Ho letto un interessante articolo di Joseph Stiglitz di qualche giorno fa, in cui il premio Nobel offre il suo punto di vista critico sugli effetti degli accordi di libero scambio commerciale di questi ultimi decenni sul benessere dei cittadini, americani e non solo. Di sicuro è un punto di vista non molto comune nel mondo dell'accademia, e per questo poco condiviso anche a livello di istituzioni internazionali. Siccome però è la diversità che arricchisce il pensiero umano, secondo me, vale la pena condividere il suo pensiero con voi.
Vi copio alcuni passi dell'articolo (apparso Lunedì 24 Marzo su Repubblica).
"Il libero scambio è stato un principio cardine dell'economia nei primi anni di questa disciplina. Sì, vincitori e perdenti esistono, diceva la teoria, ma i vincitori possono sempre risarcire i perdenti, così che il libero commercio sia una soluzione vantaggiosa per tutti. Questa conclusione, purtroppo, si basa su numerosi presupposti, molti dei quali sono semplicemente sbagliati. Teorie più vecchie, per esempio, ignoravano il rischio e presupponevano che i lavoratori potessero passare senza problemi da un posto di lavoro ad un altro. Si presumeva anche che l'economia fosse nella piena occupazione, così che i lavoratori spostati dalla globalizzazione si sarebbero rapidamente mossi da settori a bassa produttività a settori a più alta produttività. (...) Anche nella migliore delle ipotesi, la vecchia teoria del libero commercio diceva soltanto che i vincitori avrebbero potuto risarcire i perdenti, non che l'avrebbero fatto. E così è stato: non l'hanno fatto. Anzi, hanno fatto il contrario affermando che per diventare competitivi in America dovranno ridursi non solo i salari, ma anche le tasse e le spese pubbliche, soprattutto quelle che vanno a sostegno dei normali cittadini. Dovranno accettare di soffrire a breve termine, si dice, affinché nel lungo periodo ne traggano vantaggio. Ma, come disse una volta Keynes, "nel lungo periodo siamo tutti morti". Quando però c'è un livello alto di disoccupazione, e a maggior ragione quando una percentuale consistente di disoccupati resta senza lavoro, una simile compiacenza non ci può essere. (...) Abbiamo gestito male la globalizzazione. Le politiche economiche hanno incoraggiato l'esternalizzazione, l'outsourcing dei posti di lavoro, e le merci prodotte all'estero con manodopera a basso costo possono essere riportare negli Stati Uniti con pochi costi. Così, i lavoratori americani capiscono di competere con quelli all'estero, e il loro potere contrattuale è ridotto. (...) Tenuto conto che la disuguaglianza è la priorità numero uno del paese, ogni nuova politica, ogni nuovo programma, ogni nuova legge dovrebbe essere valutata dal punto di vista del suo effettivo influsso sulla disuguaglianza."