E' uscito di recente un working paper del FMI, a cura di A. Tiffin, che guarda alla performance sui mercati esteri dell'industria italiana e che ci restituisce un quadro complessivamente positivo di questa fetta di sistema produttivo. Un quadro assolutamente in linea con le analisi svolte in questi anni dal CSC, non da ultimo nel rapporto di giugno di Scenari Industriali.
L'analisi si prefigge di spiegare l'apparente incongruenza che c'è tra l'andamento degli indicatori tradizionali di performance, basati su stime del costo del lavoro (Unit Labor Cost) e di prezzo del prodotto, che vedono l'Italia in svantaggio rispetto ai principali competitor, e le quote di mercato dell'export italiano che, anche negli anni della crisi, hanno retto bene, anche in termini di composizione merceologica. La spiegazione, variamente documentata nel testo, è che non solo le imprese italiane sono riuscite a non ribaltare per intero gli aumenti di costo sui prodotti venduti, facendo anche leva su prezzi in calo degli input importati, rimanendo così competitivi sui prezzi finali, ma anche e soprattutto che esse sono riuscite a migliorare la qualità dei prodotti offerti, svincolandosi da una pura competizione di prezzo, e a posizionarsi su mercati con buone prospettive di crescita.
Nello stesso documento non mancano comunque delle note di preoccupazione. In particolare, si segnala la perdita di quote di export nei settori presidiati da fornitori specializzati, ossia lì dove l'industria italiana ha storicamente uno dei suoi punti di forza. In questo caso, i problemi principali sembrerebbero legati ad una scarsa competitività del sistema paese, piuttosto che a carenze imprenditoriali.
Per concludere, una breve riflessione. Come scritto in precedenza, l'analisi si focalizza esclusivamente su quella parte di imprese che è presente sui mercati esteri con i propri prodotti. Ossia, quasi per definizione, sulle imprese più strutturate e innovative del nostro paese. I grandi vuoti produttivi lasciati dalla crisi, purtroppo, sappiamo essere in larga parte concentrati tra quelle imprese che avevano nel mercato interno il principale sbocco commerciale. Il messaggio che se ne trae è quindi che: le imprese di testa, nonostante in parte azzoppate da un sistema paese inadeguato, sono ancora in larga parte competitive, anzi, vanno complessivamente meglio delle cugine francesi e inglesi e quasi allo stesso passo di quelle tedesche. Dietro di esse, però, non c'è da stare tranquilli...
Qui sotto il link da cui è possibile scaricare il documento originale:
http://www.imf.org/external/pubs/ft/wp/2014/wp1479.pdf
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Il dato finale del PMI HSBC manifatturiero cinese conferma che il settore ha continuato a espandersi nel mese di settembre anche se a un ritmo modesto: 50,2 come in agosto e giù rispetto al 50,5 della stima flash. L'analisi delle componenti del PMI mostra che la produzione è aumentata al ritmo più lento nell'attuale sequenza espansiva che dura da 4 mesi (51,3), mentre la componente ordini esteri ha toccato il massimo da marzo 2010, a conferma che in questo momento l'economia cinese soffre per la debolezza della domanda interna piuttosto che di quella estera. Secondo il chief economist di HSBC i dati di settembre suggeriscono che l'attività manifattuirera continua ad espandersi a un ritmo lenti, esistono ancora rischi al ribasso per la crescita e necessitano politiche monetarie e fiscali più accomodanti.
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Domani gli scozzesi saranno chiamati a rispondere alla domanda “Should Scotland be an independent country?” nel referendum che potrebbe mettere fine all'unione, vigente dal 1707, quando il Regno di Inghilterra e quello di Scozia si convertirono nel Regno Unito di Gran Bretagna (poi divenuto nel 1927 Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord). Sono ammessi a votare i residenti in Scozia di nazionalità britannica, irlandese e di paesi dell'UE e del Commonwealth, di 16 o più anni. Gli ultimi tre sondaggi, degli istituti ICM, Survation e Opinium, hanno presentato un leggero vantaggio per i sostenitori del "Better Together": il 52% degli intervistati ha dichiarato che voterà NO e il 48% YES. Dopo aver per lungo tempo rincorso da lontano, il fronte del SI all'indipendenza aveva messo la testa avanti nei sondaggi del 2-5 settembre. Tuttavia, le promesse di una maggiore autonomia in materia fiscale e di welfare e di una diversa ripartizione della spesa pubblica fatte dal premier britannico Cameron e il rinnovato schieramento di tutto l'establishment britannico, incluso l'ex primo ministro Gordon Brown (scozzese di nascita), a favore del NO hanno riportato avanti i sostenitori degli unionisti. Conta la percezione della propria situazione futura: dai sondaggi risulta in salita la percentuale di coloro che pensano che la loro situazione economica e finanziaria sarà peggiore nel caso di vittoria dei SI, eventualità che darebbe slancio ad altri movimenti indipendentisti esistenti nell'Unione europea (Catalogna in Spagna, Fiandre in Belgio, ecc.) e aprirebbe la questione di una eventuale adesione della Scozia indipendente all'UE. Il presidente dell'esecutivo comunitario Manuel Barroso ha detto che per una Scozia indipendente aderire all'Unione sarebbe "estremamente difficile se non impossibile"; la presa di posizione è sembrata a molti il tentativo di indurre gli scozzesi, ed altri, ad abbandondare la via dell'indipendenza.  
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Brusco arretramento della produzione industriale in luglio: l’ISTAT ha rilevato una contrazione dell’1,0% su giugno (quando era aumentata dello 0,8% congiunturale). La variazione acquisita (ovvero quella che si avrebbe nel terzo trimestre se in agosto e settembre l’attività registrasse una crescita nulla) è di -0,9%; con un abbrivio così negativo, pur non escludendo un rimbalzo tecnico in agosto, l’attività nel terzo trimestre registrerà - con molta probabilità – una nuova contrazione, dopo -0,4% nel secondo e -0,1% nel primo (rivisto dal +0,1% comunicato il mese scorso).
Per i prossimi mesi le valutazioni degli imprenditori (indagine ISTAT sulle imprese manifatturiere) e dei direttori degli acquisti (indagine PMI) sono improntate a un maggiore pessimismo e ciò non lascia intravedere un’inversione di tendenza positiva in autunno.
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Peggiora più delle attese la dinamica del settore terziario italiano in agosto, in linea con quanto era già emerso nel manifatturiero. L’indice PMI nei servizi è sceso di tre punti su luglio, attestandosi a 49,8, sotto la soglia di neutralità di 50 dopo quattro mesi in territorio espansivo. Tale dinamica conferma i segnali di debolezza della domanda interna già evidenziati anche nelle indagini qualitative ISTAT condotte presso famiglie e imprese.
Il peggioramento del PMI dei servizi è dovuto principalmente al calo della componente ordini, il cui indice si è portato in area di contrazione (49,7 da 53,2) per la prima volta da dicembre 2013. Tra le imprese intervistate è stato rilevato il proseguimento di una marginale riduzione dei livelli occupazionali (49,7 da 49,5 in luglio) in atto ormai da più di tre anni; in forte calo le tariffe applicate (indice a 46,2 da 47,5), a conferma dell’intensificarsi di pressioni a ribasso sui prezzi, motivate dalle imprese con la necessità di incrementare le vendite.
Il PMI composito (un indicatore che sintetizza la dinamiche nel manifatturiero e nei servizi) è sceso in agosto a 49,9 (da 53,0), segnalando una sostanziale stagnazione dell’attività dopo otto mesi nei quali aveva indicato un recupero.
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Secondo calo mensile consecutivo dell’indice di fiducia delle imprese, sceso in settembre a 86,6 da 88,1, per effetto del peggioramento rilevato in tutti i settori : la flessione più marcata si è avuta nel commercio al dettaglio (-5,2 punti da agosto), -2,5 punti nei servizi di mercato, -1,3 nelle costruzioni.
Nel manifatturiero la fiducia è diminuita di 0,3 punti (indice a 95,1), in arretramento per il quarto mese consecutivo (-4,5 punti da maggio) con giudizi più sfavorevoli sui livelli di produzione (saldo a -22 da -21).
Le prospettive per l’attività nel quarto trimestre non sono positive: per il terzo mese di fila sono peggiorati gli ordini totali (saldo dei giudizi a -27 da -25, sui livelli di un anno fa) in conseguenza di una valutazione più negativa di entrambe le componenti delle domanda (il saldo dei giudizi è diminuito di 2 punti sia per la domanda interna sia per quella estera per la quale, invece, il mese scorso era migliorato). Sono peggiorate anche le attese di ordini, mentre è stato rilevato un marginale miglioramento di quelle sulla produzione.
Le prospettive sull’evoluzione della domanda interna a fine anno restano ancora negative o, quantomeno, molto deboli: il saldo dei giudizi sugli ordini interni dei produttori di beni di consumo, un indicatore che anticipa la dinamica della spesa delle famiglie, è in calo da giugno e in settembre ha perso 2 punti (-8 punti cumulati in quattro mesi; saldi delle risposte a -34 nel terzo trimestre da -29 nel secondo); quello dei produttori dei beni strumentali, che indica la tendenza della spesa per investimenti, è più alto in settembre (saldi a -37 da -40) e nel terzo trimestre (-38 da -39).
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Il PMI manifatturiero italiano, un indice che riflette le condizioni operative nel settore, è salito in settembre a 50,7, in area di espansione (cioè al di sopra della soglia di 50 che indica nessuna variazione congiunturale) dopo il 49,8 toccato in agosto (minimo da giugno 2013). Il recupero è guidato principalmente dal miglioramento degli indicatori relativi alla produzione (indice a 51,4 da 50,3) e all’occupazione (51,0 da 49,0). È invece calato l’indice relativo alla componente ordini (50,2 da 50,9, minimo da 15 mesi), che indica in settembre una sostanziale stagnazione della domanda e non preannuncia miglioramenti dell’attività in autunno. A spingere al ribasso l’indicatore è la componente interna della domanda, essendo invece in accelerazione quella estera (54,1 da 53,0) grazie alle maggiori commesse provenienti dai paesi extra-UE.
Il PMI manifatturiero ha registrato un valore medio di 50,8 nel terzo trimestre, da 53,3 nel secondo; l’indice della componente produzione è sceso a 51,8 (da 55,8), quello relativo agli ordini a 51,1 (da 54,2). Il PMI segnala nei mesi estivi un marginale incremento dell’attività (più contenuto rispetto a quello che era indicato nel trimestre precedente). C’è da rilevare, però, che nel corso della seconda recessione questo indicatore non è stato coerente con i dati effettivi: la produzione infatti è calata nei primi due trimestri mentre il relativo PMI segnalava variazioni positive, anche significative (specie in primavera). La dinamica del PMI non contrasta dunque con le stime CSC (diffuse ieri) di una contrazione dell’attività anche nel terzo trimestre, più profonda di quella rilevata nel secondo (-0,5% dal -0,4%).
Il PMI manifatturiero sorprende negativamente in Germania, dove l’indice è calato poco sotto 50 (49,9 da 51,4, minimo da 15 mesi) segnalando un peggioramento delle condizioni nel settore. Frena l’incremento della produzione, il cui relativo indice è sceso a 51,0 (da 51,5); mentre è stata rilevata una contrazione della domanda, con l’indice dei nuovi ordini sceso a 48,0 (da 51,1), in gran parte attribuibile alla componente interna; gli ordini esteri risultano in lieve incremento, ma meno ampio di quello rilevato in agosto (50,3 da 51,3), specie per le conseguenze della crisi russo-ucraina, che ha generato una maggiore incertezza, e dell’embargo russo su alcuni prodotti.
In Francia si attenua la contrazione nel manifatturiero (PMI a 48,8 da 46,9), specie per effetto di un parziale miglioramento degli indici relativi alle componenti produzione (48,4 da 45,8), ordini (46,9 da 44,6) e occupazione (48,2 da 45,9). Le prospettive rimangono ancora negative.
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A luglio il commercio mondiale in volume cresce dell’1,4% su giugno, accelerando rispetto a giugno (+0,3% su maggio). Le due componenti, esportazioni (+2,3% luglio su giugno) e importazioni (+0,6%), tornano in territorio positivo. Gli scambi internazionali dei paesi avanzati crescono in tutte le aree e per entrambe le direzioni, ad eccezione delle importazioni giapponesi (-1,6%). Le esportazioni delle economie emergenti rafforzano la crescita al +3,3% mentre i loro acquisti dall’estero stagnano (-0,2%) a causa della riduzione delle importazioni dell’Europa Centro-Orientale (-2,4%) e di quelle dell’Africa e del Medio Oriente (-1,1%). Le tensioni geopolitiche nell’area e le sanzioni commerciali imposte in Russia e Ucraina pesano sui loro acquisti dall’estero.
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In onore di Jean-Paul Fitoussi, macroeconomista francese da sempre voce fuori dal coro nel panorama accademico internazionale, il premio nobel Joseph Stiglitz ha scritto un interessantissimo working paper (che trovate allegato in fondo a questo testo), in cui non solo smonta gran parte delle "fashionable" macro-theories (à la Alesina-Giavazzi tanto per intenderci) utilizzate ancora oggi a livello europeo per guidare la politica economica comunitaria, ma offre anche delle risposte all'attuale crisi che vi invito a leggere. Si tratta di un articolo accademico, non sempre facile da capire per chi non è esperto di macroeconomia.
Quoto solo un capoverso, in cui mette in guardia da misure fiscali di riduzione della spesa pubblica volte a rilanciare l'economia attraverso una minor pressione fiscale sulle imprese:
"There have been some discussions of instances in which government cutbacks have been associated with economic expansion. Some have suggested that these benefits arise from supply-side responses (e.g., as a result of the lower tax rates, now or in the future, there is a negative balanced-budget multiplier). But in situations such as the current one, where aggregate demand is limiting output, supply-side responses can even increase unemployment and have an adverse effect on output: the downward pressure on wages shifts the distribution of income towards profits, lowering aggregate demand. This suggests that the few instances of government cutbacks bringing on expansion must be special and peculiar. And indeed that is the case: they happened in small countries that had the good fortune to have exports expand more than enough to fill the gap in aggregate demand caused by reduced government expenditures."
Buona lettura!
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In linea con la caduta della produzione industriale, in luglio il fatturato totale (a prezzi correnti) è diminuito dell’1,0% congiunturale, per effetto di un calo sia nel mercato interno (-1,4%) sia in quello estero (-0,9%). Dal livello massimo in due anni raggiunto a gennaio, il fatturato totale ha perso il 3,2%. La domanda interna risulta la componente più debole: -3,5% negli ultimi sette mesi (-2,8% quella estera).
Stando agli ordinativi, le prospettive per l’attività nei prossimi mesi sono in peggioramento: gli ordini totali sono diminuiti negli ultimi tre mesi (-5,2% cumulato, -1,5% in luglio su giugno), con un calo di entrambe le componenti (-1,1% la domanda interna e -10,3% quella estera).
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