La Banca centrale russa ha alzato il tasso di riferimento di 150 punti base, al 9,5%. L'entità del rialzo ha sopreso i mercati che attendevano un rialzo più contenuto, al massimo di 50 punti base.
Quello di oggi è il quarto rialzo nel 2014 del tasso ufficiale, che da febbraio è salito di 400 punti base per contenere le spinte inflazionistiche legate alle conseguenze sui prezzi delle restrizioni imposte sul commercio estero e della forte perdita di valore del rublo: l'inflazione è attesa rimanere al di sopra dell'8% fino alla fine del 2014 e nel primo trimestre del 2015, ben al di sopra dell'obiettivo di medio termine del 4%.
La Banca centrale stima una crescita del PIL dello 0,2% congiunturale per il 3° trimestre e un'economia piatta negli ultimi tre mesi dell'anno (dopo il +0,2% nel 2° triemstre e il +0,1% nel primo).
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Dopo la stabilizzazione osservata dall’ultimo quarto 2013, l’occupazione in Italia mostra in settembre i primi segnali di ripresa. Secondo le stime preliminari ISTAT, il numero di persone occupate è cresciuto dello 0,4% (+82mila unità rispetto ad agosto). L’aumento mensile (il più ampio da marzo 2011) porta la variazione nel terzo trimestre 2014 a +0,2% sul secondo, quando l’occupazione era rimasta piatta sui livelli di fine 2013.
A fronte di una forza lavoro in forte espansione (+0,5% in settembre su agosto), segno di diffusione di una percezione di miglioramento, il tasso di disoccupazione si è attestato sul 12,6% (stesso livello di novembre 2013, +0,1 punti sul mese precedente) e il numero di persone in cerca di occupazione ha toccato il massimo storico di 3 milioni e 236mila unità.
L’impatto della crisi continua a essere più marcato per i giovani: in settembre il tasso di disoccupazione tra i 15-24enni rimane al 42,9% e il tasso di occupazione al 15,6%.
Tasso di disoccupazione fermo su alti livelli anche nella media dell’Eurozona (in settembre sull’11,5% per il quarto mese consecutivo); elevatissimo in Spagna (24,0%), seppur in lenta riduzione dal picco di febbraio 2013 (26,3%); alto e fermo in Francia (10,5%), ai minimi in Germania (5,0%). Tra i 15-24enni il tasso di disoccupazione medio nell’Eurozona è al 23,3% (dal 24,0% di un anno prima), con ancora più ampia variabilità tra paesi membri: 53,7% in Spagna, 24,4% in Francia e 7,6% in Germania.

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La dinamica dei prezzi al consumo in Italia è risalita in territorio positivo in ottobre: +0,1% annuo secondo i dati preliminari ISTAT, da -0,2% a settembre. Si interrompe quindi la fase di prezzi in riduzione, durata due mesi. In Eurolandia la dinamica dei prezzi sale in ottobre a +0,4% (da +0,3% a settembre).
In Italia si è attenuato il calo dei prezzi al consumo energetici (-2,5% annuo in ottobre, da -4,5%) e quelli alimentari sono risaliti al +0,2% (erano fermi in termini annui a settembre). Il forte calo del petrolio a ottobre si rifletterà sui prezzi al consumo nei prossimi mesi.
La variazione dei prezzi al consumo dei beni industriali in Italia si avvicina sempre più allo zero (+0,1% annuo, da +0,2% a settembre), riflettendo la debolezza dell’economia. Quella dei prezzi dei servizi, viceversa, tiene di più (+0,7%, da +0,6%). Nel complesso, l’inflazione core guadagna un decimo (+0,5%, da +0,4%), restando molto bassa.
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Il giorno dopo l’annuncio della fine del quantitative easing americano la Banca centrale del Giappone ha sorpreso i mercati con l'inattesa estensione del suo programma di allentamento qualitatitivo e quantitativo monetario. L'ulteriore stimolo è stato messo in atto perché considerato necessario per raggiungere l'obiettivo di un'inflazione stabile al 2% e prevenire la caduta delle aspettative di rialzo dei prezzi: in settembre l'indice core dei prezzi ha infatti ancora rallentato al 3,0% e a "solo" l'1,0% escludendo gli effetti dell'aumento dell'IVA nell'aprile scorso.
Le nuove mosse, prese con una maggioranza di appena 5 voti contro 4 all'interno del Board della Bank of Japan, prevedono: l'aumento della variazione annua della base monetaria a 80mila miliardi di yen (equivalenti a circa 600 miliardi di euro) rispetto ai 60-70mila miliardi del programma iniziale; l'incremento dei titoli in entrata nel portafoglio della Banca centrale a 80mila miliardi di yen all’anno (da 50mila); l'estensione della durata media dei titoli in portafoglio da 7 a 10 anni.
Il governatore Kuroda ha ribadito che l’economia nipponica continuerà nel suo percorso di moderata ripresa, dopo la contrazione nel 2° trimestre dovuta all’aumento della tassa sui consumi, e crescerà nei prossimi anni sopra il proprio potenziale (stimato allo 0,5%): a settembre la produzione industriale e i consumi delle famiglie sono tornati a crescere (+2,7% e +1,5% rispettivamente su agosto) dopo le contrazioni dei mesi estivi.
La borsa di Tokio ha reagito alla notizia con un +4,83% salendo ai massimi da 7 anni, favorita anche dall’indiscrezione che nell’ambito delle riforme contenute nella terza freccia dell’Abenomics il Fondo pensioni pubblico amplierà la propria esposizione al mercato azionario al 25% del portafoglio dall'attuale 12%. Lo yen si è indebolito sul dollaro ai minimi da gennaio 2008.
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Regole numerose e per di più complesse, tempi di risposta lunghi e costi insostenibili caratterizzano il contesto amministrativo in cui operano le imprese italiane e riducono la capacità di crescere del sistema paese.
Nella graduatoria del Doing Business 2015, stilata dalla Banca Mondiale in base ai dati disponibili a giugno scorso, l’Italia è al 56° posto su 189 paesi. Rispetto all’anno scorso perdiamo 4 posizioni (eravamo al 52° se si considera la medesima metodologia usata nell’indagine di quest’anno). Sempre molto indietro rispetto ai principali concorrenti: Stati Uniti (stabile al 7° posto), Regno Unito (8° posto, dal 9° dello scorso anno), Germania (14°, dal 13°), Francia (31°, dal 33°) e Spagna (33°, dal 32°).
Il pesante carico fiscale sulle imprese e il peso delle procedure burocratiche sono le urgenze maggiori che l’Italia deve risolvere. In un anno un’impresa impiega 269 ore di lavoro amministrativo per effettuare 15 pagamenti, che pesano per il 65,4% sul suo profitto (si considerano le imposte pagate da un’impresa tipo sui redditi d’impresa, i contributi sociali e previdenziali e le altre imposte). E su questo tema l’Italia vede nuovamente peggiorare il suo ranking, scendendo al 141° posto dal 137° dello scorso anno. Si aggravano anche le graduatorie relative all’accesso alla rete elettrica, ai rapporti import/export, all’accesso al credito e alle procedure di esigibilità degli obblighi contrattuali. L’unico miglioramento è riscontrabile nella classifica relativa all’avvio di un’impresa (si passa al 46° posto dal 61° dello scorso anno), grazie alla riduzione dei tempi e delle procedure necessarie.
Per maggiori approfondimenti si veda il rapporto DB15 in Documentazione congiunturale.
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Aumenta in ottobre l’indice di fiducia economica della Commissione Europea (da 99,9 a 100,7), riposizionandosi appena sopra il valore medio di lungo periodo. Il risultato è la sintesi di un miglioramento in tutti i settori di attività economica, molto forte nelle costruzioni (+3,1), consistente nei servizi (+1,2), solo marginale nell’industria (+0,4) dove, tuttavia, si registrano valutazioni più positive sia sulle aspettative di produzione, sia sugli ordini. Resta sostanzialmente stabile (+0,3) la fiducia dei consumatori, i cui giudizi sono invariati sulla situazione corrente ma mostrano un po’ più di ottimismo sul futuro.
Tra i maggiori paesi, il sentimento economico peggiora, seppur di poco, solo in Spagna (-0,7). Aumenta in Germania (+0,6), grazie alla maggiore fiducia nelle costruzioni e tra i consumatori, mentre cala per il terzo mese consecutivo quella nell’industria. Per il secondo mese consecutivo sale (di 1,1 punti, a 96,4), la fiducia in Francia, grazie ad un marcato progresso nell’industria; resta, però, a livelli piuttosto depressi e ancora ben lontani dalla media di lungo periodo. In Italia l'indice di fiducia sale a 97,4 da 96,9 con incrementi in tutti i settori e nonostante il leggero arretramento tra i consumatori.
Complessivamente, l’indice rimane di 0,2 punti al di sotto della media del terzo trimestre, su un livello coerente con una crescita nulla del PIL dell’Eurozona nell'ultimo trimestre del 2014.
Il CSC
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Secondo i dati ISTAT pubblicati oggi, in Italia la percentuale di individui a rischio di povertà o esclusione sociale è scesa nel 2013 rispetto al 2012 (28,4% da 29,9%), ma rimane la quota più alta tra i principali paesi dell’Eurozona a eccezione della Grecia (35,7%).
Nonostante il miglioramento dell’indice, l’Italia è ancora molto lontana dagli obiettivi di Europa 2020: nel 2013 le persone a rischio di povertà o esclusione sociale superavano i 17 milioni, il 25% in più rispetto al target europeo.
Gli individui a rischio di povertà o esclusione sociale sono persone che presentano almeno una delle seguenti tre condizioni:
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rischio di povertà dopo i trasferimenti sociali: hanno un reddito equivalente inferiore o pari al 60% del reddito equivalente mediano delle persone residenti;
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forte deprivazione materiale: vivono in una famiglia con almeno 4 dei 9 problemi seguenti: non poter sostenere spese impreviste di 800 euro, non potersi permettere una settimana di ferie all’anno lontano da casa; avere arretrati per mutuo, affitto, bollette o per altri debiti come acquisti a rate; non potersi permettere un pasto adeguato ogni due giorni, cioè con proteine della carne o del pesce (o equivalente vegetariano); non poter riscaldare adeguatamente l’abitazione; non potersi permettere una lavatrice o un televisore a colori o un telefono o un’automobile;
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bassa intensità lavorativa: vivono in una famiglia dove in media gli adulti lavorano meno del 20% del potenziale in un anno.
Nel 2013 la contrazione dell’indice è ascrivibile al calo della quota di persone in famiglie gravemente deprivate (12,4% dal 14,5%); stabile la percentuale di famiglie a rischio di povertà (19,1%) e in lieve aumento quella di chi vive in famiglie a bassa intensità lavorativa (11,0% dal 10,3%).
Modified on by Giovanna Labartino 1379FDD9-4123-BA76-C125-7A2F004E9921 [email protected]
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L’economia globale prosegue lungo le tendenze emerse in estate. Il traino che viene dalla locomotiva americana e dalla Cina, e in generale dall’Asia, rimane potente. Negli USA gli investimenti hanno iniziato a ingranare, gettando le basi per il consolidamento della crescita. La Cina è pilotata verso un atterraggio morbido (sopra il 7%). Nonostante la cattiva performance di Brasile e Russia e le difficoltà di altri mercati, il commercio internazionale è tornato ad accelerare.
L’Eurozona, all’opposto, sta scivolando verso una stagnazione, se non proprio una recessione; la Germania questa volta non fa eccezione e la Francia perde ulteriore terreno. La consapevolezza delle gravi difficoltà nell’Area inizia a essere diffusa, ma mancano il senso dell’urgenza e il consenso sulle misure da intraprendere, proprio quando l’azione della BCE da sola non appare sufficiente ad avviare la ripresa. In questo scenario è arrivata la sorpresa del brusco calo del prezzo del petrolio e di altre importanti commodity; il calo riflette sia la debolezza della domanda sia il forte aumento dell’offerta e favorirà i paesi importatori.
In Italia l’andamento degli indicatori comincia a essere meno uniformemente negativo: anche se gli indici di fiducia sono bassi e l’anticipatore OCSE prefigura un peggioramento della dinamica economica fino a primavera, tuttavia emerge qualche segno di stabilizzazione, in particolare nella produzione industriale. Si sta componendo un mosaico di fattori propizi alla ripartenza nel 2015: la caduta del costo del greggio e la svalutazione dell’euro determinano un aumento del PIL di quasi un punto percentuale; la morsa del credit crunch tenderà ad allentarsi (grazie agli interventi BCE già decisi e al superamento dell’esame dei bilanci bancari). La Legge di stabilità, nella versione concordata con la Commissione, sottrae qualche risorsa rispetto al 2014, ma ha una composizione favorevole alla crescita.
Per maggiori dettagli si veda la Congiuntura Flash di ottobre nella Libreria del CSC.
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Il CSC rileva un incremento della produzione industriale dello 0,2% in ottobre su settembre, quando è stata stimata una variazione di -0,2% su agosto.
La produzione, calcolata al netto del diverso numero di giornate lavorative, in ottobre è diminuita dello 0,9% su ottobre 2013; in settembre si era avuto un calo dell’1,1% sullo stesso mese dell’anno precedente.
Nel terzo trimestre il CSC stima una diminuzione dell’attività dello 0,6% sul precedente (-0,4% nel secondo sul primo). In ottobre la variazione acquisita è di +0,2%.
Gli ordini in volume hanno registrato in ottobre un incremento dello 0,3% su settembre e dello 0,6% su ottobre 2013. In settembre erano aumentati dello 0,1% su agosto e dell’1,6% sui dodici mesi.
Per il quarto trimestre gli indicatori qualitativi mostrano una sostanziale stabilità: nell’indagine ISTAT sulla fiducia presso le imprese manifatturiere il saldo dei giudizi sui livelli di produzione è risalito (-21 da -22 di settembre), attestandosi sui livelli medi del terzo trimestre; anche quello sugli ordini totali è meno negativo rispetto al mese scorso (-25 da -26) grazie alla componente interna (che migliora per la prima volta da giugno), a fronte di una stabilizzazione di quella estera sui bassi livelli di settembre (e dei mesi estivi); le attese di produzione sono invariate (saldo a 2), mentre quelle sugli ordini indicano un marginale recupero.
Il CSC
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L’analisi AQR (asset quality review) realizzata da BCE-EBA sui bilanci delle banche europee mostra che nessuno dei 15 maggiori istituti italiani ha oggi carenza di capitale rispetto agli elevati requisiti minimi considerati (8% per la parte di migliore qualità), una volta verificata la qualità degli attivi e l’adeguatezza della loro valutazione, le garanzie e gli accantonamenti. Tale risultato è stato ottenuto grazie alle misure di rafforzamento patrimoniale realizzate da vari di questi istituti nel 2014 (per 11,1 miliardi totali), che hanno colmato le carenze di capitale riscontrate al dicembre 2013 in 8 banche (per 3,2 miliardi).
Lo stress test BCE-EBA evidenzia una potenziale carenza di capitale per quattro istituti italiani (3,3 miliardi totali), anche dopo i rafforzamenti già realizzati. Conteggiando ulteriori misure avviate da alcuni istituti (per 4,1 miliardi, dati Banca Italia), quelli con residue carenze scendono a due (2,9 miliardi). Questi dati si riferiscono a uno scenario molto sfavorevole (e poco probabile): prolungata recessione dell’economia italiana nel triennio 2014-2016 (-1,1% il PIL in media all’anno) e riacutizzarsi della crisi del debito sovrano (+2 punti sui titoli di Stato italiani). Gli istituti con carenze di capitale nello stress test presenteranno alla BCE piani di rafforzamento entro due settimane, da attuare entro nove mesi, in prima battuta con ricorso a fonti private.
Per gran parte del sistema bancario italiano i risultati BCE-EBA mostrano una situazione favorevole. Anche sotto stress, 13 istituti su 15 avrebbero una eccedenza di capitale (25,1 miliardi totali). La trasparenza sui bilanci bancari ottenuta con queste analisi e la severità dello scenario avverso considerato possono far sì che i risultati, se ben interpretati, accrescano la fiducia nel sistema bancario italiano, favorendo un progressivo allentamento della stretta sul credito (come ipotizzato nelle previsioni CSC). L’effetto positivo su fiducia e credito potrebbe essere limitato da alcuni fattori: perdurante debolezza dello scenario economico complessivo; eventualità di una risposta “irrazionale” dei mercati, originata da una lettura parziale dei risultati; tempi lunghi per la realizzazione dei necessari piani di rafforzamento.
Quel che emerge con chiarezza è che ora non è la scarsità di capitale delle banche a frenare i prestiti alle imprese.
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