Contratti a termine
La prima disposizione da commentare è l’art. 8, comma 1, lett. a) del d.l. 104/2020 che apporta una serie di modifiche all’art. 93, comma 1, del d.l. n. 34/2020 convertito in l. n. 77/2020.
Nel confermare la possibilità di rinnovare o prorogare contratti a termine “senza causale” (in deroga all’articolo 21 del d. lgs n. 81/2015), ciò viene ora previsto per un periodo massimo di 12 mesi, ma sempre nel rispetto del principio della durata massima complessiva dei 24 mesi, e “per una sola volta”.
Viene eliminata l’espressione contratti “in essere alla data del 23 febbraio 2020” che costituiva un limite, non condivisibile, alla facoltà di proroga dei contratti a termine disciplinata, in precedenza, nello stesso comma.
Viene altresì opportunamente eliminata l’ambigua espressione “per far fronte al riavvio delle attività” che, a nostro avviso, aveva un valore meramente descrittivo ma che aveva ingenerato una serie di dubbi interpretativi.
Il rinnovo o la proroga “acausale” è possibile fino al 31 dicembre 2020 il che dovrebbe significare (a mente del “chiarimento” intervenuto con una faq ministeriale avente ad oggetto l’analoga espressione utilizzata nella precedente formulazione dell’art. 93), che il contratto a termine, rinnovato o prorogato, dovrebbe “spirare” entro il 31 dicembre. Confindustria ha predisposto un emendamento mirato a far sì che la sottoscrizione della proroga o del rinnovo possa avvenire entro il 31 dicembre 2020, anche perché, altrimenti, non si comprende che senso pratico avrebbe la previsione di una durata massima di 12 mesi, che sarebbe sostanzialmente irrealizzabile, dato che la norma è entrata in vigore il 15 agosto del 2020.
Il rinnovo o la proroga, come si diceva, si può effettuare “per una sola volta”.
Dunque in base ai principi generali la nuova norma dovrebbe applicarsi solo per il futuro e, pertanto, si dovrebbe ritenere che, dall’entrata in vigore del decreto legge di agosto, n.104/2020, sia possibile prorogare o rinnovare i contratti a termine senza l’apposizione di causali, ma per una sola volta, con sottoscrizione del relativo patto entro il 31 dicembre (ma, come si diceva, su quest’ultimo punto occorrerà necessariamente attendere indicazioni ministeriali, ovvero l’eventuale accoglimento di un emendamento come quello proposto da Confindustria).
Dato che la legge dispone che proroga e rinnovo possano essere effettuati una sola volta, se ne deduce che questo regime “acausale” non dovrebbe tener conto dei rapporti pregressi.
Ragionando altrimenti, in tema di rinnovi, la causale andrebbe applicata al primo rinnovo (e, dunque, se si tenesse conto dei rapporti pregressi la nuova norma sarebbe inattuabile).
In tema di proroghe poi, è noto che nei primi 12 mesi “acausali” si possono effettuare fino a quattro proroghe. Pertanto l’espressione “per una sola volta”, riferito alle proroghe, lascia intendere che il contenuto del nuovo art. 93 ha una sua valenza autonoma e peculiare, che prescinde, seppur in parte, dalla “disciplina generale” sui contratti a termine.
Inoltre, posto che nell’art. 93 “riformato” dal d.l. 104/2020, si parla espressamente di deroga all’art. 21, si dovrebbe concludere che questa proroga non si conteggia tra le quattro previste nel citato comma 1 dell’art. 21.
Sempre in tema di emendamenti, Confindustria ne ha anche predisposto uno che - preso atto dell’opportuna volontà del legislatore di abrogare espressamente il comma 1 bis dell’art. 93 (quello che prevede le proroghe “automatiche”) - prevede anche la cessazione degli effetti già prodotti dall’entrata in vigore di tale norma, fissando un termine all’efficacia di tali effetti al momento della entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 104/2020.
La sola abrogazione del comma 1 bis, pur ampiamente condivisibile, opera per il futuro, e dunque lascerebbe inalterata l’attuazione delle proroghe “automatiche” dei contratti a termine che fossero stati oggetto di sospensione (nei termini previsti dal comma 1 bis) e che fossero in essere fino al giorno 14 agosto 2020 ossia il giorno precedente l’entrata in vigore della norma abrogatrice.
Licenziamenti
La norma che disciplina il “blocco” dei licenziamenti (art. 14) è stata interamente riformulata pur mantenendo, in buona sostanza, molti dei contenuti precedenti ma la novità, oltre al differimento del termine ultimo del “blocco” al 31 dicembre 2020 (che comunque, come si dirà, non dovrebbe essere inteso come un termine finale valido per tutte le imprese) sta nella previsione di una serie di eccezioni al “blocco” stesso.
E così il principio generale è che fino al 31 dicembre 2020 i datori di lavoro che non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19 di cui all’art. 1 del d.l. 104/2020 ovvero dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali previsti dall’art. 3 dello stesso decreto legge (vedi nota 1[1]), alle condizioni previste dalla legge, continuano a non poter dare avvio a procedure di licenziamento collettivo e restano sospese, come in precedenza, le procedure pendenti, avviate successivamente al 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi di cambio appalto, come in precedenza.
Alle stesse condizioni è preclusa per i datori, a prescindere dal numero dei dipendenti, la possibilità di effettuare licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, nonché la possibilità di avviare le procedure ex art. 7 della legge n. 604 del 1966.
Ora il primo problema interpretativo che si pone, molto delicato e complesso, è quello di capire se la cessazione del divieto di licenziare sia o meno legata, per tutte le imprese, alla data del 31 dicembre 2020.
La tecnica legislativa utilizzata questa volta, che - a differenza delle precedenti norme in tema - non individua nel corpo della norma medesima una espressa data di scadenza del divieto, fa ritenere che, in questo caso, la cessazione dl divieto diventi “mobile” ossia differente da impresa a impresa, tenendo conto delle condizioni poste dagli artt. 1 e 3 del d.l. n. 104/2020.
In altre parole, e a titolo d’esempio, se una impresa finisse di utilizzare tutto il periodo di cassa Covid ulteriormente concesso con l’art. 1 del d.l. n.104 a fine novembre, potrebbe successivamente effettuare dei licenziamenti. Ciò anche tenendo conto che l’art. 14 impone il divieto di licenziamento ai datori di lavoro che “non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale……”
Naturalmente, data la complessità delle norme che sul punto regolano la materia nel d.l. 104/2020, è opportuno un approfondimento in proposito, anche se il tenore letterale delle disposizioni, non sembra lasciare margini a fondate interpretazioni di diverso contenuto.
Veniamo ora alle eccezioni “espressamente previste dalla decreto legge al “blocco” dei licenziamenti.
Oltre alla già ricordata ipotesi del “cambio appalto”, nei termini già previsti dalla legge (ossia quando operano “clausole sociali” che assicurano la continuità “sostanziale” dl rapporto), le eccezioni previste sono:
- nel caso di cessazione definitiva dell’attività di impresa, conseguente alla messa in liquidazione senza continuazione, neppure parziale, dell’attività: l’eccezione viene meno se, nel corso della liquidazione, si possa configurare una cessione di un complesso di beni o di attività tale da concretare l’ipotesi di un trasferimento d’impresa o di ramo di essa, ai sensi dell’art. 2112 Cod. Civ.;
- nel caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo d’impresa, è possibile procedere ai licenziamenti solo nei settori non interessati dall’esercizio provvisorio.
Una ipotesi di “eccezione” al blocco dei licenziamenti del tutto nuova e che, unitamente alle precedenti, va incontro alle pressanti richieste di Confindustria affinchè il blocco venisse superato o, comunque, limitato, consiste nell’ipotesi della sottoscrizione di un accordo collettivo aziendale che preveda incentivi alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscano al predetto accordo. Viene espressamente previsto che a questi lavoratori viene riconosciuta la prestazione della Naspi.
L’accordo aziendale va stipulato con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
Confindustria ha già predisposto un emendamento che abiliti alla sottoscrizione di questi accordi anche le rsa e le rsu, seguendo una linea di politica sindacale, in ordine agli accordi di secondo livello, concordata con Cgil, Cisl, Uil da almeno un decennio e fatta propria anche dalla legislazione nazionale.
Ad un primo esame della disposizione la sottoscrizione di questo accordo non sembra debba avvenire a seguito dell’avvio di una procedura di licenziamento collettivo, peraltro ancora espressamente preclusa. Dunque si potrebbe concludere questo accordo aziendale in via del tutto autonoma e a prescindere dalla procedura della 223/1991.
In sostanza i datori di lavoro potrebbero concordare accordi aziendali “quadro” che prevedano condizioni di favore per la risoluzione del rapporto cui seguirebbe la conciliazione individuale con il singolo lavoratore interessato, conciliazione nella quale verrebbe previsto specificamente il riconoscimento dell’incentivo all’esodo.
Dovendo ricordare che, da un punto di vista teorico, un conto è concordare la risoluzione consensuale del rapporto incentivata e un conto è sottoscrivere una conciliazione che definisca tutte le eventuali “pendenze” derivanti dal rapporto, riteniamo particolarmente opportuno ricordare che la (eventuale) conciliazione che definisca anche la risoluzione del rapporto contenga una espressa rinuncia ad ogni diritto ed azione che riguardi il pregresso rapporto (naturalmente con una precisa individuazione dei diritti oggetto della conciliazione) nonché una rinuncia ad ogni diritto ed azione che riguardi la risoluzione del rapporto, compresa, per maggiore sicurezza, l’eventuale violazione della procedura dettata della legge 223 del 1991.
L’art. 14 si conclude riproponendo la norma che consente ai datori di lavoro che abbiano proceduto al recesso dal contratto per g.m.o., di revocare il recesso e porre in Cassa Covid il lavoratore con ripristino del rapporto senza soluzione di continuità, né oneri e sanzioni per il datore.
[1] L’art 3 del dl 104 prevede, a determinate condizioni, che ai datori di lavoro, ad esclusione del settore agricolo, “è riconosciuto” l’esonero dei contributi previdenziali a loro carico per un periodo massimo di quattro mesi entro il 31 dicembre 2020. Innanzitutto va detto che si tratta di una condizione “alternativa” alla fruizione delle integrazioni salariali (“ovvero”). Inoltre ove non ricorrano i presupposti previsti dalla legge (non richiesta dei trattamenti dell’art. 1 e fruizione a maggio e giugno 2020 dei trattamenti “Covid”) l’esonero non è applicabile.
Senonchè se il datore non ricorre alle integrazioni e ha i “requisiti” previsti, sembra, in base all’ambigua formulazione della legge, che sia “obbligato” a fruire dell’esonero. Naturalmente sul punto occorrerà attendere i chiarimenti dll’INPS.
In ogni caso, oltre alla complessità del meccanismo di computo di questo esonero, va sottolineato che, per espressa previsione di legge, la sua efficacia è subordinata all’autorizzazione della Commissione europea.
Orbene, condizionare la facoltà di licenziamento non solo alla integrale fruizione degli ammortizzatori Covid (che è già una scelta che ha dei limiti di tenuta costituzionale) ma anche, seppur in via alternativa, alla fruizione di questo esonero, risulta una scelta non condivisibile, posto che le due fattispecie non sono minimamente equiparabili, stante la circostanza che la fruizione di questo esonero contributivo è incerta, perché sottoposta al vaglio della Commissione Europea.
Confindustria ha pertanto elaborato un emendamento volto a sopprimere quest’ultima disposizione, ambigua e dai contenuti incerti.
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Il DPCM del 7 settembre 2020, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 222 del 7 settembre 2020, regola le misure di prevenzione contro la diffusione del contagio da Covid19, confermando sostanzialmente il precedente provvedimento del 7 agosto 2020.
A dimostrazione che il dato epidemiologico sollecita una particolare attenzione alla ripresa dell’anno scolastico ed agli spostamenti, il nuovo provvedimento appare innovativo nella regolazione – negli allegati che sostituiscono o integrano quelli presenti nel DPCM del 7 agosto - di tre temi:
- i trasporti (scolastici e non): allegato 15 (Linee guida per l’informazione agli utenti e le modalità organizzative per il contenimento della diffusione del covid-19 in materia di trasporto pubblico e 16, Linee guida per il trasporto scolastico dedicato), che sostituiscono quelli già presenti nel DPCM 7 agosto 2020
- il rientro dall’estero – allegato 20 sugli Spostamenti da e per l’estero, che sostituisce quello presente nel DPCM 7 agosto 2020;
- la disciplina della prevenzione del Covid nella scuola e nell’università – allegato 21, Indicazioni operative per la gestione di casi e focolai di SARS-CoV-2 nelle scuole e nei servizi educativi dell’infanzia e allegato 22, Protocollo per la gestione di casi confermati e sospetti di Covid 19 nelle aule universitarie, di nuova introduzione.
Evidenziamo fin d’ora la corposità e la natura tecnica degli allegati sui trasporti e su scuola (che recepisce il Rapporto n. 58/2020 del 28 agosto emanato dall’Istituto superiore di sanità) e università, il che rende imprescindibile una loro lettura attenta.
- I Protocolli
Nel nuovo DPCM nulla è modificato per quanto riguarda l’articolo 2 del DPCM 7 agosto 2020, relativamente alle misure di contenimento del contagio per lo svolgimento in sicurezza delle attività produttive industriali e commerciali ed ai Protocolli di sicurezza.
Per quanto riguarda l’aggiornamento del Protocollo del 14 marzo, ad oggi né il Ministero del lavoro né il sindacato hanno manifestato l’intenzione di riprendere il percorso avviato prima dell’estate per apportare modifiche (si ricordano, in particolare, i temi della formazione, delle trasferte e delle riunioni come oggetto di possibile aggiornamento, sostanzialmente condivisi anche dal sindacato nella riunione tenutasi il 20 luglio).
- Le ordinanze di agosto del Ministro della salute sugli ingressi dall’estero
Vengono confermate12 agosto 202016 agosto 2020
- Le modifiche al DPCM 7 agosto 2020.
A parte le modifiche di mero coordinamento (ad esempio, quelle necessarie per inserire ed adeguare i rinvii agli allegati sui temi sopra richiamati, ingressi dall'estero, scuola e trasporti), si evidenzia la deroga al divieto di spostamento da e verso i Paesi a rischio indicati (oggi) nel nuovo allegato, per:
- le persone che intendono “raggiungere il domicilio/abitazione/residenza di una persona di cui alle lettere f) e h), anche non convivente, con la quale vi sia una comprovata e stabile relazione affettiva”;
- “gli ingressi per ragioni non differibili, inclusa la partecipazione a manifestazioni sportive e fieristiche di livello internazionale, previa autorizzazione del Ministero della salute e con obbligo di presentare al vettore all'atto dell'imbarco, e a chiunque sia deputato ad effettuare i controlli, l'attestazione di essersi sottoposti, nelle 72 ore antecedenti all'ingresso nel territorio nazionale, un test molecolare o antigenico, effettuato per mezzo di tampone e risultato negativo” (resta da vedere cosa si intenderà con la locuzione “ragioni non differibili” e come verrà interpretata rispetto a quello di “assoluta urgenza” dell’art. 4)
- Periodo di vigenza
Il DPCM entra in vigore l’8 settembre e cessa di avere efficacia il 7 ottobre.
- Allegati
Mentre gli allegati 15, 16 e 20 erano già presenti nel DPCM del 7 agosto 2020 e vengono ora aggiornati, risultano di nuova introduzione quelli sulla lotta alla diffusione del virus nella scuola e nelle aule universitarie.
Per quanto riguarda l’allegato inerente alle scuole, ci si sofferma esclusivamente sugli aspetti della tutela dei lavoratori nella scuola (punto 1.4 – punto 2.1.3).
Ricordando che il documento oggetto dell’allegato è aggiornato al 28 agosto 2020, si evidenzia che lo stesso riporta delle indicazioni che appaiono in contrasto con quanto finora evidenziato dagli stessi documenti governativi e delle regioni e non aggiornate.
- La previsione dell’obbligo di integrare il documento di valutazione dei rischi con le misure di contrasto al covid contraddice la previsione secondo il quale esse possono costituire un addendum senza obbligo di aggiornamento del DVR
- Il riferimento all’art. 83 del DL n. 34/2020, che non risulta confermato dal DL n. 83/2020 (come confermato dalla circolare n. 13/2020 dei Ministeri del lavoro e della salute), è ormai errato: la disciplina dei lavoratori fragili, anche nella scuola, andrà quindi ricercata nella circolare richiamata e non nel punto 1.4 del documento in commento
Gli operatori scolastici che evidenziano la sintomatologia del covid, se in servizio, verranno invitati a lasciare la struttura, raggiungere la propria abitazione e richiedere l’intervento del medico di medicina generale per la valutazione dell’eventuale sottoposizione a test diagnostico, che sarà eseguito a cura del dipartimento di prevenzione (allertato dal medico di medicina generale). Se denunceranno i sintomi quando si trovano a casa, dovranno avvertire il medico di medicina generale, che seguirà le medesime indicazioni (avvertendo il dipartimento di prevenzione in caso di necessità di test diagnostico).
Per quanto riguarda l’allegato inerente l’attività in ambito universitario, l’allegato – nel rinviare ad altri documenti per la gestione della cd prevenzione primaria - disciplina la gestione dei casi confermati e di quelli sospetti di covid19, ricordando la possibilità di svolgere sia attività in aula che a distanza (per ridurre la quantità di persone che assistono alle lezioni in presenza), prevedendo la necessità di una piena conoscenza di nominativi degli studenti presenti per ciascuna giornata (in vista della ricerca dei contatti) ed assicurando uno stretto raccordo tra il referente universitario per il covid e le autorità sanitarie pubbliche (competenti ad assumere tutte le misure ritenute opportune), presupposti indispensabili per gestire le due differenti casistiche.
[1] Ordinanza 12 agosto 2020, articolo 1, commi 1 e 2 - 1. Ai fini del contenimento della diffusione del virus COVID-19, alle persone che intendono fare ingresso nel territorio nazionale e che nei quattordici giorni antecedenti hanno soggiornato o transitato in Croazia, Grecia, Malta o Spagna, ferme restando le disposizioni di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 7 agosto 2020, si applicano le seguenti misure di prevenzione, alternative tra loro:
a) obbligo di presentazione al vettore all’atto dell’imbarco e a chiunque sia deputato ad effettuare i controlli dell’attestazione di essersi sottoposte, nelle 72 ore antecedenti all’ingresso nel territorio nazionale, ad un test molecolare o antigenico, effettuato per mezzo di tampone e risultato negativo;
b) obbligo di sottoporsi ad un test molecolare o antigenico, da effettuarsi per mezzo di tampone, al momento dell’arrivo in aeroporto, porto o luogo di confine, ove possibile, ovvero entro 48 ore dall’ingresso nel territorio nazionale presso l’azienda sanitaria locale di riferimento; in attesa di sottoporsi al test presso l’azienda sanitaria locale di riferimento le persone sono sottoposte all’isolamento fiduciario presso la propria abitazione o dimora.
2. Le persone di cui al comma 1, anche se asintomatiche, sono obbligate a comunicare immediatamente il proprio ingresso nel territorio nazionale al Dipartimento di prevenzione dell’azienda sanitaria competente per territorio.
[2] DPCM 7 agosto 2020, articolo 6, commi 6 e 7 - 6. A condizione che non insorgano sintomi di COVID-19 e fermi restando gli obblighi di cui all'art. 5, le disposizioni di cui ai commi da 1 a 5 non si applicano:
a) all'equipaggio dei mezzi di trasporto;
b) al personale viaggiante;
c) ai movimenti da e per gli Stati e territori di cui all'elenco A dell'allegato 20;
d) agli ingressi per motivi di lavoro regolati da speciali protocolli di sicurezza, approvati dalla competente autorità sanitaria.
7. A condizione che non insorgano sintomi di COVID-19 e che non ci siano stati soggiorni o transiti in uno o più Paesi di cui agli elenchi C e F dell'allegato 20 nei quattordici giorni antecedenti all'ingresso in Italia, fermi restando gli obblighi di cui all'art.5, le disposizioni di cui ai commi da 1 a 5 non si applicano:
a) a chiunque fa ingresso in Italia per un periodo non superiore alle 120 ore per comprovate esigenze di lavoro, salute o assoluta urgenza, con l'obbligo, allo scadere di detto termine, di lasciare immediatamente il territorio nazionale o, in mancanza, di iniziare il periodo di sorveglianza e di isolamento fiduciario conformemente ai commi da 1 a 5;
b) a chiunque transita, con mezzo privato, nel territorio italiano per un periodo non superiore a 36 ore, con l'obbligo, allo scadere di detto termine, di lasciare immediatamente il territorio nazionale o, in mancanza, di iniziare il periodo di sorveglianza e di isolamento fiduciario conformemente ai commi da 1 a 5;
c) ai cittadini e ai residenti degli Stati e territori di cui agli elenchi A, B, C e D dell'allegato 20 che fanno ingresso in Italia per comprovati motivi di lavoro;
d) al personale sanitario in ingresso in Italia per l'esercizio di qualifiche professionali sanitarie, incluso l'esercizio temporaneo di cui all'art. 13 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18;
e) ai lavoratori transfrontalieri in ingresso e in uscita dal territorio nazionale per comprovati motivi di lavoro e per il conseguente rientro nella propria residenza, abitazione o dimora;
f) al personale di imprese ed enti aventi sede legale o secondaria in Italia per spostamenti all'estero per comprovate esigenze lavorative di durata non superiore a 120 ore;
g) ai funzionari e agli agenti, comunque denominati, dell'Unione europea o di organizzazioni internazionali, agli agenti diplomatici al personale amministrativo e tecnico delle missioni diplomatiche, ai funzionari e agli impiegati consolari, al personale militare nell'esercizio delle loro funzioni;
h) agli alunni e agli studenti per la frequenza di un corso di studi in uno Stato diverso da quello di residenza, abitazione o dimora, nel quale ritornano ogni giorno o almeno una volta la settimana.
Modificato il da Roberto Vincenti F98767E6-1156-50B9-4125-66E2005E8089 [email protected]
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Nella sezione libreria è stata pubblicata una nota di aggiornamento sulle prime valutazioni sui decreti attuativi della riforma del mercato del lavoro.
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Nella nota che segue si commenta la circolare congiunta dei Ministeri del lavoro e della salute che reca Aggiornamenti e chiarimenti, con particolare riguardo ai lavoratori e alle lavoratrici “fragili” del 4 settembre 2020 e si svolgono alcune considerazioni sul tema della compatibilità tra le condizioni di quarantena e la prestazione di attività lavorativa (a commento critico di un articolo apparso sulle colonne del Corriere della sera del 4 settembre 2020).
I Ministeri del lavoro e della Salute hanno emanato, il 4 settembre, una circolare (allegata) avente ad oggetto la sorveglianza sanitaria dei lavoratori cd fragili, che aggiorna, su questo punto, quanto già disciplinato con la precedente circolare del 29 aprile 2020.
Premessa la rilevanza della sorveglianza sanitaria anche nella fase attuale, la circolare espone innanzitutto il quadro normativo di riferimento, essenzialmente fondato sulla previsione generale (art. 5 dello Statuto dei lavoratori) e sulla disciplina specifica contenuta nel Dlgs n. 81/2008 (in particolare l’art. 41).
Ancora una volta, non si risolve la difficile convivenza di questi due diversi regimi, convalidando la difficile compresenza del ruolo del medico competente e dei servizi ispettivi degli enti previdenziali anche per l’accertamento della idoneità del lavoratore alla mansione lavorativa.
Nel punto 3 la circolare offre una nozione di fragilità.
Va ricordato che il Protocollo del 14 marzo 2020, aggiornato il 24 aprile successivo, prevede già che
il medico competente “segnala all’azienda situazioni di particolare fragilità e patologie attuali o pregresse dei dipendenti e l’azienda provvede alla loro tutela nel rispetto della privacy”;
“alla ripresa dell’attività, è opportuno che sia coinvolto il medico competente per la identificazione dei soggetti con particolari situazioni di fragilità”
“è raccomandabile che la sorveglianza sanitaria ponga particolare attenzione ai soggetti fragili anche in relazione all’età”.
La circolare, aggiornando il dato epidemiologico anche con riferimento all’età, evidenzia che – sulla base delle informazioni scientifiche più recenti – il concetto di fragilità va individuato “in quelle condizioni dello stato di salute rispetto alle patologie preesistenti che potrebbero determinare, in caso di infezione, un esito più grave o infausto”. Tale concetto è soggetto evidentemente al progressivo aggiornamento delle conoscenze di tipo epidemiologico e scientifico.
Viene dunque escluso espressamente che il solo fattore dell’età (nonostante la convinzione degli antichi, secondo cui senectus ipsa est morbus) possa – in assenza di comorbilità – costituire, di per sé, un fattore di maggior rischio.
Sulla base di questi chiarimenti, i due Ministeri espongono alcune indicazioni operative.
In primo luogo, la circolare chiarisce (e si tratta di un rilievo importante) che i lavoratori devono essere messi in condizioni di “richiedere al datore di lavoro l’attivazione di adeguate misure di sorveglianza sanitaria” e che “le eventuali richieste di visita dovranno essere corredate della documentazione medica relativa alla patrologia diagnosticata a supporto della valutazione del medico competente”.
Si conferma così che l’onere di attivare la sorveglianza e di evidenziare la propria condizione è posto in capo al lavoratore e non affidato alla ricerca da parte del datore di lavoro (che potrebbe anche non conoscere, nemmeno per il tramite del medico competente, eventuali patologie del lavoratore). Aspetto rilevante ai fini della responsabilità, che non può fondarsi sulla presenza di condizioni legittimamente ignote al datore di lavoro. La documentazione sarà consegnata, ovviamente, non al datore di lavoro ma al medico competente (o all’ente pubblico prescelto laddove il datore di lavoro non abbia l’obbligo di nominare il medico competente), per cui non sussistono questioni inerenti la privacy.
In particolare, si evidenzia che, laddove la circolare, nelle indicazioni operative, prevede che la richiesta di visita medica debba essere corredata della documentazione medica, evidentemente la richiesta va rivolta al datore di lavoro ma la documentazione medica dev’essere fornita esclusivamente al medico competente o al medico pubblico.
Laddove non sussista l’obbligo di nominare il medico competente, il datore di lavoro che non abbia ritenuto di nominarne uno (si ricorda che l’obbligo dell’art. 83 del DL n. 34/2020 è decaduto il 31 luglio 2020, non essendo stata prorogata la relativa previsione, come ricordano espressamente i Ministeri) potrà ricorrere agli istituti previdenziali e ispettivi richiamati dall’art. 5 della legge n. 300/1970.
Indicata l’autorità competente a svolgere la sorveglianza, la circolare descrive il contenuto del giudizio medico-legale, descrivendo però solamente il percorso relativo al medico competente: i medici pubblici dovranno attenersi alle disposizioni della circolare, per espressa disposizione della stessa.
Secondo la circolare, ai fini della valutazione della condizione di fragilità, il datore di lavoro deve fornire al medico competente tutte le informazioni sulla mansione svolta dal lavoratore, sulla postazione o ambiente di lavoro, sul documento di valutazione dei rischi e sulle misure adottate in adesione al Protocollo condiviso del 24 aprile 2020. La previsione appare del tutto ultronea, posto che il medico competente deve ovviamente già conoscere tutti questi contenuti.
La circolare precisa, tra le indicazioni operative, che – per i datori di lavoro che non abbiano l’obbligo di nominare il medico competente – c’è la possibilità che sia il lavoratore a richiedere una visita per la verifica del proprio stato di fragilità e si tratterà, precisa la circolare, di una visita ex art. 5 della legge n. 300/1970.
In questa ipotesi, quindi, il datore di lavoro dovrà fornire all’ente pubblico (che seguirà e indicazioni della circolare) i dati che avrebbe dovuto fornire al medico competente.
Sulla scorta di queste informazioni, il medico competente – o l’ente pubblico - esprimerà il proprio giudizio di idoneità e fornirà, in via prioritaria, indicazioni per l’adozione di soluzioni maggiormente cautelative per fronteggiare il rischio da covid19. Laddove non vi siano soluzioni alternative, emetterà un giudizio di non idoneità temporanea.
Si tratta di un punto rilevante della circolare: al medico viene infatti rimesso il giudizio se lo stato di riconosciuta fragilità sia o meno compatibile con il lavoro, anche attraverso l’adozione di misure maggiormente cautelative per la salute, ossia anche ulteriori rispetto a quelle ordinarie, previste anche dal Protocollo.
Lascia piuttosto perplessi la priorità per il mantenimento al lavoro piuttosto che – data l’accertata comorbilità ed il maggior rischio oggettivo – l’adozione di misure alternative.
La circolare richiama anche la opportunità di ripetere periodicamente la visita in relazione all’evoluzione scientifica.
I Ministeri non chiariscono le conseguenze dell’eventuale giudizio di inidoneità (il che spiega la priorità riservata al mantenimento al lavoro con adozione di soluzioni maggiormente cautelative): si tratta, invece, di un aspetto rilevante, in quanto il giudizio di inidoneità non riguarda la mansione specifica, ma la condizione di fragilità, dove il rischio che conduce a quel giudizio è legato alla compresenza di altro personale, al mezzo di trasporto utilizzato per recarsi al lavoro, alla possibilità o meno di svolgere attività in smart working, etc.
Sarebbe allora stato opportuno che la circolare, in presenza di un lavoratore astrattamente idoneo alla mansione ma inidoneo al lavoro per l’assenza di alternative alla esposizione ad un rischio non dipendente dal datore di lavoro (il covid19), legittimasse estensivamente strumenti di gestione rientranti nella tutela assicurata dallo Stato per l’emergenza (ad esempio, prevedesse la possibilità per il medico competente di porre il lavoratore in quarantena con equiparazione alla malattia quale soluzione estrema ed in mancanza di alternative).
I due Ministeri confermano la mancata proroga della sorveglianza sanitaria eccezionale prevista dall’art. 83 del DL n. 34/2020, circostanza alla quale la circolare attuale sembra ora dare copertura, e dispongono che le visite mediche richieste dai lavoratori ai sensi di quella normativa (quindi entro il 31 luglio) verranno condotte secondo le regole della circolare in commento.
Da ultimo, la circolare disciplina le modalità di espletamento delle visite, che dovranno ovviamente garantire la massima sicurezza sia per l’operatore sanitario sia per i lavoratori. Si conferma, poi, la possibilità di differire la visita periodica e quella (laddove prevista) disposta alla cessazione del rapporto di lavoro e si sollecita una particolare attenzione alla opportunità di evitare quegli esami che, coinvolgendo particolarmente l’apparato respiratorio (spirometrie., alcooltest, etc), potrebbero risultare particolarmente rischiosi per il personale sanitario.
In conclusione, la circolare - al di là dei due chiarimenti inerenti l’esigenza di non considerare autonomamente il fattore età ai fini della individuazione dei lavoratori fragili e la conferma della necessità dell’iniziativa del lavoratore che intenda chiedere una valutazione della propria condizione di fragilità - non offre gli opportuni chiarimenti, da tempo richiesti da Confindustria, circa le conseguenze della dichiarazione di non idoneità del lavoratore e della possibilità di porlo in quarantena.
Approfittiamo del commento alla circolare ministeriale sulla sorveglianza sanitaria per i lavoratori fragili per intervenire sulla notizia, apparsa sulla stampa il 4 settembre (Il corriere della sera, pagina, 9, articolo dal titolo “Lavoratori, il caso della quarantena – Vietato accendere il computer dell’ufficio”) secondo la quale sarebbe vietato lavorare ai lavoratori in quarantena perché positivi al covid19 o perché di ritorno da zone a rischio (o anche perché sono stati a contatto stretto con un caso accertato di covid19).
A fronte di questo divieto si potrebbe pensare, secondo l’articolo, alla possibilità di far lavorare i dipendenti con la modalità dello smart work, solamente, però, con il loro consenso.
È evidente la non condivisibilità di tali affermazioni.
La quarantena cautelare (come l’isolamento fiduciario domiciliare) non sono relativi a persone positive ma a chi è stato a contatto stretto con un positivo o proviene da Paesi a rischio: dunque nessuna malattia in corso.
Il lavoratore in quarantena perché positivo al tampone rino/faringeo è posto in quarantena sulla base del certificato medico che attesta la positività e dispone il conseguente obbligo di isolamento domiciliare o la sorveglianza domiciliare (laddove non sia necessario il ricovero ospedaliero).
Così, dunque, il lavoratore non positivo in quarantena/isolamento cautelare non è ovviamente malato (né può valere in contrario l’equiparazione alla malattia a soli fini di tutela economica, che invece sta proprio a dimostrare che non si tratta di malattia ai fini dell’art. 2110 del codice civile), mentre il lavoratore positivo, pur in possesso di certificazione medica che prescrive l’obbligo quarantena, potrebbe non avere alcuna “malattia”.
Per malattia, infatti, non può intendersi ogni lesione o alterazione organica o funzionale del corpo umano allo stato acuto, ma solo quella con caratteristiche tali da rendere impossibile al lavoratore di eseguire le prestazioni dovute; ovvero, come di recente riaffermato dalla Cassazione, “il concetto clinico di malattia richiede il concorso del requisito essenziale di una riduzione apprezzabile di funzionalità” (Cass., 25 ottobre 2019, n. 4155).
Del resto, la giurisprudenza non esclude nemmeno in via assoluta che il lavoratore, seppure in malattia, possa prestare attività lavorativa, addirittura per altro datore di lavoro, laddove, in questo caso, la condotta non sia in contrasto con gli obblighi di correttezza e buona fede. Ne consegue che, a maggior ragione, il lavoratore non positivo che si trovi in quarantena/isolamento cautelare deve poter lavorare, anche in smart work, per il proprio datore di lavoro, laddove la modalità non incida negativamente (pregiudicandola o ritardandola) la guarigione.
È evidente che il lavoratore, per il sol fatto di essere positivo, non è necessariamente né malato né sintomatico, e ne viene prescritto l’allontanamento o l’isolamento al fine esclusivo di non diffondere il virus e non in considerazione della sua presunta impossibilità a rendere la prestazione lavorativa.
Ne consegue che, salve le ipotesi in cui ci si trovi in presenza di un certificato medico che prescrive in qualche modo il riposo precludendo ogni attività lavorativa, non vi è alcuna controindicazione al lavoro in smart work, con le dovute cautele imposte dall’isolamento.
Ed è proprio la vicenda dei lavoratori fragili a dimostrare l’erroneità della indicazione apparsa sulle colonne del Corriere della sera.
Sono fragili quei lavoratori che hanno - come dice la circolare in commento – “malattie cronico-degenerative (ad es. patologie cardiovascolari, respiratorie e dismetaboliche)” o anche patologie “a carico del sistema immunitario e quelle oncologiche”.
È di tutta evidenza che queste “malattie” non impediscono di lavorare; tuttavia, la comorbilità che si genera con l’esposizione al rischio di contagio incrementa la potenzialità di un esito più gravo o infausto.
Per questo, quel malato che, in assenza di rischio di contagio, potrebbe continuare tranquillamente a lavorare, dev’essere oggetto di particolari attenzioni in caso di permanenza al lavoro. Resta consigliabile – ove possibile – il suo allontanamento dalle potenziali fonti di rischio (che potrebbero risiedere nelle modalità di lavoro o anche di spostamento casa-lavoro).
È allora evidente che, se può continuare a lavorare (in azienda o a casa) il lavoratore fragile perché sicuramente portatore di una patologia anche grave ma con le dovute cautele (opzione prioritaria rispetto al giudizio di inidoneità assoluta, secondo la circolare, punto 3.3), non si vede perché non possa continuare a lavorare, con il dovuto isolamento e con il rispetto di tutte le prescrizioni del caso, il lavoratore, positivo o meno, che si trovi in quarantena o in isolamento fiduciario, tutte le volte che non sia giudicato “malato” ai fini lavorativi, ossia quando la eventuale patologia in atto, opportunamente certificata, renda impossibile eseguire le prestazioni dovute.
Circolare-n-13-del-04092020-lavoratori-fragili-SARS-CoV-2.pdf|Visualizza dettagli
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Il Senato ha definitivamente approvato la legge di conversione del DL 19/2024, in attesa di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, che contiene la disciplina della cd patente a crediti.
In allegato, la sintesi dei contenuti della norma, una prima circolare di commento elaborata insieme ad ANCE e il confronto tra il testo del decreto-legge n. 19/2024 e quello definitivamente approvato dal Senato.
A breve, Confindustria organizzerà un webinar illustrativo per le Associazioni del sistema.
20240429_conversione_DL_PNRR_Patente.pdf|Visualizza dettagli
Circolare patente a crediti_20240429.pdf|Visualizza dettagli
Confronto tra DL 19-2024 e legge di conversione.pdf|Visualizza dettagli
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Lo scorso 6 aprile 2021 è stato sottoscritto il “Protocollo nazionale per la realizzazione dei piani aziendali finalizzati all’attivazione di punti straordinari di vaccinazione anti SARS-CoV-2/ Covid-19 nei luoghi di lavoro”.
L’iniziativa e la condivisione del documento costituiscono un passo in avanti molto importante, che potrà consentire alle imprese di contribuire in modo concreto alla campagna di vaccinazione.
Vista l’importanza del tema e la necessità di approfondire gli aspetti generali del protocollo, in modo da fornire le prime informazioni utili al sistema associativo, il prossimo 23 aprile, dalle 10.00 alle 12.00, si terrà un webinar dedicato al Protocollo. L’iniziativa è realizzata nell’ambito delle attività del Progetto DISTICO – Dialogo Sociale per Territori e Imprese Competitive realizzato da SFC in collaborazione con l’Area Lavoro, Welfare e Capitale Umano di Confindustria.
L’incontro è strettamente riservato alle sole Associazioni del Sistema.
Di seguito il link per accedere alla sessione on line sulla piattaforma Cisco Webex:
https://luiss.webex.com/luiss/j.php?MTID=m73752a00e0fe9e9cf37b0e780e3f0a97
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In questi giorni si stanno intensificando le richieste di pareri da parte delle imprese associate in ordine alla gestione dei lavoratori che rientreranno in azienda dopo aver trascorso il periodo di ferie al di fuori del territorio nazionale.
Ed infatti, stante l’attuale diffusione della pandemia di COVID-19, occorrerà contemperare il carattere personale della fruizione delle ferie da parte del lavoratore con gli obblighi di protezione che ricadono sul datore di lavoro nei confronti della popolazione aziendale complessivamente considerata.
Per questo motivo, con l’obiettivo di prevenire un eventuale contezioso in materia, riteniamo opportuno invitare le aziende a regolare preventivamente, già in occasione della concessione delle ferie estive, gli aspetti legati al rientro dei lavoratori in azienda, ponendo una particolare attenzione agli obblighi previsti dal Protocollo aziendale di salute e sicurezza e agli obblighi di quarantena e isolamento domiciliare a cui andrebbero incontro, una volta rientrati in Italia, nel caso si volessero recare in Paesi “a rischio”, come segnalati sul sito del Ministero della Salute.
E quindi, nell’ambito della corretta gestione del rapporto di lavoro, le imprese ben potranno sensibilizzare i propri dipendenti a fruire in maniera “responsabile” del periodo feriale, invitandoli ad evitare di soggiornare in Paesi esteri che comportino un maggior rischio di contagio, con la potenziale conseguenza di pregiudicare il successivo rientro in azienda.
Tale posizione trova particolare conferma anche in una pronuncia della Corte di Cassazione (n. 1699 del 2011) che, trattando il caso, un po’ particolare, di un lavoratore ammalatosi in vacanza, enuncia il seguente principio a valenza generale: “……se pure è vero che il lavoratore è pienamente libero nel decidere come e dove utilizzare il periodo delle ferie, è altrettanto vero che siffatta libertà deve essere coniugata, alla stregua dei suddetti principi di correttezza e buona fede posti dagli artt. 1175 e 1375 c.c. che impongono alle parti del rapporto sinallagmatico di tenere comunque un comportamento che non pregiudichi la realizzazione delle rispettive posizioni di diritti ed obblighi, con l’esigenza che le scelte dallo stesso operate in materia non siano lesive dell’interesse del datore di lavoro a ricevere regolarmente la prestazione lavorativa dedotta in contratto”.
Questo insegnamento, già di per sé pienamente fondato e condivisibile, si rafforza laddove si tenga conto che, nel caso della pandemia, non entra in gioco solo l’interesse del datore “a ricevere regolarmente la prestazione lavorativa dedotta in contratto” bensì anche l’interesse, di ben più ampia portata, della tutela della salute pubblica, in generale, e della comunità dei colleghi di lavoro, in particolare.
Alla luce di quanto sopra, il lavoratore, pur nel fruire liberamente del proprio periodo di ferie dovrà, a nostro avviso, tenere rigorosamente conto degli obblighi di quarantena previsti dall’ordinamento italiano (sia nazionale che locale), in costante aggiornamento sulla base dell’andamento del numero dei contagi.
In applicazione dei principi generali di buona fede e correttezza nell’esecuzione del rapporto di lavoro, il lavoratore che si recherà all’estero sarà quindi tenuto a pianificare le proprie ferie evitando di esporsi a situazioni che generano l’obbligo di isolamento/quarantena, tanto nel Paese ospitante che al suo rientro in Italia.
Per questi motivi, oltre a ribadire l’importanza dell’applicazione (sia pur attualizzata alla nuova fase di gestione dell’emergenza) del Protocollo di sicurezza, abbiamo predisposto:
- una bozza di informativa da consegnare ai lavoratori prima del loro ingresso in ferie
- e, similmente a quanto previsto dallo stesso Protocollo durante la fase di lockdown, una dichiarazione negativa in ordine alla sua permanenza nei Paesi in black list o in merito agli obblighi di sottoposizione a quarantena/isolamento domiciliare dopo il rientro da Paesi esteri “a rischio”.
Allegato 1_comunicato aziendale.docx|Visualizza dettagli
Allegato 2_dichiarazione rientro.docx|Visualizza dettagli
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In allegato la nota di commento
Cordiali saluti
Commento al DL 125-2020.docx|Visualizza dettagli
Modificato il da Roberto Vincenti F98767E6-1156-50B9-4125-66E2005E8089 [email protected]
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Nei giorni scorsi ci sono state rivolte molteplici richieste di pareri, da parte delle imprese associate, in ordine alla gestione dei rapporti di lavoro agile in essere, avviati con le modalità semplificate previste dalle varie disposizioni emanate per far fronte all’emergenza epidemiologica.
La questione aveva assunto un particolare rilievo a seguito della faq apparsa sul sito del Ministero del Lavoro il 6 luglio, con la quale era stata data una interpretazione “restrittiva” alla disposizione di cui all’art. 90, comma 4, del dl n.34/2020, convertito in l. n. 77/2020, indicando il 31 luglio come il termine ultimo per poter avvalersi delle modalità semplificate per la gestione del lavoro agile.
Ne conseguiva che, per poter proseguire a rendere la prestazione in modalità di lavoro agile, i lavoratori avrebbero dovuto, ciascuno, esprimere il proprio consenso alla prosecuzione e le imprese avrebbero dovuto procedere alla relativa comunicazione obbligatoria del testo dell’accordo, con rilevanti e complessi effetti gestionali.
Visti i tempi ristretti, la complessità delle attività da porre in essere e, per le imprese di maggiori dimensioni, l’elevato numero di lavoratori che stanno lavorando con le modalità del lavoro agile, abbiamo avviato una intensa azione di sensibilizzazione verso il Ministero del Lavoro per trovare una soluzione che non mettesse in difficoltà le imprese, che molto difficilmente avrebbero potuto acquisire il consenso nelle forme previste dalla legge e rispettare il termine del 31 luglio per effettuare tutte le comunicazione secondo la procedura ordinaria.
Abbiamo più volte rappresentato come, anche sotto lo stretto profilo della prevenzione per la tutela della salute, la gestione semplificata dello smart work costituisca, così come riconosce anche il Protocollo del 14 marzo, una soluzione di natura prevenzionale che andrebbe facilitata e favorita anche nel periodo della ripresa, onde evitare che dopo il 31 luglio, data di cessazione del periodo di emergenza, la stessa funzione fosse compromessa. Il possibile rientro di un gran numero di lavoratori nelle aziende determinerebbe, infatti, notevoli problemi di gestione dei distanziamenti e del rigoroso rispetto di tutte le altre misure prevenzionali adottate dalle imprese.
A seguito dell’intenso confronto svolto con il Ministero del Lavoro ieri sera è stata pubblicata una nuova faq che accoglie le istanze di semplificazione avanzate da Confindustria.
Ecco il testo della faq:
SMART WORKING: COMUNICAZIONE
Come vanno effettuate le comunicazioni di smart working previste dall'articolo 90 del D.L. n. 34/2020, convertito con modificazioni nella Legge n. 77/2020?
L'articolo 90 del Decreto legge n. 34/2020 specifica che la modalità di lavoro agile può essere applicata dai datori di lavoro privati a ogni rapporto di lavoro subordinato anche in assenza degli accordi individuali, ovvero utilizzando la procedura "semplificata" attualmente in uso, e ciò sino alla fine dello stato di emergenza (attualmente fissata al 31 luglio 2020) e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2020. Pertanto, allo stato attuale, la procedura "semplificata" è utilizzabile sino al 31 luglio 2020.
Oltre la data del 31 luglio 2020, la comunicazione di cui all'articolo 23, comma 1 della Legge 22 maggio 2017, n. 81, sarà effettuata con i modelli predisposti dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (Modello per effettuare la comunicazione – Template per comunicare l'elenco dei lavoratori coinvolti) e l'accordo è detenuto dal datore di lavoro che dovrà esibirlo al Ministero, all'Inail e all'Ispettorato Nazionale del Lavoro per attività istituzionali di monitoraggio
In sostanza l’impresa si limiterà a raccogliere il consenso dei lavoratori alla prosecuzione dello svolgimento del loro lavoro in modalità agile nei modi più semplici ritenuti opportuni (ad esempio con uno scambio di mail – cfr in calce all. 1 con una bozza di mail che potrebbe essere utilizzata dalle imprese e liberamente adattata alle singole esigenze) purchè rimanga evidenza di tale acquisizione.
Successivamente l’impresa compilerà il modello predisposto dal Ministero nel quale si limiterà a dichiarare che è in possesso degli accordi individuali dei lavoratori elencati nel file allegato alla comunicazione e che si impegna ad esibirli per attività di monitoraggio e vigilanza.
All. 1
(Bozza di mail per acquisizione consenso lavoro agile)
(Carta intestata dell’impresa)
Caro collega,
in relazione all’evoluzione dell’emergenza sanitaria da Covid 19, l’Azienda sta realizzando il rientro graduale, progressivo e sicuro presso le sedi, nel rispetto delle norme prevenzionali di cui al Protocollo del…….
La Sua prestazione lavorativa in lavoro agile, salvo l’intervento di specifiche nuove norme di legge in materia, proseguirà nelle stesse forme e modalità attualmente in essere fino al ……..
E’ sempre salva ogni diversa comunicazione aziendale.
Qualora, invece, non volesse proseguire l’attività in lavoro agile, dovrà contattare immediatamente il proprio referente del personale, che valuterà la sua richiesta in coerenza con le disposizioni di legge e in relazione alle necessità organizzative dell’Azienda.
Con l’accettazione del contenuto della presente e-mail; che vorrà farci avere nel più breve tempo possibile e nelle stesse forme (e, comunque, fatta salva una sua diversa ma immediata indicazione al proprio referente del personale), si riterrà condivisa la prosecuzione dello smart working nei termini sopra indicati.
Con i migliori saluti
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Il 25 ottobre scorso, la Conferenza Stato-Regioni ha approvato, in sede tecnica, la bozza del nuovo Accordo Stato-Regioni sulla formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Il 7 novembre la Conferenza si pronuncerà definitivamente in sede politica.
Al fine di analizzare insieme gli elementi più salienti del nuovo accordo, organizziamo una riunione on line
venerdì 15 novembre 2024,
dalle ore 11.00 alle ore 13.00
L’evento è riservato alle Associazioni del sistema.
Il link per l'iscrizione all'evento è: https://confindustria.zoom.us/meeting/register/tZMtf-GurDsqHtfXUeGDY5LVZD6giZ82ysHm
In attesa di incontrarvi, inviamo i migliori saluti.
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Facendo seguito alle precedenti comunicazioni in tema di certificazione verde COVID-19, c.d. green pass, di seguito alcune considerazioni sulla interpretazione dell’obbligo di controllo formalizzata dal Governo attraverso la FAQ n. 12, disponibile al seguente link: https://www.governo.it/it/articolo/green-pass-faq-sui-dpcm-firmati-dal-presidente-draghi/18223.
La domanda posta nella FAQ è relativa all’interrogativo se il green pass rilasciato in seguito all’effettuazione di un tampone debba essere valido per tutta la durata dell’orario lavorativo.
La risposta del Governo è negativa, posto che “il green pass deve essere valido nel momento in cui il lavoratore effettua il primo accesso quotidiano alla sede di servizio e può scadere durante l’orario di lavoro, senza la necessità di allontanamento del suo possessore”.
L’obbligo di possesso ed esibizione a richiesta del green pass in corso di validità è disposto dalla legge “ai fini dell’accesso nel luogo di lavoro”) (DL n. 52/2021, art. 9-septies, commi 1, 6 e 8), per cui la Presidenza del Consiglio ha valorizzato tale aspetto formale e non la tutela sostanziale derivante dalla presenza in azienda di un lavoratore privo di green pass al momento del controllo.
La conseguenza è che i controlli a campione predisposti all’interno dei luoghi di lavoro potranno continuare a essere effettuati, tuttavia, il lavoratore trovato sprovvisto di green pass in corso di validità all’interno del luogo di lavoro, per evitare la sanzione, potrà dimostrare – attraverso la presentazione della data e ora di scadenza evidenziata nel green pass - che, al momento dell’accesso in quel luogo di lavoro, era in possesso del green pass valido, andando così esente da ogni tipo di sanzione (sia contrattuale, che amministrativa).
Anche in relazione a questa nuova impostazione, abbiamo anche richiesto un orientamento uniforme al Ministero dell’Interno sulle procedure di comunicazione delle violazioni alle Prefetture.
Cogliamo l’occasione per rendere noto che le linee guida in materia, emanate per il lavoro pubblico, sul punto[1] (v. nota), sostengono una tesi contrastante con quanto sostenuto da Confindustria (ma anche da eminenti autori) ossia che l’assenza ingiustificata permane tale fino alla presentazione del green pass (cfr. art. 3, comma 6, del d.l. n.127/2021) e, pertanto, “prevale” su altri “titoli”, intervenuti successivamente, che giustificherebbero l’assenza stessa.
Riteniamo di dover confermare comunque la posizione già espressa in quanto la legge appare chiara nel disporre che “per i giorni di assenza ingiustificata non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato”.
[1] Nel caso in cui l’accertamento sia svolto dopo l’accesso alla sede, a tappeto o a campione: il dirigente che ha svolto l’accertamento, se del caso attraverso il responsabile della struttura di appartenenza, dovrà intimare al lavoratore sprovvisto di certificazione valida, al momento del primo accesso al luogo di lavoro, di lasciare immediatamente il posto di lavoro e comunicare ai competenti uffici l’inizio dell’assenza ingiustificata che perdurerà fino alla esibizione della certificazione verde, includendo nel periodo di assenza anche le eventuali giornate festive o non lavorative. In questo caso, inoltre, dopo aver accertato l’accesso nella sede di lavoro senza certificazione, il dirigente competente sarà tenuto ad avviare anche la procedura sanzionatoria di cui all’articolo 9-quinquies del decreto-legge n. 52 del 2021 (che sarà irrogata dal Prefetto competente per territorio). Non è consentito, in alcun modo, che il lavoratore permanga nella struttura, anche a fini diversi, o che il medesimo sia adibito a lavoro agile in sostituzione della prestazione non eseguibile in presenza, ferma rimanendo la possibilità, per le giornate diverse da quella interessata, di fruire degli istituti contrattuali di assenza che prevedono comunque la corresponsione della retribuzione (malattia, visita medica, legge 104, congedo parentale…)
Modificato il da Roberto Vincenti F98767E6-1156-50B9-4125-66E2005E8089 [email protected]
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Vi informiamo che, nella Gazzetta Ufficiale n. 176 del 29-07-2022, è stato pubblicato il d.lgs. 27 giugno 2022, n. 104 (c.d. Decreto trasparenza) che attua la Direttiva UE 2019/1152 relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell'Unione europea.
Il Decreto introduce nuovi obblighi informativi, posti a carico del datore di lavoro, sia per le nuove assunzioni (a partire dal 13 agosto) che per i contratti già in corso (entro 60 gg. dalla richiesta del lavoratore).
Seguiranno, nei prossimi giorni, ulteriori note di approfondimento.
Di seguito il link al Decreto
https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2022-07-29&atto.codiceRedazionale=22G00113&elenco30giorni=false
Modificato il da Graziano Passarello 19481F81-2A1B-A5E4-C125-84E9003793CE [email protected]
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Protocollo nazionale per la realizzazione dei piani aziendali finalizzati all’attivazione di punti straordinari di vaccinazione anti SARS-CoV-2/Covid-19 nei luoghi di lavoro
Indicazioni operative della fase di preparazione propedeutica all’avvio della procedura vaccinale
Attività delle Associazioni per la vaccinazione da parte delle aziende 28apr21.pdf|Visualizza dettagli
Modificato il da Roberto Vincenti F98767E6-1156-50B9-4125-66E2005E8089 [email protected]
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Legge di bilancio per il 2021 Primo commento (14 gennaio)
Contratti a termine
La prima disposizione da commentare è l’art. 1, comma 279, della legge di bilancio per il 2021 (l. n. 178/2020) che si limita a prorogare al 31 marzo 2021 la disciplina dell’art. 93, comma 1, del d.l. n. 34/2020, convertito in l. n. 77/2020, come modificato dall’art. 8, comma 1, lett. a) del d.l. 104/2020, convertito in l. n. 126/2020.
La norma, in sostanza, conferma la possibilità di rinnovare o prorogare contratti a termine “senza causale” (in deroga all’articolo 21 del d. lgs n. 81/2015), per un periodo massimo di 12 mesi, ma sempre nel rispetto del principio della durata massima complessiva dei 24 mesi, e “per una sola volta”.
Il rinnovo o la proroga “acausale” è possibile fino al 31 marzo 2020, il che significa che la sottoscrizione del contratto a termine, rinnovato o prorogato, può avvenire entro il 31 marzo 2020 ma l’effetto di tale proroga o rinnovo si può estendere anche oltre tale data.(cfr., in nota, un estratto della nota INL del 16 settembre 2020 sull’analoga norma introdotta dall’art. 8, comma 1, lett. a) del d.l. 104/2020 convertito in l. n. 126/2020)[1].
Il rinnovo o la proroga, come si diceva, si può effettuare “per una sola volta” e, in caso di rinnovo, non occorre neppure rispettare l’intervallo tra un contratto a termine e l’altro (cfr. sempre la già citata nota dell’INL).
Dato che la legge dispone che proroga e rinnovo possano essere effettuati una sola volta, se ne deduce che questo regime “acausale” non tiene conto dei rapporti pregressi (salvo, ovviamente, delle proroghe o rinnovi eventualmente già effettuati in vigenza della precedente norma introdotta dall’art. 8, comma 1, lett. a) del d.l. 104/2020 convertito in l. n. 126/2020).
In tema di proroghe, poi, è noto che, secondo la disciplina generale (art. 21, comma 1, del d. lgs. n. 81 del 2015), nei primi 12 mesi si possono effettuare fino a quattro proroghe “acausali”. Pertanto, l’espressione “per una sola volta”, utilizzata nella disposizione in commento, se riferita alle proroghe, lascia intendere che il contenuto del “nuovo” art. 93 ha una sua valenza del tutto autonoma e peculiare, che prescinde, seppur in parte, dalla “disciplina generale” sui contratti a termine, quanto meno in ordine alla disciplina delle proroghe.
Dunque, posto che nell’art. 93, come “riformato” dal d.l. 104/2020, si parla espressamente di deroga all’art. 21, questa proroga non si conteggia tra le quattro previste nel citato comma 1 dell’art. 21.
Sempre in tema di contratti a termine va poi ricordato che deve ritenersi tuttora vigente, almeno fino al 31 marzo 2021, l’art. 19 bis del “Cura Italia” (d.l. n. 18 del 17 marzo 2020, convertito in l. n. 27/2020) ossia la “Norma di interpretazione autentica in materia di accesso agli ammortizzatori sociali e rinnovo dei contratti a termine”.
Questa norma, in deroga alla disciplina generale sui contratti a termine e sulla somministrazione a termine, consente “ai datori di lavoro che accedono agli ammortizzatori sociali di cui agli articoli da 19 a 22 del presente decreto” (ossia al regime di cassa integrazione COVID 19, o comunque riconducibili a tale evento), di prorogare o rinnovare contratti a tempo determinato o di somministrazione a termine, “nei termini ivi indicati” (ossia nei termini temporali individuati negli stessi artt. da 19 a 22 del decreto legge n.18/2020)
Orbene, dato che tutte le proroghe di vigenza della “cassa Covid” sono state effettuate apportando modifiche agli artt. da 19 a 22 del decreto legge n.18/2020, così come è avvenuto anche ora, in occasione dell’approvazione della legge di bilancio per il 2021 (l. n. 178/2020 – cfr. comma 299 e ss.) si ritiene che la disposizione dell’art. 19 bis sia tuttora vigente fino al 31 marzo 2021, in relazione ai trattamenti di cassa integrazione ordinaria, e fino al 30 giugno 2021 per i trattamenti di assegno ordinario e di cassa integrazione salariale in deroga, ossia fino al temine di efficacia degli interventi della cassa Covid (cfr. comma 300).
La disposizione appare particolarmente opportuna laddove il regime di cassa integrazione COVID 19, in molti casi, non è determinato da una libera scelta dell’impresa ma è conseguenza delle misure restrittive introdotte dal Governo per fronteggiare l’emergenza sanitaria.
In difetto di questa disposizione molte imprese dovrebbero interrompere il rapporto con personale già “sperimentato”, perdendo l’occasione di poterlo impiegare nuovamente al momento della ripresa produttiva.
La disposizione di legge non specifica se la durata della proroga o del rinnovo possa andare oltre il periodo previsto di cassa integrazione ma, venuto meno l’intervento dell’ammortizzatore, viene meno anche il divieto di ricorso alle forme di lavoro flessibili previsto dalla disciplina generale e, dunque, è ragionevole concludere che la durata dei contratti possa andare oltre il periodo della cassa integrazione.
La disposizione in esame deroga anche all’osservanza dell’intervallo tra un contratto e il successivo (il c.d. “stop and go”), che pertanto facilità l’utilizzo di questi contratti.
Resta, comunque, la necessità di apporre una delle “causali” di legge in ogni caso di rinnovo e nel caso in cui la proroga oltrepassi il limite dei 12 mesi di durata e sempre che non si utilizzi la disposizione, precedentemente commentata, ossia quella recata dall’art. 93, comma 1, del d.l. n. 34/2020, come successivamente modificato
Licenziamenti
I commi da 309 a 311 della legge di bilancio ripropongono la nota normativa sul “blocco” dei licenziamenti, sia individuali che collettivi, differendo il termine ultimo di efficacia al 31 marzo 2021.
Vengono anche confermate le eccezioni già espressamente previste dalla precedente normativa.
Oltre all’ipotesi del “cambio appalto”, nei termini già previsti dalla legge (ossia quando operano “clausole sociali” che assicurano la continuità “sostanziale” del rapporto), le eccezioni previste sono:
- nel caso di cessazione definitiva dell’attività di impresa, conseguente alla messa in liquidazione senza continuazione, neppure parziale, dell’attività: l’eccezione viene meno se, nel corso della liquidazione, si possa configurare una cessione di un complesso di beni o di attività tale da concretare l’ipotesi di un trasferimento d’impresa o di ramo di essa, ai sensi dell’art. 2112 Cod. Civ.;
- nel caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo d’impresa, è possibile procedere ai licenziamenti solo nei settori non interessati dall’esercizio provvisorio;
- ne caso di sottoscrizione di un accordo collettivo aziendale che preveda incentivi alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscano al predetto accordo. Viene espressamente previsto che a questi lavoratori viene riconosciuta la prestazione della Naspi. L’accordo aziendale va stipulato con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale e non deve avvenire a seguito dell’avvio di una procedura di licenziamento collettivo, peraltro ancora espressamente preclusa.
In sostanza i datori di lavoro concordano accordi aziendali “quadro” che prevedono condizioni di favore per la risoluzione del rapporto, risoluzione che è consigliabile avvenga nell’ambito di un accordo di conciliazione individuale con il singolo lavoratore interessato, conciliazione nella quale, oltre all’adesione del lavoratore all’accordo quadro con il riconoscimento dell’incentivo all’esodo, ben potranno essere definite tutte le eventuali questioni derivanti dal rapporto di lavoro intercorso.
Riteniamo particolarmente opportuno ricordare che la (eventuale) conciliazione che definisca anche la risoluzione del rapporto contenga una espressa rinuncia ad ogni diritto ed azione che riguardi il pregresso rapporto (naturalmente con una precisa individuazione dei diritti oggetto della conciliazione) nonché una rinuncia ad ogni diritto ed azione che riguardi anche la risoluzione del rapporto, compresa, per maggiore sicurezza, l’eventuale violazione della procedura dettata della legge 223 del 1991.
Va infine ricordato che in data 26 novembre l’inps ha pubblicato il messaggio n. 4464 contenente importanti chiarimenti in materia di accesso alla Naspi e risoluzione del rapporto di lavoro a seguito di accordo collettivo aziendale previsto dall’art. 14 comma 3 del DL n. 104/2020.
L’Inps ha ricordato che, nel tempo, sono state riconosciute ulteriori fattispecie di accesso alla Naspi che si differenziano dal licenziamento o dalla cessazione a seguito della scadenza del contratto a tempo determinato e ha fatto riferimento al DL n. 104 del 2020, che, appunto, ha aggiunto la fattispecie dell’accordo collettivo aziendale di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, che costituisce una delle ipotesi di deroga al divieto di licenziamenti collettivi ed individuali per GMO, attualmente vigente.
L’Inps ha ricordato che la norma ha carattere generale e si applica in tutti i casi di sottoscrizione degli accordi stipulati che riguardino o meno aziende che possano accedere ancora ai trattamenti di integrazione salariale riconducibili all'emergenza epidemiologica da COVID-19.
Il messaggio ha precisato, inoltre, che l’accesso alla Naspi per i lavoratori che aderiscono agli accordi citati è ammessa solo fino al termine della vigenza delle disposizioni che impongono il divieto dei licenziamenti collettivi e individuali per GMO. Vari commentatori avevano, invece, ipotizzato che l’accordo di risoluzione del rapporto si dovesse definire entro la data ultima prevista dalla legge ma che la decorrenza della risoluzione del rapporto sarebbe potuta avvenire, concretamente, anche in data successiva, fissata dall’accordo stesso.
In realtà la formulazione utilizzata, sul punto, dal messaggio in esame non sembra dare spazio a tale interpretazione, lasciando intendere che l’accesso alla Naspi non possa avere decorrenza diversa da quella del termine della vigenza delle disposizioni che impongono il divieto dei licenziamenti collettivi e individuali per GMO.
Per accedere alla Naspi i lavoratori sono tenuti, in sede di presentazione della domanda di Naspi, ad allegare l’accordo collettivo aziendale e – qualora l’adesione del lavoratore non si evinca dall’accordo, ma sia contenuta in altro documento diverso dallo stesso - la documentazione attestante l’adesione all’accordo stesso.
Infine, l’Inps ha confermato che anche i dirigenti, eventualmente aderenti agli accordi in commento, ove ricorrano gli altri presupposti di legge, possono accedere all’indennità Naspi.
AMMORTIZZATORI SOCIALI
Per quanto riguarda le disposizioni in materia di integrazione salariale, la legge n. 178 del 2020 all’art 1 proroga
- al comma 278, per gli anni 2021 e 2022, il trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria per cessazione, anche parziale, dell’attività per un periodo massimo complessivo di 12 mesi, alle medesime condizioni già previste all’articolo 44 del DL n. 109 del 2018;
- al comma 280, per il 2021, le misure di sostegno al reddito per i lavoratori dipendenti dalle imprese di call center;
- al comma 285, per il 2021 ed il 2022, il trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria per le imprese con rilevanza economico strategica anche a livello regionale che presentino rilevanti problematiche occupazionali, trattamento già previsto all’art 22 bis del d.lgs. n. 148/2015 ed alle medesime condizioni. La proroga consente il prolungamento di un precedente periodo di cigs per crisi, per riorganizzazione o per contratto di solidarietà al fine del completamento di piani di risanamento aziendale e di riorganizzazione particolarmente complessi, volti a garantire la prosecuzione dell’attività aziendale e di piani di recupero occupazionale diretti a garantire la continuità e la salvaguardia dell’occupazione ed a gestire gli esuberi.
- Al fine del completamento dei piani di recupero occupazionale, l’art. 1 comma 289 dispone lo stanziamento di nuove risorse per la concessione di un ulteriore intervento di integrazione salariale straordinaria, per un periodo massimo di 12 mesi, per le imprese operanti nelle aree di crisi industriale complessa, ai sensi di quanto già previsto dall’art. 44, comma 11 bis, del d.lgs. n. 148 del 2015.
Per quel che concerne gli ammortizzatori sociali COVID 19, la Legge di Bilancio, all’art. 1 comma 300, dispone che i datori di lavoro che sospendono o riducono l'attività lavorativa per eventi riconducibili al covid 19 possono richiedere cigo covid, assegno orinario covid e cig in deroga covid per un massimo di 12 settimane (cfr. commi da 299 a 305).
Le 12 settimane devono essere collocate nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2021 e il 31 marzo 2021 per i trattamenti di cassa integrazione ordinaria covid e nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2021 e il 30 giugno 2021 per i trattamenti di assegno ordinario covid e di cassa integrazione salariale in deroga covid.
Come nella precedente disciplina, i periodi di integrazione salariale precedentemente richiesti e autorizzati ai sensi dell'art. 12 del DL n. 137/2020, collocati, anche parzialmente, in periodi successivi al 1° gennaio 2021 sono imputati, ove autorizzati, alle nuove 12 settimane.
Le richieste per l’accesso ai trattamenti di integrazione salariale per covid 19 devono essere inoltrate all'INPS, a pena di decadenza, entro la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell'attività lavorativa. In fase di prima applicazione, il termine di decadenza è fissato entro la fine del mese successivo a quello di entrata in vigore della legge di Bilancio per il 2021.
I trattamenti di integrazione salariale per covid 19 sono riconosciuti anche in favore dei lavoratori assunti dopo il 25 marzo 2020 e, in ogni caso, in forza alla data di entrata della Legge di Bilancio (1.1.2021).
In caso di fruizione degli ammortizzatori sociali covid 19, non è più dovuto il versamento del contributo addizionale.
ESONERO CONTRIBUTIVO
La legge di Bilancio, all’art. 1 comma 306 prevede, altresì, che i datori di lavoro privati, con esclusione di quelli del settore agricolo, che non richiedono i trattamenti di integrazione salariale per covid 19, ferma restando l'aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche, possono richiedere l'esonero dal versamento dei contributi previdenziali a loro carico previsto dall’art. 3 del DL n. 104/2020, per un ulteriore periodo massimo di otto settimane, fruibili entro il 31 marzo 2021, nei limiti delle ore di integrazione salariale già fruite nei mesi di maggio e giugno 2020, con esclusione dei premi e dei contributi dovuti all'INAIL, riparametrato e applicato su base mensile. L'efficacia del beneficio è subordinata all'autorizzazione della Commissione europea.
CONTRATTO DI ESPANSIONE
L’art 1, comma 349, proroga per 2021 la possibilità di stipulare il contratto di espansione, apportando delle modifiche al testo dell’art. 41 del d.lgs. n. 148 del 2015.
Viene infatti disposto che solamente per il 2021 il limite minimo di unità lavorative in organico necessario per accedere al contratto di espansione non è più 1000 in quanto non può essere inferiore a 500 unità e, limitatamente agli effetti previsti dalla disposizione sull’accompagnamento a pensione (comma 5bis), a 250 unità, calcolate complessivamente nelle ipotesi di aggregazione di imprese stabile con un'unica finalità produttiva o di servizi.
Viene inoltre aggiunto il comma 5 bis che prevede che:
- per i lavoratori che si trovino a non più di 60 mesi dalla prima decorrenza utile della pensione di vecchiaia, che abbiano maturato il requisito minimo contributivo, o della pensione anticipata (ex art 24, comma 10, DL n. 201/2011), nell'ambito di accordi di non opposizione e previo esplicito consenso in forma scritta dei lavoratori interessati, il datore di lavoro riconosce per tutto il periodo e fino al raggiungimento della prima decorrenza utile del trattamento pensionistico, a fronte della risoluzione del rapporto di lavoro, un'indennità mensile, commisurata al trattamento pensionistico lordo maturato dal lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro, come determinato dall'INPS.
Se la prima decorrenza utile della pensione è quella prevista per la pensione anticipata, il datore di lavoro versa anche i contributi previdenziali utili al conseguimento del diritto.
Per l'intero periodo di spettanza teorica della Naspi al lavoratore, il versamento a carico del datore di lavoro per l'indennità mensile è ridotto di un importo equivalente alla somma della prestazione Naspi e il versamento a carico del datore di lavoro per i contributi previdenziali utili al conseguimento del diritto alla pensione anticipata è ridotto di un importo equivalente alla somma della contribuzione figurativa prevista per la Naspi (art. 12 d.lgs. n. 22/2015), fermi restando in ogni caso i criteri di computo della contribuzione figurativa.
- Per le imprese o gruppi di imprese con un organico superiore a 1.000 unità lavorative che attuino piani di riorganizzazione o di ristrutturazione di particolare rilevanza strategica, in linea con i programmi europei e che, all'atto dell'indicazione del numero dei lavoratori da assumere si impegnino ad effettuare almeno una assunzione per ogni tre lavoratori che abbiano prestato il consenso per l’accompagnamento, la riduzione dei versamenti a carico del datore di lavoro opera per ulteriori dodici mesi, per un importo calcolato sulla base dell'ultima mensilità di spettanza teorica della prestazione Naspi al lavoratore.
- Per dare attuazione al contratto di espansione, il datore di lavoro interessato presenta domanda all'INPS, accompagnata dalla presentazione di una fideiussione bancaria a garanzia della solvibilità dei relativi obblighi. Il datore di lavoro deve versare mensilmente all'INPS la provvista per la prestazione e per la contribuzione figurativa. In assenza del versamento mensile l'INPS è tenuto a non erogare le prestazioni.
SGRAVIO PER ASSUNZIONE GIOVANI
La legge di Bilancio, all’art 1, commi da 10 a 15, al fine di promuovere l’occupazione giovanile, riconosce per le nuove assunzioni a tempo indeterminato e per le trasformazioni dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato effettuate nel biennio 2021-2022, uno sgravio contributivo nella misura del 100%, per massimo 36 mesi, nel limite massimo di importo pari a 6.000 euro annui, per quei soggetti che alla data della prima assunzione incentivata non abbiano compiuto il trentaseiesimo anno di età. Resta ferma l'aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche.
Tale esonero è riconosciuto per un periodo massimo di 48 mesi ai datori di lavoro privati che effettuino assunzioni in una sede o unità produttiva ubicata nelle seguenti regioni: Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna.
L'esonero spetta ai datori di lavoro che non abbiano proceduto, nei sei mesi precedenti l'assunzione, né procedano, nei nove mesi successivi alla stessa, a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo ovvero a licenziamenti collettivi, nei confronti di lavoratori inquadrati con la medesima qualifica nella stessa unità produttiva.
L’efficacia del beneficio è subordinata all'autorizzazione della Commissione europea ed è concesso nei limiti e alle condizioni stabiliti dalla medesima Commissione con il Quadro temporaneo sugli aiuti di Stato.
SGRAVIO ASSUZIONE DONNE
All’art. 1 comma 16 viene previsto, in via sperimentale, un esonero contributivo nella misura del 100%, nel limite massimo di 6.000 euro annui, in caso di assunzioni di donne lavoratrici effettuate nel biennio 2021-2022.
Le assunzioni devono comportare un incremento occupazionale netto calcolato sulla base della differenza tra il numero dei lavoratori occupati rilevato in ciascun mese e il numero dei lavoratori mediamente occupati nei 12 precedenti. Per i dipendenti con contratto di lavoro a tempo parziale, il calcolo è ponderato in base al rapporto tra il numero delle ore pattuite e il numero delle ore che costituiscono l'orario normale di lavoro dei lavoratori a tempo pieno.
L’efficacia del beneficio è subordinata all'autorizzazione della Commissione europea ed è concesso nei limiti e alle condizioni stabiliti dalla medesima Commissione con il Quadro temporaneo sugli aiuti di Stato.
OPZIONE DONNA
L’art. 1 comma 336 prevede la proroga dell’anticipazione pensionistica c.d. “opzione donna”.
Entro il 31.12.2020 le interessate devono avere un'età pari 58 anni per le lavoratrici dipendenti (pubbliche e private) e pari a 59 anni per le autonome. Entro il 31.12.2020 bisogna anche aver maturato il requisito di 35 anni di contributi effettivi. Una volta raggiunti i requisiti entro il 2020, sarà necessario attendere 12 mesi di finestra per le lavoratrici dipendenti e 18 mesi per quelle autonome.
È bene rammentare che con la scelta dell’anticipazione pensionistica in questione c’è la conversione totale al metodo di calcolo contributivo.
APE SOCIALE
Anche l’Ape sociale viene prorogato per tutto il 2021 (art. 1 commi 339-340).
I requisiti necessari entro il 31.12.2021 sono:
- almeno 63 anni di età;
- almeno 30 anni di contributi o almeno 36 anni nel caso dei lavoratori c.d. “gravosi”, mentre per le lavoratrici madri vi è una agevolazione per ogni figlio pari a 12 mesi per un massimo di 2 anni di contributi;
- quattro i profili di tutela: 1) disoccupati per l’intera durata della Naspi, 2) care-giver conviventi per almeno 6 mesi di parenti o affini entro il 2° grado con disabilità grave, 3) lavoratori disabili con invalidità civile almeno pari al 74%, 4) addetti a mansioni gravose per almeno 6 anni negli ultimi 7 o 7 anni negli ultimi 10.
È presupposta la cessazione del rapporto di lavoro
L’ape sociale ha un valore mensile pari alla pensione maturata fino a un massimo di 1500 euro lordi mensili per 12 mesi.
INCENTIVO ALL’ESODO E ISOPENSIONE
L’art. 1, comma 145, proroga fino al 2023 la possibilità - già a partire da 7 anni di anticipo rispetto all’età pensionabile - di accesso alla c.d. “isopensione” introdotta dall’art 4 della l.n. 92/2012, (legge Fornero).
QUARANTENA E LAVORATORI FRAGILI
In base all’art. 1, comma 481 della legge di Bilancio, nel periodo che va dal 1° gennaio al 28 febbraio 2021 per i lavoratori c.d. fragili, (vale a dire immunodepressi, malati oncologici e con disabilità gravi identificati dall’art. 26 comma 2, del DL n. 18/2020) viene prorogata l’equiparazione - dal punto di vista del trattamento economico spettante - al ricovero ospedaliero del periodo di assenza dal servizio.
Come per i periodi fino al 15 ottobre 2020, anche i trattamenti economici relativi ai mesi di gennaio e febbraio sono posti a carico dello Stato.
Si evidenzia altresì che il comma 484 elimina la necessità che nel certificato medico siano indicati gli estremi del provvedimento che ha dato origine alla quarantena con sorveglianza attiva o alla permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva di cui all’art.26, comma 1 , del suddetto DL n.18.
[1] Nota INL prot n. 713 del 16 settembre 2020
Art. 8 – contratti a termine
La disposizione interviene sull’art. 93 del D.L. n. 34/2020 (conv. da L. n. 77/2020), modificando integralmente il primo comma e abrogando il comma 1 bis. Nello specifico si consente, fino al 31 dicembre 2020 ed in deroga all’art. 21 del D.Lgs. n. 81/2015, di prorogare o rinnovare contratti a tempo determinato per un periodo massimo di 12 mesi e per una sola volta, pursempre nel rispetto del termine di durata massima di 24 mesi, senza necessità delle causali di cui all’art. 19, comma 1, dello stesso D.Lgs. n. 81/2015. Sul punto, in ragione delle finalità espresse dal legislatore e della formulazione utilizzata, si ritiene che la disposizione permetta altresì la deroga alla disciplina sul numero massimo di proroghe e sul rispetto dei c.d. “periodi cuscinetto” contenuta nell’art. 21 del D.Lgs. n. 81/2015. Ne consegue che, laddove il rapporto sia stato già oggetto di quattro proroghe sarà comunque possibile prorogarne ulteriormente la durata per un periodo massimo di 12 mesi, così come sarà possibile rinnovarlo anche prima della scadenza del c.d. periodo cuscinetto, sempreché sia rispettata la durata massima di 24 mesi. La previsione di una durata massima di 12 mesi della proroga o del rinnovo “agevolato”, lascia altresì intendere che il termine del 31 dicembre p.v. sia riferito esclusivamente alla formalizzazione della stessa proroga o del rinnovo. La durata del rapporto potrà quindi protrarsi anche nel corso del 2021, fermo restando il limite complessivo dei 24 mesi. Occorre altresì chiarire che la disposizione, in quanto “sostitutiva” della disciplina previgente, consentirà di adottare la nuova proroga o il rinnovo “agevolato” anche qualora il medesimo rapporto di lavoro sia stato prorogato o rinnovato in applicazione del previgente art. 93 del D.L. n. 34/2020, pur sempre nel rispetto del limite di durata massima di 24 mesi. L’art. 8 abroga poi il comma 1 bis dell’art. 93, introdotto in sede di conversione del D.L. n. 34/2020 che prevedeva una proroga automatica dei contratti a termine in essere per un periodo equivalente alla sospensione dell’attività lavorativa causata dall’emergenza COVID-19 (cfr. nota INL n. 468 del 21 luglio u.s.). Al riguardo, si ritiene che la proroga automatica fruita nel periodo di vigenza della suddetta disposizione (18 luglio – 14 agosto) vada considerata “neutrale” in relazione al computo della durata massima di 24 mesi del contratto a tempo determinato anche ai fini di quanto disposto dal nuovo comma 1 dell’art. 93. Infine, va chiarito che il rinnovo del contratto a termine in deroga assistita ai sensi dell’art. 19, comma 3, del D.Lgs. n. 81/2015 oltre il termine di legge di 24 mesi o del diverso termine previsto dalla contrattazione collettiva resta subordinato al rispetto delle condizioni di cui agli articoli 19, comma 1 e 21 del D.Lgs. n. 81/2015 (cfr. INL nota prot. n. 8120/2019).
Modificato il da Roberto Vincenti F98767E6-1156-50B9-4125-66E2005E8089 [email protected]
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Facciamo seguito alla nostra news del 9 settembre scorso con cui abbiamo dato notizia dell’avvenuta pubblicazione da parte del Ministero del lavoro delle FAQ riferite al rapporto periodico sulla situazione del personale maschile e femminile, il cui invio per il biennio 2020/2021 è previsto entro il prossimo 30 settembre.
Ci riferiamo, in particolare, alla FAQ numero 7 che fornisce indicazioni in ordine all’invio del rapporto alle sedi territoriali delle organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative sul piano nazionale in caso di mancata presenza in azienda delle Rsa e delle Rsu.
Riteniamo che le indicazioni fornite nella FAQ n. 7 esorbitino dal dettato della norma di cui all’articolo 46 del decreto legislativo n. 198 del 2006 (come modificato dalla legge n. 162 del 2021) perché la ricostruzione offerta nella FAQ, che muove dall’articolo 37 del citato d.lgs., appare non fondata, riferendosi l’articolo 37 espressamente al coinvolgimento delle associazioni locali aderenti alle organizzazioni sindacali allo scopo di chiedere all’autore della discriminazione di predisporre un piano di rimozione delle discriminazioni.
Il coinvolgimento delle associazioni locali da parte dei lavoratori è, dunque, previsto nel momento in cui si presuppone l’esistenza di discriminazioni e non può essere, a nostro avviso, richiesto all’atto dell’invio del rapporto periodico.
Per le ragioni dianzi esposte riteniamo che aziende che non abbiano al proprio interno né Rsa, né Rsu possano non inviare il rapporto periodico alle sedi territoriali delle organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative sul piano nazionale
Modificato il da Roberto Vincenti F98767E6-1156-50B9-4125-66E2005E8089 [email protected]
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Premessa
Nel commentare il recente DPCM del 3 novembre 2020, unitamente alla connessa Ordinanza del Ministro della Salute, prendendo spunto dal tenore palesemente restrittivo del provvedimento e tenendo conto delle sollecitazioni provenienti dal sistema, si intende offrire anche un ulteriore percorso si sicurezza volto a mitigare il cd rischio da quarantena.
L’aggravamento della situazione, la presenza di un numero rilevante di soggetti positivi al virus ma asintomatici (ossia senza visibili segni di malattia ma contagiosi) e, quindi, la difficoltà di una loro individuazione tempestiva (con conseguente alto rischio di contagio), consigliano – e molte imprese lo stanno già facendo - di contrastare il rischio da quarantena, oggi particolarmente grave per l’impresa, soprattutto nel momento in cui la produzione è attiva e vi sono segnali di ripresa.
In sostanza, oggi più che in passato, l’impresa soggiace al rischio che, pur avendo rispettato le disposizioni in vigore (in particolare, distanziamento di almeno un metro, uso della mascherina, igienizzazione delle mani), un lavoratore risulti contagiato e, di conseguenza, l’Autorità sanitaria possa disporre, in tutto o in parte, la quarantena per i colleghi di lavoro, con conseguente blocco – totale o parziale - della produzione.
Poiché la quarantena dipende in gran parte dagli effetti del contact tracing, e quindi fa riferimento alla nozione di contatto stretto, la logica della precauzione interviene soprattutto ad evitare che possano verificarsi contatti stretti, nel senso indicato dal Rapporto n. 53/2020 dell’ISS.
Il DPCM 3 novembre 2020
Il DPCM del 3 novembre 2020 sostituisce il precedente del 24 ottobre e produce i propri effetti dal 6 novembre al 3 dicembre 2020.
Le disposizioni generali
L’articolo 1, conferma, nella struttura, il precedente ed è riferito alle misure di contenimento del contagio che valgono sull’intero territorio nazionale.
Si conferma espressamente l’applicazione dei protocolli di sicurezza, ribadendo l’obbligo di portare la mascherina in tutti i luoghi, sia al chiuso che all’aperto (e ferme le regole valide all’interno dei luoghi di lavoro secondo il Protocollo del 14 marzo 2020) e confermando l’obbligo del distanziamento di almeno un metro tra le persone.
Al comma 3 si introduce un limite agli spostamenti, che vale per tutto il territorio nazionale. Nell’arco temporale che va dalle 22.00 alle 5.00, vige un espresso divieto di spostamento, mentre per tutta la giornata vige la raccomandazione (non suscettibile di sanzione) di non spostarsi con mezzi pubblici o privati (così lasciando intendere che sia libero lo spostamento a piedi o in bicicletta). Sono previste differenti deroghe per le due ipotesi: rispetto al divieto, fanno eccezione i comprovati motivi lavorativi, oltre che quelli di salute e necessità mentre alla raccomandazione, oltre che i casi precedenti, fanno eccezione i motivi di studio o per svolgere attività o usufruire di servizi non sospesi.
A questo proposito, vista l’assenza di preclusioni agli spostamenti per motivi di lavoro, appare opportuno tornare a soffermarsi sul tema delle trasferte.
Alla luce dell’ultimo DPCM, gli spostamenti per motivi di lavoro sono espressamente consentiti, in deroga alle limitazioni, nazionali o internazionali, ed evidentemente salvi i divieti di recarsi in determinate zone e l’obbligo di quarantena al rientro. Nulla è modificato, sul punto, da recenti provvedimenti di legge né il DPCM introduce nuove discipline restrittive che impediscono le trasferte. Riteniamo, quindi, che – salvi gli aspetti di sanità e le relative procedure (quarantena) - non vi siano limitazioni alla trasferta, che il Protocollo aveva inserito il 14 marzo in considerazione del lockdown dell’epoca ed in considerazione di quella situazione critica. Anche allora, comunque, s’era fatta una distinzione sulla base delle motivazioni della trasferta, la cui limitazione riguardava quella parte di spostamenti non funzionali all’esercizio dell’attività stessa, ossia tali da precludere l’attività produttiva e gli aspetti ad essa strettamente inerenti. Per questo, non avrebbe senso consentire l’attività produttiva ma impedire la realizzazione o l’installazione di impianti, con le attività connesse di formazione, aggiornamento, manutenzione, riparazione, etc.
Nulla cambia, poi, per quanto riguarda l’uso delle mascherine, per la tipologia che è possibile utilizzare e per la sottolineatura che le forme prioritarie di cautela sono il distanziamento e l’igiene (costante ed accurata) delle mani e ad esse si aggiunge l’uso della mascherina, che resta comunque essenziale.
Il comma 9 richiama altre misure, già presenti nei precedenti DPCM. Nulla cambia per quanto riguarda la chiusura delle attività di convegnistica e congressuale (lett. o), da intendersi in senso ampio (“altri eventi”) (v. circolare del Ministero degli interni del 27 ottobre 2020). Lo stesso dicasi per la raccomandazione relativa allo svolgimento delle riunioni private solamente a distanza.
Su tutto il territorio nazionale, le scuole secondarie di secondo grado (i licei) svolgono attività didattica solamente a distanza (lett. s), salve specifiche eccezioni.
Alla medesima lettera s), in tema di formazione, il provvedimento – innovando al precedente – specifica che “i corsi di formazione pubblici e privati possono svolgersi solo con modalità a distanza”, lasciando così espressamente intendere che tutta la formazione, salve le eccezioni previste nella medesima lettera s), vada svolta a distanza. Per quanto riguarda la formazione in materia salute e sicurezza, per quanto questa rientri tra le ipotesi elencate nel testo (e, quindi, tra quelle che sembrerebbe possibile svolgere anche in presenza), a tutela del datore di lavoro e dei lavoratori riteniamo opportuno confermare quanto affermato nelle precedenti comunicazioni in ordine alla opportunità di verificare prima la possibilità di riprogrammare il corso e, in caso negativo, di tenerlo nelle modalità a distanza, lasciando l’ipotesi di formazione in presenza ad una soluzione residuale e limitata alle ipotesi nelle quali contenuti degli interventi e specifiche esigenze formative non ne consentano uno svolgimento adeguato se non in presenza.
Nel testo, poi, è ancora presente l’indicazione della possibilità di svolgere i corsi di formazione in materia di salute e sicurezza a condizione del rispetto del documento dell’Inail, mentre le regole per lo svolgimento dell’attività di formazione sono in realtà presenti nelle linee guida delle Regioni allegate al DPCM.
I percorsi per le competenze trasversali e per l'orientamento (DM 774 del 4 settembre 2019) sono consentiti, e possono essere svolti “nei casi in cui sia possibile garantire
il rispetto delle prescrizioni sanitarie e di sicurezza vigenti”.
Le disposizioni per le zone maggiormente a rischio
Con gli articoli 2 e 3 si introducono regimi differenziati per le regioni maggiormente a rischio (rischi 3 e 4, come previsti dal documento dell’ISS
“Prevenzione e risposta a COVID- 19; evoluzione della strategia e pianificazione nella fase di transizione per il periodo autunno invernale”).
Lo scenario 3, in particolare, è relativo ad una “situazione di trasmissibilità sostenuta e diffusa con rischi di tenuta del sistema sanitario nel medio periodo” ed il 4 alla più grave “situazione di trasmissibilità non controllata con criticità nella tenuta del sistema sanitario nel breve periodo”.
L’individuazione delle Regioni inserite in ciascuno dei tre scenari possibili è contenuta nell’Ordinanza del Ministro della salute del 4 novembre 2020 ed è suscettibile di modifica con ulteriori Ordinanze ovvero per effetto del permanere di una situazione critica per 14 giorni.
In base a tale provvedimento, in sintesi:
- nella zona cd rossa (relativa allo scenario 4, il più a rischio) sono inserite Calabria, Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta: a queste si applicano le misure nazionali (ove non sostituite da misure regionali più rigorose) e quelle previste dall’articolo 3 del DPCM;
- nella zona cd arancione (corrispondente allo scenario 3, di rischio medio-alto), Puglia e Sicilia: a queste si applicano le misure nazionali (ove non sostituite da misure regionali più rigorose) e quelle previste dall’articolo 2 del DPCM;
- le restanti regioni restano inserite nella zona cd gialla, nella quale si applicano esclusivamente le disposizioni di portata nazionale.
Il DPCM prevede la possibilità di derogare a tale Ordinanza con altre specifiche Ordinanze del medesimo Ministro della Salute, adottate d’intesa con il Presidente della Regione, volte a mitigare gli effetti delle prime con riferimento ad eventuali specificità locali. Nulla si dice in ordine alla possibilità, per le Autorità sanitarie locali, di prevedere modifiche più restrittive.
Secondo l’articolo 2, nello scenario 3 (rischio medio-alto, riferito a Puglia e Sicilia), si applicano i divieti di entrata ed uscita (relativi sia alla Regione che al comune di domicilio, abitazione o residenza), di spostamento con mezzi pubblici e privati fuori dal comune di residenza, domicilio o abitazione: sono espressamente fatte salve le esigenze lavorative, di necessità, di salute, per svolgere la didattica in presenza o per tornare alla propria residenza, domicilio o dimora o per usufruire dei servizi o delle attività consentite. Sono sospese le attività di ristorazione (salve alcune eccezioni).
Secondo l’articolo 3, relativo al più grave scenario 4 (rischio alto, Calabria, Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta) si applicano il divieto di entrata ed uscita dai territori, sempre salve le esigenze lavorative, necessità, salute, didattica in presenza (in questo caso, a differenza del precedente art. 2, non né prevista la deroga per l’accesso alle attività consentite). Sono sospese le attività commerciali al dettaglio (sia per gli esercizi di vicinato sia nelle medie e grandi strutture di vendita[1]) e la ristorazione (in entrambi i casi, salve alcune eccezioni). Per quanto riguarda l’istruzione, solamente la scuola dell’infanzia, la primaria e la prima classe della secondaria di primo grado si svolgono in presenza (salve alcune eccezioni).
Nelle pubbliche amministrazioni, la presenza del personale negli uffici è limitata alle attività ritenute indifferibili e che richiedono necessariamente la presenza, anche per la gestione dell’emergenza. Il provvedimento specifica che “il personale non in presenza presta la propria attività lavorativa in modalità agile”.
L’articolo 4 – corrispondente all’articolo 2 dei procedenti DPCM - è relativo alle attività produttive industriali e commerciali, e resta invariato: si conferma, quindi, che la regolamentazione in tali ambiti continua ad essere assicurata dai Protocolli, senza alcuna deroga.
La norma in commento va coordinata con le previsioni limitative degli articoli 2 e 3. Le attività industriali rispondono, sull’intero territorio nazionale, al rispetto del Protocollo del 14 marzo 2020 o a quelli analoghi di settore. Gli articoli 2 e 3, nel prevedere misure più restrittive, non fanno mai alcun riferimento al tema dell’attività industriale.
Lo stesso sembra non potersi sostenere con riferimento alle attività commerciali, in quanto se ne prevede espressamente la limitazione negli articoli 2 e 3.
L’articolo 5, nell’individuare alcune misure generalizzate di sicurezza da valere sull’intero territorio nazionale, si occupa dello smart work per le pubbliche amministrazioni (che deve essere assicurato nelle “percentuali più elevate possibili” e comunque nella misura del 50%, considerate le potenzialità organizzative e salva l’effettività del servizio). Per i datori di lavoro privati, la disposizione raccomanda fortemente l’utilizzo delle modalità di lavoro agile, secondo le previsioni del DL 34/2020 e dei protocolli. Si ricorda che il Protocollo del 14 marzo 2020 prevede espressamente che “il lavoro a distanza continua ad essere favorito anche nella fase di progressiva riattivazione del lavoro in quanto utile e modulabile strumento di prevenzione”.
Gli articoli da 6 a 8 confermano il regime degli spostamenti da e verso l’estero. Anche a questo proposito, con riferimento alle trasferte, si evidenzia che tra le deroghe al divieto di spostamento ci sono le esigenze lavorative.
In particolare (comma 5, lett. c), per l’ipotesi delle persone che fanno ingresso dall’estero e sono sottoposte a sorveglianza sanitaria e isolamento fiduciario, con obbligo di sottoporsi a test molecolare o antigenico, si conferma la previsione secondo cui “in caso di necessità di certificazione ai fini INPS per l'assenza dal lavoro, si procede a rilasciare una dichiarazione indirizzata all'INPS, al datore di lavoro e al medico di medicina generale o al pediatra di libera scelta in cui si dichiara che per motivi di sanità pubblica è stato posto in quarantena precauzionale, specificandone la data di inizio e fine”.
Si tratta di una previsione che Confindustria ha da sempre chiesto di estendere a tutte le ipotesi di quarantena (a prescindere dall’ipotesi di rientro dall’estero) al fine di consentire al datore di lavoro di conoscere tempestivamente la condizione sanitaria dei lavoratori (distinguendo la malattia dalla quarantena) e che è prevista anche in Ordinanze locali (es. Ordinanza del Presidente della Regione Lazio del 26 febbraio 2020), ma non risulta mai applicata.
A questo proposito, evidenziamo che Confindustria ha proposto un apposito emendamento (attualmente all’esame del Senato) per consentire al datore di lavoro di distinguere tra certificato di malattia e certificato medico di quarantena e poter gestire il lavoratore, sul piano del rapporto di lavoro e su quello previdenziale (Inps e Inail) e della sicurezza (per sapere se può lavorare in smart work).
Per il resto, il provvedimento ricalca i precedenti (recependo le ordinanze del Ministero della salute che semplificano, attraverso l’effettuazione dei tamponi, le procedure di rientro da alcuni Paesi).
Il rafforzamento delle tutele per lavoratori e datori di lavoro
Come è evidente, la situazione pandemica in Italia e nel mondo va aggravandosi, tanto da rendere difficile il tracciamento dei casi, il principale strumento di conoscenza e prevenzione della diffusione esponenziale del contagio.
Nel ricordare che il distanziamento è la principale misura di sicurezza (cui si aggiungono sempre e comunque l’uso della mascherina e l’igiene personale), è nota la discrasia tra le previsioni di legge, dei DPCM e dei Protocolli (che fissano in un metro la corretta distanza minima da mantenere) e il sistema del contact tracing, fondato sulla nozione di “contatto stretto” previsto dal Rapporto n. 53/2020 dell’ISS.
In particolare, secondo questo documento, per contatto stretto di intende
- una persona che vive nella stessa casa di un caso di COVID-19
- una persona che ha avuto un contatto fisico diretto con un caso di COVID-19 (es. la stretta di mano)
- una persona che ha avuto un contatto diretto non protetto con le secrezioni di un caso di COVID-19 (es. toccare a mani nude fazzoletti di carta usati)
- una persona che ha avuto un contatto diretto (faccia a faccia) con un caso di COVID-19, a distanza minore di 2 metri e di durata maggiore a 15 minuti
- una persona che si è trovata in un ambiente chiuso (es. aula, sala riunioni, sala d’attesa dell’ospedale) con un caso di COVID-19, in assenza di DPI idonei
- un operatore sanitario od altra persona che fornisce assistenza diretta ad un caso di COVID19 oppure personale di laboratorio addetto alla manipolazione di campioni di un caso di COVID-19 senza l’impiego dei DPI raccomandati o mediante l’utilizzo di DPI non idonei
- una persona che ha viaggiato seduta in treno, aereo o qualsiasi altro mezzo di trasporto entro due posti in qualsiasi direzione rispetto a un caso COVID-19; sono contatti stretti anche i compagni di viaggio e il personale addetto alla sezione dell’aereo/treno dove il caso indice era seduto.
Rilevano, in particolare, le ipotesi del contatto a distanza inferiore di 2 metri per più di 15 minuti, faccia a faccia e la compresenza in ambiente chiuso senza mascherina.
Il rispetto della legge (o dei DPCM e dei Protocolli) è finalizzato a garantire distanze che sono ritenute adeguate nel contemperamento con le esigenze lavorative, mentre il concetto di contatto stretto è maggiormente cautelativo in quanto finalizzato a riscontrare il maggior numero di soggetti coinvolti, soprattutto se asintomatici.
Ne consegue che l’azienda, pur avendo rispettato pienamente il dettato normativo, potrebbe andare incontro ad un coinvolgimento nel contact tracing (per la presenza di contatti stretti secondo il documento ISS) con conseguente potenziale adozione di misure di quarantena (individuale o collettiva) da parte delle Autorità sanitarie, con evidenti riflessi negativi sull’operatività.
Dunque, la quarantena diviene un rischio da prendere in considerazione e, se del caso, da mitigare con misure cautelative maggiori rispetto a quelle previste nelle disposizioni di legge e nei protocolli.
Molte aziende stanno già applicando – ove possibile - misure restrittive, dirette a precludere il concreto verificarsi di ipotesi di contatti stretti.
Tra le misure finalizzate a prevenire possibili provvedimenti di quarantena, dunque, si potrebbe pensare, ad esempio:
- adottare un sistema aziendale di monitoraggio continuo mediante la periodica somministrazione di tamponi antigenici rapidi (o, quando saranno disponibili, tamponi salivari) a tutti i lavoratori presenti in azienda, in modo da tenere sotto controllo la presenza e la diffusione del virus, prevenendo possibili contagi. Un investimento sicuramente oneroso, ma concreto strumento di prevenzione e testimone dell’impegno nel collaborare alla riduzione della circolazione del virus (in ambito aziendale ma anche sociale)
- laddove possibile, tarare l’organizzazione aziendale, per la parte del lavoro in presenza, in modo da prevenire il contatto stretto (e non solamente il rispetto del metro di distanza). In questo senso, si potrebbe pensare di:
- ampliare a due metri il distanziamento tra le persone/postazioni di lavoro ovvero (o in aggiunta) organizzare la disposizione dei posti di lavoro evitando il contatto “faccia a faccia”
- disporre l’uso permanente della mascherina chirurgica, anche nei luoghi di lavoro (es. open spaces) che non sono spazi comuni
- per le ipotesi maggiormente a rischio (contatti continuativi ravvicinati) prevedere l’uso dei DPI (mascherine FFP2).
Queste misure si aggiungono a quelle consuete (evitare contatti fisici o contatti diretti non protetti con le secrezioni di un caso COVID19) e a quelle più generali (igiene personale delle mani, degli ambienti e delle attrezzature, areazione dei locali).
Con il rispetto di queste misure, si riduce la potenzialità che si verifichino “contatti stretti” e, ancor prima, si riduce notevolmente la possibilità di diffusione del contagio.
[1] Dlgs 31 marzo 1998, n. 114 – Riforma della disciplina relativa al settore del commercio
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Pubblichiamo una nota sulle prime indicazioni sulle modifiche introdotte dal d.l. n.73/2021 (c.d. “Sostegni bis”) alla disciplina dei contratti a termine, anche a scopo di somministrazione
Prime indicazioni sulle modifiche introdotte dal d.l. n.732021 c.d. Sostegni bis alla disciplina dei contratti a termine, anche a scopo di somministrazione.pdf|Visualizza dettagli
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E’ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il Decreto Ministeriale sulla patente a crediti prevista dall’art. 27 del Dlgs 81/2008.
Al fine di condividere prime riflessioni sul testo, organizziamo un incontro su Teams per il giorno
25 settembre 2024, ore 9:30.
L’ incontro, riservato alle Associazioni, sarà seguito da altri incontri di approfondimento sulla base di ulteriori indicazioni
che dovessero pervenire dalle Istituzioni competenti.
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PNRR - Pubblicato l’Avviso pubblico per la formazione di un elenco degli organismi di certificazione accreditati per lo schema di certificazione della parità di genere
E' stato pubblicato , il 14 febbraio scorso, nel sito del Dipartimento Pari Opportunità un Avviso pubblico per la formazione di un elenco degli organismi di certificazione accreditati per lo schema di certificazione della parità di genere UNI/Pdr 125:2022, interessati ad aderire alla misura di agevolazione a favore delle PMI prevista dal PNRR (Missione 5 "Inclusione e coesione", Componente 1 "Politiche attive del lavoro e sostegno all'occupazione", Investimento 1.3 "Sistema di certificazione della parità di genere").
L'Avviso pubblico è volto a dare attuazione ai seguenti obiettivi della Missione 5:
- Obiettivo M5C1-13: ottenimento della certificazione della parità di genere da parte di almeno 800 imprese (di cui almeno 450 PMI), entro il secondo trimestre 2026. Per l’ottenimento della certificazione sono previsti contributi a copertura dei costi della certificazione per le PMI. I contributi, fino ad un massimo di 12.500,00 al lordo di IVA per ciascuna impresa, sono articolati per fasce di grandezza delle stesse in base alla dimensione occupazionale. La dotazione complessiva destinata a finanziare i costi della certificazione della parità di genere delle PMI è pari a 5.5 milioni di Euro;
- Obiettivo M5C1-14: ottenimento della certificazione della parità di genere da parte di almeno 1000 imprese sostenute attraverso l’assistenza tecnica, entro il secondo trimestre 2026. La dotazione complessiva destinata a finanziare l'assistenza tecnica è pari a 2,5 milioni di Euro. Per l’assistenza tecnica sono previsti contributi sotto forma di servizi di tutoraggio e di supporto tecnico-gestionale erogati alle PMI.
Per far sì che le PMI possano beneficiare dei contributi destinati alla copertura dei costi della certificazione e dell'assistenza tecnica sotto forma di servizi di tutoraggio e di supporto tecnico-gestionale, si dà luogo prima (con l'Avviso pubblico del 14 febbraio scorso) alla formazione di un elenco degli organismi di certificazione accreditati e poi ad un secondo Avviso (non ancora pubblicato) per l'erogazione dei servizi di assistenza tecnica e di accompagnamento alla certificazione delle PMI e dei contributi per i costi di certificazione della parità di genere alle PMI.
L'iscrizione nell'elenco degli organismi di certificazione ha validità fino al 30 giugno 2026.
Unioncamere - Assistenza tecnica e di accompagnamento
Soggetto attuatore dell'Avviso pubblico in commento (per la formazione di un Elenco degli Organismi di Certificazione accreditati) è Unioncamere con cui il Dipartimento Pari Opportunità ha sottoscritto il 15 settembre scorso un accordo.
Unioncamere presterà, altresì, servizi di assistenza tecnica e di accompagnamento alle imprese che li richiederanno attraverso domanda di partecipazione ad un secondo Avviso che deve essere ancora pubblicato.
Nello svolgimento delle attività di assistenza tecnica e di accompagnamento, è prevista - tra l'altro - la realizzazione di incontri da remoto con esperte/i.
Referenti all'interno del Sistema Confindustria
A questo fine sarebbe particolarmente utile prima della pubblicazione del secondo Avviso che darà la possibilità alle PMI di richiedere il finanziamento dei costi legati alla certificazione di genere, nonché l'assistenza tecnica e di accompagnamento prestata da Unioncamere, individuare in ciascuna Associazione aderente a Confindustria un Referente al fine di poter costruire all'interno del Sistema Confindustria una Rete della certificazione di genere che possa affiancare le imprese nell'interlocuzione con il Sistema Camerale .
La comunicazione del nominativo del Referente individuato dall’Associazione può essere trasmessa a [email protected].
Criteri che regoleranno l'erogazione dei benefici a favore delle PMI
Di seguito si forniscono alcune indicazioni in ordine ai criteri che regoleranno l'erogazione dei benefici a favore delle PMI per l'ottenimento della certificazione di genere, secondo quanto stabilito nell'Avviso destinato alla creazione di un elenco di organismi di certificazione (come ricordato, già pubblicato nel sito del Dipartimento Pari Opportunità).
Costi ammissibili
Sono ammissibili e rimborsabili i soli costi per i servizi resi dall'organismo di certificazione per il rilascio della prima certificazione a favore di una PMI entro i limiti definiti e relativamente alle seguenti voci:
- esame della domanda;
- verifica documentale;
- verifica in sede e osservazione diretta dell'attività dell'organizzazione certificata;
- rilascio del certificato.
Non sono ammissibili e rimborsabili:
- i costi per i servizi resi dall'organismo di certificazione in caso di mancato rilascio della certificazione alla PMI. IIn questo caso, i costi devono essere sostenuti interamente dall'impresa;
- i costi per lo svolgimento di altri servizi resi dagli organismi di certificazione (es. pre-audit, di audit supplementari, di sorveglianza annuale e di rinnovo).
Obblighi dei soggetti (Odc) ammissibili
I soggetti ammissibili ed inseriti nell’ “Elenco degli organismi di certificazione” sono obbligati a:
a) formalizzare un preventivo alle PMI contenente almeno:
- la durata dell’audit per il rilascio della certificazione;
- la tariffa per ogni giornata di audit comprensiva di tutti gli oneri (spese per trasferte, attivazione della pratica, emissione del certificato, ecc.);
- le condizioni necessarie per ottenere l’agevolazione (ottenimento della certificazione).
b) specificare nel contratto con le PMI:
- l’identificativo del contributo assegnato all’impresa;
- le eventuali spese non coperte dai contributi previsti, ai sensi dell'Avviso diretto alla costituzione di un elenco di organismi di certificazione, che rimarranno a carico delle PMI beneficiarie.
Modificato il da Lucia Scorza ADBEF64C-F136-2C30-4125-66E2005E805C [email protected]
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Con riferimento all’attuale situazione meteorologica di estremo caldo, il Ministero del lavoro, sollecitato dal sindacato, ha tenuto ieri una riunione con le parti sociali, Inl, Inps, Inail e Ministero della salute.
La Ministra Calderone, nel ravvisare l’esigenza di azioni a tutela della salute dei lavoratori, anche attraverso l’aggiornamento della normativa o la conclusione di accordi aziendali e protocolli tra le parti sociali, ha raccolto istanze e sollecitazioni in merito.
Il sindacato ha chiesto interventi di semplificazione in vista di una maggior flessibilità nel ricorso alla cassa integrazione (computo ad ore, neutralizzazione dei periodi dal tetto delle 52 settimane, semplificazione della prova) e misure in tema di prevenzione (tra le quali anche interventi sull'organizzazione del lavoro, eventualmente sulla base di accordi aziendali, sempre nella logica di attribuire alle aziende oneri ed obblighi di tutela, valutazione dei rischi e sorveglianza sanitaria).
Le parti datoriali hanno evidenziato la necessità di semplificare il ricorso alla CIGO (analogamente al sindacato) ma hanno sottolineato l'esistenza di tutti gli elementi utili in tema di prevenzione e, quindi, l’assenza della necessità di ulteriori interventi. In particolare, è stato raccomandato di non far gravare sull'impresa alcun profilo di responsabilità (sia in termini di obblighi ulteriori che di impropria colpevolizzazione) in relazione alla situazione emergenziale.
L'Ispettorato nazionale del lavoro ha ricordato la propria nota n. 5056 del 13 luglio scorso, nella quale ripercorre tutti gli strumenti a disposizione delle imprese per gestire la situazione di caldo (in termini di ricorso alla CIGO e di linee guida dell'Inail, riprese dallo studio Worklimate) e l'indicazione agli ispettori in merito alla verifica della considerazione e gestione del tema nel documento di valutazione dei rischi.
L'Inps ha rammentato il proprio messaggio n. 2729 del 20 luglio con il quale richiama gli elementi necessari per la richiesta di integrazione salariale per eventi meteo.
L'Inail ha ricordato le note emanate in passato ed ancora attuali relative al tema dello stress termico.
Il Ministero della salute ha indicato il proprio decalogo sulle misure da adottare per proteggersi dal caldo.
Lunedì prossimo si terrà una ulteriore riunione in merito, della quale daremo tempestivo riscontro.
In ogni caso, a prescindere dagli esiti dell'iniziativa, raccomandiamo particolare attenzione alle condizioni di sicurezza per i lavori svolti all’aperto e in orari centrali della giornata, rinviando a tutti gli strumenti sopra richiamati.
Evidenziamo che in nessuna parte dei documenti si fa riferimento al tema della sorveglianza sanitaria, profilo potenzialmente connesso alla recente normativa introdotta dal DL 48/2023, che prevede la nomina del medico competente in connessione con la valutazione dei rischi.
Riteniamo, in particolare, che il mancato richiamo dell’organo di vigilanza alla sorveglianza sanitaria (osservazione che vale anche per il documento dell’Inail e per il documento dell’OSHA) confermi il fatto che – contrariamente a quanto ritenuto da alcuni - la norma sopra richiamata non introduce una ulteriore fattispecie di obbligo di sorveglianza sanitaria, quale potrebbe essere quello del rischio da caldo.
Sottolineiamo, ancora una volta, che la nota dell’INL richiama espressamente il Documento di valutazione dei rischi (ed il Piano operativo di sicurezza) come parametro di giudizio della corretta gestione del rischio derivante dalle alte temperature.
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Pervengono numerosi quesiti in ordine al comportamento da tenere nei confronti dei lavoratori, ad esempio nelle ipotesi di contatto con persone che sono risultate positive al COVID19 (es., colleghi di lavoro del lavoratore risultato positivo) ovvero che sono entrate a contatto (anche come conviventi) con persone a loro volta entrate in contatto con persone positive al COVID19 (è il caso, ad esempio, dei conviventi del lavoratore in quarantena per essere contatto stretto del collega risultato positivo al COVID19).
In questi ed in altri casi similari occorre seguire, ovviamente, esclusivamente le indicazioni del medico di base e delle autorità sanitarie, senza adottare misure che potrebbero anche influire negativamente sui percorsi definiti dalle autorità sanitarie. Appare ovviamente essenziale il concorso del medico competente.
È altresì utile conoscere quale uso verrà fatto dei tamponi e quale sarà il percorso delle quarantene e degli isolamenti, anche al fine di programmare il rientro del lavoratore, tenendo conto della previsione del Protocollo del 14 marzo 2020, che disciplina le modalità del rientro in azienda del lavoratore risultato positivo al COVID19.
A questo proposito, evidenziamo alcuni recenti documenti ufficiali ai quali fare riferimento, anche solamente per conoscere quali sono le iniziative ed i percorsi che saranno adottate dalle autorità sanitarie.
- Quarantena e malattia
In primo luogo, appare utile richiamare innanzitutto il Messaggio dell’Inps n. 3653 del 9 ottobre 2020, che consente di operare la distinzione tra quarantena (che sussiste nelle ipotesi previste dall’art. 26, comma 1, del DL n. 18/2020[1] ) e malattia (che sussiste nell’ipotesi prevista dall’art. 26, comma 6[2]).
La quarantena è prevista nelle quattro ipotesi previste dall’art. 26, comma 1 del DL n. 18/2020:
- Art. 1, comma 2, lettere h) e i) del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13:
“h) applicazione della misura della quarantena con sorveglianza attiva agli individui che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva;
“i) previsione dell'obbligo da parte degli individui che hanno fatto ingresso in Italia da zone a rischio epidemiologico”
- Art. 1, comma 2, lettere d) ed e), del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19
- d) applicazione della misura della quarantena precauzionale ai soggetti che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva o che entrano nel territorio nazionale da aree ubicate al di fuori del territorio italiano;
“e) divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena, applicata dal sindaco quale autorità sanitaria locale, perché risultate positive al virus”
A questo proposito, si richiama la circolare del Ministero della salute del 12 ottobre 2020 (che verrà commentata a breve) dove evidenzia che la quarantena “si riferisce alla restrizione dei movimenti di persone sane per la durata del periodo di incubazione”.
- Caso e contatto
Il secondo elemento utile è la declinazione delle ipotesi di “caso” e di “contatto”, che può essere rinvenuta nel Rapporto ISS COVID-19 n. 53/2020 - Guida per la ricerca e gestione dei contatti (contact tracing) dei casi di COVID-19. Versione del 25 giugno 2020
In estrema sintesi, occorre distinguere tra “caso” (sospetto, probabile, confermato) e “contatti” (stretto o casuale) secondo le seguenti schematiche indicazioni:
CASO SOSPETTO
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Una persona con infezione respiratoria acuta (insorgenza improvvisa di almeno uno tra i seguenti segni e sintomi: febbre, tosse e dispnea) E senza un’altra eziologia che spieghi pienamente la presentazione clinica E storia di viaggi o residenza in un Paese/area in cui è segnalata trasmissione locale durante i 14 giorni precedenti l’insorgenza dei sintomi;
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Una persona con una qualsiasi infezione respiratoria acuta E che è stata a stretto contatto con un caso probabile o confermato di COVID-19 nei 14 giorni precedenti l’insorgenza dei sintomi;
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Una persona con infezione respiratoria acuta grave (febbre e almeno un segno/sintomo di malattia respiratoria – es. tosse, dispnea) E che richieda il ricovero ospedaliero (Severe Acute Respiratory Infection, SARI) E senza un’altra eziologia che spieghi pienamente la presentazione clinica.
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CASO PROBABILE
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Un caso sospetto il cui risultato del test per SARS-CoV-2 è dubbio o inconcludente utilizzando protocolli specifici di Real Time PCR per SARS-CoV-2 presso i Laboratori di Riferimento Regionali individuati o è positivo utilizzando un test pan-coronavirus.
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CASO CONFERMATO
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Un caso con una conferma di laboratorio per infezione da SARS-CoV-2, effettuata presso il laboratorio di riferimento nazionale dell’Istituto Superiore di Sanità o da laboratori Regionali di Riferimento, indipendentemente dai segni e dai sintomi clinici.
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CONTATTO - DEFINIZIONE
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Un contatto di un caso COVID-19 è qualsiasi persona esposta ad un caso probabile o confermato di COVID-19 in un lasso di tempo che va da 48 ore prima a 14 giorni dopo l’insorgenza dei sintomi nel caso (o fino al momento della diagnosi e dell’isolamento). Se il caso non presenta sintomi, si definisce contatto una persona esposta da 48 ore prima fino a 14 giorni dopo la raccolta del campione positivo del caso (o fino al momento della diagnosi e dell’isolamento) (10).
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CONTATTO STRETTO
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- una persona che vive nella stessa casa di un caso di COVID-19
- una persona che ha avuto un contatto fisico diretto con un caso di COVID-19 (es. la stretta di mano)
- una persona che ha avuto un contatto diretto non protetto con le secrezioni di un caso di COVID-19 (es. toccare a mani nude fazzoletti di carta usati)
- una persona che ha avuto un contatto diretto (faccia a faccia) con un caso di COVID-19, a distanza minore di 2 metri e di durata maggiore a 15 minuti
- una persona che si è trovata in un ambiente chiuso (es. aula, sala riunioni, sala d’attesa dell’ospedale) con un caso di COVID-19, in assenza di DPI idonei
- un operatore sanitario od altra persona che fornisce assistenza diretta ad un caso di COVID19 oppure personale di laboratorio addetto alla manipolazione di campioni di un caso di COVID-19 senza l’impiego dei DPI raccomandati o mediante l’utilizzo di DPI non idonei
- una persona che ha viaggiato seduta in treno, aereo o qualsiasi altro mezzo di trasporto entro due posti in qualsiasi direzione rispetto a un caso COVID-19; sono contatti stretti anche i compagni di viaggio e il personale addetto alla sezione dell’aereo/treno dove il caso indice era seduto.
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CONTATTO CASUALE
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Qualsiasi persona esposta al caso, che non soddisfa i criteri per un contatto stretto.
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- Trattamento dei casi e dei contatti
È quindi utile aver presenti le definizioni fondamentali ed il trattamento dei casi, individuabili nella recente circolare del Ministero della salute “COVID-19: indicazioni per la durata ed il termine dell’isolamento e della quarantena.”
Rinviando ovviamente alla lettura della circolare, si possono evidenziare le definizioni delle differenti situazioni nelle quali si può venire a trovare la persona e i conseguenti comportamenti delle autorità sanitarie.
- Isolamento dei casi di documentata infezione da SARS-CoV-2: separazione delle persone infette dal resto della comunità per la durata del periodo di contagiosità, in ambiente e condizioni tali da prevenire la trasmissione dell’infezione.
- Quarantena: si riferisce alla restrizione dei movimenti di persone sane per la durata del periodo di incubazione, ma che potrebbero essere state esposte ad un agente infettivo o ad una malattia contagiosa, con l’obiettivo di monitorare l’eventuale comparsa di sintomi e identificare tempestivamente nuovi casi.
La circolare del Ministero della salute conferma che i lavoratori in quarantena sono “sani” ma che potrebbero evidenziare la comparsa di sintomi (nel qual caso diverrebbero malati).
- Casi positivi asintomatici: persone asintomatiche risultate positive alla ricerca di SARS-CoV-2, possono rientrare in comunità dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa della positività, al termine del quale risulti eseguito un test molecolare con risultato negativo (10 giorni + test).
- Casi positivi sintomatici: persone sintomatiche risultate positive alla ricerca di SARS-CoV-2, possono rientrare in comunità dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa dei sintomi (non considerando anosmia e ageusia/disgeusia che possono avere prolungata persistenza nel tempo) accompagnato da un test molecolare con riscontro negativo eseguito dopo almeno 3 giorni senza sintomi (10 giorni, di cui almeno 3 giorni senza sintomi + test).
- Casi positivi a lungo termine: persone che, pur non presentando più sintomi, continuano a risultare positive al test molecolare per SARS-CoV-2, in caso di assenza di sintomatologia (fatta eccezione per ageusia/disgeusia e anosmia che possono perdurare per diverso tempo dopo la guarigione) da almeno una settimana, potranno interrompere l’isolamento dopo 21 giorni dalla comparsa dei sintomi. Questo criterio potrà essere modulato dalle autorità sanitarie d’intesa con esperti clinici e microbiologi/virologi, tenendo conto dello stato immunitario delle persone interessate (nei pazienti immunodepressi il periodo di contagiosità può essere prolungato).
- Contatti stretti asintomatici: i contatti stretti di casi con infezione da SARS-CoV-2 confermati e identificati dalle autorità sanitarie, devono osservare:
- un periodo di quarantena di 14 giorni dall’ultima esposizione al caso; oppure
- un periodo di quarantena di 10 giorni dall’ultima esposizione con un test antigenico o molecolare negativo effettuato il decimo giorno.
Da ultimo, si evidenzia che la Circolare raccomanda, tra l’altro, di “non prevedere quarantena né l’esecuzione di test diagnostici nei contatti stretti di contatti stretti di caso (ovvero non vi sia stato nessun contatto diretto con il caso confermato), a meno che il contatto stretto del caso non risulti successivamente positivo ad eventuali test diagnostici o nel caso in cui, in base al giudizio delle autorità sanitarie, si renda opportuno uno screening di comunità”
Alcuni casi concreti, sulla base anche dei quesiti pervenuti, riferibili alla raccomandazione contenuta nella circolare:
- il convivente di un lavoratore il cui collega (con il quale è stato a contatto stretto) sia risultato positivo non deve restare in quarantena né essere sottoposto a tampone;
- il lavoratore convivente con il figlio che sia in quarantena (non perché positivo ma) perché contatto stretto di un compagno di scuola risultato positivo al COVID19
- Uso dei tamponi
Appare poi utile conoscere come gli organi sanitari gestiranno l’uso dei tamponi, relativamente ai differenti casi sopra evidenziati. Le indicazioni sono reperibili nella nota tecnica dell’ISS “Test di laboratorio per SARS-CoV-2 e loro uso in sanità pubblica”.
In particolare, la nota tecnica evidenzia che “la persona in attesa del risultato del test deve essere posta in quarantena. Se il risultato del test è positivo il Dipartimento di Prevenzione prescriverà l’isolamento alla persona interessata e la quarantena ai contatti stretti”.
Questa indicazione sembra risolvere una parte delle questioni interpretative relative alla condizione del lavoratore nel periodo di attesa del tampone.
Il documento è completato da una tabella sinottica che raccorda le ipotesi di “caso” e “contatto” con il tipo di tampone da prescrivere e dalla rappresentazione delle finalità dei tamponi molecolare, antigenico rapido e sierologico.
- Gestione della persona in quarantena
Altrettanto utile, al fine di conoscere la gestione dei casi anche dal punto di vista dei tempi della quarantena rispetto all’evoluzione della situazione della persona in quarantena, è una recente circolare della Regione Lombardia “Aggiornamento delle indicazioni per la durata dell’isolamento e della quarantena dei casi confermati di Covid-19 e contatti stretti di casi confermati; utilizzo dei test diagnostici”
- Il rientro in azienda
Da ultimo, si ricorda che il Protocollo del 24 aprile 2020, in tema di sorveglianza sanitaria, prevede che “per il reintegro progressivo di lavoratori dopo l’infezione da COVID19, il medico competente, previa presentazione di certificazione di avvenuta negativizzazione del tampone secondo le modalità previste e rilasciata dal dipartimento di prevenzione territoriale di competenza, effettua la visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione”. (D.lgs. 81/08 e s.m.i, art. 41, c. 2 lett. e-ter), anche per valutare profili specifici di rischiosità e comunque indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia
Si evidenzia, quindi, che le modalità per il rilascio della avvenuta negativizzazione sono da riferirsi alle più recenti indicazioni contenute nelle circolari del Ministero della salute.
[1] “Il periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva di cui all'articolo 1, comma 2, lettere h) e i) del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, e di cui all'articolo 1, comma 2, lettere d) ed e), del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, dai lavoratori dipendenti del settore privato, è equiparato a malattia ai fini del trattamento economico previsto dalla normativa di riferimento e non è computabile ai fini del periodo di comporto”.
[2] “Qualora il lavoratore si trovi in malattia accertata da COVID-19”
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Nella Gazzetta Ufficiale n. 252 del 21 ottobre 2021 è stato pubblicato il decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 (cd decreto fiscale) il quale, all’art. 13, modifica il Dlgs n. 81/2008 ed introduce “Disposizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”.
Ancora una volta si punta sulle sanzioni e non sulla prevenzione e sull’onda emotiva degli infortuni e non in una logica di un aggiornamento complessivo della normativa.
Le misure si sostanziano nella valorizzazione del ruolo dell’Ispettorato nazionale del lavoro (equiparazione delle competenze in materia di vigilanza sui temi della salute e sicurezza tra ASL e Ispettorato nazionale del lavoro, attribuzione del potere di sollecitazione dei Comitati regionali previsti dall’art. 7 del Dlgs. n. 81/2008, inserimento dell’INL nel sistema del Sistema informativo nazionale per la prevenzione e valorizzazione delle funzioni informative del SINP verso ASL e INL) e nella nuova disciplina della sospensione dell’attività (art. 14 del D.lgs. n. 81/2008).
Tra gli interventi anche l’attribuzione di una maggiore partecipazione delle parti sociali, legittimate a conoscere i flussi informativi inerenti ai dati che interessano complessivamente la materia della sicurezza sul lavoro. Finora il sistema informativo non ha funzionato per il mancato coordinamento delle banche dati dei vari enti interessati e per problemi di privacy nella trasmissione e nella conoscenza dei dati.
La prima novità rilevante è, dunque, l’attribuzione all’INL – in concorso con le ASL - delle competenze ispettive in materia di sicurezza sul lavoro, allo stesso sottratte dalla legge n. 833/1978 (art. 21).
Questa innovazione organizzativa rende necessaria, ancor più che in passato, una forte azione di coordinamento: mentre la versione del testo in entrata nel Consiglio dei Ministri attribuiva opportunamente il coordinamento all’INL (“l’Ispettorato nazionale del lavoro promuove e coordina”), il testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale prevede che INL ed ASL “promuovono e coordinano sul piano operativo l’attività di vigilanza”, così annullando il ruolo dell’INL e vanificando o riducendo fortemente il coordinamento (come già avvenuto per il personale ispettivo di INPS ed INAIL).
Ulteriore elemento negativo risiede nel fatto che, in ogni caso, la collaborazione è limitata al piano operativo e non si estende, come sarebbe stato necessario, all’interpretazione ed applicazione della normativa.
Ancora, l’inadeguatezza della formazione degli ispettori del lavoro sul piano tecnico comporta che alla misura occorrerà accompagnare una campagna formativa sugli aspetti ai quali è estesa la vigilanza.
Il secondo rilevante intervento, finalizzato a valorizzare la misura della sospensione dell’attività (art. 14 Dlgs n. 81/2008), appare critico in quanto, a parte l’inasprimento dell’impianto sanzionatorio, sembra costruire un meccanismo incoerente con gli strumenti deflattivi esistenti.
Attualmente, il provvedimento di sospensione adottato dagli organi di vigilanza del Ministero del lavoro e dalle ASL (ciascuno nelle materie di propria competenza) è facoltativo (“possono adottare”) ed è finalizzato a far cessare un pericolo per la salute e sicurezza o la presenza di lavoro nero, a condizione che le violazioni in materia di salute e sicurezza siano “gravi e reiterate” ovvero se siano presenti lavoratori in nero in misura superiore al 20%.
Il grave provvedimento viene adottato quando, nei cinque anni successivi alla commissione di una violazione oggetto di prescrizione obbligatoria o di una violazione accertata con sentenza definitiva, lo stesso soggetto commette più violazioni della stessa indole, ossia della medesima disposizione.
Il provvedimento è revocato per effetto dell’accertato adempimento delle misure indicate nel provvedimento e del versamento di somme aggiuntive ed è passibile di ricorso alla Direzione regionale del lavoro territorialmente competente (in caso di presenza di lavoro nero) e al Presidente della Giunta regionale (in caso di violazioni in materia di sicurezza sul lavoro), i quali si pronunciano nel termine di 15 giorni dalla notifica del ricorso. Decorso inutilmente tale ultimo termine, il provvedimento di sospensione perde efficacia.
Il nuovo meccanismo normativo, pur muovendosi nella medesima logica di quello esistente, rende obbligatoria la sospensione ed amplia gli illeciti presupposto per la sua adozione con un’ipotesi (omessa vigilanza in ordine alla rimozione o modifica dei dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo) che estende eccessivamente la discrezionalità dell’ispettore nella valutazione dell’omissione che forma normalmente oggetto di dimostrazione in sede giudiziale.
Esso, infine, si presenta incoerente rispetto ai provvedimenti della prescrizione e della diffida obbligatorie che lo stesso personale ispettivo deve adottare prima di comminare le sanzioni e proseguire il procedimento giudiziario.
Sottolineiamo che la sanzione della sospensione non è astrattamente incoerente, a condizione che l’impianto normativo privilegi sempre e comunque la natura residuale dell’intervento sanzionatorio (quale extrema ratio), valorizzi un approccio prevenzionale e sia riferito a reali situazioni di pericolo.
Che così non sia è palesemente dimostrato da alcuni elementi:
- le violazioni contenute nell’allegato I non evidenziano ipotesi di pari rilevanza in termini di gravità o pericolosità (ad es., la mancanza di un aggiornamento, anche parziale e per un solo lavoratore, non può essere messa sul piano della mancanza del POS; la mancanza di un DPI, anche per un singolo lavoratore, non può equivalere alla mancata valutazione dei rischi; l’assenza della tavola fermapiede per un metro non può essere considerata alla stessa stregua della mancata nomina del RSPP)
- viene introdotta la possibilità per l’ispettore di “imporre specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro”, dimostrando che il provvedimento non si fonda necessariamente sull’esistenza di un pericolo imminente da gestire con misure interinali come la sospensione
- la sospensione non consegue all’inadempimento degli strumenti deflattivi della prescrizione e della diffida per il lavoro nero ma è adottata immediatamente: sono tutti strumenti obbligatori che si sovrappongono senza alcuna logica prevenzionale
- la sospensione è comminata senza dare un tempo adeguato per l’adempimento, nonostante l’assenza di un pericolo imminente: l’applicazione dalle ore 12 del giorno successivo resta affidata alla discrezionalità del personale ispettivo e non rappresenta evidentemente un tempo adeguato (né per l’organizzazione di un corso di formazione né per l’elaborazione di un documento di valutazione dei rischi)
- la adozione del provvedimento di sospensione non presuppone più la recidiva, per cui non sconta un atteggiamento ripetuto ma riguarda anche la commissione di una violazione di minima entità (un’ora di formazione) e per la prima volta.
Più specificamente, di seguito i principali elementi innovativi presenti nella nuova versione dell’art. 14 del D.lgs. n. 81/2008 e, in allegato, il nuovo allegato I.
- La sospensione non viene coordinata con le misure della prescrizione obbligatoria e della diffida per il lavoro nero: le misure orientate alla agevolazione della regolarizzazione (che non postulano alcun intervento sull’azienda) coesistono quindi con un provvedimento obbligatorio di sospensione (gli strumenti sono adottati dallo stesso soggetto, in un ambito amministrativo non ricorribile per la materia della sicurezza ed in procedimento giurisdizionale e con le tutele di questo) e potrebbero anche coesistere e contraddirsi (es., le misure cautelari potrebbero essere adottate sia nell’ambito del provvedimento amministrativo che in quello di polizia giudiziaria)
- La sospensione diviene obbligatoria, per cui non si tiene conto delle reali condizioni di pericolo (che oggi rilevano ai fini della adozione di una ulteriore, differente ed eventuale misura cautelare)
- La percentuale di lavoro nero viene ridotta al 10% e si ridefinisce la nozione di lavoro nero (“senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro”) secondo la disposizione del Dlgs n. 151/2015 (art. 22) in luogo di quella di “personale non risultante dalla documentazione obbligatoria” (che peraltro la giurisprudenza applica ancor oggi, valorizzando il fatto che il lavoratore deve essere totalmente sconosciuto alla pubblica autorità)
- Si elimina il requisito della reiterazione, per cui la sospensione opera anche in caso della prima violazione (a prescindere dalla gravità della violazione e dalla presenza di un pericolo concreto ed attuale)
- L’ambito della sospensione, che oggi riguarda “la parte dell'attività imprenditoriale interessata dalle violazioni”, secondo la nuova disposizione è relativo “alla parte dell’attività imprenditoriale interessata dalle violazioni o, alternativamente, dell’attività lavorativa prestata dai lavoratori interessati dalle specifiche violazioni individuate dal decreto di cui al presente comma o di cui ai numeri 3 e 6 dell’Allegato I”. Si tratta dell’unico elemento astrattamente positivo, che consente (in due ipotesi) di non sospendere l’attività dell’impresa ma incide sulla presenza dei lavoratori nel luogo di lavoro
- Al provvedimento di sospensione si conferma l’applicazione dell’obbligo di motivazione previsto dall’art. 3 della legge n. 241/1990 (per effetto della sentenza n. 310/2010 della Corte costituzionale)
- Gli effetti della sospensione “possono” essere fatti decorrere dalle ore dodici del giorno lavorativo successivo ovvero dalla cessazione dell'attività lavorativa in corso che non può essere interrotta, salvo che non si riscontrino situazioni di pericolo imminente o di grave rischio per la salute dei lavoratori o dei terzi o per la pubblica incolumità. La disposizione conferma il testo vigente, compresa la criticità che, salvo il caso del pericolo imminente, la decorrenza non è sempre e comunque dalle 12 del giorno successivo (termine comunque insufficiente per molti adempimenti), ma dipende dalla decisione del singolo ispettore.
- Viene eliminata la possibilità di ricorrere avverso il provvedimento di sospensione adottato per violazioni in materia di salute e sicurezza (oggi è possibile il ricorso al Presidente della Provincia): un intervento che limita impropriamente la difesa dell’impresa (forse dovuta al fatto che non si è ritenuto coerente che il Presidente della Provincia conosca dei provvedimenti dell’INL)
- Si introduce la possibilità di una misura cautelare ulteriore, ossia il fatto che il personale ispettivo, seppure nell’ambito di una attività amministrativa, unitamente al provvedimento di sospensione, possa “imporre specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro”. La disposizione evidenzia ulteriormente la sovrapposizione con la procedura della prescrizione obbligatoria, nel corso della quale il personale ispettivo può adottare un provvedimento identico
- Tra le condizioni per la revoca della sospensione c’è “la rimozione delle conseguenze pericolose delle violazioni nelle ipotesi di cui all’Allegato I”: la disposizione, nonostante l’assenza di un esplicito riferimento, dovrebbe essere riferita all’adempimento dell’eventuale misura interinale adottata dal personale ispettivo (art. 14, comma 1, ultima parte)
- Tra le condizioni per la revoca è introdotto l’aggravamento della misura della sanzione per il lavoro nero (da 2.000 euro a 2.500 o 5.000) nel caso di recidiva infraquinquennale e di occupazione di oltre 5 lavoratori irregolari
- Le somme ricavate dalle sanzioni (che aumentano per effetto dell’obbligatorietà e dell’estensione dei casi di sospensione e delle ipotesi aggravate) sono destinate alle stesse Istituzioni che hanno contestato le sanzioni, con evidente conflitto di interessi
- Non cambiano le sanzioni per la non ottemperanza alla misura della sospensione
- Il provvedimento di sospensione decade in caso di archiviazione del procedimento indicato dal Dlgs 758/1994, art. 20 e seguenti (alla ulteriore condizione del pagamento delle somme aggiuntive). La previsione evidenzia la contemporaneità dei due procedimenti (sospensione e prescrizione), a dimostrazione che, oltre a coesistere, hanno il medesimo fondamento e la stessa logica, per cui si sovrappongono impropriamente
- Tra le ipotesi gravi, nell’allegato si inserisce la “omessa vigilanza in ordine alla rimozione o modifica dei dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo”. Sull’onda di alcuno degli eventi mortali accaduti, si fa rientrare tra i presupposti per l’adozione del provvedimento di sospensione un fatto omissivo relativo alla vigilanza su eventuali interventi di rimozione o modifica dei dispositivi di sicurezza. Si evidenzia che introdurre tra gli illeciti gravi non già un fatto obiettivo (come la mancanza di un documento o di una nomina o della formazione) ma una condizione omissiva (omessa vigilanza) la cui dimostrazione avviene in giudizio
In conclusione, un provvedimento che, senza introdurre elementi prevenzionali (nemmeno in chiave di coordinamento tra le autorità di vigilanza e di introduzione di uniformità interpretativa ed applicativa delle norme) appare palesemente ed esclusivamente finalizzato ad incrementare l’incisività di un provvedimento sanzionatorio.
Allegato
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NUOVO TESTO
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TESTO PRECEDENTE
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FATTISPECIE
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IMPORTO SOMMA AGGIUNTIVA
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FATTISPECIE
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IMPORTO SOMMA AGGIUNTIVA
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1
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Mancata elaborazione del documento di valutazione dei rischi
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2500
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idem
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3200
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2
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Mancata elaborazione del Piano di Emergenza ed evacuazione
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2500
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idem
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3200
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3
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Mancata formazione ed addestramento
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Euro 300 per ciascun lavoratore interessato
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idem
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3200
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4
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Mancata costituzione del servizio di prevenzione e protezione e nomina del relativo responsabile
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3000
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idem
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3200
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5
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Mancata elaborazione piano operativo di sicurezza (POS)
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2500
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idem
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3200
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6
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Mancata fornitura del dispositivo di protezione individuale contro le cadute dall'alto
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Euro 300 per ciascun lavoratore interessato
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idem
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3200
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7
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Mancanza di protezioni verso il vuoto
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3000
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idem
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3200
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8
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Mancata applicazione delle armature di sostegno, fatte salve le prescrizioni desumibili dalla relazione tecnica di consistenza del terreno
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3000
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idem
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3200
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9
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Lavori in prossimità di linee elettriche in assenza di disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi
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3000
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idem
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3200
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10
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Presenza di conduttori nudi in tensione in assenza di disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi
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3000
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idem
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3200
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11
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Mancanza protezione contro i contatti diretti ed indiretti (impianto di terra, interruttore magnetotermico, interruttore differenziale
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3000
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idem
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3200
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12
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Omessa vigilanza in ordine alla rimozione o modifica dei dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo
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3000
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inesistente
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13
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eliminato
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Mancata notifica all'organo di vigilanza prima dell'inizio dei lavori che possono comportare il rischio di esposizione ad amianto.
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3200
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Il 31 luglio scade il periodo di emergenza indicato nel DPCM del 31 gennaio 2020 e previsto dalle norme (DL n. 19/2020 e 33/2020) che avevano garantito al Governo la possibilità di adottare misure straordinarie per l’emergenza Covid-19.
Tra le misure straordinarie -previste, rispettivamente, all’art. 1, comma 2, lett. z) e all’art. 1, commi 14 e 15- interessano in particolare quelle che introducono la possibilità di condizionare lo svolgimento dell’attività produttiva all’adozione di appositi protocolli di sicurezza.
Nella riunione del Consiglio dei ministri del 28 luglio, il Governo ha annunciato l’intenzione di prorogare lo stato di emergenza al 15 ottobre 2020.
Il decreto legge 30 luglio 2020, n. 83 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 190 del 30 luglio 2020) sposta dunque il termine al 15 ottobre 2020.
Le conseguenze del rinvio sono, da un lato, la proroga dei termini che fanno genericamente rinvio al periodo di emergenza e, dall’altro, la possibilità per il Governo di adottare nuovi provvedimenti che estendano al 15 ottobre le misure già vigenti al 31 luglio: siamo dunque in attesa di nuovi DPCM che, riempiendo di contenuto la facoltà concessa al Governo, estendano o modifichino le misure vigenti. Si ricorda che ciascun provvedimento non potrà avere durata superiore ad un mese (Dl n. 19/2020, art. 1, comma 1).
In attesa del nuovo DPCM, il decreto-legge n. 83/2020 proroga (per il periodo massimo di 10 giorni) il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 luglio 2020 (che aveva prorogato il DPCM 11 giugno 2020).
La proroga dei termini non comporta il rifinanziamento delle misure, che dovranno essere coperte con le risorse previste dalla legislazione vigente.
Inoltre, poiché molte disposizioni adottate nel periodo di emergenza hanno previsto misure con termine finale al 31 luglio 2020, il decreto-legge individua tassativamente i termini originariamente fissati al 31 luglio che vengono prorogati al 15 ottobre 2020 ed evidenziando che tutti quelli non richiamati restano fermi al 31 luglio 2020.
Tra i termini prorogati, si segnalano quelli rilevanti ai fini della sicurezza sul lavoro:
- Art. 5bis del DL n. 18/2020
In particolare: 2. Fino al termine dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, è consentito l'utilizzo di dispositivi di protezione individuali di efficacia protettiva analoga a quella prevista per i dispositivi di protezione individuali previsti dalla normativa vigente. L'efficacia di tali dispositivi è valutata preventivamente dal Comitato tecnico-scientifico di cui all'articolo 2 dell'ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile n. 630 del 3 febbraio 2020. 3. Fino al termine dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, in coerenza con le linee guida dell'Organizzazione mondiale della sanità e in conformità alle attuali evidenze scientifiche, è consentito fare ricorso alle mascherine chirurgiche, quale dispositivo idoneo a proteggere gli operatori sanitari; sono utilizzabili anche mascherine prive del marchio CE, previa valutazione da parte dell'Istituto superiore di sanità)).
- Art. 15, comma 1 DL n. 18/2020
In particolare: 1. Fermo quanto previsto dall'articolo 34 del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9, per la gestione dell'emergenza COVID-19, e fino al termine dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020, è consentito produrre, importare e immettere in commercio mascherine chirurgiche e dispositivi di protezione individuale in deroga alle vigenti disposizioni.
- Art. 16, commi 1 e 2 del DL n. 18/2020
In particolare: 1. Per contenere il diffondersi del virus COVID-19, fino al termine dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020, sull'intero territorio nazionale, per i lavoratori che nello svolgimento della loro attività sono oggettivamente impossibilitati a mantenere la distanza interpersonale di un metro, sono considerati dispositivi di protezione individuale (DPI), di cui all'articolo 74, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.81, le mascherine chirurgiche reperibili in commercio, il cui uso è disciplinato dall'articolo 34, comma 3, del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9. 2. Ai fini del comma 1, fino al termine dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020, gli individui presenti sull'intero territorio nazionale sono autorizzati all'utilizzo di mascherine filtranti prive del marchio CE e prodotte in deroga alle vigenti norme sull'immissione in commercio.
- Art. 39 del DL n. 18/2020
1. Fino alla data del 30 aprile 2020, i lavoratori dipendenti disabili nelle condizioni di cui all'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità nelle condizioni di cui all'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile ai sensi dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione. 2. Ai lavoratori del settore privato affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa è riconosciuta la priorità nell'accoglimento delle istanze di svolgimento delle prestazioni lavorative in modalità agile ai sensi degli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81.
- Art. 90 del DL n. 34/2020
1. Fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19, i genitori lavoratori dipendenti del settore privato che hanno almeno un figlio minore di anni 14, a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell'attività lavorativa o che non vi sia genitore non lavoratore, hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile anche in assenza degli accordi individuali, fermo restando il rispetto degli obblighi informativi previsti dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, e a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione… 3. Per l'intero periodo di cui al comma 1, i datori di lavoro del settore privato comunicano al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in via telematica, i nominativi dei lavoratori e la data di cessazione della prestazione di lavoro in modalità agile, ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. 4. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 87 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, per i datori di lavoro pubblici, limitatamente al periodo di tempo di cui al comma 1 e comunque non oltre il 31 dicembre 2020, la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, può essere applicata dai datori di lavoro privati a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti; gli obblighi di informativa di cui all'articolo 22 della medesima legge n. 81 del 2017, sono assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (INAIL).
In via generale, quindi, l’efficacia del Protocollo risulta prorogata, inizialmente per un periodo massimo di dieci giorni (essendo stata prorogata la validità del DPCM che li richiama), salvo ulteriore estensione che sarà prevedibilmente contenuta nel prossimo DPCM.
Si segnala, invece, che non risulta prorogato l’art. 26, comma 2, del DL n. 18/2020 (che per alcune forme di fragilità prevede l’equiparazione dell’assenza dal lavoro al ricovero ospedaliero, fino al 31 luglio 2020).
Sembrano invece confermate tanto l’equiparazione dello stato di quarantena alla malattia (art. 26, comma 1, non soggetto ad alcun termine) quanto la previsione dell’art. 83 del DL n. 34/2020 (che prevede la sorveglianza sanitaria per i lavoratori fragili fino alla scadenza del periodo di emergenza sanitaria).
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UNI PdR 125:2022 - Linee guida sul sistema di gestione per la parità di genere che prevede l'adozione di specifici KPI (Key Performances Indicator - Indicatori chiave di prestazione) inerenti alle Politiche di parità di genere nelle organizzazioni – Profili di salute e sicurezza - Criticità.
Premessa
Facciamo seguito alla nostra comunicazione del 29 marzo scorso con cui abbiamo trasmesso delle slide riepilogative, aventi ad oggetto la certificazione di genere, che vede la sua origine nella Prassi di riferimento UNI n. 125 del 2022 e nell’introduzione di tale strumento nel nostro ordinamento attraverso la legge n. 162 del 2021. Tale ultimo provvedimento rinvia poi a un DPCM che identifica la Pdr n. 125 del 2022 quale “parametri minimi” per il conseguimento della certificazione medesima.
Ricordiamo che le prassi, adottate esclusivamente in ambito nazionale, rientrano fra i “prodotti della normazione europea”, come previsti dal Regolamento UE n.1025/2012, e sono documenti che introducono prescrizioni tecniche, elaborati sulla base di un rapido processo ristretto a chi ne è autore, sotto la conduzione operativa di UNI. Le prassi di riferimento sono disponibili per un periodo non superiore a 5 anni, tempo massimo dalla loro pubblicazione entro il quale possono essere trasformate in un documento normativo (UNI, UNI/TS, UNI/TR) oppure devono essere ritirate.
La Prassi di riferimento in tema di parità di genere 125:2022 è stata pubblicata da UNI il 16 marzo 2022. Il DPCM è stato adottato il 29 aprile 2022.
Con la presente nota intendiamo, anche alla luce delle prime esperienze concrete di certificazione, consentire una lettura ed applicazione corretta ed utile della Prassi di riferimento 125:2022, in relazione ai profili di salute e sicurezza.
La parità di genere e la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro
Una piena partecipazione delle donne alla vita economica e sociale e, quindi al mondo del lavoro, costituisce senza dubbio la componente principale delle pari opportunità di genere perché, attraverso il lavoro, ciascuno può costruire la propria identità, raggiungere la giusta indipendenza economica per sé e per la propria famiglia e offrire il proprio contributo allo sviluppo del Paese nel suo complesso: i luoghi di lavoro possono essere un utile vettore e supporto delle esigenze sociali.
Se l’obiettivo è condivisibile, lo strumento prescelto – la cd certificazione della parità di genere attraverso le linee guida contenute nella Prassi di riferimento UNI – è, per il fine stesso della prassi o norma, uno strumento applicabile volontariamente dalle aziende e, per come è strutturata la norma, da un numero limitato di esse.
Esso si presenta, inoltre, particolarmente dirigista, complesso e oneroso con riferimento sia alle modalità di raggiungimento degli obiettivi sia ai tempi necessari per conseguirli.
Fatte queste premesse di volontarietà di adozione , appare fuorviante e non condivisibile l’impostazione relativa al richiamo ai profili di salute e sicurezza sul lavoro.
L’attività di prevenzione di ogni forma di abuso fisico, verbale, digitale (molestia) nei luoghi di lavoro (paragrafo 6.3.2.6), doverosa in qualsiasi rapporto intersoggettivo, viene infatti impropriamente inserita all’interno dei temi di salute e sicurezza sul lavoro, essendo invece essa afferente al diverso campo del rapporto di lavoro e del connesso sistema disciplinare.
Non a caso, l’Accordo delle parti sociali europee del 26 aprile 2007 sulle molestie e la violenza nei luoghi di lavoro è stato recepito in Italia da Confindustria, CGIL, CISL e UIL sul piano delle relazioni sindacali e non in un ambito di salute e sicurezza sul lavoro con l’accordo del 25 gennaio 2016.
Analizzando la Convenzione n. 190 dell’ONU e la Raccomandazione n. 206 sulla violenza e le molestie, da un lato, e la Strategia europea per la parità di genere 2020-2025, dall’altro, può cogliersi una linea di demarcazione tra la politica di genere, volta ad assicurare pari opportunità e trattamento da ogni punto di vista, e violenza e molestie.
Il primo elemento deve caratterizzare ogni tipo di relazione umana e deve perseguire l’eliminazione di tutte le barriere (culturali, organizzative, giuridiche, etc.) che ostacolano il conseguimento dell’obiettivo: si tratta, in questo caso, di prevenire e combattere atteggiamenti culturali che, di per sé, non comportano necessariamente violenze o molestie e che il datore di lavoro dovrebbe perseguire attraverso politiche aziendali adeguate.
Molto diverso è il tema di violenza e molestie, che, laddove perpetrate nel luogo di lavoro, pur non essendo prevedibili e prevenibili (e quindi non riconducibili al datore di lavoro), non possono essere in alcun modo tollerate e devono formare oggetto di adeguati provvedimenti disciplinari.
Come si vede, nessuno dei due temi può essere ricondotto direttamente ai temi di salute e sicurezza.
Certamente, la tolleranza di situazioni del genere (tanto discriminatorie quanto, peggio, violente), in quanto palesemente in contrasto con la politica aziendale, consentirebbe di configurare una realtà lavorativa non adeguatamente organizzata e fonte di potenziale stress, questo sì da valorizzare sul piano della sicurezza, in quanto potenziale sintomo di disfunzioni organizzative, sulle quali può e deve intervenire l’azione prevenzionale del datore di lavoro.
Ma è evidente che la situazione di stress non deve essere tollerata e la reazione disciplinare del datore di lavoro, in attuazione della politica aziendale, dovrebbe essere immediata e non consentire l’instaurazione di prassi scorrette perché discriminatorie o, peggio, violente.
Vi sarebbero, poi, da indagare accuratamente, da un lato, gli aspetti definitori (definizione di discriminazione, parità di genere, violenza, molestie, etc.) e la differenza tra lo strumento della “politica aziendale” su entrambi gli aspetti e la qualificazione come profili di salute e sicurezza, aventi rilievo penalistico (con riflesso immediato sulle esigenze di tassatività, determinatezza, precisione, chiarezza, etc.). Andrebbero, poi, altresì indagati i parametri di prevedibilità e prevenibilità, condizioni necessarie per una imputazione fondata sul requisito costituzionale della colpevolezza.
In assenza di tutti questi aspetti, di ordine logico e giuridico, appare improprio l’ingresso di questi temi nei profili di salute e sicurezza sul lavoro ed in particolare il loro ingresso come “pericolo connesso alle attività lavorative” e quindi oggetto di apposita “valutazione dei rischi” da inserire nel documento di valutazione di tutti i rischi previsto dal D. Lgs n. 81/2008.
Confindustria aveva coerentemente avanzato delle proposte perché – al di fuori dei temi di salute e sicurezza sul lavoro - vi fosse una piena attuazione delle previsioni di legge e degli accordi collettivi, sottoscritti dalle organizzazioni imprenditoriali, cui l’azienda aderisce, in materia di contrasto alle molestie sui luoghi di lavoro (Confindustria nel 2016 ha sottoscritto un Accordo con CGIL, CISL e UIL in attuazione dell’accordo quadro europeo sulle molestie e la violenza nei luoghi di lavoro).
Il punto 6.3.2.6
Il punto considerato contiene alcune previsioni che sembrano far rientrare il tema della prevenzione dell’abuso fisico, verbale, digitale sui luoghi di lavoro nella salute e sicurezza.
- Infatti, secondo la Prassi di riferimento, l’organizzazione dovrebbe:
- individuare il rischio di ogni forma di abuso fisico, verbale, digitale (molestia) alla luce della salute e sicurezza nel luogo di lavoro;
- preparare un Piano per la prevenzione e gestione delle molestie sul lavoro;
- prevedere una specifica formazione a tutti i livelli, con frequenza definita, sulla “tolleranza zero” rispetto ad ogni forma di violenza nei confronti dei/delle dipendenti, incluse le molestie sessuali (sexual harassment) in ogni forma;
- prevedere una metodologia di segnalazione anonima di questa tipologia di accadimenti a tutela dei/delle dipendenti che segnalano;
- pianificare e attuare delle verifiche (survey) presso i/le dipendenti, indagando se hanno vissuto personalmente esperienze di atteggiamenti di questo tipo, che hanno provocato disagio o turbamento, all’interno o nello svolgimento del proprio lavoro all’esterno (atteggiamenti sessisti, comportamenti o situazioni di mancanza di rispetto);
- valutare gli ambienti di lavoro anche da questo punto di vista;
- prevedere una valutazione dei rischi e analisi eventi avversi segnalati;
- assicurare una costante attenzione al linguaggio utilizzato, sensibilizzando una comunicazione il più possibile gentile e neutrale.
In primo luogo, il documento fa riferimento alla individuazione di rischi di abuso fisico, verbale e digitale alla luce della salute e sicurezza nel luogo di lavoro.
Si tratta di situazioni del tutto slegate dai rischi lavorativi ai quali è esposto il lavoratore e piuttosto derivanti da comportamenti umani che prescindono dal rischio legato alle mansioni svolte e ai rischi presenti nel luogo di lavoro o riconducibili alle scelte organizzative del datore di lavoro.
In secondo luogo, si tratta di una impostazione incoerente rispetto all’impostazione del Dlgs 81/2008, il quale prevede che la valutazione dei rischi debba deve “riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli … connessi alle differenze di genere”. Quindi, la differenza di genere non è essa stessa un rischio da valutare, ma il datore di lavoro, nel valutare i rischi sul lavoro (previsti dal Dlgs 81/2008), ne deve considerare l’impatto tenendo conto delle differenze.
Si potrebbero fare molti esempi: dalle considerazioni della adeguatezza dei DPI al corpo femminile alla maggiore sensibilità a certe sostanze, dall’incidenza dell’uso di sostanze reprotossiche alla valutazione del rischio ergonomico (rischio di sovraccarico biomeccanico degli arti superiori da movimenti ripetuti e posture incongrue, rischio da movimentazione manuale dei carichi, rischio da movimentazione manuale dei pazienti), dal rischio chimico (es. tinture per capelli, metalli -piombo, cadmio, zinco) al rischio da agenti fisici (rumore, vibrazioni), dal rischio biologico (diversa suscettibilità infezioni virali) al rischio da attrezzature munite di VDT, dai rischi da fattori inerenti l’organizzazione del lavoro (es. stress) al lavoro a turni e notturno. Oltre, ovviamente, alla tutela tradizionale della gravidanza.
È evidente la differente considerazione che atteggiamenti volontari e del tutto scardinati dal fatto lavorativo e dai rischi lavorativi – dove il collegamento con il luogo di lavoro è esclusivamente di natura spaziale e temporale e non causale - come la violenza o le molestie e qualsiasi altra condotta discriminatoria, non possono rientrare nella valutazione dei rischi ai fini della salute e sicurezza sul lavoro, in quanto si tratta di una caratteristica o fattore sociale che non sono propri delle singole e peculiari attività lavorative.
Ben diverso è l’approccio che il datore di lavoro, come responsabile del personale, potrà adottare individuando le misure più opportune, quali iniziative organizzative, comunicative, di sensibilizzazione e di supporto, nonché la previsione di codici etici, con ferma applicazione di procedimenti disciplinari nei confronti degli autori delle condotte illecite, per tutelare i propri lavoratori e rendere il luogo di lavoro un luogo sicuro e libero da qualsiasi tipo di violenza o molestia.
La struttura organizzativa prevista dal D. Lgs. n. 81/2008, ormai ampiamente radicata nei luoghi di lavoro (RSPP, medico competente, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, nonché dirigenti e preposti), ben potrà contribuire a supportare queste iniziative anche in favore del più generale benessere organizzativo e al generale coinvolgimento dei lavoratori e della struttura organizzativa nelle azioni di promozione della salute.
Si ripete che, laddove l’organizzazione del lavoro fosse errata, e quindi disfunzionale rispetto alle finalità di garantire la parità di genere o la prevenzione di violenze e molestie, e si verificassero quindi condizioni di stress riconducibili ad ipotesi di discriminazione o violenza o molestie, allora ben potranno la discriminazione, la molestia o la violenza (che, se tollerate, divengono fattori disfunzionali ad una buona organizzazione del lavoro) divenire oggetto di valutazione nell’ambito della valutazione dello stress, in quanto esso stesso incidente sulla sicurezza dei lavoratori.
Da ultimo, sul punto, si evidenziano due punti che appaiono assai rilevanti.
Laddove la tematica della parità di genere e della violenza e molestie entrasse nella materia della salute e sicurezza, ogni comportamento posto in essere in violazione delle disposizioni adottate dal datore di lavoro rientrerebbe immediatamente nell’alveo delle violazioni di natura penale previste dall’art. 20, comma 2, lett. b) del Dlgs 81/2008 e, di conseguenza, all’interno delle sanzioni più pesanti previste dalla contrattazione collettiva.
In secondo luogo, va osservato che uno dei punti fondamentali nella gestione della prevenzione è la valorizzazione della funzione del preposto per effetto del DL 146/2021, a norma del quale il preposto deve “sovrintendere e vigilare sull'osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione e, in caso di rilevazione di comportamenti non conformi alle disposizioni e istruzioni impartite dal datore di lavoro e dai dirigenti ai fini della protezione collettiva e individuale, intervenire per modificare il comportamento non conforme fornendo le necessarie indicazioni di sicurezza. In caso di mancata attuazione delle disposizioni impartite o di persistenza dell'inosservanza, interrompere l'attività del lavoratore e informare i superiori diretti”.
È evidente che, laddove i comportamenti discriminatori e le ipotesi di violenza o molestie dovessero rientrare nella normativa di salute e sicurezza (ad es., la politica e le indicazioni conseguenti la valutazione del rischio fossero qualificabili come disposizioni aziendali in materia di sicurezza sul lavoro o come istruzioni impartite ai lavoratori), il preposto sarebbe chiamato a svolgere i propri compiti di vigilanza e reazione, non potendo il datore di lavoro tollerare alcuno dei comportamenti che integrano gli estremi della discriminazione, della violenza e della molestia.
Una corretta lettura della prassi di riferimento 125:2022, quindi, porta ad escludere che i profili di salute e sicurezza possano rilevare ai fini della certificazione.
La certificazione
Analizzando il documento in Appendice A (Raccomandazioni per la valutazione di conformità di terza parte – certificazione - per le organizzazioni che hanno implementato un sistema di gestione per garantire la parità di genere) non si rinviene alcun profilo di salute e sicurezza.
La verifica dell’organo di certificazione ha infatti ad oggetto:
- il perimetro e l’applicabilità della presente UNI/PdR, con la definizione degli indirizzi legali e operativi della/e sede/i dell’organizzazione
- la mappatura dei processi (interni ed esterni) e l’elenco delle relative leggi, norme e regolamenti applicabili riferibili alla parità di genere
- l’analisi degli episodi o delle minacce di violazione dei diritti riferibili alla parità di genere nonché le contromisure adottate
- le cause giudiziarie riferite a episodi di violazione dei diritti di genere in cui è eventualmente coinvolta l’organizzazione
- la registrazione delle evidenze in apposite check list/documenti di supporto per il gruppo di audit.
Il Piano di Strategico si articola in obiettivi e azioni declinate nelle macro-aree tematiche di riferimento: Recruitment, Carriera, Equità salariale, Genitorialità, work-life balance, prevenzione di violenza e cultura della organizzazione.
Gli interventi, individuati all’interno di ciascuna area tematica, sono il risultato di un’analisi preliminare di contesto e per ciascuna azione sono stati individuati sia i target sia i soggetti responsabili dell’attuazione, sia gli esiti attesi.
Più in particolare, il tema relativo alle attività di prevenzione di ogni forma di abuso fisico, verbale, digitale (molestia) sui luoghi di lavoro viene affrontato anzitutto prevedendo le metodologie di segnalazione anonime, attraverso il codice etico e il supporto all’empowerment femminile attraverso il presidio di tutte le fasi del percorso professionale della persona, lo sviluppo di un coerente e responsabile processo di comunicazione e la prevenzione di ogni forma di abuso fisico, verbale, digitale (molestia) sui luoghi di lavoro
impegnandosi a valorizzare la persona ed a mantenerne l’integrità fisica e morale.
Le azioni concrete vengono delineate anzitutto attraverso una metodologia di segnalazione o reclamo interno, anonimi, disponibile per tutti i dipendenti (attraverso la compilazione di FORM anonimi e disponibili sulla intranet aziendale) per segnalare qualsiasi forma di molestia e/o abuso sui luoghi di lavoro, ovvero problemi legati ad eventuali limitazioni o diritti negati. Gli esiti vengono misurati attraverso una verifica annuale da parte del Comitato Strategico delle segnalazioni e vengono elaborati dei report relativi alle azioni messe in campo per la risoluzione dei casi specifici.
In secondo luogo, per promuovere la diffusione dei principi etico-comportamentali, incentivandone l’osservanza e migliorando la conoscenza e la comprensione della natura della violenza di genere e le sue cause, potrebbe essere utile predisporre Linee guida sulle discriminazioni di genere e sulle molestie sessuali, su come riconoscerle e come difendersi.
Così come, per verificare la condizione dell’ambiente di lavoro, è possibile somministrare, con cadenza annuale, un questionario di valutazione del grado e livello di sicurezza dalle discriminazioni o dalle molestie percepito dei luoghi di lavoro.
Dunque, il tema della parità di genere, delle violenze, delle molestie viene affrontato sul piano del rapporto di lavoro, della responsabilità sociale, del codice etico, della politica per la parità di genere e non della sicurezza sul lavoro.
Tale documentazione deve tenere conto del grado di applicazione dei requisiti definiti nella Prassi di riferimento, come ad esempio i requisiti sistemici (es. definizione della politica, obiettivi, piano strategico e risultato del monitoraggio del sistema) e requisiti operativi (es., definizione, modalità e frequenza di misurazione degli indicatori qualitativi e quantitativi).
A conferma di quanto sopra espresso, nessuno di questi profili afferisce alla salute e sicurezza sul lavoro ma, più propriamente, alla individuazione e corretta applicazione della politica aziendale.
Questi sono gli elementi indicati, su questo tema, dalle organizzazioni positivamente certificate ai fini della Prassi di riferimento 125:2022, a riprova che si tratta di temi non legati alla sicurezza sul lavoro.
Conclusioni
La corretta valorizzazione delle tematiche e l’ adeguata individuazione degli ambiti di riferimento è presupposto per il pieno e consapevole rispetto della normativa e condizione per il conseguimento degli obiettivi del legislatore.
Una politica aziendale di valorizzazione della parità di genere passa attraverso la prevenzione e la eliminazione di ogni forma di discriminazione o, peggio, di violenza e molestia, aspetti tutti rimessi alla adeguata gestione dell’organizzazione e del personale.
Nei contratti collettivi, sono ben definite le regole per la gestione di questi temi: dalla definizione della politica aziendale relativa ai rapporti in azienda alla costituzione delle commissioni per le pari opportunità, dalle informative alle azioni per prevenire violenze e molestie fino al sistema disciplinare.
La certificazione della Prassi di riferimento 125:2022, non prevedendo elementi di salute e sicurezza, conferma positivamente questa impostazione.
Modificato il da Roberto Vincenti F98767E6-1156-50B9-4125-66E2005E8089 [email protected]
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Premessa: riferimenti normativi ed amministrativi
Con alcuni provvedimenti di fine anno, il Governo ha modulato diverse misure anti-Covid, tenuto conto dell’andamento dell’epidemia e di fatti rilevanti occorsi in ambito internazionale (in particolare, Cina).
Rilevano, in particolare:
- DECRETO-LEGGE 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni nella legge 30 dicembre 2022, n. 199 ( che, all’articolo 7, introduce, tra l’altro, modifiche ai termini previsti dall'articolo 2 del decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 maggio 2022, n. 52)
- Legge 29 dicembre 2022, n. 127, legge finanziaria per il 2023 (art. 1, comma 306)
- Ordinanza Ministero della salute 28 dicembre 2022 che dispone misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'epidemia da COVID-19 concernenti gli ingressi dalla Cina
- Circolare n. 51786 del 29 dicembre 2022 del Ministero della salute (aggiornata con successiva circolare n. 1 del 1° gennaio 2023 che individua gli Interventi in atto per la gestione della circolazione del SARS-CoV-2 nella stagione invernale 2022-2023
- Ordinanza 29 dicembre 2022 del Ministero della salute che proroga alcune misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'epidemia da COVID-19 concernenti l'utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie nelle strutture sanitarie e socio-assistenziali
- Circolare n. 51961 del 31 dicembre 2022 del Ministero della salute che aggiorna le modalità di gestione dei casi e dei contatti stretti di caso COVID-19.
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Gli interventi in atto per la gestione della circolare del covid nella stagione invernale 2022-2023
Con le circolari n. 51786 del 29 dicembre 2022 e n. 1 del 1° gennaio 2023, il Ministero della salute rappresenta il quadro attuale nel quale si colloca il sistema degli interventi contro la diffusione del covid.
Il Ministero evidenzia, innanzitutto, che, nonostante il trend dei contagi sia in diminuzione, il recente incremento della circolazione dei casi di COVID-19 nella Repubblica Popolare Cinese rende incerta la dinamica globale e dunque anche nazionale, in relazione alla possibile emergenza e diffusione di nuove varianti e merita la dovuta attenzione.
Il Ministero, quindi, sollecita l’attenzione sull’incrocio dei possibili fattori critici, quali le caratteristiche del virus nella stagione fredda (per la possibile comparsa di nuove varianti), il grado di adesione alla campagna vaccinale, il soggiorno in ambienti chiusi, la co-circolazione dei normali virus respiratori, il grado di immunità o suscettibilità della popolazione all’infezione o alla malattia grave, la mobilità della popolazione, gli effetti a lungo termine del virus.
Tutti elementi che rilevano anche nella gestione del rapporto di lavoro e delle misure aziendali contro la diffusione del covid.
Infatti, i due documenti si soffermano, in particolare, sull’uso dei dispositivi di protezione individuale, sul “lavoro domiciliare”, sulla riduzione delle aggregazioni di massa e sulla ventilazione degli ambienti chiusi.
Tutte misure presenti nel Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus sars-cov-2/covid-19 negli ambienti di lavoro del 30 giugno 2022 che, laddove volontariamente attuato, continua a garantire il rispetto delle previsioni dell’art. 2087 cc.
Il progressivo venir meno dell’obbligo vaccinale e del green pass
Il Decreto-legge 162/2022, in particolare:
- modificando il decreto-legge 44/2021, dispone la cessazione dell’obbligo vaccinale per le categorie interessate (lavoratori che operano nei settori sanitario, sociosanitario e socioassistenziale) e la sospensione fino al 30 giugno 2023 dei procedimenti sanzionatori (art. 7, commi 1 e 1bis)
- abroga le disposizioni del decreto-legge 44/2021 e 52/2021 concernenti il cd green pass per l’accesso ad alcune strutture[1] (art. 7ter)
Uso delle mascherine nelle strutture sanitarie
Con l’ordinanza del Ministro della salute del 29 dicembre 2022, viene prorogata fino al 30 aprile 2023 la precedente ordinanza del 31 ottobre 2022, che disponeva l’obbligo di uso delle mascherine da parte dei lavoratori e dei visitatori delle strutture sanitarie[2].
Questi obblighi sono stati estesi anche ad ambulatori e studi medici (come precisato in premessa all’ordinanza del 29 dicembre 2022).
Isolamento e autosorveglianza
Con l’art. 7quater, il DL 162/2022 si modifica la disciplina su isolamento (per i positivi) e autosorveglianza (per i contatti stretti) contenuta nell’art. 10ter del decreto-legge 52/2021, come spiegato nella circolare del Ministero della salute n. 51961 del 31 dicembre 2022:
- Isolamento per i soggetti positivi (fermo restando il divieto di mobilità dalla propria abitazione o dimora (art. 10ter, comma 1, DL 52/2021):
- per chi è stato sempre asintomatico: l’isolamento potrà terminare dopo 5 giorni dal primo test positivo, a prescindere dall’effettuazione del test antigenico o molecolare (per effetto dell’abrogazione della parte finale dell’art. 10ter, comma 2 del DL 52/2021) .
- Inoltre, per chi è stato sempre asintomatico: l’isolamento potrà terminare anche prima dei 5 giorni qualora un test antigenico o molecolare effettuato presso struttura sanitaria/farmacia risulti negativo
- per coloro che non presentano comunque sintomi da almeno 2 giorni: l’isolamento potrà terminare dopo 5 giorni dalla comparsa dei sintomi, a prescindere dall’effettuazione del test antigenico o molecolare (non è invece prevista l’anticipazione della fine dell’isolamento con l’effettuazione del tampone come nel caso di chi è sempre stato asintomatico)
- per i casi sintomatici, si ricorda che la circolare n. 37615 del 31 agosto 2022 del Ministero della salute (espressamente richiamata dalla circolare n. 51961/2022) prevede che, laddove questi soggetti risultino asintomatici da almeno 2 giorni, l’isolamento potrà terminare dopo 5 giorni, purché venga effettuato un test, antigenico o molecolare, che risulti negativo, al termine del periodo d’isolamento. In caso di positività persistente, si potrà interrompere l’isolamento al termine del 14° giorno dal primo tampone positivo, a prescindere dall’effettuazione del test.
- per i soggetti immunodepressi: l’isolamento potrà terminare dopo un periodo minimo di 5 giorni, ma sempre necessariamente a seguito di un test antigenico o molecolare con risultato negativo.
Per quanto riguarda la riammissione al lavoro dei lavoratori immunodepressi, si ritiene che tale status non sia conoscibile da medico competente se non a seguito di apposita dichiarazione del lavoratore, alla quale consegue la tutela che la legge ed il Protocollo, laddove volontariamente adottato, assicurano a tale condizione.
- per gli operatori sanitari: se asintomatici da almeno 2 giorni, l’isolamento potrà terminare non appena un test antigenico o molecolare risulti negativo.
- per i cittadini che abbiano fatto ingresso in Italia dalla Repubblica Popolare Cinese nei 7 giorni precedenti il primo test positivo: potranno terminare l’isolamento dopo un periodo minimo di 5 giorni dal primo test positivo, se asintomatici da almeno 2 giorni e negativi a un test antigenico o molecolare.
- Inoltre, con riferimento all’uso della mascherina FFP2 a completamento del periodo di isolamento, la circolare 51961/2022:
- rende obbligatorio, al termine dell’isolamento, l’uso di dispositivi di protezione delle vie respiratorie di tipo FFP2 fino al 10° giorno dall’inizio della sintomatologia (per i sintomatici) o dal primo test positivo (nel caso degli asintomatici)
- raccomanda comunque, sia nel caso dei soggetti sintomatici che asintomatici, di evitare – al termine dell’isolamento - il contatto con persone ad alto rischio e/o ambienti affollati. Queste precauzioni possono essere interrotte in caso di negatività a un test antigenico o molecolare.
Con riferimento al rientro al lavoro dopo l’infezione da covid, si ricorda che, secondo il Protocollo 30 giugno 2022, “la riammissione al lavoro dopo l’infezione da virus SARS-CoV-2/COVID-19 avverrà secondo le modalità previste dall’art. 4 del decreto legge 24 marzo 2022 n. 24 convertito in legge 19 maggio 2022 n. 52 e dalla circolare del Ministero della salute n. 19680 del 30 marzo 2022”.
E si rammenta anche che, a settembre 2022, il Ministero della salute aveva precisato che “già dall'inizio della pandemia, le disposizioni in ambito lavorativo hanno seguito una loro specificità per fini di tutela e di prudenza richiesti dalle parti sociali e, in taluni contesti anche da alcune categorie di lavoratori (fragili, malati cronici etc..). Parimenti, anche la circolare 37615 DGPREV del 31.08.2022 dispone procedure per la popolazione e non entra nel merito del contesto lavorativo. Per quest'ultimo rimangono valide, salvo diverse future disposizioni, le modalità definite dai protocolli”.
Il richiamato articolo 4 del DL 24/2022, che modifica l’art. 10ter del DL 52/2021, ad oggi non presenta più l’indicazione del tampone finale. Si ritiene, quindi - secondo approccio condiviso dal Ministero della Salute, consultato per le vie brevi - che per il ritorno al lavoro (a meno che non vi sia stato ricovero ospedaliero), il datore di lavoro non possa più richiedere la produzione del tampone con esito negativo.
Si ricorda, tuttavia, che il datore di lavoro, secondo il Protocollo (art. 1 - Informazione), informa chiunque entri nel luogo di lavoro in ordine all’impegno di rispettare tutte le disposizioni delle Autorità sanitarie e del datore di lavoro nel fare accesso in azienda.
Tra queste, ovviamente, il rispetto delle procedure relativi alla gestione dell’isolamento e della autosorveglianza descritte nella richiamata circolare n. 51961/2022.
Da questo punto di vista, poiché la circolare raccomanda comunque di evitare, tra l’altro, ambienti affollati, si ritiene che il lavoratore che rientra al termine dell’isolamento, in assenza di untampone negativo (la cui effettuazione si ritiene essere rimessa alla scelta del soggetto interessato e non possa essere imposta dal datore di lavoro), sia tenuto ad informare il datore di lavoro (attraverso il medico competente) in ordine alla necessità di evitare tali ambienti, anche attraverso il lavoro agile, ove possibile, quale strumento di prevenzione del contagio. Lo stesso dicasi nel caso di compresenza con un soggetto “ad alto rischio” (locuzione che appare riferibile anche ai soggetti fragili).
- Autosorveglianza in caso di contatto stretto con casi confermati positivi al covid (regolata dall’art. 10ter del DL 52/2021, modificato dal DL 162/2022)
- per coloro che hanno avuto contatti stretti con soggetti confermati positivi al SARS-CoV-2, è applicato il nuovo regime dell’autosorveglianza:
- fino al quinto giorno successivo alla data dell’ultimo contatto stretto, è obbligatorio indossare dispositivi di protezione delle vie respiratorie di tipo FFP2, al chiuso o in presenza di assembramenti.
- se durante il periodo di autosorveglianza si manifestano sintomi suggestivi di possibile infezione da Sars-Cov-2, è raccomandata l’esecuzione immediata di un test antigenico o molecolare per la rilevazione di SARS-CoV-2.
- gli operatori sanitari devono eseguire un test antigenico o molecolare su base giornaliera fino al quinto giorno dall’ultimo contatto con un caso confermato.
Soggetti in ingresso dalla Cina
Il recente incremento dei casi di covid in Cina, fonte di preoccupazione internazionale, ha determinato la necessità di adottare misure adeguate di prevenzione con l’ordinanza del Ministro della salute del 28 dicembre 2022, sopra richiamata.
Queste le misure indicate nel provvedimento:
a) obbligo di presentazione al vettore all'atto dell'imbarco e a chiunque sia deputato ad effettuare i controlli, della certificazione di essersi sottoposti, nelle settantadue ore antecedenti l'ingresso nel territorio nazionale, ad un test molecolare, o, nelle quarantotto ore antecedenti, ad un test antigenico effettuati per mezzo di tampone con risultato negativo;
b) obbligo di sottoporsi ad un test antigenico, da effettuarsi per mezzo di tampone, al momento dell'arrivo in aeroporto, ovvero, qualora ciò non fosse possibile, entro quarantotto ore dall'ingresso nel territorio nazionale presso l'azienda sanitaria locale di riferimento;
c) in caso di esito positivo del test antigenico, obbligo di sottoporsi immediatamente ad un test molecolare ai fini del successivo sequenziamento e ad isolamento fiduciario nel rispetto della normativa vigente;
d) obbligo di effettuare un ulteriore test antigenico o molecolare con esito negativo per porre termine al periodo di isolamento.
Sul piano del rapporto di lavoro, si ritiene che, in ogni caso, sia quindi richiesta la certificazione di negatività del tampone.
Lavoratori fragili e lavoro agile
La recente legge di bilancio per il 2023 (L. 29 dicembre 2022, n. 197) al comma 306 dispone, fino al 31 marzo 2023, per i lavoratori dipendenti pubblici e privati affetti dalle patologie e condizioni individuate dal Decreto interministeriale del 4 febbraio 2022 (nessuna proroga è prevista per i genitori con figli under 14) il datore di lavoro assicura lo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità agile anche attraverso l’adibizione a diversa mansione compresa nella medesima categoria o area di inquadramento, come definite dai contratti collettivi di lavoro vigenti, senza alcuna decurtazione della retribuzione in godimento. Resta ferma l’applicazione delle disposizioni dei relativi contratti collettivi nazionali di lavoro, ove più favorevoli.
Per le modalità e tempi della relativa comunicazione, si rinvia al comunicato del Ministero del lavoro del 31 dicembre 2022.
Non viene prevista alcuna misura per le ipotesi nelle quali le persone fragili sono adibite a mansioni per le quali non è possibile svolgere la prestazione lavorativa in modalità agile.
[1] Strutture di ospitalità, lungodegenza, residenze sanitarie assistite (RSA), hospice, strutture riabilitative e strutture residenziali per anziani, anche non autosufficienti, strutture residenziali di cui all’art. 44 del D.P.C.M. di aggiornamento dei LEA del 12 gennaio 2017 (ricoveri per: prestazioni di riabilitazione intensiva diretta al recupero di disabilità importanti; prestazioni di riabilitazione estensiva a soggetti disabili non autosufficienti; prestazioni di lungodegenza post-acuzie a persone non autosufficienti).
[2] Strutture sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali, comprese le strutture di ospitalità e lungodegenza, le residenze sanitarie assistenziali, gli hospice, le strutture riabilitative, le strutture residenziali per anziani, anche non autosufficienti, e comunque le strutture residenziali di cui all'art. 44 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017.
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Numerose le novità in materia di salute e sicurezza tecnica a livello italiano ed europeo.
Si riporta in allegato una nota riguardo ai seguenti temi:
- - pubblicazione del Decreto del 27 dicembre 2021, che prevede la sostituzione degli allegati XLIV, XLVI e XLVII al Decreto legislativo n. 81 del 2008, recependo le modifiche alla direttiva in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti biologici durante il lavoro (Direttiva 2019/1833/UE);
- - pubblicazione del Decreto del 20 dicembre 2021, che prevede la sostituzione dell’Allegato VIII al Decreto legislativo n. 81 del 2008, che recepisce le modifiche alla direttiva relativa alle prescrizioni minime in materia di sicurezza e salute per l’uso da parte dei lavoratori di attrezzature di protezione individuale durante il lavoro (Direttiva 2019/1832/UE);
- - stato dell’arte della Proposta di regolamento sulle macchine (COM(2021) 202 final), che normerà la materia andando a sostituire la vigente direttiva 2006/42/CE, ad oggi all’attenzione del Parlamento europeo. Le prossime settimane saranno decisive per la definizione della posizione del Parlamento e per quella del Consiglio;
- - stato dell’arte della quarta modifica della direttiva in tema di agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro (direttiva 2004/37/CE), il cui iter è ormai in fase conclusiva;
- - definizione di tre pareri, da parte del Comitato consultivo salute e sicurezza della Commissione europea, relativi ai valori limite di esposizione di altrettante sostanze (amianto, piombo e suoi composti inorganici, e diisocianati), che saranno poi presi a riferimento per le proposte di modifica delle direttive in tema di amianto (Direttiva 2009/148/EC) e di agenti chimici (Direttiva 98/24/EC).
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Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro - Aggiornamenti tecnici - Feb 2022.pdf|Visualizza dettagli Allegati news febbraio 2022.zip|Visualizza dettagli
Modificato il da Fabiola Leuzzi 333B89B9-810A-BF5B-C125-8279002DA767 [email protected]
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facendo seguito ai documenti trasmessi nei giorni scorsi, si trasmette una nota di commento al Protocollo relativo alla vaccinazione contro il Covid19 e al testo definitivo delle Indicazioni ad interim approvate dalla Conferenza delle Regioni, ricevuto ieri sera.
I due documenti necessitano di una lettura integrata per focalizzare la procedura da adottare per la vaccinazione in azienda e valutare, così, se impegnare le strutture aziendali o ricorrere a convenzioni con strutture private, come previsto nel Protocollo.
Ovviamente, l’avvio dell’intero percorso è condizionato dalla disponibilità di vaccini e di riflesso dai tempi di somministrazione delle dosi alle categorie più a rischio.
La tempistica e le quantità necessarie per l’avvio del percorso vaccinale in azienda sono alla base di richieste di chiarimento che le Regioni hanno già inviato al Governo.
Al momento, in mancanza di queste indicazioni, è opportuno chiarire le modalità per l’adozione del piano aziendale per la vaccinazione (individuando, al livello aziendale, la sussistenza o meno dei requisiti indicati dal Protocollo e dalle Indicazioni ad interim) e valutare l’eventuale alternativa di rivolgersi a strutture private, tenendo anche conto del potenziale ruolo che il Protocollo assegna alle Associazioni di categoria e territoriali a supporto e coordinamento dell’iniziativa delle aziende, soprattutto quelle di minori dimensioni.
Circolare_trasmissione_Linee_indirizzo_vaccini_aziendali_2021.pdf|Visualizza dettagli Nota Protocollo e indicazioni vaccinazione Covid 19.pdf|Visualizza dettagli vaccinazione_9apr_2_def.pdf|Visualizza dettagli
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In allegato, le slide proiettate durante il Webinar "Le misure di contenimento dell'emergenza Covid e le nuove regole per l'accesso ai luoghi di lavoro".
Webinar 8.2.22 - Grasso.pdf|Visualizza dettagli
Webinar 8.2.22 - Pontrandolfi.pdf|Visualizza dettagli
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In allegato una nota descrittiva del nuovo protocollo di sicurezza covid nei luoghi di lavoro.
Per facilitare la lettura delle novità introdotte con il nuovo protocollo, trovate in allegato anche un “testo a fronte”.
Nuovo protocollo delle misure per il contrasto covid 5 luglio 2022.pdf|Visualizza dettagli
Testo a fronte 30-6-2022.pdf|Visualizza dettagli
Modificato il da Roberto Vincenti F98767E6-1156-50B9-4125-66E2005E8089 [email protected]
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In relazione alla imminente entrata in vigore della disciplina della patente a punti, segnaliamo che il 27 settembre, alle ore 15:00 l'INL organizza un webinar avente ad oggetto la Presentazione del portale per la richiesta della patente a crediti, introdotta dal decreto-legge 2 marzo 2024, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 aprile 2024, n. 56.
Di seguito il link all'iniziativa
Link per live event
locandina_webinar .pdf|Visualizza dettagli
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Il DL Aiuti bis (DL 115/2022) è stato convertito, con modifiche, nella legge n. 142/2022, che entra in vigore il 22 settembre 2022.
In tema di lavoro agile, nel percorso di conversione sono state introdotte due importanti novità agli articoli 23bis e 25bis.
- Con l’art. 23bis[1] il legislatore proroga con il comma 1 fino al 31 dicembre 2022 il termine previsto dall’art. 10, comma 1-ter, del DL n. 24/2022, relativo alle misure in materia di lavoro agile previste in favore dei lavoratori fragili (art. 26, comma 2-bis, del DL n. 18/2020.
Evidenziamo, a questo proposito, che la proroga è relativa ai soggetti indicati nell'articolo 26, comma 2-bis, del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, e successive modificazioni) (lavoratori con riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità, ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della L. 5 febbraio 1992, n. 104 e lavoratori in possesso di certificazione attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita).
Con il comma 2, la norma proroga, inoltre, fino 31 dicembre 2022, il termine previsto dall’art. 10, comma 2, del DL n. 24/2022 (con riferimento all’art. 90, commi 1 e 2, del DL n. 34/2020) relativo alla previsione secondo la quale i genitori lavoratori dipendenti del settore privato, con almeno un figlio minore di anni 14, hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile, anche attraverso propri strumenti informatici qualora non siano forniti dal datore di lavoro, a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell'attività lavorativa o che non vi sia genitore non lavoratore e che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione
La proroga prevista nel richiamato comma 2 fa riferimento ai lavoratori dipendenti del settore privato che abbiano almeno un figlio minore di anni 14 (a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito, in caso di sospensione o cessazione dell'attività lavorativa, e che non vi sia genitore non lavoratore) ed ai lavoratori dipendenti, pubblici e privati, che, sulla base delle valutazioni dei medici competenti, siano maggiormente esposti a rischio di contagio dal virus SARS-CoV-2, in ragione dell'età o della condizione di rischio derivante da immunodepressione, da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita o, comunque, da comorbilità che possano caratterizzare una situazione di maggiore rischio.
La norma non proroga, invece, la previsione del comma 2 dell’art. 26 del DL 18/2020, ossia quella relativa alla equiparazione della assenza il periodo di assenza dal servizio al ricovero ospedaliero per alcune tipologie di fragilità, oggetto di esplicita richiesta delle parti sociali nel Protocollo del 30 giugno 2022.
- Con l’art. 25bis[2] viene prorogato fino al 31 dicembre 2022 il termine previsto dall’art. 10, comma 2-bis, del DL n. 24/2022 relativo alla disposizione dell’art. 90, commi 3 e 4, del DL n. 34/2020[3], secondo il quale i datori di lavoro del settore privato comunichino al Ministero del lavoro, in via telematica, i nominativi dei lavoratori e la data di cessazione della prestazione di lavoro in modalità agile e che questa modalità di lavoro possa essere applicata dai datori di lavoro privati a ogni rapporto di lavoro subordinato e senza necessità di accordo.
L’applicabilità della procedura semplificata descritta dall’art. 90 del D.L. n. 34/2020 era stata prorogata anche a seguito della cessazione dello stato di emergenza e, da ultimo, il D.L. n 24/2022 ne aveva disposto la efficacia fino al 31 agosto 2022.
La lettura delle due disposizioni introduce alcuni elementi di riflessione.
In vista del superamento del regime semplificato previsto per far fronte all’emergenza pandemica, l'art. 41-bis del D.L. 73/2022 aveva reso strutturale ed obbligatoria, a decorrere dal 1° settembre 2022, la procedura di comunicazione telematica al Ministero del lavoro e delle politiche sociali dei nominativi dei lavoratori e della data di inizio e di cessazione delle prestazioni di lavoro in modalità agile, senza obbligo di allegare l'accordo individuale, la cui stipulazione è comunque richiesta ai sensi della citata legge n. 81/2017.
Le proroghe in esame modificano nuovamente il quadro normativo di riferimento e introducono una serie di rilevanti conseguenze interpretative ed applicative che riteniamo di poter interpretare come segue:
- fino al 31 dicembre 2022 “coesistono” due regimi: quello fondato sugli accordi (stipulati a seguito del venir meno del regime semplificato a decorrere dal 1° settembre 2022) e quello della determinazione unilaterale del datore di lavoro (fino al 31 dicembre 2022).
Evidenziamo che la norma non reintroduce il lavoro agile cd unilaterale dopo un periodo di vigenza dell’obbligo dell’accordo, ma proroga retroattivamente – senza soluzione di continuità – l’efficacia della disposizione che contempla tale facoltà. Ne consegue che, anche nel periodo da 1 al 22 settembre, il datore di lavoro avrebbe potuto disporre lo smart work unilaterale e la norma in vigore da oggi “sana” quindi ipotetiche disposizioni unilaterali di smart work, che altrimenti sarebbero state illegittime. Si determina, così, un effetto di continuità rispetto alla normativa eccezionale previgente.
In questo caso, si ritiene che gli accordi stipulati possano restare applicabili, salvo che il datore di lavoro, avvalendosi della facoltà concessa fino al 31 dicembre, intenda modificare l’organizzazione del lavoro (ad esempio, per procrastinare la gestione flessibile della fase di uscita dalla pandemia), così superando (temporaneamente) gli eventuali accordi stipulati ed applicando unilateralmente la modalità del lavoro agile.
Così come si deve ritenere che resti valido un ipotetico (ed improbabile) atto datoriale che, nel periodo 1 – 22 settembre, abbia adottato lo smart work unilaterale senza stipulare l’accordo previsto dalla legge n. 81/2017.
- Per i lavoratori indicati nell’art. 23bis, per i quali la legge prevede un “diritto” a prestare l’attività lavorativa in modalità agile (art. 90, comma 1, DL 34/2022 e s.m.i.), si ritiene che tale diritto prevalga sull’eventuale accordo nel frattempo stipulato tra impresa e lavoratore, con evidente sospensione dell’accordo e rideterminazione della modalità di esecuzione della prestazione.
Tale diritto, ovviamente, prevale, laddove esercitato, anche sulla eventuale determinazione unilaterale che il datore di lavoro intendesse assumere.
- Analogamente, per i genitori di figlio infraquattordicenne e per i lavoratori indicati dal medico competente come fragili, si ritiene che il diritto previsto dalla legge prevalga, laddove esercitato, sia sull’accordo eventualmente stipulato nel frattempo sia sulla eventuale determinazione unilaterale da parte del datore di lavoro.
[1] « Art. 23-bis. - (Proroga del lavoro agile per i lavoratori fragili e i genitori lavoratori con figli minori di anni 14) - 1. All'articolo 10, comma 1-ter, del decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 maggio 2022, n. 52, le parole: "fino al 30 giugno 2022" sono sostituite dalle seguenti: "fino al 31 dicembre 2022".
2. Il termine previsto dall'articolo 10, comma 2, del decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 maggio 2022, n. 52, con riferimento alla disposizione di cui al punto 2 dell'allegato B annesso al medesimo decreto-legge, è prorogato al 31 dicembre 2022.
3. Agli oneri derivanti dal comma 1 del presente articolo, pari a 18.660.000 euro per l'anno 2022, si provvede quanto a euro 8 milioni mediante corrispondente riduzione delle risorse del Fondo sociale per occupazione e formazione di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e quanto a euro 10.660.000 mediante corrispondente riduzione del Fondo di cui all'articolo 1, comma 215, della legge 27 dicembre 2013, n. 147.
[2] « Art. 25-bis. - (Proroga del lavoro agile per i lavoratori del settore privato) - 1. All'articolo 10, comma 2-bis, del decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 maggio 2022, n. 52, le parole: "31 agosto 2022" sono sostituite dalle seguenti: "31 dicembre 2022" ».
[3] “3. Per l'intero periodo di cui al comma 1, i datori di lavoro del settore privato comunicano al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in via telematica, i nominativi dei lavoratori e la data di
cessazione della prestazione di lavoro in modalità agile, ricorrendo alla documentazione resa disponibile nel sito internet del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
4. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 87 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, per i datori di lavoro pubblici,
limitatamente al periodo di tempo di cui al comma 1 e comunque non oltre il 31 dicembre 2020, la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, può essere applicata dai datori di lavoro privati a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali
ivi previsti; gli obblighi di informativa di cui all'articolo 22 della medesima legge n. 81 del 2017, sono assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile nel sito internet dell'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (INAIL)”.
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Premessa
Il Protocollo del 14 marzo 2020, integrato (ma non aggiornato) il 24 aprile 2020, è espressamente richiamato nei DPCM (nell’ultimo, del 7 agosto prorogato al 7 ottobre, all’art. 2[1]) e figura nei relativi allegati.
Sul piano normativo, va ricordato che il decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33 (Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito con la legge 14 luglio 2020, n. 74, richiama (art. 1, commi 14 e 15[2]) il rispetto dei Protocolli come condizione per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale, pena la sospensione dell’attività.
Il decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23, nel testo introdotto dalla legge di conversione 5 giugno 2020, n. 40, assicura, all’art. 29bis[3], la presunzione (relativa) del pieno rispetto degli obblighi (generici) introdotti dall’art. 2087 del codice civile laddove siano rispettati i protocolli (in primis, quello del 24 aprile 2020).
La normativa adottata dal legislatore per contrastare la diffusione del virus, se, per un verso, è indubbiamente solida nel conferire inderogabilità all’obbligo di rispettare i protocolli, per altro verso presenta evidenti aspetti evolutivi connessi alle modifiche della situazione, che devono necessariamente tenuti in adeguato conto.
Per questo motivo Confindustria ritiene necessario un aggiornamento dei contenuti del Protocollo o, comunque, una esplicita interpretazione evolutiva da parte della Pubblica amministrazione.
La diffusione del virus nei luoghi di lavoro
Questa esigenza sconta evidentemente l’attenta considerazione della situazione epidemiologica, la cui evoluzione non può non incidere sulle responsabili scelte del datore di lavoro.
Circa la diffusione del virus nei luoghi di lavoro, gli ultimi dati dell’Inail evidenziano la prevalente diffusione del virus tra gli operatori sanitari[4]: i dati confermano, quindi, la piena efficacia del rispetto dei Protocolli ai fini del contenimento del contagio nei luoghi di lavoro.
Da questa osservazione discende l’esigenza di mantenere sempre ferma la piena adesione al Protocollo e di non abbassare i livelli di tutela e di attenzione.
Il profilo interpretativo
In attesa che il legislatore o l’autorità amministrativa procedano all’aggiornamento o all’interpretazione evolutiva del Protocollo, sembra opportuno avanzare delle opzioni interpretative, confrontando la lettera e la ratio del Protocollo con lo sviluppo della normativa succedutasi fino agli atti più recenti, per valutare se alcuni profili possano essere attualizzati alla più recente regolamentazione ed alla situazione più aggiornata della pandemia.
È evidente che si tratta di ipotesi interpretative, che non possono sostituirsi alla formale modifica del Protocollo o alla sua formale interpretazione delle autorità amministrative, seppure siano sostenute da esplicite indicazioni normative sopravvenute e dalla coerenza complessiva delle disposizioni progressivamente ampliative.
Gli aspetti di maggiore interesse
Tre sono in particolare gli aspetti che appaiono meritevoli di analisi: la formazione, le riunioni e le trasferte.
Nel Protocollo (punto 10) si afferma, in particolare, che “sono sospesi e annullati tutti gli eventi interni e ogni attività di formazione in modalità in aula, anche obbligatoria, anche se già organizzati; é comunque possibile, qualora l'organizzazione aziendale lo permetta, effettuare la formazione a distanza, anche per i lavoratori in smart work”.
È evidente la logica di cautela che anima la previsione e che tante questioni sta sollevando anche con riferimento alla riapertura delle scuole.
Tuttavia, la ripresa dell’attività produttiva si accompagna anche alla esigenza di formare le persone, con riferimento sia agli aspetti legati all’emergenza sia a quelli relativi alla sicurezza.
Confindustria ha quindi sollecitato un chiarimento del Ministero del lavoro finalizzato a superare il blocco espressamente indicato nel Protocollo, ovviamente nel rispetto delle norme relative alla tutela della sicurezza.
Il Ministero del lavoro, anche sulla base del parere del CTS[5], ha risposto positivamente[6].
Il DPCM del 7 agosto 2020, all’allegato 9, nella scheda tecnica dedicata alla “Formazione professionale”, ha regolato lo svolgimento della formazione (ivi espressamente compresa quella in materia di salute e sicurezza).
Il parere del Ministero del lavoro, quello del CTS e la specifica indicazione contenuta nel DPCM consentono di ritenere dunque definitivamente superata la questione inerente la possibilità di fare formazione in presenza, fermo restando l’evidente suggerimento di preferire la videoconferenza in modalità sincrona laddove possibile.
Il Protocollo del 24 aprile 2020 (punto 10) dispone che “non sono consentite le riunioni in presenza. Laddove le stesse fossero connotate dal carattere della necessità e urgenza, nell'impossibilità di collegamento a distanza, dovrà essere ridotta al minimo la partecipazione necessaria e, comunque, dovranno essere garantiti il distanziamento interpersonale e un'adeguata pulizia/areazione dei locali”.
Il Decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, convertito nella legge 14 luglio 2020, n. 74, all’articolo 1, comma 10, prevede che “le riunioni si svolgono garantendo il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro”.
Il DPCM 7 agosto 2020, nella scheda relativa agli uffici (pubblici e privati) prevede che “per le riunioni (con utenti interni o esterni) vengono prioritariamente favorite le modalità a distanza; in alternativa, dovrà essere garantito il rispetto del mantenimento della distanza interpersonale di almeno 1 metro e, in caso sia prevista una durata prolungata, anche l’uso della mascherina”.
Tra le risposte del Governo alle richieste di chiarimenti, si evidenzia quella relativa alla possibilità di riunire assemblee (da quelle societarie a quelle condominiali)[7].
Il carattere non assoluto della preclusione allo svolgimento delle riunioni in presenza evidenziato nel Protocollo e le espresse aperture di ordine normativo e regolamentare, unitamente alla ripresa delle attività produttive e al riavvio della formazione, inducono a ritenere che, salvo l’ovvio rispetto delle regole fondamentali (distanziamento, mascherina, igiene personale, sanificazione ed aerazione adeguata degli ambienti, aerazione, flussi in entrata ed uscita dai luoghi chiusi, etc), le riunioni siano ormai possibili.
Secondo il punto 8 del Protocollo del 24 aprile 2020, “sono sospese e annullate tutte le trasferte/viaggi di lavoro nazionali e internazionali, anche se già concordate o organizzate”.
Si tratta dell’aspetto sicuramente più delicato, perché molta parte dell’attività economico-produttiva è legata alla commercializzazione dei prodotti ed alla vendita, installazione e manutenzione degli stessi, così come è legata all’esecuzione degli appalti, sul territorio nazionale ed all’estero.
A fronte del divieto assoluto presente nel protocollo, comprensibile per la contingenza in essere alla metà del mese di marzo 2020, ed ancora presente, ad esempio, nel DL n. 33/2020 (art. 1), successivamente il tema è stato profondamente rivisto nella normativa e nella regolamentazione introdotta dai DPCM.
Le limitazioni degli spostamenti all’interno del Paese sono ormai venute meno mentre residuano quelle da e verso i Paesi esteri, regolate dalle disposizioni degli articoli 4, 5 e 6 del DPCM 7 agosto 2020. La disciplina delle trasferte per lavoro è espressamente presa in considerazione, tanto che la motivazione dello spostamento per motivi di lavoro costituisce espressa deroga ai divieti di spostamento (art. 4, comma 1, lett. a)) e, in alcune ipotesi, anche agli obblighi in caso di ingresso o di uscita dall’Italia (art. 6, comma 6, lett. d) e comma 7, lett. a, c, e ed f).
Dunque, il divieto di spostamento per motivi di lavoro è stato progressivamente ridotto e poi regolato per via normativa, superando così il rigoroso divieto comprensibilmente contenuto nel Protocollo del 14 marzo 2020 ed ancora presente, in mancanza di aggiornamenti, nel Protocollo del 24 aprile 2020.
Oggi, dunque, venuto meno il divieto assoluto indicato nel Protocollo, le trasferte per motivi di lavoro sono espressamente regolate dal DPCM 7 agosto 2020, prorogato al 7 settembre.
Inoltre, Confindustria, nella consapevolezza dell’importanza fondamentale dello strumento della trasferta e, allo stesso tempo, della esigenza di assicurare la piena tutela ai lavoratori che si spostano per motivi di lavoro, ha formalmente chiesto ai Ministeri competenti di ampliare temporalmente l’ipotesi di deroga alla quarantena (attualmente riferita esclusivamente alle trasferte della durata massima di 120 ore) e – per le trasferte di durata superiore - di sostituire la quarantena con l’esecuzione del tampone molecolare.
È evidente che, laddove si decida di organizzare una trasferta, occorrerà tener conto dell’andamento della pandemia e delle conseguenti misure adottate nei Paesi destinatari delle trasferte così come occorrerà gestire opportunamente le trasferte di personale straniero in Italia, dando piena attuazione alle disposizioni inerenti le condizioni di ingresso nel nostro Paese e, poi, in azienda.
[1] Art. 2: “Sull'intero territorio nazionale tutte le attività produttive industriali e commerciali, fatto salvo quanto previsto dall'art. 1, rispettano i contenuti del protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Governo e le parti sociali di cui all'allegato 12, nonché, per i rispettivi ambiti di competenza, il protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID-19 nei cantieri, sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e le parti sociali, di cui all'allegato 13, e il protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID-19 nel settore del trasporto e della logistica sottoscritto il 20 marzo 2020, di cui all'allegato 14”.
[2] Art. 1, commi 14 e 15: “Le attività economiche, produttive e sociali devono svolgersi nel rispetto dei contenuti di protocolli o linee guida idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore di riferimento o in ambiti analoghi, adottati dalle regioni o dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome nel rispetto dei principi contenuti nei protocolli o nelle linee guida nazionali. In assenza di quelli regionali trovano applicazione i protocolli o le linee guida adottati a livello nazionale. Le misure limitative delle attività economiche, produttive e sociali possono essere adottate, nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità, con provvedimenti emanati ai sensi dell’articolo 2 del decreto-legge n. 19 del 2020 o del comma 16. 15. Il mancato rispetto dei contenuti dei protocolli o delle linee guida, regionali, o, in assenza, nazionali, di cui al comma 14 che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza”.
[3] Art. 29-bis (Obblighi dei datori di lavoro per la tutela contro il rischio di contagio da COVID-19).”Ai fini della tutela contro il rischio di contagio da COVID-19, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all'obbligo di cui all'articolo 2087 del codice civile mediante l'applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del COVID-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, e successive modificazioni e integrazioni, e negli altri protocolli e linee guida di cui all'articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, nonché mediante l'adozione e il mantenimento delle misure ivi previste. Qualora non trovino applicazione le predette prescrizioni, rilevano le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.
[4] Inail, Ottavo rapporto del 21 settembre 2020. “Rispetto alle attività produttive (classificazione delle attività economiche Ateco- Istat 2007) coinvolte dalla pandemia, il settore della sanità e assistenza sociale (ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili…) registra il 71,2% delle denunce; seguito dall’amministrazione pubblica (attività degli organismi preposti alla sanità – Asl - e amministratori regionali, provinciali e comunali) con il 9,0%; dal noleggio e servizi di supporto (servizi di vigilanza, di pulizia, call center,…) con il 4,4%; dal settore manifatturiero (addetti alla lavorazione di prodotti chimici, farmaceutici, stampa, industria alimentare) con il 2,9% e dalle attività dei servizi di alloggio e di ristorazione con il 2,5%. Con la graduale ripresa delle attività a partire dal mese di maggio, si osserva una progressiva riduzione dell’incidenza dei casi di contagio nel settore della sanità e assistenza sociale (che passa infatti dal 71,6% del periodo marzo-maggio, al 56,0% di giugno-agosto e al 47,2% nel solo mese di agosto) ed un incremento della quota di denunce in quelle attività economiche che, soprattutto nel periodo estivo, hanno avuto una crescita di lavoro come i servizi di alloggio e ristorazione (passati dal 2,5% di marzo-maggio, al 4,3% di giugno-agosto, con il 5,0% solo ad agosto) o il noleggio, le agenzie di viaggio e i servizi di supporto alle imprese (rispettivamente 4,3%, 7,7% e 13,7%)”. “L’analisi per professione dell’infortunato evidenzia la categoria dei tecnici della salute come quella più coinvolta da contagi, con il 39,7% delle denunce (più di tre casi su quattro sono donne), oltre l’83% delle quali relative a infermieri. Seguono gli operatori socio-sanitari con il 20,9% (l’81,5% sono donne), i medici con il 10,2%, gli operatori socio-assistenziali con l’8,9% e il personale non qualificato nei servizi sanitari (ausiliario, portantino, barelliere) con il 4,8%. Il restante personale coinvolto riguarda, tra le prime categorie professionali, impiegati amministrativi (3,1%), addetti ai servizi di pulizia (1,9%) e dirigenti sanitari (1,0%). Anche per le professioni, si osserva una progressiva riduzione dell’incidenza dei casi di contagio nella categoria dei tecnici della salute (che passa infatti dal 40,3% del periodo marzo-maggio, al 29,2% di giugno-agosto) e dei medici (passati dal 10,4% di marzo-maggio al 4,5% di giugno-agosto) ed un incremento della quota di denunce per gli operatori socio assistenziali (passati dall’8,9% di marzo-maggio al 13,4% di giugno-agosto), per il personale non qualificato nei servizi di pulizia (passati dall’1,9% di marzo-maggio al 2,8% di giugno-agosto), per gli esercenti dei servizi di albergo e ristorazione (passati dallo 0,6% di marzo-maggio all’1,7% di giugno-agosto, con il 3,5% solo ad agosto) e per gli addetti ai servizi di sicurezza, vigilanza e custodia (passati dallo 0,5% di marzo-maggio all’1,2% di giugno-agosto, con il 2,6% solo ad agosto)”.
[6] “Come già chiarito da questo Ministero, la formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro riveste carattere di particolare importanza, anche in relazione a specifici obblighi previsti dalla normativa di settore.
Pertanto, con la ripresa delle attività produttive, nei casi in cui non vi siano oggettivamente le condizioni per attivare modalità in videoconferenza sincrona per svolgere la formazione obbligatoria in materia di salute e sicurezza sul lavoro, ovvero quando sia necessario svolgere sessioni obbligatorie pratiche dei corsi di formazione, è possibile svolgere attività formativa in presenza, a condizione che siano adottate idonee misure di contenimento del rischio di contagio, quali ad esempio:
- utilizzo di locali dotati di adeguata areazione;
- distanziamento fisico di almeno 1 metro;
- utilizzo della mascherina chirurgica;
- accessibilità all'igiene frequente delle mani;
- garanzia dell'igiene delle superfici;
- in particolare, in presenza di utilizzo di macchine o attrezzature di lavoro, adeguata igienizzazione e disinfezione tra un utilizzo e l'altro secondo le specifiche indicazioni emanate dall'Istituto Superiore di Sanità.
Tali indicazioni trovano altresì applicazione per la formazione obbligatoria in materia di salute e sicurezza rivolta alle figure della prevenzione. Anche in tali casi rimane da preferire, in questa fase, la modalità a distanza di "videoconferenza in modalità sincrona" anziché la formazione "in presenza", fatta eccezione per i moduli formativi che espressamente prevedono l'addestramento pratico, come per gli addetti al primo soccorso in azienda.
Anche in questi casi, che richiedono lo svolgimento di attività formative "in presenza", sarà necessario il pieno rispetto di tutte le misure di contenimento del rischio indicate in precedenza.
Tali indicazioni sono state confermate dal Comitato Tecnico Scientifico operante presso il Dipartimento della Protezione Civile, che - nella riunione del 28 maggio 2020 - si è espresso su uno specifico quesito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con il parere allegato”.
[7] “Le assemblee di qualunque tipo, condominiali o societarie, ovvero di ogni altra forma di organizzazione collettiva, possono svolgersi in “presenza fisica” dei soggetti convocati, a condizione che siano organizzate in locali o spazi adeguati, eventualmente anche all’aperto, che assicurino il mantenimento continuativo della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro fra tutti i partecipanti, evitando dunque ogni forma di assembramento, nel rispetto delle norme sanitarie di contenimento della diffusione del contagio da COVID-19.
Resta ferma la possibilità di svolgimento delle medesime assemblee da remoto, ove ciò sia compatibile con le specifiche normative vigenti in materia di convocazioni e deliberazioni”.
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Il Ministero del lavoro ha comunicato la versione finale della bozza di decreto che regola la cd patente a crediti, introdotta dal DL 19/2024, che trovate in allegato.
Il documento, nonostante registri notevoli miglioramenti introdotti nel corso del confronto del Ministero con le parti sociali, presenta ancora numerosi punti di criticità e, soprattutto, numerosi profili di dubbio.
Il provvedimento entrerà in vigore il 1 ottobre 2024, e, quindi, per quella data occorrerà già conoscere gli aspetti relativi alla fase della domanda.
Al fine, quindi, di anticipare prime indicazioni relative alla fase di avvio, ed auspicando l’intervento di chiarimenti da parte delle Amministrazioni preposte, organizziamo un incontro via web il giorno
martedì 30 luglio 2024
dalle ore 10.30 alle 13.00
esclusivamente on line.
Per partecipare, è possibile usare il seguente link:
https://confindustria.zoom.us/meeting/register/tZAodeCurDItE9AiGEXu4ofrY0slq2jUI3GG
Nel ringraziarvi e scusarci per lo scarso preavviso, inviamo i migliori saluti.
Allegato:
DM Patente a crediti_23_luglio_ore 13.docx|Visualizza dettagli
Modificato il da Roberto Vincenti F98767E6-1156-50B9-4125-66E2005E8089 [email protected]
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Facciamo seguito alla nostra news del 1° settembre scorso per informarvi che il prossimo 17 novembre, alle ore 10, si svolgerà un webinar dedicato al decreto legislativo n. 105 del 30 giugno 2022 recante "Attuazione della direttiva 2019/1158 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 relativa all'equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza e che abroga la direttiva 2010/18/UE del Consiglio".
Prenderanno parte, in qualità di Relatori, il dottor Luca Sabatini (Direttore Ammortizzatori Sociali della DG INPS), la dottoressa Margherita Corvaglia (Dirigente Area malattia e maternità della DG INPS), il dottor Marco Benussi (funzionario Area malattia e maternità della DG INPS).
Per l'Area Lavoro, Welfare e Capitale Umano prenderanno parte la dottoressa Maria Magri e la dottoressa Lucia Scorza.
Eventuali quesiti potranno essere posti, durante lo svolgimento del webinar, in chat.
Il link per la registrazione al webinar è il seguente:
https://confindustria.zoom.us/webinar/register/WN_6ObIpjRFTnib6zc4e7-GgQ
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Nell’approssimarsi della data del 31 ottobre 2022 contenuta nel Protocollo del 30 giugno 2022, riferita ad un eventuale incontro tra le parti sociali per ulteriori valutazioni sulla situazione pandemica ed eventuali aggiornamenti, evidenziamo che le mutate condizioni sul piano sociale e politico e l’andamento della pandemia non hanno finora portato alla esigenza di un ulteriore confronto.
Il primo incontro tra le parti sociali e il nuovo Ministro del lavoro, programmato per il 4 novembre p.v., potrà eventualmente essere anche l’occasione per qualche riflessione sui temi di salute e sicurezza, ivi compreso il destino del protocollo.
Nel rinviare, quindi, eventuali informazioni all’esito dell’incontro, ricordiamo che la norma secondo la quale il covid19 è (impropriamente) qualificato come infortunio sul lavoro e quella che equipara l’adozione del protocollo al rispetto dell’art. 2087 del Codice civile non hanno scadenza, per cui la data del 31 ottobre non configura alcuna scadenza in merito all’uso del protocollo, anch’esso efficace fino a che la normativa richiamata sarà in vigore.
Ricordiamo anche che il ricorso all’uso del Protocollo è del tutto facoltativo, benché fortemente raccomandato viste le responsabilità del datore di lavoro, dallo scorso 1° aprile 2022, data di fine del periodo emergenziale.
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Decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, art. 3 - Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili - Sospensione dell’attività imprenditoriale – Circolari dell’Ispettorato nazionale del lavoro e delle ASL.
Premessa
Come noto, il Decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, all’art. 13, ha, tra l’altro, ridisciplinato il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale, previsto dall’art. 14 del D.lgs. n. 81/2008.
Confindustria ha evidenziato le rilevanti criticità del provvedimento nella nota del 27 ottobre 2021.
L’Ispettorato nazionale del lavoro ha emanato una nota di prime indicazioni sul nuovo provvedimento di sospensione (circolare n. 3 del 9 novembre 2021), evidenziando che le indicazioni potranno essere oggetto di integrazione o modifica a seguito della conversione in legge del DL n. 146/2021.
La circolare dell’Ispettorato nazionale del lavoro
Il commento dell’INL alla norma relativa alla sospensione dell’attività non risolve (né poteva farlo) i numerosi e gravi profili di criticità evidenziati da Confindustria, dal momento che le criticità derivano direttamente dalla normativa.
La nota evidenzia acriticamente le finalità del provvedimento, riconducibili a “far cessare il pericolo per la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori”. Non viene, quindi, affrontata la reale natura cautelare, che emerge, a norma del comma 1, solamente nelle ipotesi in cui l’INL è chiamato a adottare, unitamente al provvedimento di sospensione, “specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro”.
Viene confermato il carattere obbligatorio ed immediato del provvedimento di sospensione, escludendo, così, ogni discrezionalità da parte dell’Amministrazione.
La decorrenza degli effetti dalle ore 12 del giorno successivo – in ogni caso, inidonea a svolgere una funzione prevenzionale – viene prima sollecitata[1] e poi, contraddittoriamente, esclusa laddove si evidenzia che “benché la disposizione al riguardo non faccia distinzioni tra le due cause di sospensione (lavoro irregolare e gravi violazioni in materia di salute e sicurezza) va considerato che, fatte salve le specifiche valutazioni da effettuarsi caso per caso, il provvedimento di sospensione per motivi di salute e sicurezza dovrà essere, di norma, adottato con effetto immediato.”
Quindi, anche nelle ipotesi in cui l’adempimento omesso possa anche essere ragionevolmente adottato immediatamente, così ponendo i presupposti per la revoca del provvedimento ed impedendo la reale applicazione degli effetti della sospensione (es. dotazione di DPI o adozione delle misure di protezione verso il vuoto), la circolare lo esclude, nonostante la possibilità offerta dalla legge.
Inoltre, poiché, in genere, all’impiego in nero conseguono effetti sulla sicurezza (es. sugli obblighi formativi), nemmeno in questo caso sarebbe possibile differire l’efficacia del provvedimento alle 12 del giorno successivo.
La precisazione sembra, inoltre, contraddire l’esplicita previsione di legge secondo la quale gli effetti del provvedimento di sospensione possono esser fatti decorrere “dalla cessazione dell'attività lavorativa in corso che non può essere interrotta”.
Nonostante la previsione richiamata (relativa al rinvio degli effetti e non alla non adozione della sospensione), non vengono affrontate e risolte le questioni legate alle eventuali conseguenze negative rispetto alle altre attività aziendali, ai beni, alle attrezzature, agli impianti (es., in caso di attività a ciclo continuo)[2] ed al maggior pericolo per l’incolumità dei lavoratori o di terzi eventualmente derivante dalla sospensione.
Quanto alla eventuale presenza di un pericolo imminente, la circolare precisa che il provvedimento può assumere la forma della disposizione (art. 10 DPR n. 520/1955), misura utilizzabile a prescindere dalla sospensione (es. nell’ipotesi di allontanamento del lavoratore nelle ipotesi di microimpresa). Le indicazioni non affrontano, dunque, il tema della sovrapposizione del provvedimento cautelare in argomento con quello analogo che può essere adottato in base all’art. 20, comma 3, Dlgs n. 758/1994[3].
Il commento, sottolineando la natura non discrezionale del provvedimento, consente di rilevare anche la ulteriore potenziale conseguenza di escludere la giurisdizione del giudice amministrativo, ad oggi fondata, tra l’altro, sul carattere discrezionale del provvedimento[4].
Per quanto riguarda il lavoro irregolare, la circolare – nel confermare che la nozione dev’essere riferita a quella di lavoratore ai sensi del Dlgs n. 81/2008[5] - si sofferma sul tema del computo dei lavoratori presenti “sul luogo di lavoro al momento dell’accesso ispettivo” ai fini della determinazione della percentuale che fa scattare la sospensione[6].
Non viene fatto alcun riferimento alla nuova nozione di lavoro in nero (mancanza della “preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro”) che supera la precedente (“impiego di personale non risultante dalla documentazione obbligatoria”).
Nessun commento è dedicato al rapporto tra sospensione per lavoro nero e diffida obbligatoria (Dlgs n. 151/2015, art. 22, comma 3bis), procedura che l’ispettore deve adottare in questo caso, senza margini di discrezionalità, e che prevede un tempo per l’adempimento pari a 30 giorni dalla notifica del verbale, incoerente con i termini per la immediata adozione della sospensione.
Quanto all’eventuale regolarizzazione immediata, poiché la norma fa riferimento alla verifica della irregolarità al momento dell’accesso ispettivo, l’INL precisa che resta irrilevante l’eventuale regolarizzazione dei lavoratori nel corso dell’accesso. Lo stresso dicasi anche nelle ipotesi in cui il provvedimento di sospensione debba essere adottato “su segnalazione di altre amministrazioni” e, nelle more dei sette giorni previsti dal comma 3 del nuovo art. 14, si sia comunque provveduto alla regolarizzazione delle violazioni accertate.
Sembra, quindi, che, in questo caso, non sia nemmeno richiesto l’accesso ispettivo. Se, invece, lo si ritenesse necessario e questo intervenisse a sanatoria avvenuta, l’ispettore non potrebbe che rilevare l’assenza di violazioni ma, contraddittoriamente, dovrebbe adottare comunque il provvedimento di sospensione, seppure non sia (più) in atto alcuna violazione. Ciò evidenzia, ancora una volta, la natura meramente sanzionatoria (essendo stato rimosso ogni pericolo e sanata ogni violazione) e recuperatoria (viene comunque imposto il pagamento delle sanzioni e delle somme aggiuntive).
Quanto alle violazioni che legittimano l’adozione del provvedimento di sospensione, la circolare ne evidenzia il carattere della tassatività, rinviandone il commento ad una successiva comunicazione.
In merito al rapporto con il provvedimento di prescrizione (Dlgs n. 758/1994), la nota evidenzia che “rispetto alle violazioni indicate, il personale ispettivo potrà dunque svolgere i dovuti accertamenti adottando i relativi provvedimenti di prescrizione ai sensi del D.lgs. n. 758/1994”, confermando così il rapporto di contemporaneità tra il provvedimento di sospensione e di prescrizione ma senza fornire alcun approfondimento circa le conseguenze derivanti da tale condizione.
Anzi, trattando del ricorso avverso i provvedimenti di sospensione, la nota evidenzia che la cognizione sulla sospensione per le violazioni in materia di salute e sicurezza è rimessa al giudice penale “in caso di inottemperanza alla prescrizione”, così traducendo in certezza il dubbio che l’unico modo per contrastare la sospensione in sede penale (in assenza di altri strumenti) sia quello di non adempiere la prescrizione ed avviare necessariamente il giudizio penale.
L’ambito di applicazione del provvedimento è relativo alla “parte dell'attività imprenditoriale interessata dalle violazioni”[7]. In alternativa, esclusivamente per le violazioni relative alla formazione ed alla consegna dei DPI ai lavoratori, la norma consente l’adozione del provvedimento relativamente all'”attività lavorativa prestata dai lavoratori interessati dalle violazioni” e non all’attività imprenditoriale. L’INL sottolinea che tale seconda eventualità si applica solamente se, insieme alle due tipologie di violazione specificate, non sono contestate altre violazioni che legittimano, ex se, l’adozione del provvedimento di sospensione.
Per quanto ovvio, l’INL si sofferma sul fatto che “resta fermo, trattandosi di causa non imputabile al lavoratore, l’obbligo di corrispondere allo stesso il trattamento retributivo e di versare la relativa contribuzione”.
In merito alle sanzioni ed alla revoca del provvedimento, l’INL precisa che, in caso di più violazioni, la regolarizzazione e la conseguente revoca presuppongono, anche a fronte di un unico provvedimento di sospensione, il pagamento di tutte le sanzioni e delle somme accessorie relative a ciascuna violazione.
Con riferimento alla revoca, la circolare fa riferimento alle precedenti indicazioni del Ministero del lavoro[8]. In particolare, viene precisato che “nelle ipotesi di sospensione per gravi violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza del lavoro occorrerà accertare che il datore di lavoro abbia provveduto al ripristino delle regolari condizioni di lavoro, adottando il comportamento eventualmente oggetto di prescrizione obbligatoria”. Il che conferma la criticità evidenziata da Confindustria derivante dal fatto che la revoca della sospensione è condizionata all’adempimento della prescrizione.
Come noto, per la sospensione non è più necessaria la recidiva nella violazione delle disposizioni in materia di salute e sicurezza o di lavoro; tale elemento resta esclusivamente come circostanza che porta al raddoppio delle sanzioni aggiuntive. “Laddove l’Ufficio sia a conoscenza della adozione, nei cinque anni precedenti, di un provvedimento di sospensione a carico della medesima impresa, anche sulla base della previgente normativa e anche in forza di violazioni diverse da quelle da ultimo accertate, si provvederà a raddoppiare gli importi delle “somme aggiuntive” dovute, evidenziando nel provvedimento la sussistenza della “recidiva” che ha dato luogo alla maggiorazione degli importi”. Evidenziamo che la circolare non precisa la nozione di recidiva (ad esempio, con la ripetizione di reati della stessa indole) né tiene conto di quella fatta propria dal previgente art. 14[9].
In merito di ricorso avverso il provvedimento di sospensione, la circolare nulla dice circa il venir meno della possibilità di impugnare il provvedimento di sospensione, così non giustificando nemmeno la sua soppressione.
In conclusione, il commento dell’INL, oltre a non evidenziare e, ove possibile, chiarire i numerosi problemi esistenti, aggrava ulteriormente i profili applicativi già critici della norma.
[1] “Nell’adozione del provvedimento sospensivo va comunque valutata l’opportunità di farne decorrere gli effetti in un momento successivo,”
[3] “Con la prescrizione l'organo di vigilanza può imporre specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro”.
[5] Con esclusione dei lavoratori rispetto ai quali non è richiesta la comunicazione, come avviene nelle ipotesi di coadiuvanti familiari ovvero dei soci, per i quali è prevista unicamente la comunicazione all’INAIL ex art. 23 D.P.R. n. 1124/1965.
[6] Andranno quindi conteggiati, nel rispetto dei precedenti orientamenti forniti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, tanto i collaboratori familiari, anche impegnati per periodi inferiori alle dieci giornate di lavoro (v. ML nota prot. n. 14184 del 5 agosto 2013), quanto i soci lavoratori cui non spetta l’amministrazione o la gestione della società, non disponendo dei poteri datoriali tipici (v. ML nota prot. n. 7127 del 28 aprile 2015).
[7] Gli effetti del provvedimento vanno dunque circoscritti alla singola unità produttiva, rispetto ai quali sono stati verificati i presupposti per la sua adozione e, con particolare riferimento all’edilizia, all’attività svolta dall’impresa nel singolo cantiere” (cfr. ML circ. n. 33/2009; v. anche ML nota prot. n. 337 del 9 gennaio 2021 in relazione alle manifestazioni fieristiche)
[8] Nota prot. n. 19570 del 16 novembre 2015
[9] “Si ha reiterazione quando, nei cinque anni successivi alla commissione di una violazione oggetto di prescrizione dell’organo di vigilanza ottemperata dal contravventore o di una violazione accertata con sentenza definitiva, lo stesso soggetto commette più violazioni della stessa indole. Si considerano della stessa indole le violazioni della medesima disposizione e quelle di disposizioni diverse individuate, in attesa della adozione del decreto di cui al precedente periodo, nell’Allegato I.”
circolare 3-2021 INL.pdf|Visualizza dettagli
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Il Ministero del Lavoro ha avviato, nel corso delle ultime settimane, un tavolo istituzionale con Confindustria e le altre principali associazioni datoriali e sindacali finalizzato a individuare delle linee guida che indirizzino, per il futuro, la contrattazione in materia di lavoro agile (c.d. smart working).
Alla luce delle prime indicazioni formulate dai partecipanti al tavolo, il Ministero ha presentato alle parti sociali una bozza di linee guida in materia di lavoro agile.
Il Ministero ha ora inviato una nuova versione del documento, allegata alla news (che tiene conto delle ulteriori proposte di modifica e integrazioni formulate dalle parti sociali), e ha contestualmente fissato per il giorno 7 dicembre p.v. l’incontro per la eventuale sottoscrizione.
In estrema sintesi, il documento offre alla contrattazione collettiva delle linee di indirizzo, piuttosto ampie, di cui tener conto nella futura regolamentazione della materia, posto che sono espressamente fatti salvi gli accordi in materia già intervenuti.
Sarà nostra cura tenervi informati sul prosieguo dei lavori.
Bozza Protocollo Lavoro Agile - 2.12.21.pdf|Visualizza dettagli
Modificato il da Roberto Vincenti F98767E6-1156-50B9-4125-66E2005E8089 [email protected]
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Nella serata del 6 aprile 2021 Confindustria ha partecipato alla riunione per l’aggiornamento del Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro.
In coerenza con la previsione dell’art. 29bis della legge n. 40/2020 - che individua nelle previsioni del Protocollo il contenuto concreto dell’art. 2087 del codice civile – la finalità era quella di acquisire nel documento le novità normative e scientifiche (previsioni di legge, circolari esplicative, evoluzione delle conoscenze in relazione, soprattutto, alle varianti) per attualizzare le regole di sicurezza contro l’epidemia e semplificarne l’applicazione per le imprese, superando previsioni non più attuali ed in contrasto con leggi e circolari sopravvenute.
Va sottolineato che l’adozione di misure di sicurezza stringenti (in particolare, il maggior diffusione dell’uso della mascherina) consegue soprattutto alla presenza delle varianti, la cui virulenza appare acuire il rischio di contagio (o, addirittura, in alcune ipotesi, limitare l’efficacia del vaccino). L’uso della mascherina, infatti, riduce il rischio di contagio e di attivazione del contact tracing e, conseguentemente, l’adozione delle misure di quarantena. Incide, inoltre, riducendo le ipotesi di diffusione del virus al di fuori dei luoghi di lavoro, in famiglia e nella società, limitando così anche le ipotesi di isolamento e quarantena che riflettono i propri effetti, anche indirettamente, sul lavoro (è il caso della scuola).
Ripercorrendo il testo, si evidenzia fin d’ora che restano ferme l’impostazione e la struttura del Protocollo.
Ancora in premessa, rileviamo che i Ministeri avevano inserito in modo formale ed in più parti del testo il riferimento alla valutazione dei rischi ed al relativo documento, che non risulta invece mai presente nel documento definitivo in quanto ha costituito una delle condizioni per la sottoscrizione del Protocollo da parte di Confindustria.
Premessa
In premessa, si conferma, innanzitutto, che il Covid19 “rappresenta un rischio biologico generico, per il quale occorre adottare misure uguali per tutta la popolazione. Il presente protocollo contiene, quindi, misure che seguono la logica della precauzione e seguono e attuano le prescrizioni del legislatore e le indicazioni dell’Autorità sanitaria”. Si riafferma, quindi, un passaggio importante, che costituisce il cardine dell’intero protocollo e che non è stato messo in dubbio.
Si aggiorna, poi, il riferimento al DPCM in vigore (quello del 2 marzo 2021).
Si evidenzia, quindi, nelle considerazioni generali, il richiamo al massimo uso, ove possibile, del lavoro agile o da remoto (anche per le attività professionali). Questa modalità organizzativa resta, quindi, lo strumento precauzionale prioritario di distanziamento. Si tratta di una sottolineatura importante che potrà supportare la richiesta di ulteriore conferma del regime agevolato per lo smart work.
Aggiornando le considerazioni connesse alla maggiore aggressività e diffusività delle varianti, è previsto l’uso della mascherina chirurgica in ogni situazione in cui ci sia condivisione di spazi. Questa innovazione avvicina il Protocollo al vigente DPCM e segue le circolari che, nel 2021, hanno evidenziato la maggiore diffusività e contagiosità delle varianti, supportando così l’incremento dei livelli di sicurezza.
Viene, poi, superata la criticità interpretativa rispetto al concetto di “contatto stretto” ai fini del contact tracing, in quanto si elimina la questione della distinzione tra rischio alto e basso fondata anche sull’uso o meno della mascherina.
Va ricordato, inoltre, che neppure la vaccinazione comporta l’abbandono degli strumenti precauzionali ai quali siamo ormai abituati (distanziamento, mascherina, igiene), il che conferma l’esigenza di un loro rispetto corretto, diffuso e costante, negli ambienti di vita e di lavoro.
L’uso della mascherina resta, ovviamente, escluso nelle situazioni di isolamento delle persone, quindi negli uffici occupati da un solo lavoratore ovvero quanto il distanziamento è tale da assicurare l’isolamento, come già previsto all’art. 1, comma 2, del DPCM 2 marzo 2021.
Ancora in relazione ai DPI, si è confermato, nel corpo del testo e in una apposita previsione, che la mascherina da utilizzare è quella chirurgica, salve le ipotesi in cui i rischi specifici, indipendentemente dalla situazione emergenziale, importino già l’uso di DPI differenti (FFP2 o FFP3).
Modalità di ingresso in azienda
Quanto alle modalità di ingresso in azienda, sono stati aggiornati i riferimenti normativi. In luogo del DL 6/2020 (peraltro abrogato), si richiamano adesso:
- art. 14, comma 1 del dl 18/2020 (che richiama l’art. 1, comma 1, lett. d) del dl 19/2020) secondo il quale la misura della quarantena precauzionale (prevista per i soggetti che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva o che entrano nel territorio nazionale da aree ubicate al di fuori del territorio italiano) non si applica agli operatori sanitari, agli operatori dei servizi pubblici essenziali e ai dipendenti delle imprese che operano nell'ambito della produzione e dispensazione dei farmaci, dei dispositivi medici e diagnostici nonché delle relative attività di ricerca e della filiera integrata per i subfornitori;
- art. 26 del Dl 18/2020, sui lavoratori cd fragili
- art. 1 del Dl 33/2020, secondo il quale “a decorrere dal 18 maggio 2020, cessano di avere effetto tutte le misure limitative della circolazione all'interno del territorio regionale di cui agli articoli 2 e 3 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, e tali misure possono essere adottate o reiterate, ai sensi degli stessi articoli 2 e 3, solo con riferimento a specifiche aree del territorio medesimo interessate da particolare aggravamento della situazione epidemiologica”
- Art. 1bis del Dl 83/2020 (norma di coordinamento) secondo il quale “le disposizioni del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, si applicano nei limiti della loro compatibilità con quanto stabilito dal decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2020, n. 74”.
Nel punto seguente è contenuto uno degli aggiornamenti più significativi, che – richiamando la circolare del Ministero della salute del 12 ottobre 2020 – attualizza le disposizioni la modalità di rientro in azienda dei lavoratori con pregressa infezione da Covid19 e regola espressamente le condizioni per il rientro in azienda del caso positivo a lungo termine.
Questo rinvio consente di chiarire che:
- i casi positivi asintomatici, ossia i lavoratori asintomatici risultati positivi alla ricerca di SARS-CoV-2, possono rientrare al lavoro dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa della positività, al termine del quale risulti eseguito un test molecolare con risultato negativo (10 giorni + test).
- I casi positivi sintomatici, ossia i lavoratori sintomatici risultati positivi alla ricerca di SARS-CoV-2, possono rientrare al lavoro dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa dei sintomi (non considerando anosmia e ageusia/disgeusia che possono avere prolungata persistenza nel tempo) accompagnato da un test molecolare con riscontro negativo eseguito dopo almeno 3 giorni senza sintomi (10 giorni, di cui almeno 3 giorni senza sintomi + test).
Per quanto riguarda, invece, i casi positivi a lungo termine, il Protocollo – assumendo espressamente una posizione differente da quella della circolare richiamata - prevede che “i lavoratori positivi oltre il ventunesimo giorno saranno riammessi al lavoro solo dopo la negativizzazione del tampone molecolare o antigenico effettuato in struttura accreditata o autorizzata dal servizio sanitario nazionale”.
Ciò comporta che, nelle tre ipotesi sopra indicate, i lavoratori potranno rientrare in azienda sempre e solamente con tampone negativo e che, quindi, il personale ancora positivo al test risulterà ancora in malattia.
Si tratta di una previsione introdotta dal Ministero della salute sulla quale permangono notevoli interrogativi, come precisato anche da un intervento del Direttore generale per la prevenzione, Prof. Rezza. Proprio su questi aspetti – ed in particolare sulla condizione giuridica del lavoratore ancora positivo dopo i ventuno giorni – abbiamo sollecitato chiarimenti da parte del Ministero della salute.
Su tali aspetti, occorre aggiungere che con circolare del 31 gennaio 2021, il Ministero della salute ha aggiornato le indicazioni inerenti le misure di controllo legate specificamente alle varianti del virus, prescrivendo anche una differente durata della quarantena.
Viene poi inserito il riferimento all’allegato IX del vigente DPCM che regola le misure di sicurezza per evitare situazioni di affollamento e di contagio ed è riferito a specifiche attività produttive, sul quale occorre svolgere alcune considerazioni.
L’estensione si riferisce esclusivamente alle attività produttive che rientrino nelle ipotesi previste dall’allegato (ossia ristorazione, attività turistiche -stabilimenti balneari e spiagge, attività ricettive, servizi alla persona - acconciatori, estetisti e tatuatori, commercio al dettaglio, commercio al dettaglio su aree pubbliche - mercati e mercatini degli hobbisti, uffici aperti al pubblico, piscine, palestre, manutenzione del verde, musei, archivi e biblioteche, attività fisica all’aperto, noleggio veicoli e altre attrezzature, informatori scientifici del farmaco, aree giochi per bambini, circoli culturali e ricreativi, formazione professionale, cinema e spettacoli dal vivo, parchi tematici e di divertimento, sagre e fiere locali, strutture termali e centri benessere, professioni della montagna - guide alpine e maestri di sci e guide turistiche, congressi e grandi eventi fieristici, sale slot, sale giochi, sale bingo e sale scommesse discoteche).
Le attività produttive che non rientrano già nella disciplina dall’allegato IX non dovranno quindi tener conto di detta estensione, che è giustificata dal fatto che in alcune situazioni (centri commerciali, supermercati, etc.) possono verificarsi occasioni di eccesso di afflusso di persone: la disposizione mira, quindi, ad estendere a queste particolari ipotesi la specifica disciplina già presente nel DPCM.
Modalità di accesso dei fornitori esterni
Per quanto riguarda il trasporto organizzato dall’azienda (che troverebbe migliore collocazione in altri punti del Protocollo), si precisa che la sicurezza dei lavoratori viene assicurata mettendo in atto tutte le misure previste per il contenimento del rischio di contagio (tra queste, in via esemplificativa, il distanziamento, l’uso della mascherina chirurgica, etc.). Si tratta di una precisazione volta a garantire, anche in questo caso, la riduzione del rischio di trasmissione del virus, dal momento che la compresenza in ambienti di limitate dimensioni aumenta il rischio di contagio, in assenza delle dovute misure.
In tema di coordinamento tra committente e appaltatore, si precisa che le informazioni inerenti alla positività dei lavoratori devono essere scambiate tra le imprese per il tramite del medico competente, per ovviare alle questioni inerenti alla privacy.
Pulizia e sanificazione in azienda
Per la pulizia giornaliera e la sanificazione periodica dei locali si fa espresso riferimento alla circolare del Ministero della salute n. 17644 del 22 maggio 2020. Il riferimento è opportuno e volto a razionalizzare in modo espresso le modalità di pulizia e sanificazione che, a detta dell’Inail, avevano assunto di fatto una portata ed un impegno eccessivo rispetto a quanto realmente necessario e sufficiente nella lotta alle fonti di contagio.
Resta confermato il riferimento alla circolare n. 5443 del 22 febbraio 2020, relativo alla differente ipotesi della presenza di un soggetto contagiato in azienda.
In tema di pulizia a fine turno ed alla sanificazione periodica viene aggiunto, per quanto non fosse necessario e, anzi, costituisse già oggetto di particolare attenzione, che la pulizia e la sanificazione devono riguardare anche le attrezzature di lavoro di uso promiscuo.
Precauzioni igieniche personali
Viene specificato che i mezzi detergenti delle mani messi a disposizione dei lavoratori oltre ad essere, ovviamente, idonei devono anche essere “sufficienti”.
Dispositivi di protezione individuale
Si tratta di uno dei punti di maggior rilievo, visto il diffondersi di varianti caratterizzate da maggiore contagiosità e virulenza e tenuto conto che, anche in presenza di vaccinazione, nulla cambia ai fini del mantenimento delle misure di precauzione.
Visto il perdurare della situazione emergenziale, nell’invitare ad un uso “razionale” dei dispositivi (anche qui, per evitare un impiego non corretto), si attribuisce espressamente la qualifica di DPI alle mascherine chirurgiche ai fini della legislazione in materia di salute e sicurezza (confermando quanto disposto dall’art. 16 del dl 18/2020).
Superando sia il riferimento al distanziamento di un metro sia il riferimento agli spazi comuni, si conferma che l’uso della mascherina è previsto in tutti i casi di condivisione degli ambienti di lavoro, siano essi al chiuso o all’aperto. Dunque, un innalzamento della tutela, in considerazione non solo della esplicita previsione del DPCM in vigore, ma anche dall’incremento di contagiosità del virus nelle sue varianti.
Resta sempre esclusa – come sopra evidenziato - l’ipotesi del lavoro in situazioni di isolamento.
Organizzazione aziendale (turnazione, trasferte e lavoro agile e da remoto, rimodulazione dei livelli produttivi)
Il paragrafo è stato modificato in due aspetti di particolare rilievo.
Per quanto riguarda il lavoro agile, ne viene riaffermata espressamente la valenza di “utile e modulabile strumento di prevenzione”, quale elemento emergenziale a disposizione dell’azienda, la cui caratteristica di modulabilità è strettamente funzionale alla logica precauzionale e si sostanzia anche nella natura unilaterale e non contrattuale dello strumento.
L’altro passaggio di rilievo è rappresentato dalla modifica della regolamentazione delle trasferte. Come si ricorderà, il Protocollo del 14 marzo 2020 prevedeva espressamente ed in modo inequivoco che “sono sospese e annullate tutte le trasferte/viaggi di lavoro nazionali e internazionali, anche se già concordate o organizzate”.
Oggi, superato nettamente il divieto, si prevede che “in merito alle trasferte nazionali ed internazionali, è opportuno che il datore di lavoro, in collaborazione con il MC e il RSPP, tenga conto del contesto associato alle diverse tipologie di trasferta previste, anche in riferimento all’andamento epidemiologico delle sedi di destinazione”.
Viene così superata formalmente ogni limitazione alle trasferte e viene richiamato il principio generale della ovvia considerazione del contesto pandemico nel programmare la trasferta.
Spostamenti interni, riunioni, eventi interni e formazione
Resta confermato il divieto di riunioni in presenza, peraltro derogabile in presenza di situazioni di necessità ed urgenza e rispettando le consuete disposizioni su distanziamento e mascherina.
Per quanto riguarda la formazione, i Ministeri stipulanti hanno ritenuto di uniformare la previsione del Protocollo a quella del DPCM in vigore, che contiene aperture sulla formazione e aspetti poco chiari.
Il nuovo testo del Protocollo corrisponde quindi a quello presente nel DPCM vigente e prevede che “sono sospesi tutti gli eventi interni e ogni attività di formazione in modalità in aula, anche obbligatoria, fatte salve le deroghe previste dalla normativa vigente. Sono consentiti in presenza, ai sensi dell’articolo 25, comma 7, del Dpcm 2 marzo 2021, gli esami di qualifica dei percorsi di IeFP, nonché la formazione in azienda esclusivamente per i lavoratori dell’azienda stessa, secondo le disposizioni emanate dalle singole regioni, i corsi di formazione da effettuarsi in materia di protezione civile, salute e sicurezza, i corsi di formazione individuali e quelli che necessitano di attività di laboratorio, nonché l'attività formativa in presenza, ove necessario, nell’ambito di tirocini, stage e attività di laboratorio, in coerenza con i limiti normativi vigenti, a condizione che siano attuate le misure di contenimento del rischio di cui al «Documento tecnico sulla possibile rimodulazione delle misure di contenimento del contagio da SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro e strategie di prevenzione» pubblicato dall’INAIL. È comunque possibile, qualora l’organizzazione aziendale lo permetta, effettuare la formazione a distanza, anche per i lavoratori in lavoro agile e da remoto”.
La riapertura della possibilità di svolgere la formazione e l’aggiornamento sulla salute e sicurezza anche in presenza comporta il venir meno della previsione secondo la quale era consentito lo svolgimento di specifiche mansioni anche in caso di mancato aggiornamento. Questo anche in considerazione del progressivo ritorno alla normalità delle attività produttive.
Gestione di una persona sintomatica in azienda
Su questo aspetto, l’unica integrazione riguarda il fatto che la collaborazione dell’azienda con le autorità sanitarie nella definizione dei “contatti stretti” avviene anche con il coinvolgimento del medico competente.
Sorveglianza sanitaria/Medico competente/Rls
Come era prevedibile, le disposizioni sulla sorveglianza sanitaria sono state integrate per aggiornare le conoscenze scientifiche di riferimento.
In particolare, oltre ad inquadrare meglio il ruolo della sorveglianza sanitaria, si richiama il ruolo del medico competente nella tutela dei lavoratori fragili (con richiamo espresso alla circolare del 4 settembre 2020) e nella proposta di adozione di strategie di testing/screening (anche tenendo conto della circolare n. 705 dell’8 gennaio 2021).
Per il concetto di contatto stretto, si fa espresso riferimento alla circolare del Ministero della salute del 29 maggio 2020 e si richiama l’esigenza che – al fine di rendere efficace il tracciamento secondo le peculiarità organizzative aziendali - la relativa identificazione avvenga tenendo conto delle misure di prevenzione e protezione individuate ed effettivamente attuate in azienda.
Rilevante la specifica previsione in tema di riammissione al lavoro. Superando la contraddizione tra il testo previgente del Protocollo e la circolare n. 14915 del 29 settembre 2020, il Protocollo prevede ora espressamente che la visita al rientro è prevista “per il reintegro progressivo dei lavoratori già risultati positivi al tampone con ricovero ospedaliero”.
La disposizione prevede dunque la visita al rientro solamente in caso di pregressa ospedalizzazione, ed appare, quindi, limitata rispetto alla portata generale che ispirava la originaria previsione del Protocollo. Se, da un lato, la precisazione sembra sollevare l’azienda da un onere di accertamento nelle ipotesi presumibilmente “minori” (asintomatici, assenza di gravità, assenza di ricovero ospedaliero), dall’altro introduce questioni afferenti alla privacy (il datore di lavoro può non sapere se la persona è stata ospedalizzata) e non supera (dal momento che non la esclude espressamente) la possibilità di effettuare sempre e comunque la visita al rientro e non solamente nelle ipotesi di pregresso ricovero ospedaliero.
Non viene riportata nel Protocollo la previsione inerente alla visita al rientro in caso di “gravità” della malattia, aspetto riportato nella circolare del Ministero della salute, il che introduce ulteriori elementi di dubbio.
Riteniamo, comunque, che continui ad essere rimessa alla valutazione del medico competente l’opportunità di effettuare le visite al rientro anche nelle ipotesi diverse da quelle indicate dalla circolare e dal Protocollo.
Sulla portata di queste integrazioni al Protocollo originario abbiamo chiesto chiarimenti al Ministero della salute.
Conclusioni
Il Protocollo presenta ora elementi di maggior adeguamento alle novità giuridiche ed alle conoscenze scientifiche. Ha conservato la natura di percorso autonomo rispetto alla materia della sicurezza sul lavoro ed è privo di rinvii alla valutazione dei rischi: il confronto ha infatti consentito di evitare ogni riferimento a questo aspetto, in origine ripetutamente proposto dai Ministeri, confermando, quindi, la correttezza della valutazione originaria. Sono state aggiornate alcune previsioni ormai incongruenti (es. in tema di trasferte) e sono state semplificate alcune impostazioni eccessivamente rigorose (es. pulizia e sanificazione).
Vi sono, evidentemente dei punti di maggior attenzione per l’evoluzione del virus (ad esempio, circa l’uso diffuso delle mascherine) e altri ancora da chiarire (lo stesso Ministero della salute ha confermato la necessità di dare una lettura aggiornata, anche con l’ausilio del CTS, dei passaggi più strettamente legati ad aspetti di ordine sanitario, ad esempio con riferimento alla condizione giuridica del lavoratore ancora positivo dopo i 21 giorni o alle modalità di rientro al lavoro con o senza visita medica del lavoratore guarito).
Quanto alla efficacia del Protocollo si evidenzia che lo stesso, una volta sottoscritto, dovrà essere recepito in un atto normativo o regolamentare, secondo le scelte politiche che verranno fatte. Fino a tale momento, quindi, resta pienamente in vigore il Protocollo nel testo precedente e richiamato dal DPCM del 2 marzo 2021.
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Facciamo seguito alla news del 16 aprile scorso per rappresentare che, nell’ambito del confronto con il Ministero del lavoro, le Regioni, l’Inail, l’INL e le altre parti sociali, Confindustria (d’intesa con le altre parti datoriali coinvolte dal Ministero) ha ulteriormente rappresentato le criticità ancora presenti nella bozza in discussione “Accordo finalizzato alla individuazione della durata e dei contenuti minimi dei percorsi formativi in materia di salute e sicurezza, ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.81” (in allegato).
Pur non essendo stato raggiunto un accordo in sede tecnica, il rappresentante del Ministero del lavoro ha ritenuto di chiudere questa fase di confronto, inviando la bozza di documento all’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro.
Confindustria ha ulteriormente rappresentato le criticità del documento sia all’Ufficio legislativo che al Gabinetto del Ministro.
Il documento, quindi, per quanto a nostra conoscenza, non ha ancora né l’avallo politico del Ministero né risulta inviato in modo formale alla Conferenza delle Regioni.
Si è, invece, a conoscenza del fatto che in rete si stanno sviluppando iniziative fondate su una presunta definitività al documento.
Confindustria commenterà il testo, quando sarà definitivo, anche in ragione del fatto che l’accordo – nel testo noto – prevede sia un adeguato periodo transitorio prima di abbandonare l’attuale regolazione sia il riconoscimento, e quindi la validità, della formazione pregressa.
Non sussistono, quindi, ragioni tali da giustificare azioni che precedono la completa conclusione dell’iter legislativo, anche perché il testo in bozza non pare stravolgere complessivamente il sistema introdotto dai precedenti accordi tra lo Stato e le Regioni.
Alleghiamo, quindi, la bozza con la precisazione che l’iter legislativo non è ancora concluso, riservandoci di dare notizia degli ulteriori sviluppi del confronto e dell’iter del provvedimento.
Bozza definitiva Accordo formazione salute e sicurezza.pdf|Visualizza dettagli
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La legge di conversione (legge 17 luglio 2020, n.77) del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, (cd. DL “Rilancio”), contiene alcune norme in tema di lavoro che commentiamo brevemente in attesa di eventuali chiarimenti ministeriali.
Contratti a termine e somministrazione a termine (art. 93, comma 1 bis)
Con riferimento ai contratti a termine, sono stati respinti gli emendamenti (tra cui quelli elaborati da Confindustria), presentati da vari gruppi parlamentari, che proponevano la facoltà di prorogarli fino a fine anno, in deroga all’applicazione delle causali.
Viceversa, l’unico emendamento approvato in materia, in sede di conversione del decreto legge, non solo non va incontro alle richieste delle imprese ma impone ad esse un inammissibile onere, perché prevede non già la possibilità ma, addirittura, l’obbligo di prorogare i contratti di lavoro a termine, anche in regime di somministrazione, e i contratti di apprendistato “duale”, per una durata pari al periodo di sospensione del rapporto conseguente alle misure di emergenza epidemiologica da COVID-19.
Imporre per legge la proroga di questi contratti, determinandone d’imperio la durata, lede, a nostro avviso irragionevolmente, la libertà di impresa in quanto ben potrà accadere che un’impresa non necessiti più dell’opera di questi lavoratori per un periodo successivo a quello inizialmente programmato e corrispondente all’intervenuta sospensione del rapporto conseguente alle misure di emergenza epidemiologica da COVID-19.
Si tratta, dunque, di un vero e proprio “vulnus” all’autonomia negoziale, che presenta profili di dubbia legittimità costituzionale.
Ad una prima lettura e in difetto di indicazioni ministeriali si deve ritenere che, in ogni caso, trattandosi di una “proroga”, la norma esplichi la sua efficacia soltanto con riguardo ai contratti in essere al momento dell’entrata in vigore della legge di conversione, e non anche ai contratti già scaduti alla medesima data. Nel caso di contratti stipulati dopo l’entrata in vigore della norma, si ritiene che questi possano essere prorogati soltanto ove intervenga una sospensione del rapporto a causa di un evento collegato all’emergenza epidemiologica da COVID-19.
Se infatti, eventualmente, la cassa integrazione non fosse “conseguenza dell’emergenza epidemiologica”(e, cioè, si versasse nell’ipotesi di una diversa causale, tipo, per mero esempio, l’evento atmosferico che ha interrotto l’attività) allora la proroga di questa nuovo intervento di cassa integrazione non determinerebbe, a nostro avviso, alcuna proroga “automatica”.
Il calcolo del periodo di proroga andrà, ragionevolmente, effettuato in riferimento alle sospensioni subite da ogni singolo rapporto e, nel caso di riduzioni dell’orario, trattandosi di una “sospensione parziale”, riteniamo, prudenzialmente, che sia opportuno sommare il complesso delle ore non prestate e dividerle per l’orario normale giornaliero osservato, onde ricavare il quantum di giornate di proroga.
Nel caso poi la proroga imposta dalla norma in esame determini il superamento dei 12 mesi di durata del contratto, riteniamo che non si possa applicare la disposizione di cui all’art. 19, comma 1 bis, del d lgs n. 81/2015 (come modificato dal cd “decreto dignità”) e, cioè, la trasformazione del contratto a tempo indeterminato dalla data di superamento del termine di dodici mesi. E’ comunque consigliabile, in tal caso, esplicitare al lavoratore, nella lettera con cui si comunica la proroga, che appunto ciò avviene in adempimento dell’obbligo di legge.
Allo stesso modo, trattandosi di una proroga imposta dalla legge, riteniamo che i periodi di lavoro svolti per effetto di tale proroga non debbano essere computati a nessun fine: né nell’ambito dei limiti di durata massima (sia fissati dalla legge che dal contratto collettivo di settore), né ai fini del calcolo del numero massimo delle proroghe del contratto, né ai fini del calcolo delle percentuali di impiego. Anche in queste ipotesi è opportuno esplicitare che l’effetto è determinato da un obbligo di legge.
Nella stessa logica, proroghe di contratti stipulati per ragioni sostitutive o per motivi di stagionalità, stante il generico disposto della legge, non possono comportare conseguenze in caso di rientro del lavoratore sostituito o di cessazione del periodo di stagionalità strettamente inteso.
E’ poi ragionevole ritenere che se un’ impresa si è già avvalsa della facoltà di proroga prevista dal comma 1 dell’art. 93, la durata di tale proroga debba essere conteggiata ai fini dell’assolvimento dell’obbligo previsto nel successivo comma 1 bis.
Quanto al contratto a termine a scopo di somministrazione riteniamo di condividere le osservazioni contenute nella circolare n.14 del 20 luglio di Assolavoro che conclude osservando che “la proroga del contratto di lavoro deve “seguire” necessariamente la proroga del contratto commerciale tra Agenzia e azienda utilizzatrice: viceversa, mancando il presupposto del “regime di somministrazione” previsto dalla disposizione, non si realizzerebbe lo “scopo di somministrazione” che è causa del contratto di lavoro a termine tra Agenzia e lavoratore somministrato”.
Somministrazione irregolare (Articolo 80-bis).
(Interpretazione autentica del comma 3 dell’articolo 38 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81)
E’ stata, poi, approvata, in sede di conversione, una norma di interpretazione autentica (quindi potenzialmente retroattiva) in materia di somministrazione irregolare di lavoro, secondo la quale l'eventuale atto di licenziamento eseguito dal somministratore “irregolare” (datore di lavoro “apparente”) non può intendersi come posto in essere dall’effettivo utilizzatore della prestazione (datore di lavoro “reale”).
Il secondo periodo del comma 3 dell’art. 38 del d lgs. n.81 del 2015 (che ricalca la precedente disposizione contenuta nell’art. 27 del d. lgs. n. 276 del 2003) prevedeva che:
“Tutti gli atti compiuti o ricevuti dal somministratore nella costituzione o nella gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti o ricevuti dal soggetto che ha effettivamente utilizzato la prestazione.”
In sostanza la norma prevedeva che gli atti posti in essere dal “somministratore irregolare” (datore di lavoro “apparente”), in base ad una presunzione di legge, fossero riferiti all’utilizzatore (datore di lavoro “effettivo”), ossia si ritenevano come posti in essere direttamente dal datore di lavoro “effettivo”.
La norma di interpretazione autentica, ora approvata, conferma tale impostazione ma esclude il licenziamento tra gli atti che, seppur posti formalmente in essere dal somministratore “irregolare” possono essere riferiti all’utilizzatore.
Questa norma crea, dunque, una grave incertezza (anche per il suo potenziale effetto retroattivo), su quale soggetto possa intimare legittimamente il licenziamento, con prevedibili risvolti giudiziari: ed infatti, il datore di lavoro formale/“apparente” (cioè il somministratore irregolare) potrebbe intimare formalmente il licenziamento del lavoratore “interposto”, ma se quest’ultimo azionerà il diritto a chiedere la costituzione del rapporto in capo all’utilizzatore, con effetto dall’inizio della somministrazione, (come prevede il comma 2 dell’art. 38) e la sua domanda fosse accolta, ecco che il licenziamento posto in essere dal datore di lavoro formale/“apparente” (cioè il somministratore irregolare), risulterà tamquam non esset.
Se, viceversa, il licenziamento venisse comunicato dall’utilizzatore, datore di lavoro “effettivo”, in mancanza dell’azione di accertamento del lavoratore di cui si è detto, il rapporto proseguirebbe in capo datore di lavoro formale/“apparente” (cioè il somministratore irregolare).
In sostanza la norma approvata finisce per determinare degli effetti paradossali anche a ragione della sua potenziale retroattività.
Trasferimento d’azienda (art. 80 comma 1 bis)
Un terzo emendamento approvato in sede di conversione prevede che, fino alla data del 17 agosto, in caso di trasferimento d’azienda, la procedura di confronto sindacale (che si svolge solo su espressa richiesta) si debba protrarre fino a 45 giorni (invece degli ordinari 10) nel caso non si raggiunga un accordo .
In sostanza il legislatore, temendo che dietro ai trasferimenti d’impresa possano “mascherarsi” dei licenziamenti collettivi (significativa è la data del 17 agosto, ossia quella finora prevista per la fine del “blocco” dei licenziamenti economici), dispone che il confronto sindacale o si risolve con un accordo ovvero quadruplica la sua durata, in modo, appunto, di arrivare almeno fino alla data del 17 agosto.
Si tratta di una ulteriore norma che pone vincoli impropri alle imprese, incidendo in modo rilevante sulla libertà negoziale.
Va comunque ricordato che la giurisprudenza formatasi in materia di confronto sindacale in vista di un trasferimento d’azienda ha già avuto modo di osservare che il mancato svolgimento della procedura imposta dall'art. 47, legge n. 428 del 1990 non incide sulla validità del negozio traslativo bensì (in quanto configura un comportamento che viola l'interesse del destinatario delle informazioni, ossia il sindacato) può costituire, sussistendone i presupposti, condotta antisindacale ai sensi dell'art. 28 legge n. 300 del 1970 (cfr. Cass. n. 9130/2003)
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Con la conversione del decreto-legge n. 19/2024, prende forma il nuovo istituto della cd patente a crediti.
Decreti ministeriali e circolari del Ministero del lavoro e/o dell’INL declineranno contenuti più specifici e chiariranno i profili applicativi della normativa, sui quali torneremo necessariamente.
In attesa di tali integrazioni alla legge, organizziamo un primo momento di confronto con le Associazioni del sistema per illustrare contenuti e criticità del nuovo istituto
martedì, 21 maggio 2024
dalle ore 10.30 alle ore 12.30.
Il webinar fa seguito alla pubblicazione della circolare di commento, elaborata insieme ad ANCE.
Di seguito il link per l’iscrizione all’evento: https://confindustria.zoom.us/webinar/register/WN_Q83QTtQGQEyY0HT_0LNe9g
Una volta registrati riceverete un link per l’accesso al webinar.
Vi informiamo che l’evento è riservato alle nostre Associazioni.
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Nella giornata di oggi, 7 dicembre, alla presenza del Ministro del lavoro Andrea Orlando, Confindustria e le altre principali associazioni datoriali e sindacali hanno dato il proprio assenso alla sottoscrizione del Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile. Nei prossimi giorni, quindi, le parti daranno formale adesione al testo.
Come anticipato con nostra precedente news del 3 dicembre u.s., il documento offre alla contrattazione collettiva delle linee di indirizzo, piuttosto ampie, di cui tener conto nella futura regolamentazione della materia, posto che sono espressamente fatti salvi gli accordi in materia già intervenuti.
Nel rinviare alla lettura del testo allegato, riportiamo, di seguito, una sintesi dei principali punti dell’accordo.
Il Protocollo conferma l’attuale impianto legislativo, che affida sempre alle parti del rapporto di lavoro – datore di lavoro e lavoratore – il potere regolatorio nella conclusione dell’accordo per l’adesione allo smart working. Viene contestualmente riconosciuto il ruolo primario delle parti sociali che, nel corso degli ultimi due anni, hanno dimostrato una grande capacità d’iniziativa, favorendo la modalità di lavoro agile all’interno dei singoli contesti produttivi.
L’Accordo indica le possibili previsioni minime dell’accordo individuale, tra le quali, oltre all’alternanza tra il lavoro nei locali aziendali e all’esterno, va evidenziata l’importanza, per il datore di lavoro, di adottare le misure tecniche/organizzative volte ad assicurare la c.d. disconnessione.
Con riferimento al tema dell’organizzazione del lavoro con modalità agile, il Protocollo conferma quanto previsto dalla legislazione vigente, con riguardo all’assenza di un preciso orario di lavoro e autonomia nello svolgimento della prestazione nell’ambito degli obiettivi prefissati, oltre che nel rispetto dell’organizzazione delle attività assegnate dal responsabile a garanzia dell’operatività dell’azienda e dell'interconnessione tra le varie funzioni aziendali.
Sulla base delle diverse esperienze sviluppate nel corso degli ultimi anni, viene confermata la possibile articolazione della prestazione lavorativa in più fasce orarie, comunque individuando la fascia di disconnessione nella quale il lavoratore non eroga la prestazione lavorativa.
Viene inoltre confermato il principio secondo cui il lavoro agile non è, in prima istanza, compatibile con il lavoro straordinario.
Confermato il principio della libertà del lavoratore di individuare il luogo ove svolgere la prestazione in modalità agile, precisando che lo stesso debba comunque avere caratteristiche tali da consentire la regolare esecuzione della prestazione, in condizioni di sicurezza e riservatezza, anche con specifico riferimento al trattamento dei dati e delle informazioni aziendali e alle esigenze di connessione con i sistemi aziendali. Viene inoltre riconosciuta alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare i luoghi inidonei allo svolgimento del lavoro in modalità agile.
Fatti salvi diversi accordi, il Protocollo considera come “norma” il fatto che la fornitura tecnologica venga fornita dal datore di lavoro.
L’Accordo sottoscritto dalle parti sociali ribadisce il principio di parità di trattamento tra lavoratori che erogano la propria prestazione in presenza e lavoratori che svolgono la prestazione con modalità agile. Viene inoltre ribadita la centralità della formazione continua.
Per quanto riguarda gli aspetti di salute e sicurezza, nell’anticiparvi che seguirà una specifica circolare di approfondimento, vi anticipiamo che il Protocollo ha confermato l’impianto di legge, precisando che, alla parte di lavoro svolta in modalità agile, delle norme di cui Testo Unico 81/08, si applicano le prescrizioni relative agli obblighi comportamentali, anche in merito alle dotazioni tecnologiche informatiche fornite dal datore di lavoro. Viene confermata la centralità dell’informativa scritta che il datore di lavoro deve consegnare al lavoratore e l’obbligo per quest’ultimo di cooperare all’attuazione delle misure di sicurezza adottate dal datore di lavoro.
Occorre, da ultimo, sottolineare che, con l’adesione al Protocollo, le parti sociali hanno inoltre ribadito la necessità di incentivare, anche tramite l’utilizzo di incentivi, l’utilizzo corretto del lavoro agile, da parte delle aziende che regolamentino il lavoro agile con accordo collettivo, in attuazione del protocollo, e che ne prevedano un utilizzo equilibrato tra lavoratrici e lavoratori e favorendo un’ottica di sostenibilità ambientale e sociale.
Di particolare importanza, inoltre, la richiesta formulata al Ministro del lavoro e formalizzata nel Protocollo, di introdurre urgenti misure di semplificazione del regime delle comunicazioni obbligatorie relative all’invio dell’accordo individuale che seguano le stesse modalità del regime semplificato attualmente vigente.
PROTOCOLLO NAZIONALE LAVORO AGILE 7.12.21.pdf|Visualizza dettagli
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Con la circolare n. 139 del 7 dicembre 2020, l’Inps commenta, con rilevante ritardo, le novità apportate dai decreti-legge n. 137/2020 (art. 12) , n. 149/2020 (art. 12) e n. 157/2020 (art. 13).
Con la Nota che segue evidenziamo i punti più rilevanti della circolare.
In tema di provvedimenti sulla CIG ricordiamo, in estrema sintesi, che:
- il DL 137/2020 concede ulteriori 6 settimane di CIG Covid19, che devono essere collocate nel periodo ricompreso tra il 16 novembre 2020 e il 31 gennaio 2021
- il DL 149/2020 proroga al 15 novembre 2020 i termini decadenziali di invio delle domande di accesso ai trattamenti che si collocano tra l’1 ed il 30 settembre collegati all'emergenza Covid-19 previsti dagli articoli da 19 a 22-quinquies del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (originariamente identificati nel termine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell'attività lavorativa) ed abroga il comma 7 dell’art. 12 del DL 137/2020. Inoltre, estende la CIGO Covid19 prevista dal DL n 137 ai lavoratori in forza alla data di entrata in vigore del DL n. 149/2020 (9 novembre 2020)
- il DL 157/2020 estende anche la CIGO Covid19 del DL n. 104/2020 ai lavoratori in forza alla data di entrata in vigore del decreto-legge 9 novembre 2020, n. 149
Ne rinviare alla lettura della circolare, evidenziamo i principali elementi.
La nuova prestazione. Il DL prevede che i datori di lavoro che sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19, possono richiedere la concessione dei trattamenti di cassa integrazione salariale (ordinaria o in deroga) o dell’assegno ordinario, per periodi decorrenti dal 16 novembre 2020 al 31 gennaio 2021, per una durata massima di 6 settimane
Il coordinamento con il DL 104/2020. I datori di lavoro che hanno richiesto o che richiederanno periodi rientranti nella disciplina del dl 104/2020 potranno, nel rispetto dei presupposti di legge, accedere ai trattamenti per i periodi (9+9 settimane) e alle condizioni previste dal DL 104/2020 anche per periodi successivi al 15 novembre 2020 e fino al 31 dicembre 2020.
Tre esempi:
Azienda che ha sospeso o ridotto l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19 a far tempo dal 26 ottobre 2020, in assenza di precedenti autorizzazioni per periodi successivi al 12 luglio 2020
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Potrà richiedere, ai sensi della disciplina di cui al decreto–legge n. 104/2020, le prime 9 settimane di trattamenti fino al 31 dicembre 2020 con causale “COVID 19 nazionale”, senza obbligo di pagamento del contributo addizionale
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Azienda cui sia stato interamente autorizzato il periodo complessivo di 18 settimane di cui al decreto–legge n. 104/2020
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Potrà richiedere l’ulteriore periodo di 6 settimane introdotto dal decreto - legge n. 137/2020 da collocare all’interno dell’arco temporale dal 16
novembre 2020 al 31 gennaio 2021
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Azienda che ha già richiesto - con la causale “COVID 19 con fatturato” e per un periodo continuativo dal 19 ottobre 2020 al 19 dicembre 2020 - le seconde 9 settimane di Cassa integrazione ordinaria o in deroga o di assegno ordinario previste dal decreto-legge n. 104/2020 e dette settimane sono state autorizzate dall’Istituto
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Sulla base del decreto-legge n. 137/2020, i periodi collocati anche parzialmente in periodi successivi al
15 novembre 2020 sono imputati, limitatamente ai periodi successivi alla predetta data, alle 6 settimane del nuovo periodo di trattamenti previsto dal decreto-legge n. 137/2020, per cui l’azienda potrà ancora beneficiare di una ulteriore settimana di nuovi trattamenti fino al 31 gennaio 2021
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Con riferimento alla prima ipotesi, evidenziamo che finora le Sedi Inps stanno, invece, richiedendo il versamento del contributo e Confindustria è ripetutamente intervenuta per porre fine a tale impropria richiesta. L’uscita della circolare in commento dovrebbe aver posto fine a tale prassi scorretta, per cui invitiamo a segnalarci eventuali ulteriori richieste improprie da parte delle sedi dell’Istituto.
Imprese destinatarie delle 6 settimane. Si tratta di due categorie di datori di lavoro:
- datori di lavoro ai quali sia stato già interamente autorizzato il secondo periodo di 9 settimane di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto-legge n. 104/2020, purché lo stesso periodo sia integralmente decorso: la trasmissione delle domande riferite alle nuove 6 settimane di trattamenti deve riguardare periodi non antecedenti al 16 novembre 2020 e non successivi al 31 gennaio 2021 e sarà possibile a prescindere dall’avvenuto rilascio dell’autorizzazione da parte dell’Inps alle seconde 9 settimane previste dal decreto-legge n. 104/2020
- datori di lavoro appartenenti ai settori interessati dal D.P.C.M. 24 ottobre 2020 (come sostituito dal D.P.C.M. 3 novembre 2020 e, da ultimo, dal D.P.C.M. 3 dicembre 2020 e riportati negli allegati 1 e 2 al decreto-legge 9 novembre 2020, n. 149) che dispone la chiusura o la limitazione delle attività economiche e produttive (questi datori di lavoro possono accedere ai trattamenti di cui al comma 1 dell'articolo 12 del decreto-legge n. 137/2020, anche senza aver richiesto un precedente trattamento di integrazione salariale o essere stati autorizzati alla relativa fruizione).
Da sottolineare che, comunque, sia in caso di ricorso all’intero periodo (precedenti 18 settimane più le nuove 6) sia che si scomputino le nuove 6 dalle ultime 9, le aziende restano scoperte per il periodo 28 - 31 dicembre.
Contributo addizionale. La circolare conferma (v. anche circolare Inps n. 115/2020) l’obbligo del versamento del contributo addizionale (calcolato sulla retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate durante la sospensione o riduzione dell’attività lavorativa) a seconda dell’andamento del fatturato aziendale, anche per i datori di lavoro che presentano domanda di CIGO Covid 19, cassa integrazione guadagni in deroga e assegno ordinario per le 6 settimane.
Si riepilogano le condizioni per il pagamento del contributo addizionale.
per le imprese che, sulla base del raffronto tra il fatturato aziendale del primo semestre del 2020 e quello del corrispondente periodo del 2019, hanno avuto una riduzione del fatturato inferiore al 20%
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9%
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per le imprese che, dal raffronto operato tra primo semestre del 2020 e quello del corrispondente periodo del 2019, non hanno subito alcuna riduzione del fatturato
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18%
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Per le imprese che sono andate incontro a una perdita del fatturato pari o superiore al 20%
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nessun contributo
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Per le imprese che hanno avviato l’attività successivamente al 1° gennaio 2019
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nessun contributo
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Per le imprese appartenenti ai settori interessati dal D.P.C.M. 24 ottobre 2020, come sostituito dal D.P.C.M. 3 novembre 2020 e, da ultimo, dal D.P.C.M. 3 dicembre 2020 - riportati negli allegati 1 e 2 al decreto-legge 9 novembre 2020, n. 149, a prescindere dall’ubicazione territoriale dell’unità produttiva per cui si richiede il trattamento.
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nessun contributo
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Imprese appartenenti ai settori per i quali è disposta la chiusura o limitazione delle attività' economiche e produttive, per periodi che decorrono dal 16 novembre 2020
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nessun contributo
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Lavoratori destinatari del periodo di sospensione delle 6 settimane e integrazione dei nominativi relativi ai lavoratori risultanti dipendenti alla data del 9 novembre 2020. La circolare riepiloga i criteri per individuare i lavoratori destinatari delle nuove 6 settimane di CIG Covid19 (ordinaria, deroga e assegno ordinario). In particolare, evidenzia che la prestazione è riconosciuta anche ai lavoratori che risultino alle dipendenze dei datori di lavoro richiedenti la prestazione al 9 novembre 2020 (data di entrata in vigore del decreto–legge n. 149/2020). Agli stessi lavoratori che risultino dipendenti a quella stessa data è estesa anche la prestazione prevista dal DL 104/2020 (in base all’art. 13 del DL 157/2020).
La circolare si sofferma anche sui termini decadenziali previsti per le domande relative ai trattamenti di cassa integrazione salariale, ricordando il termine decadenziale generale indicato dall’art. 1, comma 5 del DL n. 104/2020 (fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell’attività lavorativa) e sottolineando la possibilità di integrazione con i nominativi dei lavoratori che risultino dipendenti alla data del 9 novembre 2020 per le sole domande già presentate e relative ai periodi del decreto-legge n. 104/2020.
Termini di trasmissione delle domande relative ai trattamenti di cassa integrazione salariale (ordinaria e in deroga) e assegno ordinario per le 6 settimane. La circolare conferma quanto anticipato nel messaggio n. 4484 del 27 novembre 2020 in merito alla corretta interpretazione del termine decadenziale previsto per le domande relative alle 6 settimane di trattamento di integrazione salariale, che è da riferirsi al 31 dicembre 2020 in luogo di quello ordinario (mese successivo a quello di inizio della sospensione).
La circolare ribadisce che detto termine si sarebbe collocato alla data del 30 novembre 2020. Tuttavia, considerato che l’applicazione della disposizione contenuta nella seconda parte del citato comma 5 dell’articolo 12 non assolve la specifica finalità di introdurre un termine di maggior favore per la trasmissione delle istanze, si conferma che le domande di trattamenti per causali collegate all’emergenza epidemiologica da COVID-19, relative a periodi di sospensione o riduzione delle attività che hanno inizio nel mese di novembre 2020, potranno utilmente essere trasmesse entro la scadenza ordinaria fissata al termine del mese successivo (31 dicembre 2020).
La circolare ricorda, poi, che i termini decadenziali di cui trattasi non devono intendersi in modo assoluto ma
devono considerarsi operanti solo con riferimento al periodo oggetto della domanda rispetto al quale la decadenza è intervenuta, potendo sempre il datore di lavoro inviare una diversa domanda riferita a un periodo differente. Pertanto, laddove l’istanza riguardi un arco temporale di durata riferito a più mesi, il regime decadenziale riguarderà esclusivamente il periodo in relazione al quale il termine di invio della domanda risulti scaduto.
L’Inps affronta, poi, altri aspetti, per i quali non risultano particolari modifiche (Caratteristiche e regolamentazione degli interventi di cassa integrazione ordinaria e assegno ordinario previsti dal decreto-legge n. 137/2020, Cassa integrazione ordinaria per le aziende che si trovano in cassa integrazione straordinaria, Domande di assegno ordinario del (FIS), Assegno ordinario dei Fondi di solidarietà bilaterali e dei Fondi del Trentino e di Bolzano-Alto Adige, Trattamenti di CIGD, Termini di trasmissione dei dati utili al pagamento o al saldo dei trattamenti di cassa integrazione salariale) o relativi ad aspetti ormai superati temporalmente (Differimento dei termini relativi ai trattamenti connessi all'emergenza epidemiologica da COVID-19).
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Facciamo seguito alle nostre precedenti comunicazioni (v. news del 30 luglio 2022), per informarvi che l'Ispettorato Nazionale del Lavoro, d'intesa con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ha appena pubblicato la circolare n. 4 del 10 agosto 2022 con la quale fornisce le prime indicazioni di carattere interpretativo sul D.lgs. n. 104/2022 – c.d. decreto "trasparenza" – recante "Attuazione della direttiva (UE) 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell'Unione europea".
INL-circolare-4-2022-chiarimenti-decreto-trasparenza.pdf|Visualizza dettagli
Modificato il da Graziano Passarello 19481F81-2A1B-A5E4-C125-84E9003793CE [email protected]
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Si è tenuto oggi, 6 aprile 2022, l’incontro dei Ministeri del lavoro, della Salute e dello Sviluppo Economico con le parti sociali per la valutazione del “Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Sars-Cov-2/Covid19 - negli ambienti di lavoro” sottoscritto il 6 aprile 2021, alla luce del mutato quadro emergenziale.
I Ministeri hanno espresso l’opportunità del mantenimento dell’osservanza del Protocollo (aggiornato, da ultimo, il 6 aprile 2021) sulla base delle osservazioni che, da un lato, esso ha ben funzionato nel tutelare imprese e lavoratori e, dall’altro, che il venir meno dello stato di emergenza non coincide con la fine della pandemia e del contagio.
I Ministeri hanno proposto anche un ulteriore incontro alla fine di aprile per la verifica di eventuali aggiornamenti del Protocollo, fermo restando – è stato ripetutamente affermato – l’aggiornamento automatico degli specifici protocolli aziendali alle novità normative e tecniche, legate all’evoluzione della pandemia.
Non è stato escluso che alcune regole di fondo del protocollo possano, in una eventuale fase endemica della circolazione del virus, divenire regole permanenti a tutela di imprese e lavoratori.
Le parti sociali hanno concordemente convenuto sulla opportunità di mantenere i Protocolli e, in prospettiva, di adeguarli alla situazione sanitaria.
I Ministeri del lavoro e della salute hanno espressamente ricondotto all’adozione del Protocollo, che non ha termine di scadenza, la garanzia contenuta nell’art. 29bis della legge n. 40/2020 (anch’essa svincolata dallo stato di emergenza), che introduce una presunzione di rispetto degli obblighi dell’art. 2087 cc per i datori del lavoro che rispettino il Protocollo.
Su queste basi, confermiamo quanto già espresso in precedenza in merito all’opportunità di proseguire nella applicazione dei protocolli aziendali, opportunamente aggiornati, al fine di mantenere sia i livelli di sicurezza fin qui garantiti per i lavoratori sia la tutela assicurata all’impresa dal richiamato art. 29bis.
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Inoltriamo un primo commento al Decreto Ministeriale 18 settembre 2024, n. 132 e alla Circolare INL n. 4/2024.
Circolare patente a crediti def.pdf|Visualizza dettagli
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Oggi e' stato pubblicato nella sezione Forum un invito a proporre quesiti sul TU sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014, utilizzando la piattaforma di Social Collaboration.
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Decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52 - Misure urgenti per la graduale ripresa delle attività
economiche e sociali nel rispetto delle esigenze di contenimento della diffusione dell'epidemia da COVID-19.
Profili di salute e sicurezza
dl 52 2021.pdf|Visualizza dettagli
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Il Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-COV-2/COVID-19 negli ambienti di lavoro, siglato il 30 giugno scorso, è stato notevolmente semplificato e aggiornato alle più recenti evidenze scientifiche e normative. Per maggiori informazioni sul Protocollo, v. Nota di aggiornamento 5 luglio 2022.
Come in passato, per supportare il recepimento delle novità in sede aziendale, si propone, di seguito, un modello che ciascuna impresa è chiamata a personalizzare secondo le proprie esigenze.
Si ricorda che l’adozione del Protocollo, per quanto di natura volontaria a seguito del venir meno della normativa emergenziale, continua a tutelare l’impresa mediante la presunzione legale di pieno rispetto della previsione dell’art. 2087 del codice civile.
FAC SIMILE Protocollo aziendale anti COVID19.docx|Visualizza dettagli
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Nella giornata di ieri, 4 maggio 2022, si è tenuto l’incontro dei Ministeri del lavoro, della Salute e dello Sviluppo Economico e l’Inail con le parti sociali per le ulteriori valutazioni in ordine al Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Sars-Cov-2/Covid19 - negli ambienti di lavoro” sottoscritto il 6 aprile 2021.
Nella precedente riunione del 6 aprile 2022, si era già concordato sulla opportunità di mantenere il Protocollo in una logica volontaristica e non più vincolante ai fini della prosecuzione dell’attività produttiva, visto il venir meno della legislazione emergenziale.
La logica della prosecuzione volontaria, sia pure attraverso il continuo aggiornamento dei protocolli aziendali, era fondata sull’osservazione dell’andamento dell’epidemia e sul permanere delle disposizioni di legge che, da un lato, confermano l’infezione da Covid quale infortunio sul lavoro e, dall’altro, riconducono il rispetto degli obblighi di sicurezza all’applicazione del Protocollo.
Nella riunione la posizione dei Ministeri, dell’Inail e delle parti sociali non è cambiata.
In particolare, i Ministeri e l’Inail hanno sottolineato che l’andamento della pandemia, il perdurare dei contagi e il fatto che i luoghi di lavoro, per quanto sicuri, possano presentare situazioni di aggregazioni pericolose, soprattutto al chiuso, dovrebbe indurre a confermare l’efficacia del Protocollo e, di conseguenza, mantenerne l’applicazione, seppure in una logica pattizia.
Si è anche ritenuto che, fermo restando l’aggiornamento dei protocolli aziendali da parte delle singole aziende all’evolversi del dato normativo e scientifico, il Protocollo nazionale debba essere oggetto di monitoraggio anche ai fini di un suo eventuale aggiornamento, tenuto conto il sovrapporsi delle normative con conseguente superamento di molte delle disposizioni che avevano, invece, ancora senso nel 2021.
Per questo, è stato condiviso l’invito del Ministeri a rivedersi nel mese di giugno per valutare, anche alla luce dei dati Inail, come sia opportuno procedere.
In allegato il verbale della riunione.
verbale 4 maggio 2022.pdf|Visualizza dettagli
Modificato il da Roberto Vincenti F98767E6-1156-50B9-4125-66E2005E8089 [email protected]
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