La Banca centrale russa ha alzato il tasso di riferimento di 150 punti base, al 9,5%. L'entità del rialzo ha sopreso i mercati che attendevano un rialzo più contenuto, al massimo di 50 punti base.
Quello di oggi è il quarto rialzo nel 2014 del tasso ufficiale, che da febbraio è salito di 400 punti base per contenere le spinte inflazionistiche legate alle conseguenze sui prezzi delle restrizioni imposte sul commercio estero e della forte perdita di valore del rublo: l'inflazione è attesa rimanere al di sopra dell'8% fino alla fine del 2014 e nel primo trimestre del 2015, ben al di sopra dell'obiettivo di medio termine del 4%.
La Banca centrale stima una crescita del PIL dello 0,2% congiunturale per il 3° trimestre e un'economia piatta negli ultimi tre mesi dell'anno (dopo il +0,2% nel 2° triemstre e il +0,1% nel primo).
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In Brasile Dilma Rousseff (Partito dei lavoratori) con il 51,6% dei voti è stata confermata presidente nel ballottaggio con Aecio Neves (SocGen) nelle elezioni più equilibrate degli ultimi venti anni. Il paese si è spaccato in due: il nord ancora povero ha votato per Rouseff, il sud ricco, industrializzato e alla ricerca di un passo avanti nei diritti di cittadinanza dopo l’uscita dalla povertà per Neves.
I due candidati portavano infatti due proposte diverse di modello economico: quello interventista-protezionista della Rousseff, basato sull’aumento del reddito individuale, sussidi e crediti al consumo, calo della povertà e riduzione della disuguaglianza, ha prevalso sul liberismo economico di Neves, basato su una minore presenza dello Stato e un maggiore coinvolgimento dei privati nei processi di investimento.
Il secondo mandato della Rousseff (che corrisponde al quarto consecutivo per il suo partito, dopo i due mandati di Lula) vedrà quindi una politica economica in linea con il passato: attenzione all’interno ai programmi socio-economici e protezionismo verso l’estero; lo Stato rimarrà protagonista come regolatore, nelle politiche economiche, nella politica industriale e come finanziatore negli investimenti. A ciò la Rousseff ha aggiunto nel suo programma l'importante novità per una "competitività produttiva per aumentare la produttività del paese".
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Dopo la stabilizzazione osservata dall’ultimo quarto 2013, l’occupazione in Italia mostra in settembre i primi segnali di ripresa. Secondo le stime preliminari ISTAT, il numero di persone occupate è cresciuto dello 0,4% (+82mila unità rispetto ad agosto). L’aumento mensile (il più ampio da marzo 2011) porta la variazione nel terzo trimestre 2014 a +0,2% sul secondo, quando l’occupazione era rimasta piatta sui livelli di fine 2013.
A fronte di una forza lavoro in forte espansione (+0,5% in settembre su agosto), segno di diffusione di una percezione di miglioramento, il tasso di disoccupazione si è attestato sul 12,6% (stesso livello di novembre 2013, +0,1 punti sul mese precedente) e il numero di persone in cerca di occupazione ha toccato il massimo storico di 3 milioni e 236mila unità.
L’impatto della crisi continua a essere più marcato per i giovani: in settembre il tasso di disoccupazione tra i 15-24enni rimane al 42,9% e il tasso di occupazione al 15,6%.
Tasso di disoccupazione fermo su alti livelli anche nella media dell’Eurozona (in settembre sull’11,5% per il quarto mese consecutivo); elevatissimo in Spagna (24,0%), seppur in lenta riduzione dal picco di febbraio 2013 (26,3%); alto e fermo in Francia (10,5%), ai minimi in Germania (5,0%). Tra i 15-24enni il tasso di disoccupazione medio nell’Eurozona è al 23,3% (dal 24,0% di un anno prima), con ancora più ampia variabilità tra paesi membri: 53,7% in Spagna, 24,4% in Francia e 7,6% in Germania.

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L’economia globale prosegue lungo le tendenze emerse in estate. Il traino che viene dalla locomotiva americana e dalla Cina, e in generale dall’Asia, rimane potente. Negli USA gli investimenti hanno iniziato a ingranare, gettando le basi per il consolidamento della crescita. La Cina è pilotata verso un atterraggio morbido (sopra il 7%). Nonostante la cattiva performance di Brasile e Russia e le difficoltà di altri mercati, il commercio internazionale è tornato ad accelerare.
L’Eurozona, all’opposto, sta scivolando verso una stagnazione, se non proprio una recessione; la Germania questa volta non fa eccezione e la Francia perde ulteriore terreno. La consapevolezza delle gravi difficoltà nell’Area inizia a essere diffusa, ma mancano il senso dell’urgenza e il consenso sulle misure da intraprendere, proprio quando l’azione della BCE da sola non appare sufficiente ad avviare la ripresa. In questo scenario è arrivata la sorpresa del brusco calo del prezzo del petrolio e di altre importanti commodity; il calo riflette sia la debolezza della domanda sia il forte aumento dell’offerta e favorirà i paesi importatori.
In Italia l’andamento degli indicatori comincia a essere meno uniformemente negativo: anche se gli indici di fiducia sono bassi e l’anticipatore OCSE prefigura un peggioramento della dinamica economica fino a primavera, tuttavia emerge qualche segno di stabilizzazione, in particolare nella produzione industriale. Si sta componendo un mosaico di fattori propizi alla ripartenza nel 2015: la caduta del costo del greggio e la svalutazione dell’euro determinano un aumento del PIL di quasi un punto percentuale; la morsa del credit crunch tenderà ad allentarsi (grazie agli interventi BCE già decisi e al superamento dell’esame dei bilanci bancari). La Legge di stabilità, nella versione concordata con la Commissione, sottrae qualche risorsa rispetto al 2014, ma ha una composizione favorevole alla crescita.
Per maggiori dettagli si veda la Congiuntura Flash di ottobre nella Libreria del CSC.
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La Banca Mondiale ha tagliato le proprie previsioni di crescita per la Cina spiegando che “le misure prese per contenere il debito dei governi locali, per controllare il sistema bancario ombra e per contrastare le capacità in eccesso, la forte domanda energetica e l'elevato inquinamento, ridurranno gli investimenti e la produzione manifatturiera”.
Secondo la World Bank, il PIL della Cina si espanderà quest'anno del 7,4% (dal +7,7% nel 2013) in misura inferiore a quanto stimato in precedenza (+7,6%), sostanzialmente in linea con l'obiettivo di una crescita "intorno al +7,5%" più volte ribadito dal governo cinese. Nel 2015 l'economia cinese crescerà del 7,2% invece che del 7,5%, come previsto precedentemente.
Si tratta di un rallentamento fisiologico rispetto al ritmo di crescita medio del periodo 2000-2007 (+10,5%) per un'economia che sta riducendo il gap con i paesi avanzati e sta riequilibrando la struttura della domanda dagli investimenti ai consumi privati. La Cina contribuisce per poco meno di un terzo alla crescita del PIL mondiale in termini percentuali e la decelerazione della sua economia ha anche ripercussioni a livello globale su domanda e prezzi delle commodity.
Il CSC, già negli Scenari economici del dicembre 2013, ha abbassato le proprie previsioni per il PIL cinese nel 2014 a +7,3% e nel 2015 a +7,0%. Per la prossima settimana sono attese le nuove previsioni del Fondo Monetario Internazionale contenute nel World Economic Outlook.
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In Germania gli ordini all’industria sono calati più dell'atteso in agosto (-5,7% su luglio, -4,1% rispetto ad un anno prima) e ciò rende sempre più concreto il rischio di contrazione dell'attività manifatturiera in autunno. Al crollo degli ordini esteri (-8,4%) si è aggiunto la flessione di quelli interni (-2,0%). I primi hanno risentito del rallentamento dei paesi emergenti; su di essi hanno, inoltre, pesato gli effetti delle sanzioni che hanno penalizzato l’export verso la Russia. Ma anche la domanda dal resto dell’Eurozona va male (-5,7%).
Stando alle indagini qualitative le difficoltà sono proseguite in settembre. L'indice IFO sulla fiducia delle imprese tedesche è sceso, infatti, per il quinto mese consecutivo: -1,6 punti, con la componente ordini passata da -11,7 a -14,3 (da -13,3 a -15,7 la valutazione sugli ordini esteri).
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La stima preliminare del PIL britannico per il 3° trimestre indica che l’economia del Regno Unito è cresciuta dello 0,7% congiunturale (dal +0,9% nel 2°); la variazione su base annua è stata del +3,0% (da +3,2% nel 2°). Alla fine del 3° trimestre 2014 il PIL si trova a un livello del 3,4% superiore rispetto al picco pre-crisi del 1° trimestre 2008.
La produzione è aumentata in tutti e quattro i principali comparti dell’economia nel 3° trimestre sul 2°: +0,7% i servizi, che ha fornito il maggiore contribuito alla crescita (0,58 punti percentuali), +0,5% l’industria, +0,8% le costruzioni e +0,3% l'agricoltura.
Il Regno Unito si conferma il paese avanzato con la crescita più vivace, ma secondo il Cancelliere dello Scacchiere Osborne non è immune dalla debolezza dell’area euro e dall’incertezza derivante dalle condizioni economiche globali. Considerate anche le ridotte spinte inflazionistiche (+1,2% l’indice dei prezzi in settembre) il primo rialzo del tasso ufficiale da parte della Banca d’Inghilterra, atteso nel primo trimestre 2015, potrebbe essere ulteriormente posticipato a dopo le elezioni generali del prossimo maggio.

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Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) nel rapporto autunnale sull’economia mondiale ha abbassato le previsioni per la crescita mondiale: +3,3% nel 2014 (era al +3,4% nelle previsioni di luglio) e +3,8% nel 2015 (dal +4,0% di luglio).
La ripresa rimane “debole” e “diseguale” e il futuro resta “nuvoloso”. Sussistono chiari rischi al ribasso: i) la possibile sottovalutazione dei rischi sui mercati finanziari causata da un periodo molto lungo di bassi tassi di interesse; ii) le tensioni geopolitiche divenute più rilevanti; iii) la possibilità che la ripresa nell’Area euro entri in stallo, la domanda si indebolisca ulteriormente e la bassa inflazione si trasformi in deflazione.
Non cambia la previsione per i paesi avanzati che cresceranno dell’1,8% quest’anno e del 2,3% il prossimo. Faranno ancora da traino gli Stati Uniti che cresceranno del 2,2% nel 2014 (previsione rivista al rialzo dall’1,7% di luglio) e del 3,1% nel 2015, mentre si trova in una sostanziale fase di stagnazione l’Eurozona, il cui PIL salirà dello 0,8% nel 2014 (rivisto al ribasso da 1,1% in luglio) e dell’1,3% nel 2015 (da 1,5%). Per i paesi emergenti, che cresceranno del 4,4% nel 2014 e del 5,0% nel 2015, il tema dominante è la riduzione del potenziale di crescita. Se considerati nel loro insieme il potenziale è oggi più basso di 1,5 punti percentuali rispetto a quello del 2011.
Gli esperti dell’FMI raccomandano il mantenimento dell’attuale contesto di politica monetaria accomodante e bassi tassi di interesse fintanto che la domanda rimarrà debole e l’utilizzo di politiche economiche che non mettano in dubbio la credibilità dei percorsi di consolidamento dei conti pubblici messi in atto negli ultimi anni. Questo non significa che non c’è spazio per politiche di sostegno alla ripresa: gli investimenti pubblici in infrastrutture, anche quando finanziati dal debito, possono aiutare a sostenere la domanda nel breve termine e l’offerta potenziale nel medio termine. Resta fondamentale l’implementazione di riforme strutturali calibrate sulle necessità dei singoli paesi ed effettivamente attuabili a livello politico.
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La produzione nelle costruzioni è aumentata del 6,0% in agosto su luglio, con l’indice risalito sui livelli di gennaio 2014. Il rimbalzo di agosto è spiegato in gran parte dal fatto che molti cantieri hanno ripreso l'attività dopo averla sospesa in luglio per le cattive condizioni meteorologiche (quest’anno è stato il luglio più piovoso degli ultimi 80 anni).
Nel bimestre luglio-agosto l’attività è diminuita dello 0,7% rispetto al secondo trimestre, quando era calata dell’1,0% sul primo.
L’evoluzione per i prossimi mesi, nelle valutazioni degli imprenditori edili, è negativa: in settembre l’indagine trimestrale Banca d’Italia-Il Sole 24 Ore ha rilevato un peggioramento dei giudizi sull’andamento della domanda nel settore (il saldo è sceso a -14,1 da -7,2 in giugno); analoghe indicazioni vengono dall’indagine ISTAT condotta in settembre presso le imprese di costruzioni.
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Regole numerose e per di più complesse, tempi di risposta lunghi e costi insostenibili caratterizzano il contesto amministrativo in cui operano le imprese italiane e riducono la capacità di crescere del sistema paese.
Nella graduatoria del Doing Business 2015, stilata dalla Banca Mondiale in base ai dati disponibili a giugno scorso, l’Italia è al 56° posto su 189 paesi. Rispetto all’anno scorso perdiamo 4 posizioni (eravamo al 52° se si considera la medesima metodologia usata nell’indagine di quest’anno). Sempre molto indietro rispetto ai principali concorrenti: Stati Uniti (stabile al 7° posto), Regno Unito (8° posto, dal 9° dello scorso anno), Germania (14°, dal 13°), Francia (31°, dal 33°) e Spagna (33°, dal 32°).
Il pesante carico fiscale sulle imprese e il peso delle procedure burocratiche sono le urgenze maggiori che l’Italia deve risolvere. In un anno un’impresa impiega 269 ore di lavoro amministrativo per effettuare 15 pagamenti, che pesano per il 65,4% sul suo profitto (si considerano le imposte pagate da un’impresa tipo sui redditi d’impresa, i contributi sociali e previdenziali e le altre imposte). E su questo tema l’Italia vede nuovamente peggiorare il suo ranking, scendendo al 141° posto dal 137° dello scorso anno. Si aggravano anche le graduatorie relative all’accesso alla rete elettrica, ai rapporti import/export, all’accesso al credito e alle procedure di esigibilità degli obblighi contrattuali. L’unico miglioramento è riscontrabile nella classifica relativa all’avvio di un’impresa (si passa al 46° posto dal 61° dello scorso anno), grazie alla riduzione dei tempi e delle procedure necessarie.
Per maggiori approfondimenti si veda il rapporto DB15 in Documentazione congiunturale.
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