Il ritmo di crescita dell’economia americana ha rallentato bruscamente nel quarto trimestre 2015 (a +0,7% dopo +2,0% nel terzo; dati congiunturali annualizzati). La frenata di pressoché tutte le componenti della domanda aggregata è dovuta, in parte, a fattori temporanei, quali il clima mite e la correzione di un eccessivo accumulo di scorte. Con il risultato del quarto trimestre, il PIL USA ha fatto registrare un aumento medio pari a +2,4% nel 2015.
Hanno frenato i consumi, passati da un +3,0% nel terzo trimestre a +2,2% nel quarto, a causa, principalmente, di temperature eccezionalmente temperate che hanno penalizzato la vendita di prodotti invernali e ridotto la spesa per energia. Si sono contratti gli investimenti non residenziali, sia in strutture sia in macchinari, per i tagli effettuati nel settore energetico ed estrattivo in conseguenza del crollo dei prezzi del petrolio; mentre sono aumentati quelli in costruzioni residenziali (+8,1%), in forte espansione ormai da sette trimestri consecutivi. Significativamente negativi sono stati i contributi alla crescita sia della variazione delle scorte (-0,45%) sia del settore estero (-0,47%), con una riduzione delle esportazioni (-2,5%) a causa del dollaro forte e dal rallentamento delle economie emergenti.
In prospettiva, comunque, l’ulteriore calo a inizio anno dei prezzi della benzina, ora attorno ai due dollari al gallone, l’occupazione in costante aumento e la risalita dei prezzi delle case, che spinge in alto la ricchezza delle famiglie, continueranno a sostenere la domanda.
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In Francia la crescita del PIL ha solo leggermente rallentato nel quarto trimestre 2015 (+0,2% sul terzo, quando era stata pari a +0,3%). È stata sostenuta dal forte balzo degli investimenti (+0,8%, dopo il deludente +0,1% nel terzo), che ha compensato il significativo calo dei consumi (-0,4%, dopo +0,4%). In particolare, sono tornati a crescere, per la prima volta dopo otto trimestri consecutivi di contrazione, gli investimenti in costruzioni (+0,5%), un chiaro segnale di ripresa dell’immobiliare.
Le imprese hanno anche provveduto a ripristinare un adeguato livello di scorte, la cui variazione ha di nuovo fornito un significativo contributo alla crescita del PIL (+0,5%, dopo il +0,6% nel terzo trimestre). Ancora negativo è risultato, invece, l’apporto del settore estero (-0,3% il contributo, dopo -0,7%), a causa di un aumento delle importazioni (+1,6%) ben più elevato di quello delle esportazioni (+0,6%), sulle quali hanno pesato il rallentamento delle economie emergenti e l’euro forte.
La caduta dei consumi è dovuta principalmente a fattori temporanei, quali il crollo delle spese per l’energia, conseguenza di temperature eccezionalmente miti, e gli attacchi terroristici del 13 novembre a Parigi. Secondo l’Istituto di Statistica (Insee), infatti, la spesa per beni delle famiglie francesi, crollata a novembre (-1,4% sul mese precedente), è già ripartita in dicembre (+0,7%).
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Il 2016 dell’economia globale è iniziato all’insegna delle turbolenze, con crolli delle Borse e dei prezzi delle materie prime e rivalutazione del cambio effettivo dell’euro. Le condizioni finanziarie sono così diventate più restrittive e la fiducia complessiva di famiglie e imprese già ne risente. Non è l’ambiente ideale per far prendere quota all’incremento del PIL italiano. Tanto più che il credit crunch è stato sì un po’ allentato, ma rimane zavorrata l’erogazione di prestiti alle imprese a causa della grande mole di sofferenze, la stretta regolamentare sui requisiti di capitale delle banche e l’entrata in vigore del bail-in.
L’ulteriore forte caduta del prezzo del petrolio aggiunge spinta al reddito disponibile nei paesi consumatori (per il Belpaese vale uno 0,2% di PIL in più quest’anno), però nell’immediato è insieme specchio e fonte di instabilità internazionale. Lo scenario è diventato più sfidante, con maggiori rischi al ribasso. Tuttavia, il quadro resta favorevole. Gli USA vivono una ripresa robusta, l’Eurozona continua ad avanzare a passo moderato, la Cina rallenta secondo le attese e la buona notizia è che la ricomposizione dalla manifattura al terziario si sta realizzando, sebbene con inevitabili scossoni. A peggiorare, piuttosto, sono Brasile e Russia; l’India registra qualche debolezza.
In tale contesto, il ritmo di recupero italiano è rimasto fiacco, ma c’è stato un buon rilancio dell’export, che sarà sostenuto dai mercati dell’Eurozona. La domanda interna sale tirata soprattutto dai consumi; gli ordini domestici registrano forti incrementi. L’occupazione marcia in presa diretta con l’economia e in linea con le previsioni CSC. La legge di stabilità, per dimensione e composizione, darà l’atteso sostegno (0,4 punti di PIL nel 2016-17, stima anche la Banca d’Italia).
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La fiducia delle imprese arretra ulteriormente in gennaio, pur restando su livelli elevati: l’indice composito di sentimento economico è sceso di 4,1 punti su dicembre, a 101,5 (terzo calo mensile consecutivo, minimo da marzo 2015). È stata forte la flessione della fiducia nei servizi di mercato (-7,3 punti in un mese) e nel commercio al dettaglio (-1,3); debole, invece, nelle costruzioni (-0,2 punti, dopo una forte caduta in dicembre).
Nel manifatturiero la fiducia è diminuita di 0,8 punti; tale correzione è da attribuirsi prevalentemente al peggioramento dei giudizi sugli ordini esteri e sui livelli di produzione (in entrambi i casi il saldo è sceso di 5 punti). Il livello in gennaio, comunque, resta tra i più alti da inizio 2011. Tra i settori la fiducia è migliorata solo nella produzione di beni di consumo.
È stato rilevato un maggiore ottimismo tra i consumatori: la fiducia è rimbalzata in gennaio (+1,2 punti dopo -0,7 in dicembre) toccando il record dall’inizio della rilevazione (1995). Il miglioramento dell’indice è dovuto soprattutto alle componenti relative al clima corrente (+4,4 punti) e al clima personale (+3,1). Le valutazioni strettamente connesse alle decisioni di spesa sono nettamente più favorevoli: migliorano ancora i giudizi sulla situazione economica della famiglia, sui bilanci familiari e sull’opportunità di acquisto di beni durevoli. Tale maggiore ottimismo si potrà tradurre in un atteggiamento meno prudente nelle decisioni di spesa, che è sostenuta anche dall’accresciuto potere d’acquisto dovuto alla caduta dei prezzi dei beni energetici.
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In dicembre le esportazioni italiane verso i paesi extra-Ue sono aumentate, in valore, dello 0,9% congiunturale. Nel quarto trimestre 2015 hanno registrato una crescita del 2,0% sul terzo, a prezzi costanti (stima CSC); in espansione le vendite di tutte le tipologie di beni (di consumo, strumentali, intermedi ed energetici).
Le importazioni italiane dai paesi extra-Ue, invece, sono diminuite, in valore, del 2,9% congiunturale in dicembre. Nella media del quarto trimestre sono comunque aumentate dello 0,9% a prezzi costanti (+3,5% al netto dell’energia).
Gli Stati Uniti si confermano il mercato di destinazione delle merci italiane più dinamico. Sono in espansione anche le vendite verso il Giappone e i paesi EDA (Tailandia, Malesia, Taiwan, Hong Kong, Singapore e Corea del Sud), mentre sono tornate a calare quelle verso la Cina. Resta molto debole la domanda di beni italiani nei principali paesi produttori di commodity (Russia e Brasile).
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Procede, più lentamente ma ancora a buoni ritmi, l’espansione dell’Eurozona a inizio anno. A gennaio l’indice PMI composito (Markit), che rileva il livello di attività nel manifatturiero e nei servizi, è sceso a 53,5 (da 54,3 in dicembre), minimo da 11 mesi. Secondo Markit, gli attuali livelli dei PMI sono in linea con una crescita del PIL pari a +0,3%/+0,4% congiunturale nel primo trimestre.
Il rallentamento è diffuso sia al manifatturiero (52,3) sia ai servizi (53,6), dove la frenata è stata maggiore ma si è rafforzato l’ottimismo delle imprese sul futuro: la componente dell’indice relativa alle aspettative è balzata, infatti, a 65,2 in gennaio (da 63,3 in dicembre), massimo da quasi cinque anni.
L’indice composito è sceso di 1,1 punti in Germania (a 54,5); si è invece consolidato sopra la soglia di stagnazione in Francia (a 50,5, +0,4 punti), grazie alla risalita dei servizi (a 50,6 da 49,8), dopo il precedente calo dovuto anche agli attacchi terroristici del 13 novembre a Parigi.
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Il PIL cinese è cresciuto del 6,9% nel 2015, registrando il peggior risultato dal 1990, seppur sostanzialmente in linea con l’obiettivo governativo (7,0%). I dati per l’intero anno confermano che prosegue il ribilanciamento dell’economia cinese. Dal lato dell’offerta i servizi sono cresciuti molto più rapidamente (+8,3%) dell’industria (+6,0%) e per la prima volta la produzione del terziario ha pesato per più della metà del totale (50,5%, 10 punti percentuali in più dell’industria). Dal lato della domanda i consumi finali (privati e pubblici) hanno pesato per il 66,4% del PIL (51% nel 2014).
Nonostante il calo dei prezzi del petrolio e gli sforzi di politica monetaria e di bilancio messi in atto dai policy maker, il rallentamento in atto continua: nel quarto trimestre 2015 l’economia è cresciuta del 6,8% annuo, al ritmo più debole dalla crisi del 2009. A dicembre la produzione industriale è cresciuta del 5,9% annuo (+6,2% in novembre).
I mercati azionari hanno reagito bene alla notizia e lo Shanghai Composite Index per la prima volta nel 2016 ha registrato due rialzi consecutivi. La contrazione del 16% della Borsa cinese dall’inizio del 2016 è stata alimentata dalla poca chiarezza nelle politiche delle autorità cinesi, che a gennaio hanno prima svalutato lo yuan, trasmettendo incertezza ai mercati globali sulla solidità dell’economia, e poi hanno investito una quantità ingente di riserve valutarie per evitare un eccessivo deprezzamento della valuta.
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A gennaio l’indice ZEW che rileva la fiducia nell’economia tedesca di analisti e investitori finanziari è sceso di 5,9 punti (a 10,2 da 16,1 in dicembre), nonostante il miglioramento dei loro giudizi sulla situazione economica corrente del paese (indice relativo da 55 a 59,7). È tornato, inoltre, a salire anche il loro pessimismo sul futuro dell’economia dell’Area dell’euro (da 33,9 a 22,7).
Hanno pesato sui loro giudizi le preoccupazioni per le ripercussioni sulle economie tedesca ed europea del significativo rallentamento delle economie emergenti e del crollo dei prezzi delle materie prime. Le conseguenti forti turbolenze finanziarie si sono infatti riflesse in un marcato calo delle borse (-11,3% il DAX 30 da inizio anno).
Tuttavia, come confermano i dati più recenti, l’economia tedesca sembra beneficiare appieno delle spinte favorevoli del petrolio a buon mercato e dell’euro debole. Nel quarto trimestre 2015 il PIL è aumentato a ritmi superiori alle più ottimistiche attese (+0,7% sul terzo), grazie, in particolare, ai consumi, ed è ulteriormente diminuito, in dicembre, il numero dei disoccupati, ai minimi dalla riunificazione.
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In novembre le esportazioni italiane sono aumentate del 3,5% a prezzi costanti rispetto a ottobre (quando era diminuite dello 0,1%), grazie al forte rimbalzo delle vendite nei paesi extra-Ue (+3,8%, dopo -1,7% nel mese precedente) e all’accelerazione di quelle nei paesi Ue (+3,3% dopo +1,2%). Tutti i comparti sono in crescita, a eccezione di quello energetico (-9,6%); al netto dell’energia, l’export è aumentato del 4,0%.
Nel bimestre ottobre-novembre le esportazioni hanno registrato un +2,0% rispetto al terzo trimestre (+2,8% intra-Ue e +1,0% extra-Ue). Nei primi undici mesi del 2015 l’espansione delle vendite è stata robusta nei paesi UE (+4,4% rispetto al 2014) e meno marcata nei paesi extra-Ue (+3,0%).
Anche le importazioni in novembre sono aumentate (+1,9% su ottobre), determinando un bimestre ottobre-novembre in crescita (+1,6% sul terzo trimestre).
Buone prospettive provengono dagli indicatori qualitativi sugli ordini esteri nel manifatturiero (PMI e giudizi delle imprese), che a dicembre si sono stabilizzati sui valori massimi dell’ultimo triennio.
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