazioni, seppure in parziale recupero nel terzo trimestre (+1,8% sul secondo), sono cadute del 2,5% nei primi nove mesi dell’anno rispetto al 2014.
Prospettive migliori per la fine del 2015 vengono dalla componente ordini esteri del PMI globale, tornata in ottobre, dopo quattro mesi, in territorio espansivo (51,2). Tuttavia, deludono le aspettative i valori di import ed export di Stati Uniti e Cina in ottobre (in calo rispetto a settembre).
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In novembre l’indice IFO sulla fiducia delle imprese industriali e dei servizi tedesche è sensibilmente aumentato rispetto ad ottobre (109 da 108,2). Sono, infatti, migliorati sia giudizi sulla situazione economica corrente (di 0,7 punti) sia le aspettative a breve termine (di 0,8). Per il momento la fiducia delle imprese tedesche sembra non risentire eccessivamente né del rallentamento della crescita delle economie emergenti né degli scandali Volkswagen e Deutsche Bank. È ancora presto per valutare appieno se vi saranno ripercussioni per i recenti attacchi terroristici in Francia.
Maggiore ottimismo in tutti i settori: il saldo delle risposte, tra chi vede un miglioramento e chi un peggioramento, passa da 9,7 a 12,1 nel manifatturiero, da 0,7 a 2,6 nelle costruzioni e sale al massimo storico nel terziario (a 33,4 da 32,5).
Ciò conferma che il fattore trainante dell’economia tedesca resta la domanda interna. I consumi delle famiglie, aumentati dello 0,6% nel terzo trimestre, sono sostenuti da un’occupazione record, forti aumenti salariali, bassa inflazione e bassi tassi di interesse. Anche la spesa pubblica, aumentata dell’1,3% nello stesso periodo, contribuirà in modo significativo alla crescita nei prossimi trimestri, in particolare per gli stanziamenti previsti per i nuovi immigrati.
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La produzione nelle costruzioni in Italia è diminuita dello 0,3% in settembre su agosto, quando era rimasta invariata rispetto a luglio.
Nel terzo trimestre 2015 è arretrata dello 0,4% sul precedente (-1,2% congiunturale nel secondo). Il quarto ha una variazione acquisita di -0,1%.
Per i mesi autunnali le indagini qualitative condotte in ottobre presso le imprese del settore sono concordi nel delineare una tendenza ancora negativa. L’ISTAT ha rilevato un calo dell’indice di fiducia di 3,5 punti, dopo due robusti incrementi mensili consecutivi, con un peggioramento di giudizi e attese su ordini e piani di costruzione. L’indagine Markit sul settore edilizio ha evidenziato la settima contrazione mensile consecutiva dell’attività (la più marcata da gennaio scorso) e un ulteriore arretramento degli ordini.
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In settembre le esportazioni italiane sono aumentate dell’1,7% a prezzi costanti rispetto ad agosto, grazie al rimbalzo parziale delle vendite nei paesi extra-Ue (+5,3%, dopo -7,9% nel mese precedente), mentre quelle nei paesi Ue si sono ridotte dell’1,0% (dopo +1,4%). Tutti i comparti sono in crescita, a eccezione di quello energetico (-4,7%); al netto dell’energia, l’export è aumentato dell’1,9%.
Nella media del terzo trimestre, tuttavia, le esportazioni registrano una riduzione dell’1,5% rispetto al secondo, con una stagnazione delle vendite verso l’Ue (+0,1%) e una caduta di quelle verso i paesi extra-Ue (-3,6%, il calo più forte da inizio 2009).
Anche le importazioni sono aumentate in settembre (+1,5% su agosto) ma si sono ridotte, in media, nel terzo trimestre (-0,7% sul secondo), riflettendo la debolezza delle esportazioni.
In ottobre sono migliorati gli indicatori qualitativi sugli ordini esteri nel manifatturiero (PMI e giudizi delle imprese), segnalando prospettive positive per l’export italiano per la fine dell’anno, anche grazie all’attesa normalizzazione (a bassi ritmi) degli scambi globali.
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L’indice ZEW che rileva il sentimento economico di investitori e analisti tedeschi è risalito, per la prima volta dopo sette mesi di cali consecutivi, a 10,4 in novembre (da 1,9 in ottobre). Restano pressoché invariati i giudizi sulla situazione economica corrente, il cui saldo è sceso di appena 0,8 punti (a 54,4). Non sembrano avere aumentato, per ora, il pessimismo degli analisti i recenti attacchi terroristici in Francia.
L’elevato livello dei consumi, che beneficiano dei forti aumenti di potere d’acquisto delle famiglie e del buon andamento dell’occupazione, l’ulteriore indebolimento dell’euro, che riduce l’effetto negativo del rallentamento delle economie emergenti sull’export tedesco, e la solidità della crescita americana sono i principali fattori che, secondo molti degli intervistati, contribuiranno a sostenere l’economia tedesca.
Per quanto riguarda l’Eurozona, migliora il giudizio degli operatori tedeschi sulla situazione corrente, con l’indice che risale a -10 (da -11,2), ma peggiorano le aspettative di crescita (da 30,1 a 28,3).
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I rendimenti dei BOT italiani sono scesi a valori negativi: nell’asta dell’11 novembre il titolo a 12 mesi è stato assegnato al -0,03% (da 0,02% in ottobre), quello a 6 mesi al -0,06% in ottobre (da 0,02% a settembre). I rendimenti dei BTP restano positivi, ma sono storicamente bassi: 0,25% in asta a ottobre quello a 3 anni, 1,48% quello a 10 anni (rimbalzato a novembre a 1,65%).
Le famiglie italiane non sono più attratte dai BOT. Lo stock di titoli pubblici a breve nel loro portafoglio, infatti, si sta rapidamente assottigliando: 6 miliardi di euro nel 2° trimestre 2015, cioè anche prima che i rendimenti divenissero negativi, da 36 a inizio 2012 (picco a 109 miliardi nel 2008). Anche lo stock di titoli pubblici a medio-lungo termine (esclusi i CCT) in mano alle famiglie è sceso: 121 miliardi a metà 2015, da 179 un anno prima (picco a 256 nel 2005).
La ricchezza finanziaria delle famiglie, nel complesso, è in crescita: 4.018 miliardi nel 2° trimestre 2015, da 3.557 a fine 2011. Viene dirottata su altri strumenti, diversi dall’acquisto diretto di titoli pubblici: le riserve ramo vita e i fondi pensione sono saliti a 800 miliardi di euro nel 2° trimestre 2015 (da 642 a fine 2011), le quote di fondi comuni a 437 miliardi (da 240).
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Nell’Area euro la produzione industriale è diminuita dello 0,3% in settembre rispetto ad agosto, più delle attese della maggior parte degli analisti (-0,1% in media). Il dato limita a un +0,1% la crescita della produzione nel terzo trimestre rispetto al secondo. Pur in rallentamento, resta positiva la sua variazione rispetto a un anno prima (+1,7%, dopo un +2,2% in agosto).
In particolare, rispetto ad agosto è calata la produzione di beni di consumo, sia durevoli (-3,9%) sia non durevoli (-1,0%), quali gli alimentari e i prodotti per la casa. Ciò solleva dubbi sulla solidità della ripartenza della domanda interna nell’Area, favorita comunque dall’aumento di potere d’acquisto di cui le famiglie hanno beneficiato in seguito al calo dei prezzi energetici. Limitato allo 0,3% è stato, invece, il calo nella produzione di beni di investimento (già scesa però dell’1,0% in agosto).
La produzione industriale è sensibilmente diminuita in Germania (-1,2%), Irlanda (-2,4%), Portogallo (-1,4%) e Grecia (-1,9%), ha sensibilmente rallentato in Francia (+0,2%, dopo il +1,7% di agosto) ed è tornata a crescere in Spagna (+1,4%) e Italia (+0,2%).
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Il CSC rileva un incremento della produzione industriale dello 0,4% in ottobre su settembre, quando c’è stato un progresso dello 0,2% su agosto, comunicato oggi dall’ISTAT.
Nel terzo trimestre 2015 l’attività è aumentata dello 0,4% sul precedente (quarto incremento consecutivo). Il quarto 2015 eredita una variazione congiunturale di +0,4%.
Le indagini qualitative presso le imprese manifatturiere delineano un’accelerazione nei mesi autunnali: secondo i direttori degli acquisti (indagine PMI Markit) in ottobre gli ordini sono aumentati per il nono mese consecutivo e a un passo più veloce (indice a 55,3 contro 53,9 di settembre); indicazioni analoghe vengono dall’indagine condotta dall’ISTAT.
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Negli USA l’occupazione non agricola è aumentata di 271mila unità in ottobre, ben oltre le più ottimistiche aspettative degli analisti, dopo due mesi di incrementi piuttosto moderati (+153mila e +137mila unità in agosto e settembre, rispettivamente) che avevano sollevato qualche dubbio sulla solidità della crescita economica.
Benché sceso di un solo decimo di punto, per il contemporaneo aumento della forza lavoro (+313mila unità), il tasso di disoccupazione è ora al livello più basso dal novembre 2007 (5,0%). Ciò, insieme all’aumento dei salari orari (+0,4% su settembre, +2,2% annuo) potrebbe risultare determinante nella decisione della Fed di procedere all’aumento dei tassi di interesse nella prossima riunione di dicembre.
I dati sull’occupazione in ottobre confermano che l’espansione USA è trainata dalla domanda interna e si aggiungono a quelli molto positivi sulle vendite di auto, che sono salite a 18,2 milioni di unità (dato mensile annualizzato), il massimo da luglio 2005. Il rallentamento del manifatturiero (indice PMI a 50,1 in ottobre, da 50,2 in settembre, appena sopra la soglia neutrale di 50), che risente degli effetti sulle esportazioni della frenata delle economie emergenti e del dollaro forte, è più che compensato dall’ulteriore accelerazione dei servizi (PMI a 59,1 da 56,9, non lontano dai massimi storici) dove, in alcuni comparti, quali il commercio all’ingrosso, l’attività continua a crescere a ritmi record.
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Secondo il CSC (nell’analisi contenuta in Scenari Industriali), l'industria manifatturiera italiana ha finalmente cominciato a risalire la china, anche se con un passo ancora lento e molto disomogeneo tra i suoi comparti (+2,3% negli ultimi undici mesi). È un nuovo inizio che si innesta su cambiamenti strutturali nella globalizzazione.
Si stanno esaurendo gli effetti di shock storici e tecnologici irripetibili: l'apertura al capitalismo di una parte significativa del mondo, l'ingresso della Cina nel WTO e la rivoluzione dell'ICT. Inoltre, le nuove politiche industriali nel mondo avanzato puntano a rivalorizzare il ruolo del manifatturiero e l'esperienza ha spinto molte imprese a un ripensamento dell'organizzazione della produzione su scala globale. Infine, è finita la stagione delle grandi liberalizzazioni multilaterali degli scambi.
Si stanno stabilizzando le quote mondiali di produzione manifatturiera. Nella classifica redatta annualmente dal CSC, l'Italia si conferma ottava potenza industriale davanti alla Francia, con una quota globale del 2,5%. Al vertice Cina (che continua a guadagnare quote) e Stati Uniti, mentre la Germania è quarta.
Il manifatturiero italiano riparte da basi solide: una propensione a investire delle sue imprese tra le più alte al mondo, nonostante la ridotta capacità di spesa dovuta alla crisi; una forte propensione a innovare, in alcuni campi superiore anche alla Germania; una produzione molto articolata dal punto di vista merceologico; esportazioni di eccellenza, seconde al mondo solo alla Germania (in base al Trade Performance Index).
Restano i nodi di una redditività ai minimi, erosa anche da dinamiche delle retribuzioni slegate dalla produttività, e dell'assenza di un disegno organico di politica industriale. Preoccupa poi il crescente divario industriale tra Nord e Sud del Paese.
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Secondo l’indagine qualitativa di Banca d’Italia, le banche hanno proseguito nel terzo trimestre 2015 l’attenuazione della stretta dell’offerta di credito alle imprese. In particolare, gli istituti hanno ridotto i margini di interesse applicati e allentato, di poco, il giro di vite sui volumi e sulle scadenze. I criteri per la concessione di prestiti, comunque, restano molto stretti.
Le banche hanno giudicato, nel terzo trimestre, la loro situazione patrimoniale e di liquidità oltre che la loro capacità di raccolta sui mercati come più favorevoli alla concessione di prestiti. L’allentamento, parziale, della stretta d’offerta è stato favorito anche da migliori percezioni circa l’andamento dell’economia e da una riduzione, marginale, dell’avversione al rischio.
Nel terzo trimestre si è registrato, inoltre, un nuovo aumento della domanda di credito da parte delle imprese, dopo quello del secondo trimestre. Crescono, in particolare, le richieste di fondi per finanziare nuovi investimenti produttivi, oltre che per scorte e capitale circolante.
Le favorevoli indicazioni provenienti dai dati qualitativi, tuttavia, non si sono ancora riflesse in un’inversione di tendenza dello stock di prestiti erogati alle imprese, in calo nel terzo trimestre. Un’offerta meno stretta e una domanda in recupero, però, giustificano la previsione di fine caduta del credito entro l’anno e di una graduale e lenta risalita nel corso del 2016.
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Negli ultimi due anni il nostro paese migliora la sua posizione nelle graduatorie dei principali indicatori globali di competitività: Global Competitiveness Index (GCI) del World Economic Forum (WEF), World Competitiveness Scoreboard (WCS) dell’IMD, l’Index of Economic Freedom (IEF) elaborato dalla Heritage Foundation in collaborazione con Wall Street Journal e infine l’indice del Doing Business (DB) della World Bank. Tutti gli sforzi fatti in questi ultimi anni per migliorare l’efficienza economica del paese attraverso soprattutto le riforme istituzionali attuate hanno contribuito ad accorciare le distanze con i grandi paesi industrializzati, sebbene gli indicatori di competitività evidenziano ancora importanti gap da colmare.

Modified on by Cristina Pensa 5025D0C5-8DC9-059F-C125-67E000280EF7 [email protected]
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