L’economia mondiale è entrata nel 2016 con meno slancio dell’atteso e mostra ulteriori segni di indebolimento. Non nelle parti di fragilità già note (emergenti), ma in quelle con le dinamiche considerate più robuste o in miglioramento (gli avanzati), dai quali arrivano le sorprese negative. Il contagio congiunturale appare estendersi, ancor prima che si materializzino gli effetti della tempesta finanziaria.
Quest’ultima si sta attenuando: alla prolungata e violenta caduta dei prezzi azionari (anche per lo smobilizzo dei fondi sovrani) e delle materie prime è subentrata una fase di alta volatilità senza un preciso trend. La tempesta ha causato una forte restrizione delle condizioni finanziarie (pari a un aumento dei tassi a breve di 1,7 punti percentuali in Italia e di 0,8 in USA) e ha iniziato a intaccare la fiducia.
Cosa seguirà a questa pausa? L’affievolimento della crescita prelude a un ulteriore peggioramento o è momentaneo? L’incertezza rimane molto elevata. Le politiche economiche e la politica tout court non aiutano a dissolverla: i bilanci pubblici restano rivolti a tirare le redini (servirebbe invece un piano coordinato di rilancio degli investimenti); alcune decisioni delle principali banche centrali hanno creato sconcerto (pure per il risicato spazio di manovra rimasto); il referendum su Brexit, la questione migranti e l’instabilità in molti paesi (anche core) annebbiano lo scenario in Europa; la campagna delle presidenziali fa lo stesso negli Stati Uniti.
Negli USA i fondamentali sono nel complesso solidi, sebbene preoccupi la contrazione del manifatturiero. Nell’Eurozona i consumi sostengono la domanda interna, con cambio, tassi e costi energetici ancora favorevoli. L’Italia risente del quadro globale e i dati hanno nuovamente deluso le aspettative positive basate sul netto progresso di indicatori qualitativi e non; banalmente per ragioni aritmetiche, le previsioni sull’anno in corso sono riviste all’ingiù da vari istituti italiani e internazionali.
Il CSC
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In febbraio l’indice IFO, che misura la fiducia delle imprese industriali e dei servizi tedesche, è calato per il terzo mese consecutivo ed è al livello più basso da dicembre 2014 (a 105,7 da 107,3 in gennaio). Il dato, peggiore delle attese degli operatori, è peraltro in linea con la caduta dell’indice ZEW sulla fiducia di investitori e analisti finanziari tedeschi, sceso nello stesso mese di oltre 9 punti (a 1,0 da 10,2).
Il risultato è alquanto preoccupante, anche perché dovuto esclusivamente al forte peggioramento delle prospettive di crescita in tutti i settori (a 98,8 da 102,3), mentre sono migliorati, seppur di poco, i giudizi sulla situazione corrente (a 112,9 da 112,5). Nel manifatturiero, in particolare, si è registrato il maggiore crollo da novembre 2008 delle aspettative di produzione (a -9,0 da +1,2 il saldo delle risposte).
È migliorato leggermente il clima nelle costruzioni (a 0,3 da -0,5), nelle quali l’aumento della percentuale di giudizi positivi sulla situazione corrente, ai massimi storici, ha più che compensato il nuovo calo delle aspettative (il quarto consecutivo).
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La fiducia delle imprese torna a migliorare in febbraio: l’indice composito di sentimento economico è aumentato di 1,7 punti su gennaio, a 103,1 (dopo due cali mensili consecutivi), sospinto dai forti rialzi nelle costruzioni (+4,7 punti) e nel commercio al dettaglio (+4,5); invariata la fiducia nei servizi di mercato.
Nel manifatturiero, invece, l'indice è diminuito di 1,0 punti (quarto calo di fila); tale correzione è da attribuirsi prevalentemente al peggioramento sia dei giudizi sugli ordini esteri sia delle attese (specie quelle sull’economia, il cui saldo è sceso di 6 punti). Sono migliorate, invece, le valutazioni relative alla produzione corrente. Tra i settori il più forte arretramento della fiducia si è avuto nei beni di consumo.
Tra i consumatori l’indice di fiducia aveva raggiunto in gennaio il valore più elevato dall’inizio della rilevazione (1995). In febbraio è stato registrato un netto peggioramento (-4,1 punti, a 114,5, intorno ai livelli dello scorso settembre), dovuto soprattutto alle componenti relative al clima economico (-10,6 punti) e al clima futuro (-6,6). Le valutazioni strettamente connesse alle decisioni di spesa delle famiglie, tuttavia, non sono state intaccate: sono infatti migliorati ancora i giudizi sulla situazione economica della famiglia e sui bilanci familiari. Di contro, sono peggiorate le valutazioni sulle possibilità attuali e future di risparmio, serie affette però da forti oscillazioni mensili.
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Il bail-in aumenta i costi potenziali per i contribuenti rispetto ai tradizionali salvataggi bancari. Il limite all'acquisto di titoli pubblici da parte delle banche farebbe salire il costo del credito e aumenterebbe i divari nella UE. La soluzione della questione delle sofferenze bancarie in Italia è ostacolata dalle norme comunitarie.
Alcune regole per le banche adottate di recente in Europa e altre che sono in discussione, tutte in teoria mirate a rafforzare il sistema bancario e ridurre i rischi per l’economia, sono in realtà controproducenti. Non solo per le economie dei paesi periferici, dove oggi si registrano le maggiori difficoltà, ma anche per quelle dei paesi core, che più hanno ispirato quelle regole.
La proposta di porre un limite all’acquisto di titoli di Stato domestici da parte delle banche non spezza il legame tra debito bancario e debito sovrano. I sistemi bancari restano “nazionali” perché in ogni paese il rendimento dei titoli di stato guida i tassi di medio-lungo termine, in particolare il costo della raccolta bancaria. Inoltre, quel limite non farà fluire più credito all’economia, anzi lo ridurrà.
Le nuove regole per i salvataggi bancari (bail-in), che impongono perdite ad azionisti, obbligazionisti e correntisti sopra i 100mila euro degli istituti in crisi, sono volte a tutelare il contribuente; in realtà, a fronte di difficoltà sistemiche, quadruplicano i costi per i contribuenti.
La grande mole di crediti deteriorati nei bilanci bancari è stata causata dalla lunga e profonda recessione, non da una erogazione di prestiti poco accorta. Un insieme di interventi per liberare subito i bilanci bancari, tra cui la creazione di più società veicolo in cui trasferire le sofferenze, la diluizione delle eventuali perdite in più esercizi e l’accelerazione dei tempi di escussione delle garanzie, è indispensabile per rilanciare il credito e l'economia, ma alcune misure sono ostacolate dalle nuove norme europee. Le garanzie statali a prezzi di mercato non risolvono il problema.
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Dopo un fine anno piuttosto fiacco, ha ripreso a crescere in gennaio la spesa delle famiglie americane. Le vendite al dettaglio, al netto di auto, benzina e materiali da costruzione, l’aggregato che più corrisponde alla componente “consumi delle famiglie” del PIL, sono aumentate dello 0,6% rispetto a dicembre; un rimbalzo, dopo il -0,3% del mese precedente, ben superiore alle attese. Nel complesso, le vendite al dettaglio sono aumentate dello 0,2%, frenate dal calo dei prezzi alle stazioni di benzina (-3,1%).
La spesa delle famiglie, che compone quasi il 70% del PIL USA, aveva sensibilmente rallentato nel corso del 2015, passando da ritmi di crescita medi (annualizzati) del 3,6% nel secondo trimestre al +2,2% nel quarto. Ciò, insieme alla contrazione delle esportazioni, alla correzione dell’eccesso di scorte e ai minori investimenti nel settore energetico, ha contribuito a limitare a +0,7% la crescita del PIL nell’ultimo trimestre del 2015.
Oltre che dai bassi prezzi della benzina e dall’aumento dell’occupazione, i consumi cominciano ora a essere sostenuti anche dai consistenti aumenti retributivi (+0,5% l’aumento dei salari orari a gennaio). L’incertezza legata alle turbolenze finanziarie e al calo delle borse potrebbe però rendere più cauto il consumatore americano e aumentarne la parsimonia.
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In gennaio le esportazioni italiane verso i paesi extra-Ue sono diminuite, in valore, del 6,2% su dicembre (dopo +0,7%). In riduzione tutti i comparti; in particolare risultano in forte contrazione sia le vendite di beni strumentali (-7,8%) sia quelle di prodotti energetici (-28,5%), anche per il crollo del prezzo dell’energia.
Anche le importazioni italiane dai paesi extra-Ue hanno registrato una riduzione a gennaio (-3,6%), determinata quasi completamente dalla caduta degli acquisti di energia; al netto della componente energetica, infatti, la variazione dell’import extra-Ue è pari a -0,5%.
Il risultato negativo dell’export extra-Ue è spiegato sia dal calo delle importazioni di merci italiane da parte dei paesi emergenti sia dalla riduzione di quelle degli Stati Uniti, che erano stati, invece, il mercato di destinazione più dinamico nel 2015. Le prospettive per il primo trimestre dell’anno rimangono deboli: a febbraio sono scesi ulteriormente i giudizi sugli ordini esteri delle imprese manifatturiere, sui livelli minimi da inizio 2015 (-17, da -16 in gennaio).
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Lo stock di prestiti alle imprese italiane si è di nuovo ridotto a dicembre (-0,3%), dopo il dato positivo di novembre (+0,1%, dati destagionalizzati dal CSC). A fine 2015 il credito è diminuito dell’1,8%, pari a -13 miliardi di euro, rispetto a dicembre 2014. Una flessione minore di quella registrata nel 2014 (-3,2%, -27 miliardi) e nel 2013 (-5,9%, -50 miliardi), a riflesso di un’offerta di credito che è divenuta meno stretta e di una domanda in risalita.
Le sofferenze bancarie sono rimaste ferme a 143 miliardi a dicembre (18,5% dei prestiti alle imprese), stesso valore registrato a settembre (18,3%). La montagna di crediti deteriorati, che frena l’erogazione di nuovo credito, dunque, ha smesso di crescere. Ciò grazie al recupero dell’attività economica e anche ai primi effetti delle misure introdotte a giugno (deducibilità fiscale in un anno delle perdite su crediti, velocizzazione delle procedure fallimentari). Ci vorrà molto tempo per abbassarla, anche con il contributo del nuovo strumento che sta per essere varato, che mira a sviluppare un mercato dei crediti deteriorati (garanzia pubblica a prezzi di mercato sulle cartolarizzazioni di prestiti in sofferenza).
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In febbraio l’indice di attività PMI composito per l’Eurozona, elaborato da Markit, è sceso a 52,7 (da 53,6 in gennaio), il livello più basso da oltre un anno. Il ritmo di espansione si è ridotto sia nei servizi (indice a 53,0 da 53,6) sia, specialmente, nel manifatturiero, al di sotto della più pessimistica previsione (a 51,0 da 52,3). Inoltre, l’andamento degli ordini, al ritmo più basso da febbraio 2015 (51,6 da 53,0), lascia poco spazio ad aumenti significativi della produzione nei prossimi mesi.
L’ulteriore calo del sottoindice che rileva i prezzi di vendita per i beni e i servizi forniti dalle imprese (a 48,6 da 48,9) conferma la debolezza della domanda. Ciò alimenta le aspettative deflazionistiche e rafforza la convinzione di un ulteriore prossimo allentamento della politica monetaria della BCE.
Frena la crescita in Germania (PMI composito a 53,8 da 54,5), dove prosegue a buoni ritmi l’espansione nei servizi (55,1 da 55,0) ma rallenta significativamente l’attività nel manifatturiero, con il relativo indice vicino alla soglia neutrale di 50 (50,2 da 52,3). Si contrae, seppur di poco, l’attività in Francia (composito a 49,8 da 50,2), per il calo dei servizi (49,8 da 50,3) e nonostante la leggera accelerazione del manifatturiero (50,3 da 50,0).
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In dicembre le esportazioni italiane sono diminuite dell’1,8% a prezzi costanti rispetto a novembre, a causa del brusco calo delle vendite nei paesi Ue (-4,1%), mentre sono cresciute quelle extra-Ue (+1,3%).
Nel quarto trimestre del 2015 l’export è aumentato dell’1,7% sul terzo (+1,6% intra-Ue e +2,1% extra-Ue). In espansione tutti i comparti: beni di consumo, intermedi, strumentali ed energetici. In media d’anno la crescita si attesta al 3,6%, meno di quanto previsto dal CSC in dicembre (+3,9%). Anche le importazioni sono calate in dicembre (-2,1%), registrando comunque +1,2% nel quarto trimestre e +8,0% nel 2015.
I dati negativi del commercio estero italiano in dicembre sono coerenti con quelli registrati nei principali partner europei (Germania e Francia). A inizio 2016 rimangono positive, ma in peggioramento, le prospettive per l’export italiano, secondo gli indicatori qualitativi sugli ordini esteri nel manifatturiero (PMI e giudizi delle imprese), che a gennaio sono scesi sui valori minimi da circa un anno.
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A febbraio l’indice ZEW, che rileva la fiducia di investitori e analisti finanziari tedeschi, è sceso per il secondo mese consecutivo, attestandosi a quota 1,0 (da 10,2 in gennaio), peraltro in linea con le attese di un valore pari a zero. Oltre al peggioramento delle prospettive, sono diventati più negativi i giudizi degli operatori sulla situazione economica corrente (con il relativo indice in calo di 7,4 punti) e sull’economia dell’Eurozona (in calo di 9,1 punti).
I risultati del sondaggio sono stati fortemente influenzati dai timori per il rallentamento dell’economia globale e dall’incertezza circa le ripercussioni sui mercati finanziari del continuo calo del prezzo del petrolio. Questi fattori, insieme alle ripetute cadute delle quotazioni di borsa, frenano significativamente la crescita dell’economia tedesca e dell’Eurozona.
Aumentano, inoltre, i dubbi degli investitori sull’effettiva capacità della BCE di trovare gli strumenti adeguati a rilanciare la crescita nell’Eurozona.
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La variazione annua dei prezzi al consumo in Italia è salita a gennaio al +0,3% (da +0,1% a dicembre). Resta, però, troppo bassa e lontana dall’obiettivo BCE (poco sotto il +2,0% annuo).
I prezzi energetici si riducono a un ritmo minore (-3,5% annuo, da -5,5%), poiché ancora non riflettono l’ulteriore ribasso del petrolio a gennaio. Quelli alimentari, viceversa, hanno frenato bruscamente (+0,5%, da +1,1%).
I prezzi core, calcolati al netto di tali due componenti, hanno accelerato la loro crescita (+0,7%, da +0,4%). Un andamento determinato sia dai prezzi dei servizi (+0,7%, da +0,3%), sia da quelli dei beni industriali (+0,8%, da +0,7%), sulla scia del graduale recupero dell’attività economica.
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Nel quarto trimestre 2015 il PIL dell’Area euro è aumentato dello 0,3% in termini congiunturali, lo stesso ritmo di crescita moderato del trimestre precedente. Il risultato conferma le attuali difficoltà dell’economia dell’area, rilevate anche dall’andamento in dicembre della produzione industriale (-1,0% su novembre) e delle vendite al dettaglio (+0,3%). Gli effetti positivi per la crescita del cambio favorevole e dei bassi prezzi delle commodity sono, infatti, in larga parte annullati da quelli negativi esercitati dal rallentamento delle economie emergenti, dalle turbolenze sui mercati finanziari, dall’incertezza politica e dalla crisi dei rifugiati.
La crescita è proseguita lenta ma a ritmi costanti in Germania (+0,3%), dove la spesa pubblica in forte aumento, dovuta alle necessità legate all’accoglienza dei rifugiati, ha più che compensato il contributo negativo del settore estero e la debolezza dei consumi privati. Sono risultati in marcata espansione anche gli investimenti in costruzioni, sospinti da condizioni climatiche estremamente favorevoli.
Ha, invece, rallentato l’economia francese (+0,2%, dopo +0,3%), frenata dal sensibile calo dei consumi (-0,4%), causato dagli attacchi terroristici di novembre, e dall’aumento delle importazioni (+1,7%), ben superiore a quello delle esportazioni (+0,6%).
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Le immatricolazioni di auto in Italia sono aumentate in gennaio del 7,0% congiunturale (dopo -2,2% in dicembre). Rispetto a gennaio 2015 si è avuto un progresso del 17,4%. La variazione congiunturale acquisita nel primo trimestre 2016 è di +7,0% (nel quarto trimestre 2015 si era registrato un +4,9% sul terzo).
Dal minimo di gennaio 2013 gli acquisti di autovetture sono aumentati del 42,5%. Tale recupero ha ridotto al -30,4% la distanza da dicembre 2007, massimo pre-crisi.
Secondo le intenzioni di acquisto di autovetture, un indicatore trimestrale che anticipa la dinamica delle immatricolazioni, la tendenza positiva proseguirà almeno fino alla prima metà dell’anno: il saldo dei giudizi si è attestato a -163 in gennaio (come in ottobre), in miglioramento da -168 del terzo trimestre.
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Il PMI manifatturiero italiano (Markit) segnala in gennaio un rallentamento della crescita rispetto agli elevati ritmi di dicembre: l’indice generale è sceso a 53,2 (da 55,6), toccando il valore più basso da quattro mesi, ma intorno alla media del 2015.
Secondo i direttori degli acquisti l’attività manifatturiera ha continuato a crescere in gennaio, seppure a un ritmo meno vivace. L’indice della componente produzione è calato di 3,5 punti (a 54,5), ma tra i settori è risultata molto robusta la crescita di beni intermedi. Il rallentamento ha riguardato anche gli ordini (-3,6 punti, a 54,4), per una dinamica più lenta di entrambe le componenti della domanda, in particolare quella interna. Valutazioni più positive, invece, sull’andamento dell’occupazione, che è segnalata in aumento per il tredicesimo mese consecutivo.
Il PMI manifatturiero italiano è uno dei più elevati tra quelli delle principali economie europee: Spagna (55,4), Paesi Bassi (52,5), Germania (52,3) e Francia (50,0).
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In gennaio il PMI composito per l’Italia (che sintetizza la dinamica complessiva nel manifatturiero e nel terziario) segnala espansione dell’attività a un ritmo meno robusto rispetto a dicembre (-2,3 punti, a 53,8). Il valore dell’indice (il più basso da settembre) è comunque poco inferiore a quello, elevato, registrato in media nel quarto trimestre 2015 (54,8, massimo da otto anni). In Germania il PMI composito ha registrato il minimo da tre mesi (54,5); in Francia il massimo da novembre, segnalando una sostanziale stagnazione (50,2).
Il dettaglio settoriale per l’Italia indica il proseguimento di un rallentamento della crescita della produzione sia nel manifatturiero (indice a 54,5, -3,5 punti), sia nei servizi (a 53,6, -1,7). Nel terziario, in particolare, attività e nuovi ordini sono rimasti in area di crescita per l’undicesimo mese di fila e sono giudicate in più lenta espansione, mentre sono più positive le attese a un anno. Sostanzialmente stabile l’indicatore dell’occupazione, sopra la soglia neutrale di 50 per il quarto mese consecutivo.
Nell’Euroarea procede con minore slancio l’espansione nel terziario (53,6 da 54,2), a causa del passo più lento di produzione, ordini e occupazione. Tale livello è compatibile con un aumento del PIL dello 0,4% trimestrale. Tra i principali paesi l’attività nei servizi frena in Germania (54,5 da 55,5) e rimane quasi ferma in Francia (50,2). Sono aumentate le pressioni deflazionistiche, con i prezzi di vendita in calo al ritmo più veloce da marzo scorso. Ciò spingerà la BCE a intraprendere ulteriori misure per invertire questa tendenza e riportare il tasso d’inflazione intorno all’obiettivo del 2,0%.
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Il PIL nipponico si è contratto nel 4° trimestre 2015 al tasso annualizzato dell’1,4% (stima preliminare), a causa soprattutto del calo dei consumi (-3,3%). È proseguita l’alternanza tra variazioni positive (1° e 3° trimestre 2015) e negative (2° e 4°) dell’economia che ha caratterizzato il 2015: la variazione sull’intero anno è stata pari al +0,4%.
Nonostante la performance negativa del PIL, l’indice Nikkei della Borsa di Tokio è rimbalzato del 7,2% (-11,1% la settimana scorsa), sull’onda della chiusura positiva di Wall Street venerdì scorso, della riapertura solo moderatamente negativa del mercato azionario cinese (dopo la settimana di stop per il Capodanno lunare), della rivalutazione dello yuan decisa dalla Banca Popolare Cinese e del deprezzamento per il secondo giorno consecutivo dello yen (che aveva toccato giovedì scorso il massimo da 15 mesi sul dollaro).
La performance negativa del PIL e la dinamica asfittica dell’inflazione (core a +0,1% annuo a dicembre) potrebbero convincere le autorità a stimoli di bilancio e monetari. La Bank of Japan, che a fine gennaio ha annunciato l’introduzione di tassi negativi sui depositi delle banche contribuendo peraltro ad alimentare la volatilità sui mercati, ha segnalato la disponibilità ad allargare il programma di acquisto di titoli e a ridurre ulteriormente i tassi.
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Negli USA gli occupati non agricoli sono aumentati di 151mila unità a gennaio, a un ritmo ben al di sotto dei 262mila nuovi posti di lavoro creati in dicembre e dei 249mila in media al mese nel quarto trimestre 2015.
Il dato, dopo la crescita del PIL piuttosto deludente nel quarto trimestre (+0,7% congiunturale annualizzato) e il brusco calo della borsa da inizio anno (-6.3%), tende a indebolire la fiducia e, conseguentemente, a deteriorare le prospettive di crescita dell’economia americana, sulla quale pesano già gli effetti del dollaro forte e del rallentamento dei paesi emergenti. Ne fanno le spese consumi e investimenti: a dicembre sono calate le vendite al dettaglio (-0,1% su novembre) e sono scesi per il secondo mese consecutivo gli ordini all’industria (-2,9%, il calo più forte da dicembre 2014), con un crollo del 4,3% di quelli di beni capitali al netto della difesa e degli aeromobili (-3,8% in media nel 2015), un indicatore del futuro andamento degli investimenti in macchinari e attrezzature.
Ciò riduce la probabilità di un nuovo, seppur leggero, aumento dei tassi di interesse a marzo. La validità della graduale normalizzazione della politica monetaria intrapresa lo scorso dicembre dalla FED è comunque confermata dal calo di un decimo di punto del tasso di disoccupazione (a 4,9% in gennaio) e dal consistente aumento dei salari orari (+0,5% su dicembre), entrambi segnali di un mercato del lavoro ormai prossimo alla saturazione.
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Il PIL italiano è aumentato dello 0,1% congiunturale nel quarto trimestre 2015 e dell’1,0% sullo stesso periodo del 2014 (stime preliminari ISTAT). La crescita è molto inferiore alle attese e non in linea con l’andamento degli indicatori qualitativi nei mesi autunnali. Nel corso del 2015 il recupero del PIL italiano è andato gradualmente rallentando, passando dal +0,4% congiunturale nel primo, al +0,3% nel secondo e al +0,2% nel terzo.
Nel quarto trimestre è stato negativo il contributo della domanda interna (al lordo delle scorte), con la spesa delle famiglie che però - secondo i dati disponibili - ha continuato a crescere; quella estera netta (esportazioni meno importazioni) ha inciso positivamente. In termini di valore aggiunto, il calo nell’industria (dovuto soprattutto alla diminuzione nell’industria in senso stretto, cioè escluse le costruzioni) è stato più che compensato dal progresso nei servizi e nell’agricoltura.
Nel 2015 il PIL è aumentato, stando alla stima flash ISTAT, dello 0,7% sul 2014 (da -0,4% sul 2013). Si tratta del primo incremento dopo tre cali consecutivi e non è significativamente diverso dalle stime prevalenti (+0,8% anche secondo il CSC). Il dato del quarto trimestre peggiore delle attese, invece, incide molto sulla previsione per il 2016, perché riduce il trascinamento dal 2015 al 2016 allo 0,2% (dallo 0,4% atteso; -0,1% nel 2015) e questo aritmeticamente abbassa di altrettanto la previsione per l'anno in corso.
Gli indicatori disponibili non segnalano una netta accelerazione nel trimestre in corso e il quadro generale appare fragile e soggetto a rischi di peggioramento. La tempesta finanziaria, che si è manifestata con crolli ripetuti delle borse e fuga dalle attività rischiose, se prolungata, potrà rendere più prudenti le decisioni di spesa di famiglie e imprese, causando minori consumi e investimenti, oltre a costituire una netta restrizione delle condizioni finanziarie.
Nell’Area euro il PIL è aumentato dello 0,3% nel quarto trimestre (come nel terzo), in linea con le attese, e dell’1,5% nel 2015. La spesa pubblica ha spinto la crescita in Germania (+0,3% come nel terzo trimestre, +1,7% nel 2015); in Spagna il PIL è avanzato a un ritmo analogo rispetto al trimestre precedente (+0,8%, +3,2% nel 2015), mentre ha frenato in Francia (+0,2% dopo +0,3% nel terzo, +1,1% nel 2015).
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Il CSC rileva un incremento della produzione industriale dello 0,9% in gennaio su dicembre, quando c’è stato un calo dello 0,7% su novembre, comunicato oggi dall’ISTAT.
Il dato negativo di dicembre è stato inferiore alle stime CSC (+0,2%) e a quelle di consenso (+0,3%) e si è mosso in direzione opposta rispetto a quanto segnalavano gli indicatori qualitativi, tutti aumentati (fiducia ISTAT, PMI Markit). Il calo potrebbe essere riconducibile a un problema statistico legato al calendario: il 7 dicembre, lunedì, era possibile un ponte e i dati sui consumi elettrici dicono che l’attività produttiva ne è stata negativamente influenzata. Un giorno di lavoro in meno nel mese comporta circa 3 punti percentuali sulla variazione rispetto a un anno prima; ma i programmi statistici di destagionalizzazione correggono solo per il numero di giornate lavorative del calendario ufficiale e non per i giorni effettivamente lavorati. Problema analogo si è registrato in altri paesi europei: in Germania -1,2% (contro +0,2% atteso), in Francia -1,6% (+0,2% atteso), in Spagna -0,2% (+0,5% atteso).
Nel quarto trimestre 2015 si è avuto un arretramento dello 0,1% sul terzo (dopo +0,2% nel terzo sul secondo).
Nel 2015 l’attività è aumentata dell’1,7% (+1,0% a parità di giornate lavorative).
La variazione acquisita nel primo trimestre è di +0,3%. Pur in un contesto di minore ottimismo tra le imprese, gli indicatori qualitativi anticipatori per il manifatturiero puntano a una dinamica positiva della produzione. Secondo i direttori degli acquisti (indagine PMI Markit) gli ordini manifatturieri in gennaio sono cresciuti a un ritmo robusto (indice a 54,4 da 58,0, massimo da quasi cinque anni) grazie al rafforzamento della domanda interna (quella estera ha continuato ad aumentare a un ritmo meno vivace). Anche le attese di produzione di fonte ISTAT segnalano un andamento positivo. L’ampliamento del gap tra indicatori qualitativi e dati di produzione effettiva suggerisce, tuttavia, che la dinamica dell’attività rilevata dall’ISTAT potrebbe essere meno vivace di quanto atteso.
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La produzione nelle costruzioni in Italia è diminuita dello 0,6% in dicembre su novembre, quando era aumentata del 3,0% su ottobre. Seppur con forti oscillazioni mensili, nel quarto trimestre 2015 si è registrato un +1,2% sul terzo, primo incremento dopo otto trimestri. La variazione congiunturale ereditata dal primo trimestre 2016 è di +0,6%.
La dinamica del quarto trimestre è coerente con le valutazioni degli imprenditori del settore (l’indice di fiducia ISTAT si è attestato sui livelli più elevati dall’inizio della crisi). A gennaio 2016 la fiducia è rimasta quasi invariata (indice a 114,6 da 114,8), con giudizi su ordini e piani di costruzione in marginale peggioramento (saldo dei giudizi in calo di due punti su dicembre, a -39), a fronte di un miglioramento delle attese (saldo a -9 da -11).
Ciò segnala che il recupero, seppure moderato, dovrebbe proseguire anche nel corso dei mesi invernali.
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