A due mesi di distanza dal seminario di Scenari economici di dicembre le previsioni del CSC sui paesi emergenti, che scontavano i rischi di nuove turbolenze finanziarie e potevano sembrare eccessivamente conservative, rimangono realistiche e quelle dei principali istituti di previsione si stanno poco a poco abbassando. Le tensioni sugli emergenti, che qualche economista considera la terza fase della Grande recessione, sono state il tema dominante dei principali consessi internazionali di gennaio e febbraio (WEF e G20). Se la scintilla è stato il tapering della Fed, la riduzione degli acquisti di titoli all'interno del programma di quantitative easing dell'autorità monetaria USA, l'FMI ritiene che sia «difficile individuare una causa predominante» che accomuni le esperienze di difficoltà recenti dei paesi emergenti. Ognuna di queste economie ha le sue specifiche vulnerabilità, legate a debolezze strutturali o a errori e lentezze nelle politiche di riforma: l'alta inflazione e i deficit commerciali in Brasile, Indonesia, Turchia e Sudafrica, le tensioni nel settore bancario ombra (shadow banking), il rallentamento congiunturale e la volontà della BC di combattere la speculazione sul tasso di cambio e di rendere il renmimbi al più presto una valuta pienamente convertibile in Cina, le turbolenze politiche in Tailandia, Turchia, Venezuela e Ucraina (e Russia), il deprezzamento in Argentina sono fattori di vulnerabilità diversi tra loro. Il tapering ha comunque contribuito a esacerbare ovunque la situazione. In Brasile, India, Turchia, Sudafrica, Russia le autorità monetarie hanno risposto alle tensioni sui mercati dei cambi e dei capitali con restrizioni monetarie che mettono in pericolo il ritmo di crescita futura, soprattutto se non vengono messe in atto quelle riforme strutturali che OCSE e FMI richiedono da tempo. Lo scenario più probabile è che la maggior parte dei mercati degli emergenti più importanti, Cina compresa, vivranno un rallentamento transitorio della crescita, e tassi di crescita più alti torneranno nel corso del 2014 e 2015. Il vero rischio al ribasso è rappresentato, più che dalle turbolenze finanziarie legate al proseguimento del tapering statunitense, dal rallentamento più o meno manovrato dell'economia cinese, su cui l'intervento del premier Li Keqiang al 12° Congresso del Parlamento ha fatto intendere qualcosa di più: l'obiettivo del PIL per il 2014 è confermato al 7,5% (stesso obiettivo del 2013). Successivamente il ministro delle Finanze Lou Jiwei ha detto che la variabile chiave è l'occupazione (con obiettivo 10 milioni di nuovi posti d lavoro per il 2014), non il livello della crescita e che un'espansione del 7,2%-7,3%, perfettamente in linea con le previsioni CSC di dicembre per il 2014, sarebbe accettabile e corente con l'obiettivo annunciato dal premier in assemblea. La possibilità che per la prima volta dal 1998 la Cina non colga esattamente l'obiettivo di crescita non è così remota e ciò conferma le previsioni del CSC di dicembre per il 2014.
Per tutti voi e in particolare per coloro che non hanno avuto il piacere di partecipare al Convegno Biennale del CSC a Bari, nella Libreria del CSC trovate i file pdf del volume "People First. Il capitale sociale e umano: la forza del Paese" e della presentazione di Luca Paolazzi.