Deutschland Über Alles
Mai come in questi ultimi giorni Angela Merkel, col suo spariglio delle regole europee e l’apertura delle frontiere ai rifugiati siriani senza limiti e a prescindere dal Paese di prima provenienza, è apparsa tanto “imperiale“ anche a prezzo di un certo mugugno nel suo stesso partito.
Mai la Germania è apparsa in una luce tanto positiva, di nuova “terra promessa” per i diseredati del mondo.
Mai, col suo gesto unilaterale, la Merkel è parsa così dominatrice al punto da lasciare nelle peste il fedele Hollande, costretto a un’improbabile minaccia militare per non poter rispondere per le rime alla mossa tedesca per la sua virulenta opposizione interna ad eccessive concessioni sugli immigrati, e spiazzando anche i Paesi dell’Est risolutamente contrari a una solidarietà umana, prima che politica, che peraltro è stata esercita nei loro confronti all’indomani del crollo della cortina di ferro.
Si ha l’impressione, in questo confronto destinato a far discutere anche alla luce delle proposte che il Presidente Juncker metterà sulla tavola mercoledì nel suo discorso sullo stato dell’Unione davanti al PE, che reagiranno d’istinto in modo più coeso i Paesi che hanno dato vita alla prima aggregazione continentale, in seno alla “Comunità europea”, mentre restano prigionieri di un’ottica di chiusura i paesi che hanno aderito direttamente “all’Unione europea”, senza aver sedimentato il valore aggiunto di condivisione e solidarietà meglio rappresentato dal concetto di “Comunità” che da quello di “Unione”.
Dalla Gran Bretagna, alla Polonia e alla Repubblica Ceca con la significativa eccezione dei Paesi scandinavi, si ha l’impressione insomma che l’appartenenza all’Unione viene vista non nell’ottica di un progetto politico più vasto, dalla moneta unica ad una solidarietà effettiva di fronte a sfide epocali, ma come un’appartenenza di ragione dalla quale “prendere” (vedi fondi strutturali), senza necessariamente “dare”.
I Paesi dell’Est hanno spesso messo in avanti che l’essere usciti da una forma di cooperazione e di interdipendenza, chiamata “Patto di Varsavia”, li ha resi guardinghi, ma i nodi di una partecipazione non propiamente entusiasta alla costruzione europea vengono al pettine. Se a questo si aggiunge che in Gran Bretagna , proprio per via della crisi immigrazione, per la prima volta i “si” all’uscita dall’UE nei sondaggi pre- referendum superano i no e che in catalogna il fronte indipendentista alle regionali del 27 settembre sembra avviato alla vittoria, si vede bene che le sfide a cui l’Europa si confronta alla ripresa delle attività sono non poche nè marginali.
A queste sfide è chiamato a dare una risposta Juncker, col suo discorso di domani, anche per provare a mostrare che la Commissione, e in generale le istituzioni europee, hanno un ruolo da giocare, senza essere sistematicamente scavalcate dai Governi dei Paesi membri.
Gianfranco Dell’Alba
La Settimana dal 7 all’11 settembre 2015
Nella settimana segnata dalla prima plenaria del PE a Strasburgo dopo la pausa estiva, il dibattito politico sarà in larga parte monopolizzato dall'emergenza immigrazione, e non solo nei corridoi: martedì la Commissione europea, su proposta dell'Alto Rappresentante Federica Mogherini, presenterà una serie di proposte, anche legislative, per rafforzare le norme europee in materia. Il tema sarà anche trattato durante il discorso sullo stato dell'Unione e che il Presidente Juncker terrà in plenaria mercoledì mattina e che sarà seguito da un dibattito con i deputati.
Dal lato del Consiglio, si segnala che lunedì si sono riuniti i ministri dell'Agricoltura: con l'occasione, a Bruxelles (ed in contemporanea in altre città europee) si è tenuta un'imponente manifestazione degli agricoltori, che hanno reclamato delle regole a loro più favorevoli per l'origine dei prodotti agricoli.
Matteo Borsani