In novembre l’indice IFO sulla fiducia delle imprese industriali e dei servizi tedesche è sensibilmente aumentato rispetto ad ottobre (109 da 108,2). Sono, infatti, migliorati sia giudizi sulla situazione economica corrente (di 0,7 punti) sia le aspettative a breve termine (di 0,8). Per il momento la fiducia delle imprese tedesche sembra non risentire eccessivamente né del rallentamento della crescita delle economie emergenti né degli scandali Volkswagen e Deutsche Bank. È ancora presto per valutare appieno se vi saranno ripercussioni per i recenti attacchi terroristici in Francia.
Maggiore ottimismo in tutti i settori: il saldo delle risposte, tra chi vede un miglioramento e chi un peggioramento, passa da 9,7 a 12,1 nel manifatturiero, da 0,7 a 2,6 nelle costruzioni e sale al massimo storico nel terziario (a 33,4 da 32,5).
Ciò conferma che il fattore trainante dell’economia tedesca resta la domanda interna. I consumi delle famiglie, aumentati dello 0,6% nel terzo trimestre, sono sostenuti da un’occupazione record, forti aumenti salariali, bassa inflazione e bassi tassi di interesse. Anche la spesa pubblica, aumentata dell’1,3% nello stesso periodo, contribuirà in modo significativo alla crescita nei prossimi trimestri, in particolare per gli stanziamenti previsti per i nuovi immigrati.
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Il commercio mondiale è tornato a crescere in settembre (+0,5% in volume su agosto), dopo due cali mensili consecutivi. Nella media del terzo trimestre registra un aumento dell’1,1% sul secondo, la prima variazione trimestrale positiva dell’anno. La crescita acquisita nel 2015 rispetto al 2014 è pari allo 0,8%, nettamente inferiore a quella degli ultimi anni.
Ha pesato, in particolare, la debolezza della domanda dei paesi emergenti. Le loro importazioni, seppure in parziale recupero nel terzo trimestre (+1,8% sul secondo), sono cadute del 2,5% nei primi nove mesi dell’anno rispetto al 2014.
Prospettive migliori per la fine del 2015 vengono dalla componente ordini esteri del PMI globale, tornata in ottobre, dopo quattro mesi, in territorio espansivo (51,2). Tuttavia, deludono le aspettative i valori di import ed export di Stati Uniti e Cina in ottobre (in calo rispetto a settembre).
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Secondo il CSC (nell’analisi contenuta in Scenari Industriali), l'industria manifatturiera italiana ha finalmente cominciato a risalire la china, anche se con un passo ancora lento e molto disomogeneo tra i suoi comparti (+2,3% negli ultimi undici mesi). È un nuovo inizio che si innesta su cambiamenti strutturali nella globalizzazione.
Si stanno esaurendo gli effetti di shock storici e tecnologici irripetibili: l'apertura al capitalismo di una parte significativa del mondo, l'ingresso della Cina nel WTO e la rivoluzione dell'ICT. Inoltre, le nuove politiche industriali nel mondo avanzato puntano a rivalorizzare il ruolo del manifatturiero e l'esperienza ha spinto molte imprese a un ripensamento dell'organizzazione della produzione su scala globale. Infine, è finita la stagione delle grandi liberalizzazioni multilaterali degli scambi.
Si stanno stabilizzando le quote mondiali di produzione manifatturiera. Nella classifica redatta annualmente dal CSC, l'Italia si conferma ottava potenza industriale davanti alla Francia, con una quota globale del 2,5%. Al vertice Cina (che continua a guadagnare quote) e Stati Uniti, mentre la Germania è quarta.
Il manifatturiero italiano riparte da basi solide: una propensione a investire delle sue imprese tra le più alte al mondo, nonostante la ridotta capacità di spesa dovuta alla crisi; una forte propensione a innovare, in alcuni campi superiore anche alla Germania; una produzione molto articolata dal punto di vista merceologico; esportazioni di eccellenza, seconde al mondo solo alla Germania (in base al Trade Performance Index).
Restano i nodi di una redditività ai minimi, erosa anche da dinamiche delle retribuzioni slegate dalla produttività, e dell'assenza di un disegno organico di politica industriale. Preoccupa poi il crescente divario industriale tra Nord e Sud del Paese.
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Negli ultimi due anni il nostro paese migliora la sua posizione nelle graduatorie dei principali indicatori globali di competitività: Global Competitiveness Index (GCI) del World Economic Forum (WEF), World Competitiveness Scoreboard (WCS) dell’IMD, l’Index of Economic Freedom (IEF) elaborato dalla Heritage Foundation in collaborazione con Wall Street Journal e infine l’indice del Doing Business (DB) della World Bank. Tutti gli sforzi fatti in questi ultimi anni per migliorare l’efficienza economica del paese attraverso soprattutto le riforme istituzionali attuate hanno contribuito ad accorciare le distanze con i grandi paesi industrializzati, sebbene gli indicatori di competitività evidenziano ancora importanti gap da colmare.

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Secondo l’indagine qualitativa di Banca d’Italia, le banche hanno proseguito nel terzo trimestre 2015 l’attenuazione della stretta dell’offerta di credito alle imprese. In particolare, gli istituti hanno ridotto i margini di interesse applicati e allentato, di poco, il giro di vite sui volumi e sulle scadenze. I criteri per la concessione di prestiti, comunque, restano molto stretti.
Le banche hanno giudicato, nel terzo trimestre, la loro situazione patrimoniale e di liquidità oltre che la loro capacità di raccolta sui mercati come più favorevoli alla concessione di prestiti. L’allentamento, parziale, della stretta d’offerta è stato favorito anche da migliori percezioni circa l’andamento dell’economia e da una riduzione, marginale, dell’avversione al rischio.
Nel terzo trimestre si è registrato, inoltre, un nuovo aumento della domanda di credito da parte delle imprese, dopo quello del secondo trimestre. Crescono, in particolare, le richieste di fondi per finanziare nuovi investimenti produttivi, oltre che per scorte e capitale circolante.
Le favorevoli indicazioni provenienti dai dati qualitativi, tuttavia, non si sono ancora riflesse in un’inversione di tendenza dello stock di prestiti erogati alle imprese, in calo nel terzo trimestre. Un’offerta meno stretta e una domanda in recupero, però, giustificano la previsione di fine caduta del credito entro l’anno e di una graduale e lenta risalita nel corso del 2016.
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I rendimenti dei BOT italiani sono scesi a valori negativi: nell’asta dell’11 novembre il titolo a 12 mesi è stato assegnato al -0,03% (da 0,02% in ottobre), quello a 6 mesi al -0,06% in ottobre (da 0,02% a settembre). I rendimenti dei BTP restano positivi, ma sono storicamente bassi: 0,25% in asta a ottobre quello a 3 anni, 1,48% quello a 10 anni (rimbalzato a novembre a 1,65%).
Le famiglie italiane non sono più attratte dai BOT. Lo stock di titoli pubblici a breve nel loro portafoglio, infatti, si sta rapidamente assottigliando: 6 miliardi di euro nel 2° trimestre 2015, cioè anche prima che i rendimenti divenissero negativi, da 36 a inizio 2012 (picco a 109 miliardi nel 2008). Anche lo stock di titoli pubblici a medio-lungo termine (esclusi i CCT) in mano alle famiglie è sceso: 121 miliardi a metà 2015, da 179 un anno prima (picco a 256 nel 2005).
La ricchezza finanziaria delle famiglie, nel complesso, è in crescita: 4.018 miliardi nel 2° trimestre 2015, da 3.557 a fine 2011. Viene dirottata su altri strumenti, diversi dall’acquisto diretto di titoli pubblici: le riserve ramo vita e i fondi pensione sono saliti a 800 miliardi di euro nel 2° trimestre 2015 (da 642 a fine 2011), le quote di fondi comuni a 437 miliardi (da 240).
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Negli USA l’occupazione non agricola è aumentata di 271mila unità in ottobre, ben oltre le più ottimistiche aspettative degli analisti, dopo due mesi di incrementi piuttosto moderati (+153mila e +137mila unità in agosto e settembre, rispettivamente) che avevano sollevato qualche dubbio sulla solidità della crescita economica.
Benché sceso di un solo decimo di punto, per il contemporaneo aumento della forza lavoro (+313mila unità), il tasso di disoccupazione è ora al livello più basso dal novembre 2007 (5,0%). Ciò, insieme all’aumento dei salari orari (+0,4% su settembre, +2,2% annuo) potrebbe risultare determinante nella decisione della Fed di procedere all’aumento dei tassi di interesse nella prossima riunione di dicembre.
I dati sull’occupazione in ottobre confermano che l’espansione USA è trainata dalla domanda interna e si aggiungono a quelli molto positivi sulle vendite di auto, che sono salite a 18,2 milioni di unità (dato mensile annualizzato), il massimo da luglio 2005. Il rallentamento del manifatturiero (indice PMI a 50,1 in ottobre, da 50,2 in settembre, appena sopra la soglia neutrale di 50), che risente degli effetti sulle esportazioni della frenata delle economie emergenti e del dollaro forte, è più che compensato dall’ulteriore accelerazione dei servizi (PMI a 59,1 da 56,9, non lontano dai massimi storici) dove, in alcuni comparti, quali il commercio all’ingrosso, l’attività continua a crescere a ritmi record.
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In settembre le esportazioni italiane sono aumentate dell’1,7% a prezzi costanti rispetto ad agosto, grazie al rimbalzo parziale delle vendite nei paesi extra-Ue (+5,3%, dopo -7,9% nel mese precedente), mentre quelle nei paesi Ue si sono ridotte dell’1,0% (dopo +1,4%). Tutti i comparti sono in crescita, a eccezione di quello energetico (-4,7%); al netto dell’energia, l’export è aumentato dell’1,9%.
Nella media del terzo trimestre, tuttavia, le esportazioni registrano una riduzione dell’1,5% rispetto al secondo, con una stagnazione delle vendite verso l’Ue (+0,1%) e una caduta di quelle verso i paesi extra-Ue (-3,6%, il calo più forte da inizio 2009).
Anche le importazioni sono aumentate in settembre (+1,5% su agosto) ma si sono ridotte, in media, nel terzo trimestre (-0,7% sul secondo), riflettendo la debolezza delle esportazioni.
In ottobre sono migliorati gli indicatori qualitativi sugli ordini esteri nel manifatturiero (PMI e giudizi delle imprese), segnalando prospettive positive per l’export italiano per la fine dell’anno, anche grazie all’attesa normalizzazione (a bassi ritmi) degli scambi globali.
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Il CSC rileva un incremento della produzione industriale dello 0,4% in ottobre su settembre, quando c’è stato un progresso dello 0,2% su agosto, comunicato oggi dall’ISTAT.
Nel terzo trimestre 2015 l’attività è aumentata dello 0,4% sul precedente (quarto incremento consecutivo). Il quarto 2015 eredita una variazione congiunturale di +0,4%.
Le indagini qualitative presso le imprese manifatturiere delineano un’accelerazione nei mesi autunnali: secondo i direttori degli acquisti (indagine PMI Markit) in ottobre gli ordini sono aumentati per il nono mese consecutivo e a un passo più veloce (indice a 55,3 contro 53,9 di settembre); indicazioni analoghe vengono dall’indagine condotta dall’ISTAT.
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L’indice ZEW che rileva il sentimento economico di investitori e analisti tedeschi è risalito, per la prima volta dopo sette mesi di cali consecutivi, a 10,4 in novembre (da 1,9 in ottobre). Restano pressoché invariati i giudizi sulla situazione economica corrente, il cui saldo è sceso di appena 0,8 punti (a 54,4). Non sembrano avere aumentato, per ora, il pessimismo degli analisti i recenti attacchi terroristici in Francia.
L’elevato livello dei consumi, che beneficiano dei forti aumenti di potere d’acquisto delle famiglie e del buon andamento dell’occupazione, l’ulteriore indebolimento dell’euro, che riduce l’effetto negativo del rallentamento delle economie emergenti sull’export tedesco, e la solidità della crescita americana sono i principali fattori che, secondo molti degli intervistati, contribuiranno a sostenere l’economia tedesca.
Per quanto riguarda l’Eurozona, migliora il giudizio degli operatori tedeschi sulla situazione corrente, con l’indice che risale a -10 (da -11,2), ma peggiorano le aspettative di crescita (da 30,1 a 28,3).
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