Mini terremoto elettorale in Spagna e Polonia
Nelle elezioni amministrative spagnole e presidenziali polacche tenutesi domenica scorsa, come si sa, si sono affermate formazioni o personalità che hanno una caratteristica comune: si collocano al di fuori del perimetro di quelle forze politiche, popolari, social-democratiche e liberali, che costituiscono la “maggioranza” che sostiene in Parlamento europeo l’esecutivo guidato da Jean Claude Juncker e che, tradizionalmente, hanno sempre sostenuto il progetto europeo.
Questo voto conferma il trend che ha caratterizzato tutte le elezioni svoltesi dall’inizio dell’anno, a cominciare dalla vittoria di Alexis Tsipras in Grecia a quella di David Cameron nel Regno Unito e all’ingresso al governo in Finlandia del “partito dei finlandesi” fortemente euroscettico.
Da destra o da sinistra, chi ha vinto insomma o non sostiene il progetto europeo in quanto tale – e quindi l’idea stessa dell’integrazione europea come sviluppatasi in questi anni – o comunque non condivide le sue politiche, a partire da quella sulla governance economica. Sono segnali importanti che non mancheranno di avere riflessi sul futuro dell’Europa e più concretamente sulle decisioni che dovrà prendere già nelle prossime settimane su alcuni fronti “caldi” come la questione dei migranti o la sua stessa governance complessiva sulla base di un rapporto congiunto dei Presidenti del Consiglio europeo, della Banca Centrale, della Commissione europea e dell’Eurogruppo, Tusk, Draghi, Juncker e Dijsselbloem e dei contributi dei governi nazionali (proprio ieri Italia ha inviato un proprio testo).
Non a caso, infatti, già da domani al tradizionale “Discorso della Corona” che apre la nuova legislatura, Elisabetta II leggerà il programma politico di Cameron ed è probabile che, nel capitolo dedicato ai rapporti con l’Europa, emerga la questione della data del referendum e un accenno alle richieste britanniche di quel “meno Europa” che il governo di Sua Maestà invoca per scongiurare l’ipotesi di un’uscita dall’Unione europea.
Lunedì Jean-Claude Juncker si è recato in Gran Bretagna per ascoltare in anteprima quali sono quelle richieste che, immaginiamo, siano molte e tali da ipotizzare, comunque le si veda, uno scenario diverso da quello attuale e certamente lontano da quello disegnato da Draghi questo fine settimana, là dove il presidente della BCE ha affermato con chiarezza che senza una maggiore integrazione, che si concretizzi attraverso la condivisione dei rischi e la governance comune delle riforme, prevede un futuro difficile per l’Unione.
Due visioni lontane fra loro sulle quasi inizia un confronto che si annuncia serrato, se si tiene contro anche dell’emergere di altre situazioni di tensione, come quella riguardo le posizioni assunte via via dal premier ungherese Orban, e che possono avere riflessi immediati anche sul lavoro per così dire “quotidiano” delle istituzioni europee.
Gianfranco Dell’Alba
La Settimana
Questa settimana il Parlamento europeo si riunisce in seduta plenaria a Bruxelles (cd “Mini plenaria” che durerà soltanto un giorno), dove interverrà Ban Ki-moon, Segretario generale delle Nazioni Unite. Inoltre, si riuniscono diverse commissioni parlamentari, a cominciare dalla commisione INTA, dove si voterà il parere dell’On. Lange (S&D, Germania) sull’accordo di libero scambio con gli U.S.A. (cd TTIP). Inoltre, la commissione ENVI approverà l’accordo raggiunto lo scorso 5 maggio sull’MSR.
Un altro importante appuntamento sarà il Consiglio Competitività, durante il quale i Ministri discuteranno la proposta di compromesso presentata dalla Presidenza lettone sul cd “Made in”. La proposta, che ha ricevuto critiche sia dal fronte avverso al Made In che da quello a favore, prevederebbe l’introduzione di una marcatura d’origine obbligatoria per soli due settori (calzature e una parte delle caramiche) con una clausola di revisione. Inoltre, il Consiglio avrà anche un primo scambio di opinioni sulla strategia europea per il mercato unico digitale, presentata lo scorso 6 maggio.
Matteo Borsani