Con la sentenza n. 58/2018 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di alcune disposizioni (art. 3 del decreto-legge 4 luglio 2015, n. 92; artt. 1, comma 2, e 21-octies della legge 6 agosto 2015, n. 132), che consentivano la prosecuzione dell’attività di impresa degli stabilimenti dell'ILVA, in quanto di interesse strategico nazionale, nonostante il sequestro disposto dall’autorità giudiziaria per reati inerenti alla sicurezza dei lavoratori.
Le questioni di legittimità costituzionale erano state sollevate dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Taranto a seguito dell’infortunio mortale di un lavoratore dell’ILVA nell’area di un altoforno dello stabilimento di Taranto, che era stato sequestrato dall’autorità giudiziaria ma il cui funzionamento era proseguito in base alle norme censurate.
In particolare, secondo la disciplina in esame, la prosecuzione dell’attività d’impresa veniva subordinata esclusivamente alla predisposizione unilaterale di un “piano” - che doveva recare “misure e attività aggiuntive, anche di tipo provvisorio” - da parte dell’impresa colpita dal sequestro, senza alcuna forma di partecipazione di altri soggetti pubblici o privati.
Infatti, come ha osservato la Consulta, nella formazione del piano non era prevista alcuna partecipazione di autorità pubbliche, le quali dovevano essere informate solo successivamente, attribuendo soltanto un generico potere di monitoraggio e ispezione a INAIL, ASL e Vigili del Fuoco.
Peraltro, la disciplina in esame non imponeva nel piano alcun riferimento a specifiche disposizioni delle leggi in materia di sicurezza sul lavoro o ad altri modelli organizzativi e di prevenzione.
Tale scelta del legislatore, secondo la Corte costituzionale, “ha finito col privilegiare in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzione dell’attività produttiva, trascurando del tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita stessa (artt. 2 e 32 Cost.), cui deve ritenersi inscindibilmente connesso il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso (art. 4 e 35 Cost.)”.
Infatti, già in occasione della sentenza n. 85 del 2013 sempre sul caso ILVA, la Consulta aveva evidenziato come il bilanciamento dei vari interessi costituzionali dovesse “rispondere a criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, in modo tale da non consentire né la prevalenza assoluta di uno dei valori coinvolti, né il sacrificio totale di alcuno di loro, in modo che sia sempre garantita una tutela unitaria, sistemica e non frammentata di tutti gli interessi costituzionali implicati”.
Più in dettaglio - nel caso delle misure oggetto della sentenza n. 58/2018 - il legislatore non avrebbe bilanciato in modo ragionevole e proporzionato tutti gli interessi costituzionali rilevanti, “per non aver tenuto in adeguata considerazione le esigenze di tutela della salute, sicurezza e incolumità dei lavoratori, a fronte di situazioni che espongono questi ultimi a rischio della stessa vita”.
Secondo il Commissario straordinario dell’ILVA, Enrico Laghi, la sentenza in esame non ha alcun impatto sulla continuità dell’attività produttiva, in quanto la restituzione dell’Altoforno 2 è stata ottenuta dall’ILVA nel settembre 2015 non in base al decreto oggi dichiarato illegittimo, ma in forza di un provvedimento della Procura che, in accoglimento di un’istanza presentata dalla società, ha restituito l’impianto condizionatamente all’adempimento di determinate prescrizioni in materia di sicurezza, poi attuate.