L’economia mondiale è entrata nel 2016 con meno slancio dell’atteso e mostra ulteriori segni di indebolimento. Non nelle parti di fragilità già note (emergenti), ma in quelle con le dinamiche considerate più robuste o in miglioramento (gli avanzati), dai quali arrivano le sorprese negative. Il contagio congiunturale appare estendersi, ancor prima che si materializzino gli effetti della tempesta finanziaria.
Quest’ultima si sta attenuando: alla prolungata e violenta caduta dei prezzi azionari (anche per lo smobilizzo dei fondi sovrani) e delle materie prime è subentrata una fase di alta volatilità senza un preciso trend. La tempesta ha causato una forte restrizione delle condizioni finanziarie (pari a un aumento dei tassi a breve di 1,7 punti percentuali in Italia e di 0,8 in USA) e ha iniziato a intaccare la fiducia.
Cosa seguirà a questa pausa? L’affievolimento della crescita prelude a un ulteriore peggioramento o è momentaneo? L’incertezza rimane molto elevata. Le politiche economiche e la politica tout court non aiutano a dissolverla: i bilanci pubblici restano rivolti a tirare le redini (servirebbe invece un piano coordinato di rilancio degli investimenti); alcune decisioni delle principali banche centrali hanno creato sconcerto (pure per il risicato spazio di manovra rimasto); il referendum su Brexit, la questione migranti e l’instabilità in molti paesi (anche core) annebbiano lo scenario in Europa; la campagna delle presidenziali fa lo stesso negli Stati Uniti.
Negli USA i fondamentali sono nel complesso solidi, sebbene preoccupi la contrazione del manifatturiero. Nell’Eurozona i consumi sostengono la domanda interna, con cambio, tassi e costi energetici ancora favorevoli. L’Italia risente del quadro globale e i dati hanno nuovamente deluso le aspettative positive basate sul netto progresso di indicatori qualitativi e non; banalmente per ragioni aritmetiche, le previsioni sull’anno in corso sono riviste all’ingiù da vari istituti italiani e internazionali.
Il CSC
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In gennaio le esportazioni italiane verso i paesi extra-Ue sono diminuite, in valore, del 6,2% su dicembre (dopo +0,7%). In riduzione tutti i comparti; in particolare risultano in forte contrazione sia le vendite di beni strumentali (-7,8%) sia quelle di prodotti energetici (-28,5%), anche per il crollo del prezzo dell’energia.
Anche le importazioni italiane dai paesi extra-Ue hanno registrato una riduzione a gennaio (-3,6%), determinata quasi completamente dalla caduta degli acquisti di energia; al netto della componente energetica, infatti, la variazione dell’import extra-Ue è pari a -0,5%.
Il risultato negativo dell’export extra-Ue è spiegato sia dal calo delle importazioni di merci italiane da parte dei paesi emergenti sia dalla riduzione di quelle degli Stati Uniti, che erano stati, invece, il mercato di destinazione più dinamico nel 2015. Le prospettive per il primo trimestre dell’anno rimangono deboli: a febbraio sono scesi ulteriormente i giudizi sugli ordini esteri delle imprese manifatturiere, sui livelli minimi da inizio 2015 (-17, da -16 in gennaio).
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La fiducia delle imprese torna a migliorare in febbraio: l’indice composito di sentimento economico è aumentato di 1,7 punti su gennaio, a 103,1 (dopo due cali mensili consecutivi), sospinto dai forti rialzi nelle costruzioni (+4,7 punti) e nel commercio al dettaglio (+4,5); invariata la fiducia nei servizi di mercato.
Nel manifatturiero, invece, l'indice è diminuito di 1,0 punti (quarto calo di fila); tale correzione è da attribuirsi prevalentemente al peggioramento sia dei giudizi sugli ordini esteri sia delle attese (specie quelle sull’economia, il cui saldo è sceso di 6 punti). Sono migliorate, invece, le valutazioni relative alla produzione corrente. Tra i settori il più forte arretramento della fiducia si è avuto nei beni di consumo.
Tra i consumatori l’indice di fiducia aveva raggiunto in gennaio il valore più elevato dall’inizio della rilevazione (1995). In febbraio è stato registrato un netto peggioramento (-4,1 punti, a 114,5, intorno ai livelli dello scorso settembre), dovuto soprattutto alle componenti relative al clima economico (-10,6 punti) e al clima futuro (-6,6). Le valutazioni strettamente connesse alle decisioni di spesa delle famiglie, tuttavia, non sono state intaccate: sono infatti migliorati ancora i giudizi sulla situazione economica della famiglia e sui bilanci familiari. Di contro, sono peggiorate le valutazioni sulle possibilità attuali e future di risparmio, serie affette però da forti oscillazioni mensili.
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In febbraio l’indice IFO, che misura la fiducia delle imprese industriali e dei servizi tedesche, è calato per il terzo mese consecutivo ed è al livello più basso da dicembre 2014 (a 105,7 da 107,3 in gennaio). Il dato, peggiore delle attese degli operatori, è peraltro in linea con la caduta dell’indice ZEW sulla fiducia di investitori e analisti finanziari tedeschi, sceso nello stesso mese di oltre 9 punti (a 1,0 da 10,2).
Il risultato è alquanto preoccupante, anche perché dovuto esclusivamente al forte peggioramento delle prospettive di crescita in tutti i settori (a 98,8 da 102,3), mentre sono migliorati, seppur di poco, i giudizi sulla situazione corrente (a 112,9 da 112,5). Nel manifatturiero, in particolare, si è registrato il maggiore crollo da novembre 2008 delle aspettative di produzione (a -9,0 da +1,2 il saldo delle risposte).
È migliorato leggermente il clima nelle costruzioni (a 0,3 da -0,5), nelle quali l’aumento della percentuale di giudizi positivi sulla situazione corrente, ai massimi storici, ha più che compensato il nuovo calo delle aspettative (il quarto consecutivo).
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In febbraio l’indice di attività PMI composito per l’Eurozona, elaborato da Markit, è sceso a 52,7 (da 53,6 in gennaio), il livello più basso da oltre un anno. Il ritmo di espansione si è ridotto sia nei servizi (indice a 53,0 da 53,6) sia, specialmente, nel manifatturiero, al di sotto della più pessimistica previsione (a 51,0 da 52,3). Inoltre, l’andamento degli ordini, al ritmo più basso da febbraio 2015 (51,6 da 53,0), lascia poco spazio ad aumenti significativi della produzione nei prossimi mesi.
L’ulteriore calo del sottoindice che rileva i prezzi di vendita per i beni e i servizi forniti dalle imprese (a 48,6 da 48,9) conferma la debolezza della domanda. Ciò alimenta le aspettative deflazionistiche e rafforza la convinzione di un ulteriore prossimo allentamento della politica monetaria della BCE.
Frena la crescita in Germania (PMI composito a 53,8 da 54,5), dove prosegue a buoni ritmi l’espansione nei servizi (55,1 da 55,0) ma rallenta significativamente l’attività nel manifatturiero, con il relativo indice vicino alla soglia neutrale di 50 (50,2 da 52,3). Si contrae, seppur di poco, l’attività in Francia (composito a 49,8 da 50,2), per il calo dei servizi (49,8 da 50,3) e nonostante la leggera accelerazione del manifatturiero (50,3 da 50,0).
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Il bail-in aumenta i costi potenziali per i contribuenti rispetto ai tradizionali salvataggi bancari. Il limite all'acquisto di titoli pubblici da parte delle banche farebbe salire il costo del credito e aumenterebbe i divari nella UE. La soluzione della questione delle sofferenze bancarie in Italia è ostacolata dalle norme comunitarie.
Alcune regole per le banche adottate di recente in Europa e altre che sono in discussione, tutte in teoria mirate a rafforzare il sistema bancario e ridurre i rischi per l’economia, sono in realtà controproducenti. Non solo per le economie dei paesi periferici, dove oggi si registrano le maggiori difficoltà, ma anche per quelle dei paesi core, che più hanno ispirato quelle regole.
La proposta di porre un limite all’acquisto di titoli di Stato domestici da parte delle banche non spezza il legame tra debito bancario e debito sovrano. I sistemi bancari restano “nazionali” perché in ogni paese il rendimento dei titoli di stato guida i tassi di medio-lungo termine, in particolare il costo della raccolta bancaria. Inoltre, quel limite non farà fluire più credito all’economia, anzi lo ridurrà.
Le nuove regole per i salvataggi bancari (bail-in), che impongono perdite ad azionisti, obbligazionisti e correntisti sopra i 100mila euro degli istituti in crisi, sono volte a tutelare il contribuente; in realtà, a fronte di difficoltà sistemiche, quadruplicano i costi per i contribuenti.
La grande mole di crediti deteriorati nei bilanci bancari è stata causata dalla lunga e profonda recessione, non da una erogazione di prestiti poco accorta. Un insieme di interventi per liberare subito i bilanci bancari, tra cui la creazione di più società veicolo in cui trasferire le sofferenze, la diluizione delle eventuali perdite in più esercizi e l’accelerazione dei tempi di escussione delle garanzie, è indispensabile per rilanciare il credito e l'economia, ma alcune misure sono ostacolate dalle nuove norme europee. Le garanzie statali a prezzi di mercato non risolvono il problema.
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La produzione nelle costruzioni in Italia è diminuita dello 0,6% in dicembre su novembre, quando era aumentata del 3,0% su ottobre. Seppur con forti oscillazioni mensili, nel quarto trimestre 2015 si è registrato un +1,2% sul terzo, primo incremento dopo otto trimestri. La variazione congiunturale ereditata dal primo trimestre 2016 è di +0,6%.
La dinamica del quarto trimestre è coerente con le valutazioni degli imprenditori del settore (l’indice di fiducia ISTAT si è attestato sui livelli più elevati dall’inizio della crisi). A gennaio 2016 la fiducia è rimasta quasi invariata (indice a 114,6 da 114,8), con giudizi su ordini e piani di costruzione in marginale peggioramento (saldo dei giudizi in calo di due punti su dicembre, a -39), a fronte di un miglioramento delle attese (saldo a -9 da -11).
Ciò segnala che il recupero, seppure moderato, dovrebbe proseguire anche nel corso dei mesi invernali.
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In dicembre le esportazioni italiane sono diminuite dell’1,8% a prezzi costanti rispetto a novembre, a causa del brusco calo delle vendite nei paesi Ue (-4,1%), mentre sono cresciute quelle extra-Ue (+1,3%).
Nel quarto trimestre del 2015 l’export è aumentato dell’1,7% sul terzo (+1,6% intra-Ue e +2,1% extra-Ue). In espansione tutti i comparti: beni di consumo, intermedi, strumentali ed energetici. In media d’anno la crescita si attesta al 3,6%, meno di quanto previsto dal CSC in dicembre (+3,9%). Anche le importazioni sono calate in dicembre (-2,1%), registrando comunque +1,2% nel quarto trimestre e +8,0% nel 2015.
I dati negativi del commercio estero italiano in dicembre sono coerenti con quelli registrati nei principali partner europei (Germania e Francia). A inizio 2016 rimangono positive, ma in peggioramento, le prospettive per l’export italiano, secondo gli indicatori qualitativi sugli ordini esteri nel manifatturiero (PMI e giudizi delle imprese), che a gennaio sono scesi sui valori minimi da circa un anno.
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A febbraio l’indice ZEW, che rileva la fiducia di investitori e analisti finanziari tedeschi, è sceso per il secondo mese consecutivo, attestandosi a quota 1,0 (da 10,2 in gennaio), peraltro in linea con le attese di un valore pari a zero. Oltre al peggioramento delle prospettive, sono diventati più negativi i giudizi degli operatori sulla situazione economica corrente (con il relativo indice in calo di 7,4 punti) e sull’economia dell’Eurozona (in calo di 9,1 punti).
I risultati del sondaggio sono stati fortemente influenzati dai timori per il rallentamento dell’economia globale e dall’incertezza circa le ripercussioni sui mercati finanziari del continuo calo del prezzo del petrolio. Questi fattori, insieme alle ripetute cadute delle quotazioni di borsa, frenano significativamente la crescita dell’economia tedesca e dell’Eurozona.
Aumentano, inoltre, i dubbi degli investitori sull’effettiva capacità della BCE di trovare gli strumenti adeguati a rilanciare la crescita nell’Eurozona.
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Il PIL nipponico si è contratto nel 4° trimestre 2015 al tasso annualizzato dell’1,4% (stima preliminare), a causa soprattutto del calo dei consumi (-3,3%). È proseguita l’alternanza tra variazioni positive (1° e 3° trimestre 2015) e negative (2° e 4°) dell’economia che ha caratterizzato il 2015: la variazione sull’intero anno è stata pari al +0,4%.
Nonostante la performance negativa del PIL, l’indice Nikkei della Borsa di Tokio è rimbalzato del 7,2% (-11,1% la settimana scorsa), sull’onda della chiusura positiva di Wall Street venerdì scorso, della riapertura solo moderatamente negativa del mercato azionario cinese (dopo la settimana di stop per il Capodanno lunare), della rivalutazione dello yuan decisa dalla Banca Popolare Cinese e del deprezzamento per il secondo giorno consecutivo dello yen (che aveva toccato giovedì scorso il massimo da 15 mesi sul dollaro).
La performance negativa del PIL e la dinamica asfittica dell’inflazione (core a +0,1% annuo a dicembre) potrebbero convincere le autorità a stimoli di bilancio e monetari. La Bank of Japan, che a fine gennaio ha annunciato l’introduzione di tassi negativi sui depositi delle banche contribuendo peraltro ad alimentare la volatilità sui mercati, ha segnalato la disponibilità ad allargare il programma di acquisto di titoli e a ridurre ulteriormente i tassi.
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