Come per la voce del blog dedicata all'Industria 4.0, anche per il tema del Reshoring ho pensato di condividere con tutta la comunità Mentinsieme questo breve documento. Spero torni utile alla discussione.
Da quando, nel 2011, il documento “Made In America, Again” - redatto da BCG - ha evocato la possibilità di una rinascita industriale degli Stati Uniti trainata, almeno in parte, da un rientro in patria di produzioni manifatturiere precedentemente delocalizzatesa la scelta iniziale di delocalizzazione. A questo si è affiancato l’aumento del prezzo del petrolio nell’ultimo quindicennio che ha contributo in modo significativo ad elevare i costi di trasporto, soprattutto per le merci più pesanti e voluminose. Queste due ragioni congiuntamente hanno determinato nel corso del tempo la riduzione del differenziale di costo tra la produzione realizzata nel paese di origine e quella nel paese beneficiario della delocalizzazione. Da sole possono aver determinato in alcuni casi un vero e proprio reshoring, ma più probabilmente hanno spinto verso un nearshoring della produzione, ossia la localizzazione della produzione in un altro paese a basso costo della manodopera ma più vicino al paese di origine della multinazionale.
Sulla scelta di riportare “a casa” la produzione hanno poi inciso in modo decisivo anche la crescente velocità con cui molti prodotti nei mercati dei paesi avanzati esauriscono il proprio ciclo di vita e la forte domanda di personalizzazione degli stessi. Entrambi i fattori hanno infatti ridotto i vantaggi di costo resi possibili da produzioni delocalizzate altamente standardizzate e su larga scala, richiedendo al contrario una rapida risposta da parte dei produttori che la vicinanza tra headquarters e stabilimenti produttivi favorisce, attraverso una riduzione dei costi di progettazione e sviluppo del prodotto e di coordinamento tra le varie fasi del processo. Inoltre, la vicinanza fisica tra luoghi di produzione e di progettazione, favorendo la trasmissione di saperi taciti all’interno dell’impresa, può diventare strategica per preservare e sviluppare le conoscenze tecniche detenute, e così competere con successo nei mercati[2].
Non tutte le produzioni, soprattutto manifatturiere, si prestano quindi a rientrare con profitto nel mondo avanzato. In generale, la possibilità di accrescere il valore aggiunto attraverso una migliore progettazione del prodotto e una sua più rapida commercializzazione, nonché la vicinanza fisica con il mercato di sbocco o con fornitori strategici rappresentano le principali variabili che posso spingere un’impresa ad attuare strategie di reshoring.
Questi stessi fattori che spingono alcune imprese verso politiche di reshoring sono anche all’origine di una maggiore domanda di beni intermedi a favore di imprese fornitrici localizzate nelle economie avanzate. A livello aggregato, infatti, un rimpatrio di produzioni prima delocalizzate si realizza non solo attraverso scelte di investimento intra-gruppo ma anche preferendo il mercato domestico per l’approvvigionamento degli input intermedi. L’evidenza empirica su quest’ultimo punto è, se possibile, ancora più scarna rispetto a quella già limitata che riguarda il reshoring in senso stretto, ma non per questo meno rilevante. Anzi, stante il forte grado di frammentazione del processo produttivo raggiunto in tutte le principali economie avanzate, è molto probabile che, qualora osservato, una parte significativa del rimpatrio di produzione assumerebbe la forma di una transazione di mercato rivolta non più a fornitori esteri bensì domestici.
Infine, è importante sottolineare come il reshoring, anche nella sua accezione più ampia, non sia strettamente legato ad un contemporaneo ridimensionamento della produzione nel paese di destinazione dell’iniziale delocalizzazione. Infatti, lo sviluppo industriale all’interno del mondo emergente ha innescato nel tempo una crescente domanda endogena di beni e servizi, che richiede anche una capacità produttiva in loco. In questo senso, il reshoring rientra all’interno di una logica di riposizionamento produttivo su scala internazionale, in cui un maggior peso, rispetto anche al recente passato, è attribuito dalle imprese alla vicinanza della produzione con il mercato di sbocco.
Riferimenti bibliografici
BCG (2011). “Made in America, again. Why manufacturing will return to the U.S”.
BCG (2012). “More than a third of large manufacturers are considering reshoring to the U.S”.
CBI/Millward Brown (2014). “Securing a global future for Britain in a reformed EU. Reshoring within the European Union”.
CSC (2011). “Effetti della crisi, materie prime e rilancio manifatturiero. Le strategie di sviluppo delle imprese italiane”. Scenari Industriali n. 2.
CSC (2013). “L’alto prezzo della crisi per l’Italia. Crescono i paesi che costruiscono le condizioni per lo sviluppo manifatturiero”. Scenari Industriali n. 4.
CSC (2014). “In Italia la manifattura si restringe. Nei paesi avanzati le politiche industriali puntano sul territorio”. Scenari Industriali n. 5.
Fratocci L., Barbieri P., Di Mauro C., Nassimbeni G., Vignoli M. – Uni-CLUB (2014). “Manufacturing back-reshoring – An explanatory approach for hypothesis development”, working paper.
Pisano G.P., Shih W.C. (2009). “Restoring American competitiveness”, Harvard Business Review, July-August
Pisano G.P., Shih W.C. (2012). “Producing prosperità. Why America needs a manufacturing Renaissance”, Cambridge: Harvard Business Review Press.
Statistiche WTO: http://www.gatt.org/trastat_e.html
[1] Per un’analisi approfondita su questi temi si rimanda ai volumi 4 e 5 del rapporto Scenari Industriali.
[2] Su questo punto si rimanda al volume 2 del rapporto Scenari Industriali.
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Il primo trimestre 2015 è partito con il piede giusto per l’Italia, anche se resta qualche ombra all'orizzonte. Aumento delle immatricolazioni di auto e incremento dell'attività rilevato nell'indagine PMI dei servizi, confermano i segnali di ripresa della domanda interna, in linea con quanto le indagini di fiducia ISTAT avevano evidenziato nei giorni scorsi.
Dopo il crollo di dicembre (-5,8%), le immatricolazioni di auto in Italia sono migliorate del 9,6% congiunturale in gennaio (stime CSC), portando la variazione acquisita nel primo trimestre 2015 a +5,7%. Nel quarto 2014 si è avuto un incremento del 2,5% (+1,4% nel terzo). Rispetto al minimo toccato nel gennaio 2013 sono aumentate del 18,0%.
Sempre in gennaio, il PMI dei servizi è risalito oltre la soglia di 50 (a 51,2 da 49,4), ben sopra le attese che lo davano a 49,9. In negativo, però, si registra - rispetto a dicembre - un calo più marcato di ordini e occupazione. Il PMI composito (che sintetizza la dinamica nel manifatturiero e nel terziario) segnala un incremento dell’attività, dopo il calo rilevato in dicembre: 51,2 da 49,3 (50,3 nel quarto trimestre).
Per i prossimi mesi gli ordini PMI prospettano, nel complesso, il persistere di debolezza, specie per la domanda interna. Tuttavia, contrastano con queste valutazioni il forte miglioramento della fiducia dei consumatori in gennaio (ISTAT) e - per quel che riguarda le prospettive di spesa delle famiglie - i giudizi più favorevoli sui bilanci familiari, sull’opportunità all’acquisto di beni durevoli e sulle condizioni economiche future. Ciò suggerisce che nei prossimi mesi i consumi interni potrebbero dare un contributo positivo e significativo
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Il fatturato totale dell’industria è aumentato del 2,1% in dicembre su novembre a prezzi costanti (stime CSC, +1,4% in valori correnti), per effetto di incrementi sia nel mercato interno (+1,6%), che ha più che compensato il calo di novembre, sia in quello estero (+3,1%), il terzo consecutivo. Il livello nel quarto trimestre 2014 è superiore dell’1,0% rispetto alla media del terzo.
Anche gli ordinativi dell’industria hanno registrato in dicembre un forte rimbalzo (+5,2% a prezzi costanti, più ampio incremento da gennaio 2011) e preannunciano una dinamica migliore dell’attività nei prossimi mesi. Si conferma robusto il contributo positivo della domanda estera (+8,4%, dopo il +3,2% in novembre), sostenuta dal cambio favorevole; in recupero anche la componente domestica (+2,6%; -3,7% in novembre). Nel trimestre gli ordini totali sono aumentati dell’1,1% congiunturale.
Si tenga conto che dicembre è un mese anomalo per ragioni di calendario: nel 2014, in particolare, rispetto al dicembre 2013 ha avuto lo stesso numero di giorni lavorativi, ma l’anno prima presentava possibilità di ponte in più.
Il rimbalzo su novembre va comunque oltre questi fattori di calendario.
Non si intravedono cambi di rotta in gennaio: secondo l’indagine ISTAT sulle imprese manifatturiere, dopo essere migliorati in dicembre, sono infatti rimasti invariati in gennaio giudizi e attese sugli ordini; l'indagine PMI segnala invece un modesto calo degli ordini totali, ma un'accelerazione di quelli esteri.
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Nel quarto trimestre 2014 l’economia dell’Area euro è cresciuta dello 0,3% rispetto al terzo. Accelera fortemente il PIL tedesco con un +0,7%, contro il +0,3% atteso . Resta, invece, pressoché stagnante l’economia francese (+0,1%). In media d’anno, nel 2014, il PIL è cresciuto dell’1,6% in Germania e dello 0,4% in Francia.
Secondo le indicazioni dell’ufficio statistico tedesco, determinante è stato il contributo alla crescita della domanda interna e dei consumi in particolare, già molto aumentati nel terzo trimestre. In linea con le attese il rimbalzo degli investimenti, mentre la buona performance delle esportazioni, favorite dalla debolezza dell’euro, è stata in parte compensata dall’aumento delle importazioni.
In Francia, tengono i consumi (+0,2% sul terzo trimestre) ma continua la contrazione degli investimenti (-0,5%). Compiono un balzo notevole le esportazioni (+2,3%).
Con una crescita acquisita dello 0,5%, il risultato pone la Germania in ottima posizione a inizio 2015. Una disoccupazione ai minimi storici, il calo dei prezzi della benzina e il miglioramento della fiducia delle famiglie lasciano prevedere una forte espansione dei consumi nei prossimi trimestri. E ciò si traduce, come peraltro confermato dall’aumento della fiducia tra le imprese, in migliori prospettive anche per la produzione, già favorita dagli effetti del deprezzamento dell’euro sulle esportazioni e dai minori costi delle commodity.
Questi ultimi due fattori contribuiranno a migliorare le prospettive di crescita anche in Francia che entra nel nuovo anno con un acquisito pari a +0,2%. La riduzione dei prezzi energetici aumenterà il potere d’acquisto delle famiglie, ne attenuerà il pessimismo e aumenterà la loro propensione alla spesa.
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In gennaio l’export italiano extra-UE in valore è diminuito del 2,4% rispetto a dicembre, correggendo parzialmente il precedente aumento (+3,2%). Il calo si riduce al netto della componente energetica: -1,6% (da +3,0%).
Ancora in aumento le vendite di beni intermedi (+0,4%, da +5,1%), mentre vira in negativo la dinamica di quelle di beni di consumo (-1,9%, da +2,7%) e di investimento (-2,7%, da +1,9%).
Prosegue il calo delle importazioni extra-UE (-0,4%, da -3,7%), determinato interamente dalla caduta degli acquisti di energia: al netto di questi, l’import è aumentato dell’1,6% (da -1,1%). Gli acquisti di beni intermedi costituiscono la componente più dinamica (+5,5%, da -1,0%).
Pesa in negativo il crollo degli scambi con la Russia: -36,7% tendenziale le esportazioni e -40,2% le importazioni. In positivo, invece, la corsa di quelli con gli Stati Uniti: +24,4% le vendite e +15,6% gli acquisti. La robusta domanda USA e l’euro meno forte continueranno a sostenere l’export italiano.
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I prestiti alle imprese italiane si sono ridotti ulteriormente a dicembre (-0,8%), con un’intensità accresciuta rispetto ai mesi precedenti (-0,4% al mese in ottobre-novembre, -0,2% al mese nei primi tre trimestri del 2014; dati destagionalizzati dal CSC). Parte di questo calo è spiegata dal flusso di pagamenti di crediti commerciali scaduti da parte della PA, che le imprese hanno utilizzato in larga misura per rimborsare debiti bancari.
L’andamento delle erogazioni effettive di prestiti nel quarto trimestre non riflette le informazioni qualitative provenienti dall’indagine della Banca d'Italia sul credito, che mostrano un allentamento (seppur timido) della stretta dal lato dell'offerta e una stabilità della domanda delle imprese.
A dicembre i tassi di interesse pagati dalle aziende sono rimasti fermi al 2,6%. Nei mesi precedenti si era registrata una discesa significativa (dal 3,6% nel settembre 2013), che dovrebbe riprendere nei prossimi mesi, a seguito della discesa dei tassi di mercato a lungo termine. Ciò favorirà la risalita della domanda di credito delle imprese per finanziare l'espansione della produzione e i piani di investimento.
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Fatturato, ordini, produzione industriale ed edilizia, vendite di auto, export, occupazione, fiducia: la sequenza di statistiche uscite nell’ultimo mese contiene molte sorprese finalmente positive per l’economia italiana e convalida le attese di un aumento del PIL nel 2015 superiore alle previsioni elaborate solo un paio di mesi fa. Si infittisce la revisione al rialzo delle proiezioni; il CSC le rifarà a giugno, considerando la parte (circa la metà) di stimoli esterni non ancora inclusa nelle stime rilasciate a dicembre (+0,5% e +1,1% nel 2015-16).
La partenza da fermo limita la performance in media d’anno, ma la crescita acquisterà velocità nel secondo semestre, lasciando una buona eredità al 2016.
Affinché il ritmo si consolidi è necessario che, al rinnovato slancio dell’export e al timido recupero dei consumi, si affianchi il contributo degli investimenti, cruciali sia per la domanda sia per la ricostituzione di potenziale produttivo. Anche al netto delle costruzioni, nel 2014 gli acquisti di macchinari e impianti hanno mancato l’appuntamento con la ripresa.
Finora non ci sono segnali di cambio di passo e gli investimenti stentano a ripartire in molti paesi avanzati, a causa dell’incertezza generata dalla crisi. Alla quale in Italia si sommano specifici gravi ostacoli, che un po’ si attenueranno: i margini ai minimi storici beneficeranno dei minori costi degli input; la morsa del credito si allenta e i tassi scendono; la fiducia migliora; la domanda interna ed estera salirà, aumentando il basso utilizzo degli impianti; gli incentivi aiutano, sebbene non siano tutti già attuati e siano dotati di poche risorse e resi meno efficaci da meccanismi complessi e gravi storture.
Le condizioni esterne sono favorevoli: la crescita americana è robusta; gli emergenti, pur rallentando, forniscono un forte apporto all’espansione globale; nell’Eurozona si moltiplicano i segnali di accelerazione. Il cambio dell’euro potrebbe ulteriormente deprezzarsi. I prezzi delle materie prime sono più contenuti.
Per maggiori dettagli si veda la Congiuntura Flash di febbraio nella Libreria del CSC.
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Dopo il sensibile rialzo di gennaio (+10,7 punti rispetto a dicembre), ripiega più del previsto a febbraio (di 7,4 punti, a 96,4) l’indice di fiducia dei consumatori americani elaborato dal Conference Board. Peggiorano, in particolare, le aspettative (di 9,8 punti) per il minore ottimismo sul futuro di redditi e occupazione. L’indice resta, comunque, su livelli simili a quelli registrati in media nel periodo pre-crisi di settembre-ottobre 2007.
Il calo riflette probabilmente condizioni climatiche particolarmente avverse e il rialzo dei prezzi della benzina da inizio mese (+11,3%). I continui aumenti di occupazione (+257mila nuovi posti di lavoro a gennaio) e la ripresa dei salari (+0,5% mensile, +2,2% annuo quello orario medio settimanale) torneranno a sostenere la fiducia nei prossimi mesi.
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La variazione annua dei prezzi al consumo in Italia è scesa a -0,6% a gennaio, in deciso calo rispetto al valore nullo registrato a dicembre. Andamento simile nella media dell'Eurozona (-0,6%, da -0,2%). L'eccessivo allontanamento dall'obiettivo BCE (+2,0%) dimostra quanto fosse necessaria l'ulteriore espansione monetaria decisa con il varo del quantitative easing il 22 gennaio.
Si approfondisce la riduzione dei prezzi energetici (in Italia -9,1% annuo a gennaio, da -5,3% a dicembre) i quali riflettono, con uno-due mesi di ritardo e in misura più attenuata, il crollo delle quotazioni petrolifere. I prezzi alimentari, invece, restano sostanzialmente stabili (+0,1% annuo, da -0,1%).
La dinamica dei prezzi core (al netto di energia e alimentari) è bruscamente scesa al +0,3% annuo a gennaio, da +0,7% a dicembre. Questo calo è interamente ascrivibile ai servizi (+0,5%, da +1,0%), mentre i beni industriali restano al +0,1% annuo. La netta frenata dei prezzi dei servizi, a sua volta, è stata causata dai primi effetti di second round del ribasso petrolifero negli scorsi mesi: i prezzi dei servizi di trasporto, infatti, sono al +0,2% annuo, da +2,0%.
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La variazione annua dei prezzi al consumo in Italia è risultata negativa anche a febbraio (-0,2%), sebbene l’intensità della caduta si sia attenuata (rispetto al -0,6% di gennaio).
I prezzi energetici continuano a ridursi in misura significativa (-8,5% annuo, da -9,1%). Gli alimentari, invece, fanno registrare un balzo (+1,0% annuo, da +0,1%), interamente dovuto ai prezzi dei prodotti freschi (+2,1% annuo, da -0,3%).
La variazione della componente core dei prezzi (al netto di energia e alimentari) è risalita al +0,5% annuo a febbraio (da +0,3%). Un rialzo interamente dovuto ai servizi (+0,8% annuo, da +0,5%), mentre i beni industriali continuano a registrare una dinamica dei prezzi quasi piatta (+0,1% annuo).
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