Il deprezzamento del rublo nei confronti di dollaro ed euro prosegue a ritmi sempre più forti. La decisione di ieri della Banca centrale di alzare il tasso di interesse di riferimento al 17% (+650 punti base, sesta stretta da inizio 2014) ha provocato un rimbalzo della valuta russa che è durato solo poche ore. A metà mattinata la moneta russa è scambiata a 92 contro l’euro (80 in chiusura ieri, 45 all’inizio del 2014) e a 74 contro il dollaro (64 ieri, da 33 a gennaio).
Il valore del rublo si è sostanzialmente dimezzato nel corso del 2014, in cui la fuga dei capitali dalla Russia, iniziata per la crisi con l’Ucraina e le sanzioni occidentali, ha drammaticamente accelerato nelle ultime settimane per il forte calo del prezzo del petrolio, oramai sotto i 60 dollari al barile. Poiché dall’energia derivano un quarto del PIL, il 70% dell’export e metà del bilancio russi, gli interventi restrittivi della Banca centrale sui tassi di interesse hanno poche chance di fermare la fuoriuscita di capitali. Anzi, rischiano di alimentarla perché aggravano le prospettive dell’economia russa, in contrazione già dal trimestre in corso.
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La produzione nelle costruzioni è rimbalzata in ottobre: +3,2% su settembre quando aveva segnato una profonda caduta (-5,1%) che aveva interamente annullato l’incremento di agosto (+4,9%). Al di là delle forti oscillazioni degli ultimi mesi, molto condizionate dalle condizioni meteorologiche, l’indice in ottobre si colloca attorno ai minimi toccati lo scorso maggio. In ottobre è comunque più elevato dell’1,2% rispetto alla media del terzo trimestre. Nei mesi estivi l’attività edile era diminuita dell’1,3% sul secondo trimestre.
L’indagine ISTAT sulla fiducia nel settore delle costruzioni, pur mostrando qualche segnale positivo, non preannuncia una chiara inversione di tendenza nel quarto trimestre: il calo della fiducia degli imprenditori edili in novembre (-3,3 punti mensili dopo i +2,0 in ottobre) è stato determinato dal peggioramento dei giudizi sui prezzi e, soprattutto, sull’occupazione; un lieve miglioramento si è avuto, invece, nelle valutazioni su attività e ordini, che erano peggiorati nel mese precedente.
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Lo stock di prestiti alle imprese italiane si è ridotto dello 0,3% in ottobre, dopo essere rimasto invariato a settembre (dati destagionalizzati dal CSC). La caduta, quindi, non è ancora del tutto alle spalle, ma si conferma una sua progressiva attenuazione rispetto al 2012-2013: -0,1% al mese in media tra giugno e ottobre, da -0,3% tra gennaio e maggio e -0,4% nel biennio precedente.
Al netto del rimborso di prestiti effettuato grazie alle somme incassate con il pagamento di debiti commerciali scaduti da parte della PA (1,2 miliardi pagati in ottobre, 32,5 miliardi totali dall’estate 2013), il credito alle imprese risulta stabilizzato negli ultimi cinque mesi (da -0,2% al mese in media tra gennaio e maggio).
In ottobre, inoltre, si è accentuata la riduzione dei tassi pagati dalle imprese: 2,7% in media sui nuovi prestiti, da 3,0% a settembre e da 3,6% a settembre 2013. Il costo del denaro per le aziende italiane, quindi, è tornato sui valori di inizio 2011. Ciò favorirà la risalita della domanda di credito nei prossimi mesi.
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In novembre l’export italiano extra-UE è diminuito dell’1,8% in termini nominali su ottobre. Pesa il calo delle vendite di prodotti energetici, a causa della caduta delle quotazioni (-0,4% l’export al netto dell’energia). In riduzione anche le vendite di beni intermedi (-2,7%), mentre sono aumentate quelle di beni di consumo (+1,6%).
I mercati di destinazione più dinamici sono gli Stati Uniti e i paesi del Sud-est asiatico; in forte contrazione, invece, le vendite verso Russia e Giappone.
Nel bimestre ottobre-novembre le esportazioni extra-UE sono comunque cresciute dello 0,9% rispetto al terzo trimestre (da +0,7% sul secondo). Sono tornate ad aumentare anche le importazioni (+0,7%, da -2,6%), segnalando un miglioramento della domanda interna.
In prospettiva, la performance dell’export extra-UE sarà favorita dal guadagno di competitività dovuto alla svalutazione dell’euro.
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Le elezioni anticipate per la Camera Bassa nipponica hanno registrato il più basso tasso di partecipazione di sempre (52%) e sono state vinte con ampio margine dalla coalizione di governo uscente, guidata da Shinzo Abe. I 326 seggi ottenuti sui 475 a disposizione danno all’alleanza Partito liberaldemocratico e Komeito la maggioranza dei due terzi necessaria per le riforme costituzionali in progetto e rafforzano il mix di politiche economiche del governo uscente, tra cui il rinvio del secondo aumento dell’IVA da ottobre 2015 ad aprile 2017 su cui il premier ha chiesto e ottenuto il consenso degli elettori.
Nella prima conferenza stampa Abe ha ribadito che l’economia resterà la priorità (entro fine anno sarà annunciata una manovra di stimolo a sostegno delle famiglie pari a circa 3.000 miliardi di yen, equivalenti a circa 20 miliardi di euro), aggiungendo che il governo si occuperà anche delle questioni di sicurezza nazionale e del ruolo egemonico sull’area asiatica che Tokio intende rafforzare.
L’indomani della tornata elettorale la Borsa di Tokio ha perso l’1,57%, ma non si tratta di una bocciatura dell’esito del voto che era già stato scontato dai mercati finanziari nelle sessioni precedenti. Il rapporto trimestrale Tankan sulla fiducia delle imprese pubblicato stamani dalla Bank of Japan ha dato indicazioni miste con un lieve peggioramento della fiducia delle grandi imprese manifatturiere (indice a 12, da 13) e un miglioramento di quelle non manifatturiere (16, da 13); indicazioni positive emergono dai piani per gli investimenti di capitale che nell’anno fiscale in corso sono previsti in dicembre accelerare di più (+8,9% annuo) rispetto alla rilevazione di tre mesi fa (+8,6%). La ripresa dell’economia dalla recessione registrata nei trimestri centrali del 2014 inizierà già nel quarto trimestre e sarà favorita dal calo del prezzo del petrolio, che riduce il costo delle importazioni di beni energetici da cui l’economia dipende dopo la chiusura delle centrali nucleari, e dal deprezzamento del cambio, che favorisce l’export nazionale.
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Nel 2012 le Multinazionali estere presenti in Italia (MEI) rappresentano ancora solo lo 0,3% delle imprese italiane, in leggera riduzione rispetto al 2011 (203 imprese in meno); il loro contributo però non è trascurabile. Le MEI occupano il 7,1% degli addetti, producono il 16,6% del fatturato e il 13,5% del valore aggiunto. Anche il contributo alla spesa privata in R&S (23,6%) è sostenuto ma in riduzione rispetto al 2011 (24,2%).
Le MEI hanno performance migliori in termini di produttività e di redditività rispetto alla media delle imprese italiane; i risultati cambiano se si considerano le imprese italiane di grandi dimensioni. Queste ultime nel 2012 realizzano una redditività in linea (+39,5%) a quella delle MEI (+38,5%).
Rilevante è il loro contributo alla performance estera del paese: nel 2012 il 25,9% delle esportazioni nazionali proveniva dalle MEI e di queste il 39,5% riguardava scambi intra-gruppo. Nel settore farmaceutico attivano una quota preponderante delle transazioni del comparto con l’estero: 73,7% delle esportazioni nazionali e 86,5% delle importazioni.
Gli investitori esteri in Italia sono prevalentemente europei (74,3% delle MEI), seguono quelli Nord americani (17%). Gli investitori asiatici sono in crescita ma hanno un ruolo ancora modesto, rappresentando appena il 6,0%.
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L’ultima rilevazione ISTAT sulle multinazionali italiane conferma la crescente rilevanza del fenomeno e la sua diffusione sempre più globale: al 2012 occupano oltre 1,7 milioni di addetti (+3,3% su base annua) in 160 paesi, e fatturano 546 miliardi di euro (+7,1%). La quota relativa all’industria è per entrambe gli aggregati del 65%.
Il paese più importante in termini di occupati sono gli Stati Uniti, seguiti da Brasile, Germania, Romania e Cina. Il Nord America, poi, assorbe la quota più rilevante (il 59,0%) della spesa complessiva realizzata all’estero in R&S.
Nel corso del biennio 2013-2014, il 54,1% delle multinazionali già attive nell’industria e il 63,5% di quelle dei servizi hanno realizzato o progettato un nuovo investimento estero. Nell’industria, la motivazione principale resta l’accesso a nuovi mercati di sbocco (importante per oltre il 96% delle imprese). Cresce inoltre la spinta a sviluppare all’estero nuovi prodotti e all’acquisto di nuove competenze tecniche, mentre perde rilevanza la ricerca di abbattimenti di costo, soprattutto del lavoro.
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In ottobre l’export italiano è aumentato dello 0,4% su settembre a prezzi costanti (da +1,6%). La dinamica è stata trainata dal forte incremento delle vendite di prodotti energetici; al netto di queste si registra un -0,1%.
Si sono ridotte le vendite nei mercati extra-UE (-1,0%), dopo il balzo di settembre (+4,1%), mentre quelle verso i paesi UE hanno iniziato l’ultimo trimestre in aumento (+1,8%).
In calo le importazioni (-0,8% su settembre), dopo due mesi di aumento; -0,1% al netto dell’energia.
Nei primi dieci mesi del 2014 la crescita acquisita è pari a +1,6% per le esportazioni e +0,8% per le importazioni.
Incerte le prospettive per la fine dell’anno in base agli indicatori qualitativi del commercio estero: la componente ordini esteri del PMI manifatturiero è aumentata in novembre dalla quasi stagnazione di ottobre (a 52,8 da 50,3); il saldo dei giudizi sugli ordini esteri delle imprese manifatturiere è sceso in novembre ai minimi da un anno e mezzo (-23).
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La BCE a dicembre ha lasciato invariati i tassi di interesse ai minimi storici: 0,05% quello sui prestiti alle banche, -0,20% quello sui loro depositi. Ha ribadito che le misure espansive già in atto, ovvero le Targeted-LTRO mirate a far ripartire il credito, insieme ai programmi di acquisto di covered bond e di ABS, sono tali da ampliare notevolmente il suo bilancio complessivo nel prossimo biennio, riportandolo verso la dimensione massima che aveva nel 2012.
La BCE prevede una dinamica più bassa sia per il PIL, sia per l’inflazione (+0,7% nel 2015 in Eurolandia, da +1,1% previsto a settembre). Ha mostrato particolare preoccupazione per l’impatto sui prezzi al consumo del recente crollo del prezzo del petrolio. Per tali motivi, si è impegnata a rivedere a inizio 2015 i risultati che saranno stati raggiunti con le sue misure già operative e gli andamenti dei prezzi. E a varare prontamente, se sarà necessario, ulteriori misure non-standard, la cui preparazione tecnica è già in corso.
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In novembre sono state immatricolate in Italia 117.917 auto. Rispetto al mese precedente si è avuto un incremento dello 0,8%, che segue al rimbalzo del 5,7% registrato in ottobre su settembre (stime CSC; dati destagionalizzati).
Nella media degli ultimi due mesi, le immatricolazioni di auto sono aumentate del 3,9% sul terzo trimestre, quando si era avuto un progresso dell’1,0% sul secondo.
Nei primi undici mesi del 2014 gli acquisti di auto nuove sono aumentati del 4,3% rispetto allo stesso periodo del 2013. Per la prima volta dal 2007, le immatricolazioni di auto torneranno a registrare una variazione media annua positiva: nell’ipotesi che in dicembre si abbia una dinamica piatta, nel 2014 si avrà un + 4,1% sul 2013. La caduta registrata tra 2007 e 2013 è stata del 48%.
Segnali favorevoli vengono anche dai volumi di vendite di auto usate: +7,3% su novembre 2013 e +2,0% nei primi undici mesi del 2014.
Per i prossimi mesi si attende un’evoluzione ancora favorevole, stando alla dinamica degli ordini di auto nuove: +11,0% su novembre 2013, +6,5% nei primi undici mesi.
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Il fatturato totale dell’industria è aumentato dello 0,8% in ottobre su settembre a prezzi costanti (stime CSC, +0,4% in valori correnti), per effetto di un incremento sia nel mercato interno (+1,0%), il secondo consecutivo, sia in quello estero (0,3%). Il livello di ottobre è superiore dello 0,2% rispetto alla media del terzo trimestre.
Gli ordinativi dell’industria preannunciano una stabilizzazione dell’attività nei prossimi mesi, soprattutto per il miglioramento della componente interna della domanda. Il recupero degli ordini totali in ottobre (+0,5% congiunturale) viene dopo una dinamica piatta nella media di agosto e settembre ed è sostenuto dal forte incremento degli ordini domestici (+2,1%; -1,9% quelli esteri). Non appare essere però un punto di svolta, secondo le valutazioni degli imprenditori manifatturieri: il saldo dei giudizi sugli ordini è rimasto invariato in ottobre e novembre, in marginale miglioramento dai livelli di settembre.
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In dicembre il PMI composito dell’Eurozona, che sintetizza la performance nel manifatturiero e nei servizi, è risalito dopo i minimi dagli ultimi sedici mesi toccati in novembre (51,7 da 51,1, >50= espansione). Il PMI è migliorato in entrambi i settori: nel terziario segnala un lieve incremento dell’attività (l’indice è salito a 51,9), più sostenuto di quello rilevato nel manifatturiero (50,8). Gli ordini sono ritornati a crescere dopo il calo rilevato nel mese scorso.
Nella media del quarto trimestre il PMI composito si è attestato a 50,4 (da 50,8 nel terzo), livello più basso da un anno e coerente con una sostanziale stagnazione del PIL nell’area (dopo il +0,2% nel terzo).
La Francia continua a manifestare le maggiori difficoltà, ma in miglioramento: l’attività complessiva è arretrata per l’ottavo mese consecutivo al ritmo meno marcato da agosto (indice composito a 49,1 da 47,9); più forte l’arretramento nel manifatturiero a fronte di una sostanziale stabilizzazione nei servizi. In Germania è proseguito invece il rallentamento: il PMI composito è sceso a 51,4 (da 51,7), minimo da un anno e mezzo, con gli ordini complessivi in calo per il secondo mese di fila.
Nel resto dell’Euroarea il PMI segnala aumento dell’attività al ritmo più alto da cinque mesi.
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In Italia l’attività nel terziario è cresciuta anche in novembre e in accelerazione rispetto a ottobre: il PMI dei servizi è salito di un punto a 51,8 (50,9 la stima di consenso). Ciò suggerisce un andamento positivo della domanda interna nel trimestre autunnale.
Il PMI composito, che sintetizza la performance nel manifatturiero e nei servizi, è salito a 51,2 (massimo da luglio), da 50,4 in ottobre.
Nell’Eurozona il PMI composito è, invece, diminuito di un punto (51,1 da 52,1) e segnala ulteriore rallentamento.
Tra le principali economie europee la Francia è quella che mostra le maggiori difficoltà: l’attività complessiva è arretrata per il settimo mese consecutivo e al ritmo più marcato dallo scorso febbraio (indice composito a 47,9 da 48,3), frutto del calo sia nel manifatturiero sia nei servizi; le prospettive sono negative, essendosi accentuata la diminuzione degli ordini. In Germania si è avuta una crescita più lenta (PMI composito a 51,7, minimo da 17 mesi), con il manifatturiero in area di contrazione e ordini totali in frenata rispetto a ottobre.
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Il CSC stima un incremento della produzione industriale dello 0,1% in novembre su ottobre quando c’è stato un calo dello 0,1% su settembre, comunicato oggi dall’ISTAT.
Nel quarto trimestre 2014 si ha una variazione congiunturale acquisita di -0,6% (-0,5% ereditato dal terzo). Se confermata, questa dinamica è coerente con marginale arretramento del PIL anche nei mesi autunnali, in linea con quanto rilevato nel terzo trimestre (-0,1% congiunturale).
Gli indicatori qualitativi confermano un quadro di estrema debolezza nell’industria. L’indagine PMI Markit segnala che in novembre sono diminuiti, per il secondo mese consecutivo, gli ordini ricevuti dalle imprese manifatturiere, a un ritmo meno negativo rispetto a ottobre: la relativa componente per l’Italia si è attestata al di sotto della soglia neutrale di 50 (47,8 da 47,1) per il calo della domanda interna; l’incremento degli ordini esteri è risultato più forte rispetto a quanto rilevato il mese precedente (52,8 da 50,3).
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