È stata rivista al ribasso rispetto alla stima iniziale la crescita del PIL USA nel quarto trimestre 2014 (+2,2% annualizzato, dal precedente +2,6%), frenata dall’ampliarsi del deficit commerciale e dalla lentezza delle imprese nella ricostituzione degli stock di magazzino. Viene, però, confermata l’accelerazione dei consumi (+4,2%, il tasso di crescita più rapido dal primo trimestre 2006) e il buon ritmo di espansione degli investimenti (+4,5%), sia residenziali (+3,4%) sia non (+4,8%).
Restano solide a inizio 2015 le prospettive di crescita della domanda interna. I consumi saranno sostenuti dai risparmi sui prezzi della benzina e da un mercato del lavoro in costante miglioramento: a gennaio sono stati creati 257mila nuovi posti di lavoro e sono ripartiti i salari (+0,5% mensile, +2,2% annuo). Sono tornati a crescere, per la prima volta dopo quattro mesi, gli ordini di beni capitali (+0,6% su dicembre, +4,2% rispetto a gennaio 2014, esclusa la difesa).
La ripresa degli ordini all’industria manifatturiera (+2,8% mensile quelli di beni durevoli a gennaio) e la necessità di ricostituire gli stock di magazzino sosterranno la produzione industriale nei prossimi mesi.
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La variazione annua dei prezzi al consumo in Italia è risultata negativa anche a febbraio (-0,2%), sebbene l’intensità della caduta si sia attenuata (rispetto al -0,6% di gennaio).
I prezzi energetici continuano a ridursi in misura significativa (-8,5% annuo, da -9,1%). Gli alimentari, invece, fanno registrare un balzo (+1,0% annuo, da +0,1%), interamente dovuto ai prezzi dei prodotti freschi (+2,1% annuo, da -0,3%).
La variazione della componente core dei prezzi (al netto di energia e alimentari) è risalita al +0,5% annuo a febbraio (da +0,3%). Un rialzo interamente dovuto ai servizi (+0,8% annuo, da +0,5%), mentre i beni industriali continuano a registrare una dinamica dei prezzi quasi piatta (+0,1% annuo).
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Gli ultimi dati diffusi dall'ISTAT confermano che nella prima metà del 2015 le retribuzioni contrattuali procederanno a passo pressoché costante rispetto al 2014: a bocce ferme, +1,0% annuo nell'intera economia (da +1,2%). Al netto dell'inflazione i salari contrattuali saliranno dello 0,8% (dopo il +1,0% nel 2014).
Sulla dinamica complessiva delle retribuzioni contrattuali continuerà a pesare il blocco delle procedure negoziali nel settore pubblico, circa un quarto del monte retributivo totale. Il congelamento delle retribuzioni pubbliche, inizialmente introdotto per il triennio 2010-2012, è stato via via prorogato, da ultimo dalla Legge di Stabilità 2015, al 31 dicembre di quest'anno.
Nell'industria, invece, l'attività contrattuale negli ultimi anni è stata intensa, tanto che il 97,2% circa del monte retributivo è attualmente coperto da contratti in vigore. Le retribuzioni contrattuali nominali cresceranno mediamente del 2,2% annuo nei prossimi sei mesi, allo stesso ritmo che nel 2014. Quelle reali avanzeranno del 2,0% per il secondo anno consecutivo.
Nei servizi privati, dove la copertura degli accordi vigenti è attualmente solo del 13,8%, a bocce ferme l'aumento delle retribuzioni contrattuali nominali nella prima metà del 2015 si fermerà allo 0,6% (dal +1,1% nel 2014), comunque più che abbastanza per garantire il potere d'acquisto (+0,4% quelle reali).
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In Germania è stato firmato questa settimana l'accordo di rinnovo del contratto di lavoro per il settore metalmeccanico nel Baden-Wuerttemberg, una delle regioni più industriali del paese, sede, tra gli altri, di Daimler e Bosch. L'accordo, che farà da pilota per i rinnovi che riguarderanno nel 2015 un totale di 3,7 milioni di lavoratori metalmeccanici, prevede un aumento salariale nominale del 3,4% su un anno, da aprile. Assumendo che si avverino le previsioni di inflazione raccolte da Consensus Forecasts (+0,3% nel 2015 e +1,6% nel 2016), ciò risulterà in un aumento reale del 2,4%, che sosterrà i consumi, già in ripresa dell'1,6% nel 2014 (+2,1% tendenziale nel quarto trimestre).
Il sindacato IG Metall aveva chiesto aumenti salariali ancora superiori, del 5,5% per il 2015, adducendo a giustificazione la solida crescita economica. Dopo un prolungato periodo di moderazione salariale (nel decennio pre-crisi, in assoluto e soprattutto in relazione ai marcati guadagni di produttività), i sindacati tedeschi stanno ora cercando di recuperare potere d'acquisto, approfittando del buon stato di salute dell'industria (+1,4% la produzione industriale nel 2014, +1,7% atteso per il 2015) e di un mercato del lavoro in ottima forma (tasso di disoccupazione al 4,8% a inizio 2015, minimo storico).
Gli aumenti salariali contrattati, uniti all'introduzione del salario minimo (in vigore dall'inizio del 2015) porteranno invece a una compressione degli utili societari, già in riduzione negli ultimi anni ma comunque a buoni livelli sia rispetto al passato sia rispetto ai principali competitors. Il margine operativo lordo in percentuale del valore aggiunto nel manifatturiero tedesco era al 32% nel 2013, dal 36% raggiunto nel 2007 ma ben al di sopra del 25% del 1993.
Totalmente opposte le condizioni in Italia. Il PIL è di oltre il 9% sotto i livelli pre-crisi (in Germania è di quasi il 4% sopra). La profittabilità nel manifatturiero italiano, in declino da metà degli anni novanta, è al minimo storico: 22,5% nel 2013 (33,5% nel 2007). Nello stesso periodo le retribuzioni reali nel manifatturiero sono cresciute dell'1,1% medio annuo. E la disoccupazione è al massimo storico: 14,5% (considerando anche la CIG), mentre sono 8,6 milioni le persone a cui manca, in tutto o in parte, lavoro.
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La fiducia in Italia ha continuato a migliorare in misura significativa in febbraio, dopo il rimbalzo già registrato il mese scorso. Questa dinamica, in aggiunta al recupero già evidenziato da altri indicatori qualitativi e quantitativi (PMI, immatricolazioni, produzione industriale), conferma il netto cambio di passo per l’economia italiana a inizio 2015.
Tra i consumatori l’indice è salito di 6,5 punti in un mese (a 110,9, +10,7 punti da dicembre), grazie soprattutto al maggiore ottimismo sulla situazione economica attuale e futura dell’Italia. Anche tra gli indicatori più legati alle decisioni di spesa (giudizi sul bilancio familiare e sulla situazione economica della famiglia, attese sulla disoccupazione, opportunità attuale e futura del risparmio) si sono avute valutazioni più positive che preannunciano il proseguimento di una dinamica favorevole dei consumi nel trimestre in corso.
Tra le imprese l’indice composito di fiducia è aumentato di 3,3 punti (a 94,9, +7,0 punti da dicembre). In particolare, il contributo più rilevante è venuto da quelle che operano nel commercio al dettaglio (+5,9 punti), dove l’indice ha recuperato per il secondo mese di fila, e nei servizi di mercato (+5,5 punti), dove si è rilevato un maggiore ottimismo su occupazione e nuovi affari. Dopo il rimbalzo di gennaio, si è avuto un modesto peggioramento della fiducia tra le imprese edili (-0,8 punti), tra le quali – tuttavia – sono risalite le attese sui piani di costruzione.
Nel manifatturiero la fiducia è tornata a migliorare in febbraio: l’indice è cresciuto di 1,5 punti (a 99,1, massimo da luglio scorso), dopo una modesta correzione in gennaio. Tra le componenti, sono più positive le attese e i giudizi su ordini (grazie soprattutto a quelli interni) e produzione, che confermano le stime CSC di un incremento dell’attività nel primo trimestre 2015.
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Fatturato, ordini, produzione industriale ed edilizia, vendite di auto, export, occupazione, fiducia: la sequenza di statistiche uscite nell’ultimo mese contiene molte sorprese finalmente positive per l’economia italiana e convalida le attese di un aumento del PIL nel 2015 superiore alle previsioni elaborate solo un paio di mesi fa. Si infittisce la revisione al rialzo delle proiezioni; il CSC le rifarà a giugno, considerando la parte (circa la metà) di stimoli esterni non ancora inclusa nelle stime rilasciate a dicembre (+0,5% e +1,1% nel 2015-16).
La partenza da fermo limita la performance in media d’anno, ma la crescita acquisterà velocità nel secondo semestre, lasciando una buona eredità al 2016.
Affinché il ritmo si consolidi è necessario che, al rinnovato slancio dell’export e al timido recupero dei consumi, si affianchi il contributo degli investimenti, cruciali sia per la domanda sia per la ricostituzione di potenziale produttivo. Anche al netto delle costruzioni, nel 2014 gli acquisti di macchinari e impianti hanno mancato l’appuntamento con la ripresa.
Finora non ci sono segnali di cambio di passo e gli investimenti stentano a ripartire in molti paesi avanzati, a causa dell’incertezza generata dalla crisi. Alla quale in Italia si sommano specifici gravi ostacoli, che un po’ si attenueranno: i margini ai minimi storici beneficeranno dei minori costi degli input; la morsa del credito si allenta e i tassi scendono; la fiducia migliora; la domanda interna ed estera salirà, aumentando il basso utilizzo degli impianti; gli incentivi aiutano, sebbene non siano tutti già attuati e siano dotati di poche risorse e resi meno efficaci da meccanismi complessi e gravi storture.
Le condizioni esterne sono favorevoli: la crescita americana è robusta; gli emergenti, pur rallentando, forniscono un forte apporto all’espansione globale; nell’Eurozona si moltiplicano i segnali di accelerazione. Il cambio dell’euro potrebbe ulteriormente deprezzarsi. I prezzi delle materie prime sono più contenuti.
Per maggiori dettagli si veda la Congiuntura Flash di febbraio nella Libreria del CSC.
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In gennaio l’export italiano extra-UE in valore è diminuito del 2,4% rispetto a dicembre, correggendo parzialmente il precedente aumento (+3,2%). Il calo si riduce al netto della componente energetica: -1,6% (da +3,0%).
Ancora in aumento le vendite di beni intermedi (+0,4%, da +5,1%), mentre vira in negativo la dinamica di quelle di beni di consumo (-1,9%, da +2,7%) e di investimento (-2,7%, da +1,9%).
Prosegue il calo delle importazioni extra-UE (-0,4%, da -3,7%), determinato interamente dalla caduta degli acquisti di energia: al netto di questi, l’import è aumentato dell’1,6% (da -1,1%). Gli acquisti di beni intermedi costituiscono la componente più dinamica (+5,5%, da -1,0%).
Pesa in negativo il crollo degli scambi con la Russia: -36,7% tendenziale le esportazioni e -40,2% le importazioni. In positivo, invece, la corsa di quelli con gli Stati Uniti: +24,4% le vendite e +15,6% gli acquisti. La robusta domanda USA e l’euro meno forte continueranno a sostenere l’export italiano.
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Dopo il sensibile rialzo di gennaio (+10,7 punti rispetto a dicembre), ripiega più del previsto a febbraio (di 7,4 punti, a 96,4) l’indice di fiducia dei consumatori americani elaborato dal Conference Board. Peggiorano, in particolare, le aspettative (di 9,8 punti) per il minore ottimismo sul futuro di redditi e occupazione. L’indice resta, comunque, su livelli simili a quelli registrati in media nel periodo pre-crisi di settembre-ottobre 2007.
Il calo riflette probabilmente condizioni climatiche particolarmente avverse e il rialzo dei prezzi della benzina da inizio mese (+11,3%). I continui aumenti di occupazione (+257mila nuovi posti di lavoro a gennaio) e la ripresa dei salari (+0,5% mensile, +2,2% annuo quello orario medio settimanale) torneranno a sostenere la fiducia nei prossimi mesi.
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In dicembre il commercio mondiale è aumentato, in volume, dello 0,9% su novembre (da -0,6%), facendo registrare un +1,1% nel 4° trimestre sul 3° (da +2,0%). Risultato disposto di un’accelerazione degli scambi internazionali dei paesi avanzati (+1,3% trimestrale, da +0,8%) e di una frenata di quelli degli emergenti (+0,9%, da +3,1%).
Nel 2014 la crescita del commercio mondiale è stata del 3,3%, pari a quella del PIL globale e in linea con le stime CSC di dicembre (+3,2%). Per il 2015 l’incremento acquisito è del 2,4%; il CSC prevede una crescita del 4,4%, superiore a quella del PIL.
Le prospettive per i primi mesi del 2015 sono debolmente positive: a 50,9 in gennaio la componente ordini esteri del PMI globale. La dinamica degli scambi internazionali risente nell’immediato della crisi dei paesi esportatori di oil ma in seguito trarrà vantaggio dalla maggiore domanda interna dei paesi importatori.
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A febbraio, l’indice PMI composito, di manifatturiero e servizi, elaborato da Markit, è aumentato di 0,9 punti, posizionandosi per il ventesimo mese consecutivo al di sopra della soglia neutrale di 50. A 53,5, l’indice segnala, inoltre, che l’attività produttiva nell’Eurozona è cresciuta al ritmo più rapido degli ultimi sette mesi, sospinta da un aumento significativo degli ordini e dell’occupazione. Decisiva è stata l’accelerazione nei servizi (+1,2 punti, a 53,9) mentre è rimasto pressoché stabile (a 51,1 da 51,0) il ritmo di crescita nel manifatturiero.
Continua l’espansione dell’economia tedesca (54,3 da 53,5) dove aumenta fortemente il ritmo di crescita il terziario (55,5 da 54,0) e continua a passi invariati il manifatturiero (50,9). Sorprende in positivo l’indice composito in Francia che è tornato, per la prima volta da aprile 2014, in territorio espansivo, grazie al balzo dell’attività nei servizi (a 53,4, il livello più elevato da aprile 2011): in particolare, aumentano significativamente gli ordini e migliorano le aspettative. Si aggrava, invece, la contrazione nel manifatturiero (47,7 da 49,2).
Si riducono,ma a ritmi più lenti, sia i costi degli input, per il secondo mese consecutivo, sia i prezzi di vendita, in discesa da quasi tre anni. E stentano, così, a risalire i margini delle imprese.
Il risultato dell’indagine Markit tra le imprese giustifica il maggiore ottimismo rilevato dalla Commissione nell’indagine sulla fiducia dei consumatori, aumentata, nello stesso mese, di 1,8 punti.
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Il fatturato totale dell’industria è aumentato del 2,1% in dicembre su novembre a prezzi costanti (stime CSC, +1,4% in valori correnti), per effetto di incrementi sia nel mercato interno (+1,6%), che ha più che compensato il calo di novembre, sia in quello estero (+3,1%), il terzo consecutivo. Il livello nel quarto trimestre 2014 è superiore dell’1,0% rispetto alla media del terzo.
Anche gli ordinativi dell’industria hanno registrato in dicembre un forte rimbalzo (+5,2% a prezzi costanti, più ampio incremento da gennaio 2011) e preannunciano una dinamica migliore dell’attività nei prossimi mesi. Si conferma robusto il contributo positivo della domanda estera (+8,4%, dopo il +3,2% in novembre), sostenuta dal cambio favorevole; in recupero anche la componente domestica (+2,6%; -3,7% in novembre). Nel trimestre gli ordini totali sono aumentati dell’1,1% congiunturale.
Si tenga conto che dicembre è un mese anomalo per ragioni di calendario: nel 2014, in particolare, rispetto al dicembre 2013 ha avuto lo stesso numero di giorni lavorativi, ma l’anno prima presentava possibilità di ponte in più.
Il rimbalzo su novembre va comunque oltre questi fattori di calendario.
Non si intravedono cambi di rotta in gennaio: secondo l’indagine ISTAT sulle imprese manifatturiere, dopo essere migliorati in dicembre, sono infatti rimasti invariati in gennaio giudizi e attese sugli ordini; l'indagine PMI segnala invece un modesto calo degli ordini totali, ma un'accelerazione di quelli esteri.
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L'indice Nikkei della Borsa di Tokyo ha toccato oggi i massimi da quindici anni superando nel corso della seduta quota 18.300 punti e chiudendo a 18.265 punti. A incoraggiare gli investitori le decisioni della Bank of Japan e il dato sull'export in gennaio.
L’autorità monetaria nipponica ha confermato ieri la politica di maxistimoli monetari in corso e ha riconosciuto che nel breve termine, a causa della caduta dei prezzi dei beni energetici, l'inflazione potrebbe allontanarsi ancora dal target del 2% (il che non fa escludere ulteriori misure espansive in un prossimo futuro), ma ha al tempo stesso dipinto un quadro più roseo delle prospettive dell'economia, specialmente sul fronte dell'export.
Gli effetti positivi dello yen debole stanno favorendo le vendite all’estero: in gennaio le esportazioni hanno segnato il quinto incremento consecutivo in valore su base annua (+17,0%, il ritmo più elevato dalla fine del 2013), mentre le esportazioni nette hanno contribuito per 0,9 punti percentuali alla crescita del PIL al tasso annualizzato del 2,2% nell’ultimo trimestre del 2014.
Modified on by Alessandro Gambini F5B4F76E-066B-8FF0-C125-77CA0051B08D
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La produzione nelle costruzioni è aumentata del 2,3% in dicembre, compensando in parte la caduta congiunturale registrata in novembre (-3,9%, rivista al rialzo dal -4,5%) dovuta ad avverse condizioni meteorologiche (durante novembre si sono registrati valori eccezionali di precipitazioni).
Nel quarto trimestre 2014 l’attività è diminuita dello 0,9% sul terzo, quando era arretrata dell’1,4% congiunturale. Si tratta del quinto calo trimestrale consecutivo ma l’intensità di caduta è meno forte.
Il primo trimestre 2015 eredita una variazione di +0,1%.
L’indagine sulla fiducia rilevata dall’ISTAT presso le imprese di costruzioni segnala un significativo miglioramento in gennaio (l’indice è aumentato di 4,7 punti su dicembre), grazie anche a giudizi e attese più favorevoli. Ciò prefigura una possibile stabilizzazione dell’attività nel trimestre in corso.
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In dicembre l’export italiano è aumentato del 2,9% su novembre a prezzi costanti. Su le vendite sia nei paesi UE (+2,4%) sia in quelli extra-UE (+3,8%). In crescita tutte le componenti per tipologia di beni (di consumo, di investimento, intermedi ed energetici).
Nel quarto trimestre 2014 le esportazioni sono aumentate del 2,5% rispetto al terzo, chiudendo l’anno con un +2,0% sul 2013.
Le importazioni, a prezzi costanti, sono aumentate dello 0,3% in dicembre su novembre, dell’1,6% nel quarto trimestre sul terzo e dell’1,2% nel 2014 sul 2013; segnale di una dinamica positiva della domanda interna.
Favorevoli le prospettive per i primi mesi del 2015 secondo la componente ordini esteri del PMI manifatturiero in gennaio (a 52,9). Ancora in calo, invece, il saldo dei giudizi sugli ordini esteri. La svalutazione dell’euro, che ha cominciato a sostenere l’export, dispiegherà appieno i suoi effetti nei prossimi trimestri, rafforzando la fiducia.
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Il PIL nipponico è tornato a crescere nel 4° trimestre 2014 al tasso annualizzato del 2,2% (stima preliminare), al di sotto delle attese per un aumento tra il 3% e il 4%. Questo dato ha segnato la fine della recessione iniziata nel secondo trimestre (-6,7%), in seguito all’aumento in aprile della tassa sui consumi dal 5% all’8%, e proseguita poi nel terzo trimestre (-2,3%).
La Borsa di Tokio ha reagito alla notizia toccando il massimo da oltre sette anni e mezzo e chiudendo sopra i 18.000 punti; lo yen si è lievemente rafforzato sotto quota 119 contro il dollaro, dopo essere scivolato oltre quota 120 durante la scorsa settimana.
La performance positiva ma non entusiasmante dei conti nazionali difficilmente convincerà la Bank of Japan a cambiare le proprie previsioni per un’inflazione ancora al di sotto dell’obiettivo del 2% e per un recupero moderato dell’economia nel 2015 nella riunione di mercoledì, quando l’autorità monetaria è prevista confermare la politica molto espansiva in corso.
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Il PIL italiano è rimasto invariato nel quarto trimestre del 2014, dopo due cali consecutivi. Tale dato è in linea con le stime CSC e segnala la fine della seconda recessione dall’inizio della crisi. È previsto un ritorno alla crescita dal trimestre attuale.
La stagnazione nel quarto trimestre è frutto di un contributo positivo della domanda estera netta, annullato da un apporto negativo della domanda nazionale. L’ISTAT non ha diffuso il dettaglio delle componenti, ma vi sono indizi di un proseguimento del recupero dei consumi (immatricolazioni di autovetture, occupazione, vendite al dettaglio). Sarebbe, invece, continuata - in misura meno marcata - la flessione degli investimenti totali, trainata dal calo di quelli in costruzioni.
Le informazioni disponibili in gennaio (fiducia delle imprese e delle famiglie, PMI, immatricolazioni di auto, produzione industriale CSC) supportano la stima di un recupero del PIL nel primo trimestre 2015, sostenuto da domanda interna ed estera.
La dinamica del PIL italiano nel quarto trimestre è più fiacca di quanto rilevato nell’Euroarea (+0,3%) e, in particolare, rispetto a Germania e Spagna, entrambe cresciute dello 0,7% nel trimestre. In Francia si è avuto +0,1%. Una maggiore vivacità dei partner europei aiuta comunque l’export italiano.
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Nel quarto trimestre 2014 l’economia dell’Area euro è cresciuta dello 0,3% rispetto al terzo. Accelera fortemente il PIL tedesco con un +0,7%, contro il +0,3% atteso . Resta, invece, pressoché stagnante l’economia francese (+0,1%). In media d’anno, nel 2014, il PIL è cresciuto dell’1,6% in Germania e dello 0,4% in Francia.
Secondo le indicazioni dell’ufficio statistico tedesco, determinante è stato il contributo alla crescita della domanda interna e dei consumi in particolare, già molto aumentati nel terzo trimestre. In linea con le attese il rimbalzo degli investimenti, mentre la buona performance delle esportazioni, favorite dalla debolezza dell’euro, è stata in parte compensata dall’aumento delle importazioni.
In Francia, tengono i consumi (+0,2% sul terzo trimestre) ma continua la contrazione degli investimenti (-0,5%). Compiono un balzo notevole le esportazioni (+2,3%).
Con una crescita acquisita dello 0,5%, il risultato pone la Germania in ottima posizione a inizio 2015. Una disoccupazione ai minimi storici, il calo dei prezzi della benzina e il miglioramento della fiducia delle famiglie lasciano prevedere una forte espansione dei consumi nei prossimi trimestri. E ciò si traduce, come peraltro confermato dall’aumento della fiducia tra le imprese, in migliori prospettive anche per la produzione, già favorita dagli effetti del deprezzamento dell’euro sulle esportazioni e dai minori costi delle commodity.
Questi ultimi due fattori contribuiranno a migliorare le prospettive di crescita anche in Francia che entra nel nuovo anno con un acquisito pari a +0,2%. La riduzione dei prezzi energetici aumenterà il potere d’acquisto delle famiglie, ne attenuerà il pessimismo e aumenterà la loro propensione alla spesa.
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I prestiti alle imprese italiane si sono ridotti ulteriormente a dicembre (-0,8%), con un’intensità accresciuta rispetto ai mesi precedenti (-0,4% al mese in ottobre-novembre, -0,2% al mese nei primi tre trimestri del 2014; dati destagionalizzati dal CSC). Parte di questo calo è spiegata dal flusso di pagamenti di crediti commerciali scaduti da parte della PA, che le imprese hanno utilizzato in larga misura per rimborsare debiti bancari.
L’andamento delle erogazioni effettive di prestiti nel quarto trimestre non riflette le informazioni qualitative provenienti dall’indagine della Banca d'Italia sul credito, che mostrano un allentamento (seppur timido) della stretta dal lato dell'offerta e una stabilità della domanda delle imprese.
A dicembre i tassi di interesse pagati dalle aziende sono rimasti fermi al 2,6%. Nei mesi precedenti si era registrata una discesa significativa (dal 3,6% nel settembre 2013), che dovrebbe riprendere nei prossimi mesi, a seguito della discesa dei tassi di mercato a lungo termine. Ciò favorirà la risalita della domanda di credito delle imprese per finanziare l'espansione della produzione e i piani di investimento.
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Il CSC stima un incremento della produzione industriale dello 0,2% in gennaio su dicembre quando c’è stato un aumento dello 0,4% su novembre, comunicato oggi dall’ISTAT.
Nel quarto trimestre 2014 si è avuto un calo congiunturale di -0,1% (-0,8% nel terzo). Questa dinamica è coerente con una variazione nulla del PIL nei mesi autunnali, dopo il -0,1% nel terzo trimestre.
L’incremento stimato dal CSC in gennaio porta la crescita acquisita della produzione industriale nel primo trimestre a +0,6%. Le prospettive sono favorevoli, anche se permane ancora incertezza, legata soprattutto al quadro politico internazionale (Grecia, Russia-Ucraina).
Sostegno alla produzione industriale, comunque, verrà sia dalla domanda interna sia da quella estera: vi sono diversi segnali di recupero della prima (immatricolazioni di autovetture, fiducia delle famiglie, occupazione) e la seconda è vista in accelerazione (indagine PMI Markit). Inoltre, nei prossimi mesi si avrà il pieno dispiegarsi degli effetti espansivi del calo del prezzo del petrolio e del deprezzamento dell’euro.
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Come per la voce del blog dedicata all'Industria 4.0, anche per il tema del Reshoring ho pensato di condividere con tutta la comunità Mentinsieme questo breve documento. Spero torni utile alla discussione.
Da quando, nel 2011, il documento “Made In America, Again” - redatto da BCG - ha evocato la possibilità di una rinascita industriale degli Stati Uniti trainata, almeno in parte, da un rientro in patria di produzioni manifatturiere precedentemente delocalizzatesa la scelta iniziale di delocalizzazione. A questo si è affiancato l’aumento del prezzo del petrolio nell’ultimo quindicennio che ha contributo in modo significativo ad elevare i costi di trasporto, soprattutto per le merci più pesanti e voluminose. Queste due ragioni congiuntamente hanno determinato nel corso del tempo la riduzione del differenziale di costo tra la produzione realizzata nel paese di origine e quella nel paese beneficiario della delocalizzazione. Da sole possono aver determinato in alcuni casi un vero e proprio reshoring, ma più probabilmente hanno spinto verso un nearshoring della produzione, ossia la localizzazione della produzione in un altro paese a basso costo della manodopera ma più vicino al paese di origine della multinazionale.
Sulla scelta di riportare “a casa” la produzione hanno poi inciso in modo decisivo anche la crescente velocità con cui molti prodotti nei mercati dei paesi avanzati esauriscono il proprio ciclo di vita e la forte domanda di personalizzazione degli stessi. Entrambi i fattori hanno infatti ridotto i vantaggi di costo resi possibili da produzioni delocalizzate altamente standardizzate e su larga scala, richiedendo al contrario una rapida risposta da parte dei produttori che la vicinanza tra headquarters e stabilimenti produttivi favorisce, attraverso una riduzione dei costi di progettazione e sviluppo del prodotto e di coordinamento tra le varie fasi del processo. Inoltre, la vicinanza fisica tra luoghi di produzione e di progettazione, favorendo la trasmissione di saperi taciti all’interno dell’impresa, può diventare strategica per preservare e sviluppare le conoscenze tecniche detenute, e così competere con successo nei mercati[2].
Non tutte le produzioni, soprattutto manifatturiere, si prestano quindi a rientrare con profitto nel mondo avanzato. In generale, la possibilità di accrescere il valore aggiunto attraverso una migliore progettazione del prodotto e una sua più rapida commercializzazione, nonché la vicinanza fisica con il mercato di sbocco o con fornitori strategici rappresentano le principali variabili che posso spingere un’impresa ad attuare strategie di reshoring.
Questi stessi fattori che spingono alcune imprese verso politiche di reshoring sono anche all’origine di una maggiore domanda di beni intermedi a favore di imprese fornitrici localizzate nelle economie avanzate. A livello aggregato, infatti, un rimpatrio di produzioni prima delocalizzate si realizza non solo attraverso scelte di investimento intra-gruppo ma anche preferendo il mercato domestico per l’approvvigionamento degli input intermedi. L’evidenza empirica su quest’ultimo punto è, se possibile, ancora più scarna rispetto a quella già limitata che riguarda il reshoring in senso stretto, ma non per questo meno rilevante. Anzi, stante il forte grado di frammentazione del processo produttivo raggiunto in tutte le principali economie avanzate, è molto probabile che, qualora osservato, una parte significativa del rimpatrio di produzione assumerebbe la forma di una transazione di mercato rivolta non più a fornitori esteri bensì domestici.
Infine, è importante sottolineare come il reshoring, anche nella sua accezione più ampia, non sia strettamente legato ad un contemporaneo ridimensionamento della produzione nel paese di destinazione dell’iniziale delocalizzazione. Infatti, lo sviluppo industriale all’interno del mondo emergente ha innescato nel tempo una crescente domanda endogena di beni e servizi, che richiede anche una capacità produttiva in loco. In questo senso, il reshoring rientra all’interno di una logica di riposizionamento produttivo su scala internazionale, in cui un maggior peso, rispetto anche al recente passato, è attribuito dalle imprese alla vicinanza della produzione con il mercato di sbocco.
Riferimenti bibliografici
BCG (2011). “Made in America, again. Why manufacturing will return to the U.S”.
BCG (2012). “More than a third of large manufacturers are considering reshoring to the U.S”.
CBI/Millward Brown (2014). “Securing a global future for Britain in a reformed EU. Reshoring within the European Union”.
CSC (2011). “Effetti della crisi, materie prime e rilancio manifatturiero. Le strategie di sviluppo delle imprese italiane”. Scenari Industriali n. 2.
CSC (2013). “L’alto prezzo della crisi per l’Italia. Crescono i paesi che costruiscono le condizioni per lo sviluppo manifatturiero”. Scenari Industriali n. 4.
CSC (2014). “In Italia la manifattura si restringe. Nei paesi avanzati le politiche industriali puntano sul territorio”. Scenari Industriali n. 5.
Fratocci L., Barbieri P., Di Mauro C., Nassimbeni G., Vignoli M. – Uni-CLUB (2014). “Manufacturing back-reshoring – An explanatory approach for hypothesis development”, working paper.
Pisano G.P., Shih W.C. (2009). “Restoring American competitiveness”, Harvard Business Review, July-August
Pisano G.P., Shih W.C. (2012). “Producing prosperità. Why America needs a manufacturing Renaissance”, Cambridge: Harvard Business Review Press.
Statistiche WTO: http://www.gatt.org/trastat_e.html
[1] Per un’analisi approfondita su questi temi si rimanda ai volumi 4 e 5 del rapporto Scenari Industriali.
[2] Su questo punto si rimanda al volume 2 del rapporto Scenari Industriali.
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Condivido con tutta la comunità Mentinsieme questa breve nota che ho scritto sul tema dell'industria 4.0. Spero possa essere utile per fare un pò di ordine mentale intorno ad un tema di cui si sente molto parlare ma i cui contorni non sono ancora ben definiti e chiari.
L’idea alla base della prospettata quarta rivoluzione industriale, l’industria 4.0, è quella di rendere i macchinari “indipendenti”, ossia in grado di prendere decisioni autonome dal controllo manuale, e “comunicanti”, ossia in grado di trasmettere i propri ordini ad altre macchine e di recepirne a loro volta.
In sostanza, nella prospettiva di cui si discute le macchine utilizzate nel processo di produzione invece di dover essere programmate manualmente per eseguire in modo più o meno standardizzato un determinato comando ripetitivo, saranno in grado di personalizzare automaticamente la risposta lungo la catena di produzione in base alle informazioni che il componente in lavorazione trasmette loro, oppure in base alle informazioni che vengono trasmesse dalle altre macchine a monte della lavorazione. Perché questo possa accadere le macchine e gli stessi input intermedi utilizzati nel processo produttivo dovranno essere messi in rete (da cui l’espressione “l’internet delle cose”) ossia dotati di un IP personalizzato e di un software in grado di ricevere e trasmettere informazioni in tempo reale. Gli impianti, quindi, non saranno più gestiti e programmati a livello centrale, ma saranno i sistemi cyber fisici, ossia l’insieme stesso degli impianti messi in connessione e comunicazione, a prendere il controllo e ad organizzare la produzione in modo sostanzialmente autonomo.
Dal punto di vista tecnologico, la sfida è duplice: i) realizzare sistemi di immagazzinaggio e di elaborazione istantanea di una mole enorme di informazioni da trasmettere alle macchine; ii) realizzare dispositivi elettronici di dimensioni contenute, da innestare non solo sui macchinari ma anche sulle componenti del prodotto, in modo che queste siano in grado di interagire con le macchine durante le varie fasi della produzione.
Il principale vantaggio promesso dalla quarta rivoluzione industriale è quello di mantenere i vantaggi di una produzione ad alta intensità di capitale (quindi le economie di scala rese possibili da impianti automatizzati) consentendo al contempo un alto grado di personalizzazione del prodotto in base alle mutevoli richieste del mercato. Questo perché, secondo la logica dell’industria 4.0, le macchine saranno predisposte per reagire in automatico e in tempo reale alle specifiche tecniche richieste dal cliente, che saranno a loro volta “caricate” sulle componenti stesse del prodotto. L’altro grande vantaggio offerto da un sistema produttivo “in rete” è la possibilità di comandare in remoto il processo, consentendo di attivare in modo automatico e coordinato più produzioni poste a distanza le une dalle altre, velocizzando così i tempi di realizzazione e consegna dell’output finale.
L’industria 4.0 dovrebbe consentire di accorciare il gap competitivo esistente oggigiorno tra i grandi produttori seriali, che offrono alta qualità del prodotto a costi relativamente contenuti, e produttori specializzati, che offrono qualità ma soprattutto il vantaggio della flessibilità e adattabilità del prodotto alle esigenze specifiche dei clienti. In questo senso, il rischio per tante piccole e medie imprese italiane ad alta specializzazione produttiva è quello di entrare in concorrenza diretta con le grandi imprese manifatturiere di stampo tedesco, divenute nel frattempo flessibili e in grado di soddisfare anche richieste specifiche per lotti di prodotto in scala ridotta.
Nelle prospettive degli studiosi e delle stesse imprese (in buona parte tedesche) che sono all’opera per realizzare le tecnologie abilitanti, l’industra 4.0 non potrà essere a regime prima dei prossimi vent’anni, sia per ragioni di vincolo tecnologico (le tecnologie sono ancora in fase di sviluppo), sia perché il vantaggio di questo nuovo paradigma di produzione necessita di una standardizzazione di tutte le componenti del prodotto e delle fasi del processo, e quindi di una loro condivisione su larga scala tra la miriade di produttori di macchinari e componenti.
In termini occupazionali, sembra evidente che il contributo della forza lavoro manuale sia destinato a diminuire ulteriormente con l’adozione di questo nuovo paradigma di produzione, venendo meno la necessità di programmare manualmente le macchine (questo avverrebbe in remoto in modo più o meno automatico), di controllare la qualità degli input lungo il processo di produzione (sarebbero le stesse macchine ad interagire con il prodotto semilavorato verificando la sua congruità rispetto alle specifiche tecniche caricate), di spostare fisicamente il semilavorato all’interno dell’impianto (il prodotto si sposterebbe senza soluzione di continuità all’interno della catena automatizzata). Qualora l’industria 4.0 divenisse realtà, il contributo della forza lavoro si concentrerebbe maggiormente nelle fasi di progettazione del prodotto, di ingegnerizzazione del processo e di gestione dei flussi informativi in remoto.
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L’occupazione nel settore non agricolo negli Stati Uniti ha messo a segno un nuovo solido incremento a gennaio con la creazione di 257mila nuovi posti di lavoro. Sono inoltre stati rivisti fortemente al rialzo, di 147mila unità complessivi, i dati relativi a dicembre e novembre, mese in cui si è avuto l’aumento occupazionale (+423mila unità) più ampio da maggio 2010. Ciò ha portato l’aumento medio mensile degli ultimi tre mesi a 336mila unità.
Salgono anche i guadagni medi settimanali, rimbalzati dello 0,5% mensile dopo il -0,2% di dicembre, con un +2,2% annuo.
In lieve rialzo, a 5,7% della forza lavoro, il tasso di disoccupazione, per il contemporaneo aumento della forza lavoro (+0,2% su dicembre), che è, però, un segnale evidente di ritrovata fiducia nella ricerca di un posto di lavoro.
I miglioramenti nel mercato del lavoro confermano le attese per una forte ripresa dei consumi nella prima metà del 2015, contribuendo a far salire il reddito disponibile. Ciò compenserà la penalizzazione per il settore manifatturiero dovuta all’apprezzamento del dollaro e al rallentamento delle economie emergenti.
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Il primo trimestre 2015 è partito con il piede giusto per l’Italia, anche se resta qualche ombra all'orizzonte. Aumento delle immatricolazioni di auto e incremento dell'attività rilevato nell'indagine PMI dei servizi, confermano i segnali di ripresa della domanda interna, in linea con quanto le indagini di fiducia ISTAT avevano evidenziato nei giorni scorsi.
Dopo il crollo di dicembre (-5,8%), le immatricolazioni di auto in Italia sono migliorate del 9,6% congiunturale in gennaio (stime CSC), portando la variazione acquisita nel primo trimestre 2015 a +5,7%. Nel quarto 2014 si è avuto un incremento del 2,5% (+1,4% nel terzo). Rispetto al minimo toccato nel gennaio 2013 sono aumentate del 18,0%.
Sempre in gennaio, il PMI dei servizi è risalito oltre la soglia di 50 (a 51,2 da 49,4), ben sopra le attese che lo davano a 49,9. In negativo, però, si registra - rispetto a dicembre - un calo più marcato di ordini e occupazione. Il PMI composito (che sintetizza la dinamica nel manifatturiero e nel terziario) segnala un incremento dell’attività, dopo il calo rilevato in dicembre: 51,2 da 49,3 (50,3 nel quarto trimestre).
Per i prossimi mesi gli ordini PMI prospettano, nel complesso, il persistere di debolezza, specie per la domanda interna. Tuttavia, contrastano con queste valutazioni il forte miglioramento della fiducia dei consumatori in gennaio (ISTAT) e - per quel che riguarda le prospettive di spesa delle famiglie - i giudizi più favorevoli sui bilanci familiari, sull’opportunità all’acquisto di beni durevoli e sulle condizioni economiche future. Ciò suggerisce che nei prossimi mesi i consumi interni potrebbero dare un contributo positivo e significativo
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L’indice PMI composito, di manifatturiero e servizi, elaborato da Markit, è salito a gennaio al livello più elevato degli ultimi sei mesi e superiore alle stime preliminari (52,6 da 51,4 in dicembre) con il ritmo di crescita dell’attività in accelerazione sia nel manifatturiero (52,1 da 50,9) sia nei servizi (52,7 da 51,6). Tra i quattro maggiori paesi, la produzione è aumentata in Germania (53,5), Spagna (56,9)e Italia (51,2) ma si è contratta, per il nono mese consecutivo, in Francia (49,3).
Secondo Markit, i risultati di queste indagini sono coerenti con una crescita del PIL nell’Eurozona dello 0,3% nel primo trimestre 2015 sul quarto 2014. Il QE deciso dalla BCE – non ancora annunciato al momento della rilevazione - potrebbe fornire un ulteriore contributo alla crescita del PIL dell’area.
Il calo dei prezzi degli input (48,5 da 51,0) ha fortemente contribuito all’aumento dell’attività specialmente nel manifatturiero dove il calo dei prezzi delle commodity si è riflesso in un crollo dei costi degli input produttivi (42,0 da 48,1).
Nei servizi, tuttavia,l’aumento dell’attività si è in buona parte ottenuto anche con forti riduzioni dei prezzi praticati dalle imprese, a fronte della marcata riduzione dei costi degli input. In altre parole, il rapido trasferimenti ai clienti dei vantaggi sui costi è un segnale evidente della necessità delle imprese di stimolare la domanda.
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La variazione annua dei prezzi al consumo in Italia è scesa a -0,6% a gennaio, in deciso calo rispetto al valore nullo registrato a dicembre. Andamento simile nella media dell'Eurozona (-0,6%, da -0,2%). L'eccessivo allontanamento dall'obiettivo BCE (+2,0%) dimostra quanto fosse necessaria l'ulteriore espansione monetaria decisa con il varo del quantitative easing il 22 gennaio.
Si approfondisce la riduzione dei prezzi energetici (in Italia -9,1% annuo a gennaio, da -5,3% a dicembre) i quali riflettono, con uno-due mesi di ritardo e in misura più attenuata, il crollo delle quotazioni petrolifere. I prezzi alimentari, invece, restano sostanzialmente stabili (+0,1% annuo, da -0,1%).
La dinamica dei prezzi core (al netto di energia e alimentari) è bruscamente scesa al +0,3% annuo a gennaio, da +0,7% a dicembre. Questo calo è interamente ascrivibile ai servizi (+0,5%, da +1,0%), mentre i beni industriali restano al +0,1% annuo. La netta frenata dei prezzi dei servizi, a sua volta, è stata causata dai primi effetti di second round del ribasso petrolifero negli scorsi mesi: i prezzi dei servizi di trasporto, infatti, sono al +0,2% annuo, da +2,0%.
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L’indicatore PMI del manifatturiero italiano è migliorato di 1,5 punti in gennaio (49,9,massimo da quattro mesi), al di sopra delle attese (che puntavano a 49,3) e su valori che indicano – nel complesso - una minore debolezza. In gennaio il livello dell’indice è risultato superiore di 1,1 punti rispetto al quarto trimestre.
Il dettaglio delle componenti mostra alcuni progressi: l’indice della produzione è salito a 51,2 (da 49,2), in area di espansione (>50) per la prima volta dopo quattro mesi; a livello settoriale, il maggiore contributo è venuto dai beni di consumo, a fronte di un calo tra quelli di investimento. Sono più favorevoli le valutazioni relative al mercato del lavoro: l’indice dei livelli occupazionali è salito a 50,8 (dopo tre mesi in cui ha segnalato contrazione) e in molte aziende l’incremento degli occupati è stato spiegato dalla necessità di soddisfare una maggiore produzione. I nuovi ordini sono diminuiti per il quarto mese di fila, ma a un ritmo meno forte di quello rilevato in dicembre (47,8 da 47,0) e con la domanda estera in accelerazione rispetto al ritmo di crescita del mese scorso (52,9 da 52,5).
La dinamica tracciata dal PMI manifatturiero per l’Italia in gennaio è in linea con le stime CSC sulla produzione industriale (+0,3% su dicembre) e con le informazioni derivanti dall’indagine ISTAT sulla fiducia presso le imprese manifatturiere (aumento dei livelli di attività). È coerente con una possibile svolta positiva nel primo trimestre.
Anche nelle altre economie europee i PMI mostrano segnali favorevoli. È in accelerazione in Irlanda, Spagna e Paesi bassi. In Germania il PMI manifatturiero è poco diminuito rispetto a dicembre (50,9 da 51,2), ma segnala per il secondo mese consecutivo espansione; tra le componenti, risulta più forte il ritmo di crescita della produzione, sostenuto dall’incremento degli ordini totali (il relativo indice, sopra 50 da dicembre, è salito al massimo da agosto) grazie a una domanda interna più vivace, essendo diminuita quella estera. In Francia il PMI manifatturiero è risalito verso la soglia di stagnazione (a 49,2, massimo da otto mesi, da 47,5); rispetto a dicembre si è attenuata la contrazione di produzione e nuovi ordini totali.
Nel complesso dell’Euroarea il PMI manifatturiero si è attestato in gennaio a 51,0 (da 50,6), un livello coerente con una dinamica positiva dell’attività nel trimestre invernale. Sono state rilevate, rispetto a dicembre, una maggiore crescita della produzione (la più veloce da sei mesi) e un marginale incremento degli ordini totali. Per il quinto mese di fila sono previsti aumenti dei livelli occupazionali. Si sono intensificate, tuttavia, le pressioni deflazionistiche, con i prezzi medi di vendita che risultano in diminuzione al tasso più veloce dalla metà 2013.
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