Contratti a termine
La prima disposizione da commentare è l’art. 8, comma 1, lett. a) del d.l. 104/2020 che apporta una serie di modifiche all’art. 93, comma 1, del d.l. n. 34/2020 convertito in l. n. 77/2020.
Nel confermare la possibilità di rinnovare o prorogare contratti a termine “senza causale” (in deroga all’articolo 21 del d. lgs n. 81/2015), ciò viene ora previsto per un periodo massimo di 12 mesi, ma sempre nel rispetto del principio della durata massima complessiva dei 24 mesi, e “per una sola volta”.
Viene eliminata l’espressione contratti “in essere alla data del 23 febbraio 2020” che costituiva un limite, non condivisibile, alla facoltà di proroga dei contratti a termine disciplinata, in precedenza, nello stesso comma.
Viene altresì opportunamente eliminata l’ambigua espressione “per far fronte al riavvio delle attività” che, a nostro avviso, aveva un valore meramente descrittivo ma che aveva ingenerato una serie di dubbi interpretativi.
Il rinnovo o la proroga “acausale” è possibile fino al 31 dicembre 2020 il che dovrebbe significare (a mente del “chiarimento” intervenuto con una faq ministeriale avente ad oggetto l’analoga espressione utilizzata nella precedente formulazione dell’art. 93), che il contratto a termine, rinnovato o prorogato, dovrebbe “spirare” entro il 31 dicembre. Confindustria ha predisposto un emendamento mirato a far sì che la sottoscrizione della proroga o del rinnovo possa avvenire entro il 31 dicembre 2020, anche perché, altrimenti, non si comprende che senso pratico avrebbe la previsione di una durata massima di 12 mesi, che sarebbe sostanzialmente irrealizzabile, dato che la norma è entrata in vigore il 15 agosto del 2020.
Il rinnovo o la proroga, come si diceva, si può effettuare “per una sola volta”.
Dunque in base ai principi generali la nuova norma dovrebbe applicarsi solo per il futuro e, pertanto, si dovrebbe ritenere che, dall’entrata in vigore del decreto legge di agosto, n.104/2020, sia possibile prorogare o rinnovare i contratti a termine senza l’apposizione di causali, ma per una sola volta, con sottoscrizione del relativo patto entro il 31 dicembre (ma, come si diceva, su quest’ultimo punto occorrerà necessariamente attendere indicazioni ministeriali, ovvero l’eventuale accoglimento di un emendamento come quello proposto da Confindustria).
Dato che la legge dispone che proroga e rinnovo possano essere effettuati una sola volta, se ne deduce che questo regime “acausale” non dovrebbe tener conto dei rapporti pregressi.
Ragionando altrimenti, in tema di rinnovi, la causale andrebbe applicata al primo rinnovo (e, dunque, se si tenesse conto dei rapporti pregressi la nuova norma sarebbe inattuabile).
In tema di proroghe poi, è noto che nei primi 12 mesi “acausali” si possono effettuare fino a quattro proroghe. Pertanto l’espressione “per una sola volta”, riferito alle proroghe, lascia intendere che il contenuto del nuovo art. 93 ha una sua valenza autonoma e peculiare, che prescinde, seppur in parte, dalla “disciplina generale” sui contratti a termine.
Inoltre, posto che nell’art. 93 “riformato” dal d.l. 104/2020, si parla espressamente di deroga all’art. 21, si dovrebbe concludere che questa proroga non si conteggia tra le quattro previste nel citato comma 1 dell’art. 21.
Sempre in tema di emendamenti, Confindustria ne ha anche predisposto uno che - preso atto dell’opportuna volontà del legislatore di abrogare espressamente il comma 1 bis dell’art. 93 (quello che prevede le proroghe “automatiche”) - prevede anche la cessazione degli effetti già prodotti dall’entrata in vigore di tale norma, fissando un termine all’efficacia di tali effetti al momento della entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 104/2020.
La sola abrogazione del comma 1 bis, pur ampiamente condivisibile, opera per il futuro, e dunque lascerebbe inalterata l’attuazione delle proroghe “automatiche” dei contratti a termine che fossero stati oggetto di sospensione (nei termini previsti dal comma 1 bis) e che fossero in essere fino al giorno 14 agosto 2020 ossia il giorno precedente l’entrata in vigore della norma abrogatrice.
Licenziamenti
La norma che disciplina il “blocco” dei licenziamenti (art. 14) è stata interamente riformulata pur mantenendo, in buona sostanza, molti dei contenuti precedenti ma la novità, oltre al differimento del termine ultimo del “blocco” al 31 dicembre 2020 (che comunque, come si dirà, non dovrebbe essere inteso come un termine finale valido per tutte le imprese) sta nella previsione di una serie di eccezioni al “blocco” stesso.
E così il principio generale è che fino al 31 dicembre 2020 i datori di lavoro che non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19 di cui all’art. 1 del d.l. 104/2020 ovvero dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali previsti dall’art. 3 dello stesso decreto legge (vedi nota 1[1]), alle condizioni previste dalla legge, continuano a non poter dare avvio a procedure di licenziamento collettivo e restano sospese, come in precedenza, le procedure pendenti, avviate successivamente al 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi di cambio appalto, come in precedenza.
Alle stesse condizioni è preclusa per i datori, a prescindere dal numero dei dipendenti, la possibilità di effettuare licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, nonché la possibilità di avviare le procedure ex art. 7 della legge n. 604 del 1966.
Ora il primo problema interpretativo che si pone, molto delicato e complesso, è quello di capire se la cessazione del divieto di licenziare sia o meno legata, per tutte le imprese, alla data del 31 dicembre 2020.
La tecnica legislativa utilizzata questa volta, che - a differenza delle precedenti norme in tema - non individua nel corpo della norma medesima una espressa data di scadenza del divieto, fa ritenere che, in questo caso, la cessazione dl divieto diventi “mobile” ossia differente da impresa a impresa, tenendo conto delle condizioni poste dagli artt. 1 e 3 del d.l. n. 104/2020.
In altre parole, e a titolo d’esempio, se una impresa finisse di utilizzare tutto il periodo di cassa Covid ulteriormente concesso con l’art. 1 del d.l. n.104 a fine novembre, potrebbe successivamente effettuare dei licenziamenti. Ciò anche tenendo conto che l’art. 14 impone il divieto di licenziamento ai datori di lavoro che “non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale……”
Naturalmente, data la complessità delle norme che sul punto regolano la materia nel d.l. 104/2020, è opportuno un approfondimento in proposito, anche se il tenore letterale delle disposizioni, non sembra lasciare margini a fondate interpretazioni di diverso contenuto.
Veniamo ora alle eccezioni “espressamente previste dalla decreto legge al “blocco” dei licenziamenti.
Oltre alla già ricordata ipotesi del “cambio appalto”, nei termini già previsti dalla legge (ossia quando operano “clausole sociali” che assicurano la continuità “sostanziale” dl rapporto), le eccezioni previste sono:
- nel caso di cessazione definitiva dell’attività di impresa, conseguente alla messa in liquidazione senza continuazione, neppure parziale, dell’attività: l’eccezione viene meno se, nel corso della liquidazione, si possa configurare una cessione di un complesso di beni o di attività tale da concretare l’ipotesi di un trasferimento d’impresa o di ramo di essa, ai sensi dell’art. 2112 Cod. Civ.;
- nel caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo d’impresa, è possibile procedere ai licenziamenti solo nei settori non interessati dall’esercizio provvisorio.
Una ipotesi di “eccezione” al blocco dei licenziamenti del tutto nuova e che, unitamente alle precedenti, va incontro alle pressanti richieste di Confindustria affinchè il blocco venisse superato o, comunque, limitato, consiste nell’ipotesi della sottoscrizione di un accordo collettivo aziendale che preveda incentivi alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscano al predetto accordo. Viene espressamente previsto che a questi lavoratori viene riconosciuta la prestazione della Naspi.
L’accordo aziendale va stipulato con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale.
Confindustria ha già predisposto un emendamento che abiliti alla sottoscrizione di questi accordi anche le rsa e le rsu, seguendo una linea di politica sindacale, in ordine agli accordi di secondo livello, concordata con Cgil, Cisl, Uil da almeno un decennio e fatta propria anche dalla legislazione nazionale.
Ad un primo esame della disposizione la sottoscrizione di questo accordo non sembra debba avvenire a seguito dell’avvio di una procedura di licenziamento collettivo, peraltro ancora espressamente preclusa. Dunque si potrebbe concludere questo accordo aziendale in via del tutto autonoma e a prescindere dalla procedura della 223/1991.
In sostanza i datori di lavoro potrebbero concordare accordi aziendali “quadro” che prevedano condizioni di favore per la risoluzione del rapporto cui seguirebbe la conciliazione individuale con il singolo lavoratore interessato, conciliazione nella quale verrebbe previsto specificamente il riconoscimento dell’incentivo all’esodo.
Dovendo ricordare che, da un punto di vista teorico, un conto è concordare la risoluzione consensuale del rapporto incentivata e un conto è sottoscrivere una conciliazione che definisca tutte le eventuali “pendenze” derivanti dal rapporto, riteniamo particolarmente opportuno ricordare che la (eventuale) conciliazione che definisca anche la risoluzione del rapporto contenga una espressa rinuncia ad ogni diritto ed azione che riguardi il pregresso rapporto (naturalmente con una precisa individuazione dei diritti oggetto della conciliazione) nonché una rinuncia ad ogni diritto ed azione che riguardi la risoluzione del rapporto, compresa, per maggiore sicurezza, l’eventuale violazione della procedura dettata della legge 223 del 1991.
L’art. 14 si conclude riproponendo la norma che consente ai datori di lavoro che abbiano proceduto al recesso dal contratto per g.m.o., di revocare il recesso e porre in Cassa Covid il lavoratore con ripristino del rapporto senza soluzione di continuità, né oneri e sanzioni per il datore.
[1] L’art 3 del dl 104 prevede, a determinate condizioni, che ai datori di lavoro, ad esclusione del settore agricolo, “è riconosciuto” l’esonero dei contributi previdenziali a loro carico per un periodo massimo di quattro mesi entro il 31 dicembre 2020. Innanzitutto va detto che si tratta di una condizione “alternativa” alla fruizione delle integrazioni salariali (“ovvero”). Inoltre ove non ricorrano i presupposti previsti dalla legge (non richiesta dei trattamenti dell’art. 1 e fruizione a maggio e giugno 2020 dei trattamenti “Covid”) l’esonero non è applicabile.
Senonchè se il datore non ricorre alle integrazioni e ha i “requisiti” previsti, sembra, in base all’ambigua formulazione della legge, che sia “obbligato” a fruire dell’esonero. Naturalmente sul punto occorrerà attendere i chiarimenti dll’INPS.
In ogni caso, oltre alla complessità del meccanismo di computo di questo esonero, va sottolineato che, per espressa previsione di legge, la sua efficacia è subordinata all’autorizzazione della Commissione europea.
Orbene, condizionare la facoltà di licenziamento non solo alla integrale fruizione degli ammortizzatori Covid (che è già una scelta che ha dei limiti di tenuta costituzionale) ma anche, seppur in via alternativa, alla fruizione di questo esonero, risulta una scelta non condivisibile, posto che le due fattispecie non sono minimamente equiparabili, stante la circostanza che la fruizione di questo esonero contributivo è incerta, perché sottoposta al vaglio della Commissione Europea.
Confindustria ha pertanto elaborato un emendamento volto a sopprimere quest’ultima disposizione, ambigua e dai contenuti incerti.
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Il DPCM del 7 settembre 2020, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 222 del 7 settembre 2020, regola le misure di prevenzione contro la diffusione del contagio da Covid19, confermando sostanzialmente il precedente provvedimento del 7 agosto 2020.
A dimostrazione che il dato epidemiologico sollecita una particolare attenzione alla ripresa dell’anno scolastico ed agli spostamenti, il nuovo provvedimento appare innovativo nella regolazione – negli allegati che sostituiscono o integrano quelli presenti nel DPCM del 7 agosto - di tre temi:
- i trasporti (scolastici e non): allegato 15 (Linee guida per l’informazione agli utenti e le modalità organizzative per il contenimento della diffusione del covid-19 in materia di trasporto pubblico e 16, Linee guida per il trasporto scolastico dedicato), che sostituiscono quelli già presenti nel DPCM 7 agosto 2020
- il rientro dall’estero – allegato 20 sugli Spostamenti da e per l’estero, che sostituisce quello presente nel DPCM 7 agosto 2020;
- la disciplina della prevenzione del Covid nella scuola e nell’università – allegato 21, Indicazioni operative per la gestione di casi e focolai di SARS-CoV-2 nelle scuole e nei servizi educativi dell’infanzia e allegato 22, Protocollo per la gestione di casi confermati e sospetti di Covid 19 nelle aule universitarie, di nuova introduzione.
Evidenziamo fin d’ora la corposità e la natura tecnica degli allegati sui trasporti e su scuola (che recepisce il Rapporto n. 58/2020 del 28 agosto emanato dall’Istituto superiore di sanità) e università, il che rende imprescindibile una loro lettura attenta.
- I Protocolli
Nel nuovo DPCM nulla è modificato per quanto riguarda l’articolo 2 del DPCM 7 agosto 2020, relativamente alle misure di contenimento del contagio per lo svolgimento in sicurezza delle attività produttive industriali e commerciali ed ai Protocolli di sicurezza.
Per quanto riguarda l’aggiornamento del Protocollo del 14 marzo, ad oggi né il Ministero del lavoro né il sindacato hanno manifestato l’intenzione di riprendere il percorso avviato prima dell’estate per apportare modifiche (si ricordano, in particolare, i temi della formazione, delle trasferte e delle riunioni come oggetto di possibile aggiornamento, sostanzialmente condivisi anche dal sindacato nella riunione tenutasi il 20 luglio).
- Le ordinanze di agosto del Ministro della salute sugli ingressi dall’estero
Vengono confermate12 agosto 202016 agosto 2020
- Le modifiche al DPCM 7 agosto 2020.
A parte le modifiche di mero coordinamento (ad esempio, quelle necessarie per inserire ed adeguare i rinvii agli allegati sui temi sopra richiamati, ingressi dall'estero, scuola e trasporti), si evidenzia la deroga al divieto di spostamento da e verso i Paesi a rischio indicati (oggi) nel nuovo allegato, per:
- le persone che intendono “raggiungere il domicilio/abitazione/residenza di una persona di cui alle lettere f) e h), anche non convivente, con la quale vi sia una comprovata e stabile relazione affettiva”;
- “gli ingressi per ragioni non differibili, inclusa la partecipazione a manifestazioni sportive e fieristiche di livello internazionale, previa autorizzazione del Ministero della salute e con obbligo di presentare al vettore all'atto dell'imbarco, e a chiunque sia deputato ad effettuare i controlli, l'attestazione di essersi sottoposti, nelle 72 ore antecedenti all'ingresso nel territorio nazionale, un test molecolare o antigenico, effettuato per mezzo di tampone e risultato negativo” (resta da vedere cosa si intenderà con la locuzione “ragioni non differibili” e come verrà interpretata rispetto a quello di “assoluta urgenza” dell’art. 4)
- Periodo di vigenza
Il DPCM entra in vigore l’8 settembre e cessa di avere efficacia il 7 ottobre.
- Allegati
Mentre gli allegati 15, 16 e 20 erano già presenti nel DPCM del 7 agosto 2020 e vengono ora aggiornati, risultano di nuova introduzione quelli sulla lotta alla diffusione del virus nella scuola e nelle aule universitarie.
Per quanto riguarda l’allegato inerente alle scuole, ci si sofferma esclusivamente sugli aspetti della tutela dei lavoratori nella scuola (punto 1.4 – punto 2.1.3).
Ricordando che il documento oggetto dell’allegato è aggiornato al 28 agosto 2020, si evidenzia che lo stesso riporta delle indicazioni che appaiono in contrasto con quanto finora evidenziato dagli stessi documenti governativi e delle regioni e non aggiornate.
- La previsione dell’obbligo di integrare il documento di valutazione dei rischi con le misure di contrasto al covid contraddice la previsione secondo il quale esse possono costituire un addendum senza obbligo di aggiornamento del DVR
- Il riferimento all’art. 83 del DL n. 34/2020, che non risulta confermato dal DL n. 83/2020 (come confermato dalla circolare n. 13/2020 dei Ministeri del lavoro e della salute), è ormai errato: la disciplina dei lavoratori fragili, anche nella scuola, andrà quindi ricercata nella circolare richiamata e non nel punto 1.4 del documento in commento
Gli operatori scolastici che evidenziano la sintomatologia del covid, se in servizio, verranno invitati a lasciare la struttura, raggiungere la propria abitazione e richiedere l’intervento del medico di medicina generale per la valutazione dell’eventuale sottoposizione a test diagnostico, che sarà eseguito a cura del dipartimento di prevenzione (allertato dal medico di medicina generale). Se denunceranno i sintomi quando si trovano a casa, dovranno avvertire il medico di medicina generale, che seguirà le medesime indicazioni (avvertendo il dipartimento di prevenzione in caso di necessità di test diagnostico).
Per quanto riguarda l’allegato inerente l’attività in ambito universitario, l’allegato – nel rinviare ad altri documenti per la gestione della cd prevenzione primaria - disciplina la gestione dei casi confermati e di quelli sospetti di covid19, ricordando la possibilità di svolgere sia attività in aula che a distanza (per ridurre la quantità di persone che assistono alle lezioni in presenza), prevedendo la necessità di una piena conoscenza di nominativi degli studenti presenti per ciascuna giornata (in vista della ricerca dei contatti) ed assicurando uno stretto raccordo tra il referente universitario per il covid e le autorità sanitarie pubbliche (competenti ad assumere tutte le misure ritenute opportune), presupposti indispensabili per gestire le due differenti casistiche.
[1] Ordinanza 12 agosto 2020, articolo 1, commi 1 e 2 - 1. Ai fini del contenimento della diffusione del virus COVID-19, alle persone che intendono fare ingresso nel territorio nazionale e che nei quattordici giorni antecedenti hanno soggiornato o transitato in Croazia, Grecia, Malta o Spagna, ferme restando le disposizioni di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 7 agosto 2020, si applicano le seguenti misure di prevenzione, alternative tra loro:
a) obbligo di presentazione al vettore all’atto dell’imbarco e a chiunque sia deputato ad effettuare i controlli dell’attestazione di essersi sottoposte, nelle 72 ore antecedenti all’ingresso nel territorio nazionale, ad un test molecolare o antigenico, effettuato per mezzo di tampone e risultato negativo;
b) obbligo di sottoporsi ad un test molecolare o antigenico, da effettuarsi per mezzo di tampone, al momento dell’arrivo in aeroporto, porto o luogo di confine, ove possibile, ovvero entro 48 ore dall’ingresso nel territorio nazionale presso l’azienda sanitaria locale di riferimento; in attesa di sottoporsi al test presso l’azienda sanitaria locale di riferimento le persone sono sottoposte all’isolamento fiduciario presso la propria abitazione o dimora.
2. Le persone di cui al comma 1, anche se asintomatiche, sono obbligate a comunicare immediatamente il proprio ingresso nel territorio nazionale al Dipartimento di prevenzione dell’azienda sanitaria competente per territorio.
[2] DPCM 7 agosto 2020, articolo 6, commi 6 e 7 - 6. A condizione che non insorgano sintomi di COVID-19 e fermi restando gli obblighi di cui all'art. 5, le disposizioni di cui ai commi da 1 a 5 non si applicano:
a) all'equipaggio dei mezzi di trasporto;
b) al personale viaggiante;
c) ai movimenti da e per gli Stati e territori di cui all'elenco A dell'allegato 20;
d) agli ingressi per motivi di lavoro regolati da speciali protocolli di sicurezza, approvati dalla competente autorità sanitaria.
7. A condizione che non insorgano sintomi di COVID-19 e che non ci siano stati soggiorni o transiti in uno o più Paesi di cui agli elenchi C e F dell'allegato 20 nei quattordici giorni antecedenti all'ingresso in Italia, fermi restando gli obblighi di cui all'art.5, le disposizioni di cui ai commi da 1 a 5 non si applicano:
a) a chiunque fa ingresso in Italia per un periodo non superiore alle 120 ore per comprovate esigenze di lavoro, salute o assoluta urgenza, con l'obbligo, allo scadere di detto termine, di lasciare immediatamente il territorio nazionale o, in mancanza, di iniziare il periodo di sorveglianza e di isolamento fiduciario conformemente ai commi da 1 a 5;
b) a chiunque transita, con mezzo privato, nel territorio italiano per un periodo non superiore a 36 ore, con l'obbligo, allo scadere di detto termine, di lasciare immediatamente il territorio nazionale o, in mancanza, di iniziare il periodo di sorveglianza e di isolamento fiduciario conformemente ai commi da 1 a 5;
c) ai cittadini e ai residenti degli Stati e territori di cui agli elenchi A, B, C e D dell'allegato 20 che fanno ingresso in Italia per comprovati motivi di lavoro;
d) al personale sanitario in ingresso in Italia per l'esercizio di qualifiche professionali sanitarie, incluso l'esercizio temporaneo di cui all'art. 13 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18;
e) ai lavoratori transfrontalieri in ingresso e in uscita dal territorio nazionale per comprovati motivi di lavoro e per il conseguente rientro nella propria residenza, abitazione o dimora;
f) al personale di imprese ed enti aventi sede legale o secondaria in Italia per spostamenti all'estero per comprovate esigenze lavorative di durata non superiore a 120 ore;
g) ai funzionari e agli agenti, comunque denominati, dell'Unione europea o di organizzazioni internazionali, agli agenti diplomatici al personale amministrativo e tecnico delle missioni diplomatiche, ai funzionari e agli impiegati consolari, al personale militare nell'esercizio delle loro funzioni;
h) agli alunni e agli studenti per la frequenza di un corso di studi in uno Stato diverso da quello di residenza, abitazione o dimora, nel quale ritornano ogni giorno o almeno una volta la settimana.
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Nella sezione libreria è stata pubblicata una nota di aggiornamento sulle prime valutazioni sui decreti attuativi della riforma del mercato del lavoro.
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Nella nota che segue si commenta la circolare congiunta dei Ministeri del lavoro e della salute che reca Aggiornamenti e chiarimenti, con particolare riguardo ai lavoratori e alle lavoratrici “fragili” del 4 settembre 2020 e si svolgono alcune considerazioni sul tema della compatibilità tra le condizioni di quarantena e la prestazione di attività lavorativa (a commento critico di un articolo apparso sulle colonne del Corriere della sera del 4 settembre 2020).
I Ministeri del lavoro e della Salute hanno emanato, il 4 settembre, una circolare (allegata) avente ad oggetto la sorveglianza sanitaria dei lavoratori cd fragili, che aggiorna, su questo punto, quanto già disciplinato con la precedente circolare del 29 aprile 2020.
Premessa la rilevanza della sorveglianza sanitaria anche nella fase attuale, la circolare espone innanzitutto il quadro normativo di riferimento, essenzialmente fondato sulla previsione generale (art. 5 dello Statuto dei lavoratori) e sulla disciplina specifica contenuta nel Dlgs n. 81/2008 (in particolare l’art. 41).
Ancora una volta, non si risolve la difficile convivenza di questi due diversi regimi, convalidando la difficile compresenza del ruolo del medico competente e dei servizi ispettivi degli enti previdenziali anche per l’accertamento della idoneità del lavoratore alla mansione lavorativa.
Nel punto 3 la circolare offre una nozione di fragilità.
Va ricordato che il Protocollo del 14 marzo 2020, aggiornato il 24 aprile successivo, prevede già che
il medico competente “segnala all’azienda situazioni di particolare fragilità e patologie attuali o pregresse dei dipendenti e l’azienda provvede alla loro tutela nel rispetto della privacy”;
“alla ripresa dell’attività, è opportuno che sia coinvolto il medico competente per la identificazione dei soggetti con particolari situazioni di fragilità”
“è raccomandabile che la sorveglianza sanitaria ponga particolare attenzione ai soggetti fragili anche in relazione all’età”.
La circolare, aggiornando il dato epidemiologico anche con riferimento all’età, evidenzia che – sulla base delle informazioni scientifiche più recenti – il concetto di fragilità va individuato “in quelle condizioni dello stato di salute rispetto alle patologie preesistenti che potrebbero determinare, in caso di infezione, un esito più grave o infausto”. Tale concetto è soggetto evidentemente al progressivo aggiornamento delle conoscenze di tipo epidemiologico e scientifico.
Viene dunque escluso espressamente che il solo fattore dell’età (nonostante la convinzione degli antichi, secondo cui senectus ipsa est morbus) possa – in assenza di comorbilità – costituire, di per sé, un fattore di maggior rischio.
Sulla base di questi chiarimenti, i due Ministeri espongono alcune indicazioni operative.
In primo luogo, la circolare chiarisce (e si tratta di un rilievo importante) che i lavoratori devono essere messi in condizioni di “richiedere al datore di lavoro l’attivazione di adeguate misure di sorveglianza sanitaria” e che “le eventuali richieste di visita dovranno essere corredate della documentazione medica relativa alla patrologia diagnosticata a supporto della valutazione del medico competente”.
Si conferma così che l’onere di attivare la sorveglianza e di evidenziare la propria condizione è posto in capo al lavoratore e non affidato alla ricerca da parte del datore di lavoro (che potrebbe anche non conoscere, nemmeno per il tramite del medico competente, eventuali patologie del lavoratore). Aspetto rilevante ai fini della responsabilità, che non può fondarsi sulla presenza di condizioni legittimamente ignote al datore di lavoro. La documentazione sarà consegnata, ovviamente, non al datore di lavoro ma al medico competente (o all’ente pubblico prescelto laddove il datore di lavoro non abbia l’obbligo di nominare il medico competente), per cui non sussistono questioni inerenti la privacy.
In particolare, si evidenzia che, laddove la circolare, nelle indicazioni operative, prevede che la richiesta di visita medica debba essere corredata della documentazione medica, evidentemente la richiesta va rivolta al datore di lavoro ma la documentazione medica dev’essere fornita esclusivamente al medico competente o al medico pubblico.
Laddove non sussista l’obbligo di nominare il medico competente, il datore di lavoro che non abbia ritenuto di nominarne uno (si ricorda che l’obbligo dell’art. 83 del DL n. 34/2020 è decaduto il 31 luglio 2020, non essendo stata prorogata la relativa previsione, come ricordano espressamente i Ministeri) potrà ricorrere agli istituti previdenziali e ispettivi richiamati dall’art. 5 della legge n. 300/1970.
Indicata l’autorità competente a svolgere la sorveglianza, la circolare descrive il contenuto del giudizio medico-legale, descrivendo però solamente il percorso relativo al medico competente: i medici pubblici dovranno attenersi alle disposizioni della circolare, per espressa disposizione della stessa.
Secondo la circolare, ai fini della valutazione della condizione di fragilità, il datore di lavoro deve fornire al medico competente tutte le informazioni sulla mansione svolta dal lavoratore, sulla postazione o ambiente di lavoro, sul documento di valutazione dei rischi e sulle misure adottate in adesione al Protocollo condiviso del 24 aprile 2020. La previsione appare del tutto ultronea, posto che il medico competente deve ovviamente già conoscere tutti questi contenuti.
La circolare precisa, tra le indicazioni operative, che – per i datori di lavoro che non abbiano l’obbligo di nominare il medico competente – c’è la possibilità che sia il lavoratore a richiedere una visita per la verifica del proprio stato di fragilità e si tratterà, precisa la circolare, di una visita ex art. 5 della legge n. 300/1970.
In questa ipotesi, quindi, il datore di lavoro dovrà fornire all’ente pubblico (che seguirà e indicazioni della circolare) i dati che avrebbe dovuto fornire al medico competente.
Sulla scorta di queste informazioni, il medico competente – o l’ente pubblico - esprimerà il proprio giudizio di idoneità e fornirà, in via prioritaria, indicazioni per l’adozione di soluzioni maggiormente cautelative per fronteggiare il rischio da covid19. Laddove non vi siano soluzioni alternative, emetterà un giudizio di non idoneità temporanea.
Si tratta di un punto rilevante della circolare: al medico viene infatti rimesso il giudizio se lo stato di riconosciuta fragilità sia o meno compatibile con il lavoro, anche attraverso l’adozione di misure maggiormente cautelative per la salute, ossia anche ulteriori rispetto a quelle ordinarie, previste anche dal Protocollo.
Lascia piuttosto perplessi la priorità per il mantenimento al lavoro piuttosto che – data l’accertata comorbilità ed il maggior rischio oggettivo – l’adozione di misure alternative.
La circolare richiama anche la opportunità di ripetere periodicamente la visita in relazione all’evoluzione scientifica.
I Ministeri non chiariscono le conseguenze dell’eventuale giudizio di inidoneità (il che spiega la priorità riservata al mantenimento al lavoro con adozione di soluzioni maggiormente cautelative): si tratta, invece, di un aspetto rilevante, in quanto il giudizio di inidoneità non riguarda la mansione specifica, ma la condizione di fragilità, dove il rischio che conduce a quel giudizio è legato alla compresenza di altro personale, al mezzo di trasporto utilizzato per recarsi al lavoro, alla possibilità o meno di svolgere attività in smart working, etc.
Sarebbe allora stato opportuno che la circolare, in presenza di un lavoratore astrattamente idoneo alla mansione ma inidoneo al lavoro per l’assenza di alternative alla esposizione ad un rischio non dipendente dal datore di lavoro (il covid19), legittimasse estensivamente strumenti di gestione rientranti nella tutela assicurata dallo Stato per l’emergenza (ad esempio, prevedesse la possibilità per il medico competente di porre il lavoratore in quarantena con equiparazione alla malattia quale soluzione estrema ed in mancanza di alternative).
I due Ministeri confermano la mancata proroga della sorveglianza sanitaria eccezionale prevista dall’art. 83 del DL n. 34/2020, circostanza alla quale la circolare attuale sembra ora dare copertura, e dispongono che le visite mediche richieste dai lavoratori ai sensi di quella normativa (quindi entro il 31 luglio) verranno condotte secondo le regole della circolare in commento.
Da ultimo, la circolare disciplina le modalità di espletamento delle visite, che dovranno ovviamente garantire la massima sicurezza sia per l’operatore sanitario sia per i lavoratori. Si conferma, poi, la possibilità di differire la visita periodica e quella (laddove prevista) disposta alla cessazione del rapporto di lavoro e si sollecita una particolare attenzione alla opportunità di evitare quegli esami che, coinvolgendo particolarmente l’apparato respiratorio (spirometrie., alcooltest, etc), potrebbero risultare particolarmente rischiosi per il personale sanitario.
In conclusione, la circolare - al di là dei due chiarimenti inerenti l’esigenza di non considerare autonomamente il fattore età ai fini della individuazione dei lavoratori fragili e la conferma della necessità dell’iniziativa del lavoratore che intenda chiedere una valutazione della propria condizione di fragilità - non offre gli opportuni chiarimenti, da tempo richiesti da Confindustria, circa le conseguenze della dichiarazione di non idoneità del lavoratore e della possibilità di porlo in quarantena.
Approfittiamo del commento alla circolare ministeriale sulla sorveglianza sanitaria per i lavoratori fragili per intervenire sulla notizia, apparsa sulla stampa il 4 settembre (Il corriere della sera, pagina, 9, articolo dal titolo “Lavoratori, il caso della quarantena – Vietato accendere il computer dell’ufficio”) secondo la quale sarebbe vietato lavorare ai lavoratori in quarantena perché positivi al covid19 o perché di ritorno da zone a rischio (o anche perché sono stati a contatto stretto con un caso accertato di covid19).
A fronte di questo divieto si potrebbe pensare, secondo l’articolo, alla possibilità di far lavorare i dipendenti con la modalità dello smart work, solamente, però, con il loro consenso.
È evidente la non condivisibilità di tali affermazioni.
La quarantena cautelare (come l’isolamento fiduciario domiciliare) non sono relativi a persone positive ma a chi è stato a contatto stretto con un positivo o proviene da Paesi a rischio: dunque nessuna malattia in corso.
Il lavoratore in quarantena perché positivo al tampone rino/faringeo è posto in quarantena sulla base del certificato medico che attesta la positività e dispone il conseguente obbligo di isolamento domiciliare o la sorveglianza domiciliare (laddove non sia necessario il ricovero ospedaliero).
Così, dunque, il lavoratore non positivo in quarantena/isolamento cautelare non è ovviamente malato (né può valere in contrario l’equiparazione alla malattia a soli fini di tutela economica, che invece sta proprio a dimostrare che non si tratta di malattia ai fini dell’art. 2110 del codice civile), mentre il lavoratore positivo, pur in possesso di certificazione medica che prescrive l’obbligo quarantena, potrebbe non avere alcuna “malattia”.
Per malattia, infatti, non può intendersi ogni lesione o alterazione organica o funzionale del corpo umano allo stato acuto, ma solo quella con caratteristiche tali da rendere impossibile al lavoratore di eseguire le prestazioni dovute; ovvero, come di recente riaffermato dalla Cassazione, “il concetto clinico di malattia richiede il concorso del requisito essenziale di una riduzione apprezzabile di funzionalità” (Cass., 25 ottobre 2019, n. 4155).
Del resto, la giurisprudenza non esclude nemmeno in via assoluta che il lavoratore, seppure in malattia, possa prestare attività lavorativa, addirittura per altro datore di lavoro, laddove, in questo caso, la condotta non sia in contrasto con gli obblighi di correttezza e buona fede. Ne consegue che, a maggior ragione, il lavoratore non positivo che si trovi in quarantena/isolamento cautelare deve poter lavorare, anche in smart work, per il proprio datore di lavoro, laddove la modalità non incida negativamente (pregiudicandola o ritardandola) la guarigione.
È evidente che il lavoratore, per il sol fatto di essere positivo, non è necessariamente né malato né sintomatico, e ne viene prescritto l’allontanamento o l’isolamento al fine esclusivo di non diffondere il virus e non in considerazione della sua presunta impossibilità a rendere la prestazione lavorativa.
Ne consegue che, salve le ipotesi in cui ci si trovi in presenza di un certificato medico che prescrive in qualche modo il riposo precludendo ogni attività lavorativa, non vi è alcuna controindicazione al lavoro in smart work, con le dovute cautele imposte dall’isolamento.
Ed è proprio la vicenda dei lavoratori fragili a dimostrare l’erroneità della indicazione apparsa sulle colonne del Corriere della sera.
Sono fragili quei lavoratori che hanno - come dice la circolare in commento – “malattie cronico-degenerative (ad es. patologie cardiovascolari, respiratorie e dismetaboliche)” o anche patologie “a carico del sistema immunitario e quelle oncologiche”.
È di tutta evidenza che queste “malattie” non impediscono di lavorare; tuttavia, la comorbilità che si genera con l’esposizione al rischio di contagio incrementa la potenzialità di un esito più gravo o infausto.
Per questo, quel malato che, in assenza di rischio di contagio, potrebbe continuare tranquillamente a lavorare, dev’essere oggetto di particolari attenzioni in caso di permanenza al lavoro. Resta consigliabile – ove possibile – il suo allontanamento dalle potenziali fonti di rischio (che potrebbero risiedere nelle modalità di lavoro o anche di spostamento casa-lavoro).
È allora evidente che, se può continuare a lavorare (in azienda o a casa) il lavoratore fragile perché sicuramente portatore di una patologia anche grave ma con le dovute cautele (opzione prioritaria rispetto al giudizio di inidoneità assoluta, secondo la circolare, punto 3.3), non si vede perché non possa continuare a lavorare, con il dovuto isolamento e con il rispetto di tutte le prescrizioni del caso, il lavoratore, positivo o meno, che si trovi in quarantena o in isolamento fiduciario, tutte le volte che non sia giudicato “malato” ai fini lavorativi, ossia quando la eventuale patologia in atto, opportunamente certificata, renda impossibile eseguire le prestazioni dovute.
Circolare-n-13-del-04092020-lavoratori-fragili-SARS-CoV-2.pdf|Visualizza dettagli
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Il Senato ha definitivamente approvato la legge di conversione del DL 19/2024, in attesa di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, che contiene la disciplina della cd patente a crediti.
In allegato, la sintesi dei contenuti della norma, una prima circolare di commento elaborata insieme ad ANCE e il confronto tra il testo del decreto-legge n. 19/2024 e quello definitivamente approvato dal Senato.
A breve, Confindustria organizzerà un webinar illustrativo per le Associazioni del sistema.
20240429_conversione_DL_PNRR_Patente.pdf|Visualizza dettagli
Circolare patente a crediti_20240429.pdf|Visualizza dettagli
Confronto tra DL 19-2024 e legge di conversione.pdf|Visualizza dettagli
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Lo scorso 6 aprile 2021 è stato sottoscritto il “Protocollo nazionale per la realizzazione dei piani aziendali finalizzati all’attivazione di punti straordinari di vaccinazione anti SARS-CoV-2/ Covid-19 nei luoghi di lavoro”.
L’iniziativa e la condivisione del documento costituiscono un passo in avanti molto importante, che potrà consentire alle imprese di contribuire in modo concreto alla campagna di vaccinazione.
Vista l’importanza del tema e la necessità di approfondire gli aspetti generali del protocollo, in modo da fornire le prime informazioni utili al sistema associativo, il prossimo 23 aprile, dalle 10.00 alle 12.00, si terrà un webinar dedicato al Protocollo. L’iniziativa è realizzata nell’ambito delle attività del Progetto DISTICO – Dialogo Sociale per Territori e Imprese Competitive realizzato da SFC in collaborazione con l’Area Lavoro, Welfare e Capitale Umano di Confindustria.
L’incontro è strettamente riservato alle sole Associazioni del Sistema.
Di seguito il link per accedere alla sessione on line sulla piattaforma Cisco Webex:
https://luiss.webex.com/luiss/j.php?MTID=m73752a00e0fe9e9cf37b0e780e3f0a97
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In questi giorni si stanno intensificando le richieste di pareri da parte delle imprese associate in ordine alla gestione dei lavoratori che rientreranno in azienda dopo aver trascorso il periodo di ferie al di fuori del territorio nazionale.
Ed infatti, stante l’attuale diffusione della pandemia di COVID-19, occorrerà contemperare il carattere personale della fruizione delle ferie da parte del lavoratore con gli obblighi di protezione che ricadono sul datore di lavoro nei confronti della popolazione aziendale complessivamente considerata.
Per questo motivo, con l’obiettivo di prevenire un eventuale contezioso in materia, riteniamo opportuno invitare le aziende a regolare preventivamente, già in occasione della concessione delle ferie estive, gli aspetti legati al rientro dei lavoratori in azienda, ponendo una particolare attenzione agli obblighi previsti dal Protocollo aziendale di salute e sicurezza e agli obblighi di quarantena e isolamento domiciliare a cui andrebbero incontro, una volta rientrati in Italia, nel caso si volessero recare in Paesi “a rischio”, come segnalati sul sito del Ministero della Salute.
E quindi, nell’ambito della corretta gestione del rapporto di lavoro, le imprese ben potranno sensibilizzare i propri dipendenti a fruire in maniera “responsabile” del periodo feriale, invitandoli ad evitare di soggiornare in Paesi esteri che comportino un maggior rischio di contagio, con la potenziale conseguenza di pregiudicare il successivo rientro in azienda.
Tale posizione trova particolare conferma anche in una pronuncia della Corte di Cassazione (n. 1699 del 2011) che, trattando il caso, un po’ particolare, di un lavoratore ammalatosi in vacanza, enuncia il seguente principio a valenza generale: “……se pure è vero che il lavoratore è pienamente libero nel decidere come e dove utilizzare il periodo delle ferie, è altrettanto vero che siffatta libertà deve essere coniugata, alla stregua dei suddetti principi di correttezza e buona fede posti dagli artt. 1175 e 1375 c.c. che impongono alle parti del rapporto sinallagmatico di tenere comunque un comportamento che non pregiudichi la realizzazione delle rispettive posizioni di diritti ed obblighi, con l’esigenza che le scelte dallo stesso operate in materia non siano lesive dell’interesse del datore di lavoro a ricevere regolarmente la prestazione lavorativa dedotta in contratto”.
Questo insegnamento, già di per sé pienamente fondato e condivisibile, si rafforza laddove si tenga conto che, nel caso della pandemia, non entra in gioco solo l’interesse del datore “a ricevere regolarmente la prestazione lavorativa dedotta in contratto” bensì anche l’interesse, di ben più ampia portata, della tutela della salute pubblica, in generale, e della comunità dei colleghi di lavoro, in particolare.
Alla luce di quanto sopra, il lavoratore, pur nel fruire liberamente del proprio periodo di ferie dovrà, a nostro avviso, tenere rigorosamente conto degli obblighi di quarantena previsti dall’ordinamento italiano (sia nazionale che locale), in costante aggiornamento sulla base dell’andamento del numero dei contagi.
In applicazione dei principi generali di buona fede e correttezza nell’esecuzione del rapporto di lavoro, il lavoratore che si recherà all’estero sarà quindi tenuto a pianificare le proprie ferie evitando di esporsi a situazioni che generano l’obbligo di isolamento/quarantena, tanto nel Paese ospitante che al suo rientro in Italia.
Per questi motivi, oltre a ribadire l’importanza dell’applicazione (sia pur attualizzata alla nuova fase di gestione dell’emergenza) del Protocollo di sicurezza, abbiamo predisposto:
- una bozza di informativa da consegnare ai lavoratori prima del loro ingresso in ferie
- e, similmente a quanto previsto dallo stesso Protocollo durante la fase di lockdown, una dichiarazione negativa in ordine alla sua permanenza nei Paesi in black list o in merito agli obblighi di sottoposizione a quarantena/isolamento domiciliare dopo il rientro da Paesi esteri “a rischio”.
Allegato 1_comunicato aziendale.docx|Visualizza dettagli
Allegato 2_dichiarazione rientro.docx|Visualizza dettagli
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In allegato la nota di commento
Cordiali saluti
Commento al DL 125-2020.docx|Visualizza dettagli
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Nei giorni scorsi ci sono state rivolte molteplici richieste di pareri, da parte delle imprese associate, in ordine alla gestione dei rapporti di lavoro agile in essere, avviati con le modalità semplificate previste dalle varie disposizioni emanate per far fronte all’emergenza epidemiologica.
La questione aveva assunto un particolare rilievo a seguito della faq apparsa sul sito del Ministero del Lavoro il 6 luglio, con la quale era stata data una interpretazione “restrittiva” alla disposizione di cui all’art. 90, comma 4, del dl n.34/2020, convertito in l. n. 77/2020, indicando il 31 luglio come il termine ultimo per poter avvalersi delle modalità semplificate per la gestione del lavoro agile.
Ne conseguiva che, per poter proseguire a rendere la prestazione in modalità di lavoro agile, i lavoratori avrebbero dovuto, ciascuno, esprimere il proprio consenso alla prosecuzione e le imprese avrebbero dovuto procedere alla relativa comunicazione obbligatoria del testo dell’accordo, con rilevanti e complessi effetti gestionali.
Visti i tempi ristretti, la complessità delle attività da porre in essere e, per le imprese di maggiori dimensioni, l’elevato numero di lavoratori che stanno lavorando con le modalità del lavoro agile, abbiamo avviato una intensa azione di sensibilizzazione verso il Ministero del Lavoro per trovare una soluzione che non mettesse in difficoltà le imprese, che molto difficilmente avrebbero potuto acquisire il consenso nelle forme previste dalla legge e rispettare il termine del 31 luglio per effettuare tutte le comunicazione secondo la procedura ordinaria.
Abbiamo più volte rappresentato come, anche sotto lo stretto profilo della prevenzione per la tutela della salute, la gestione semplificata dello smart work costituisca, così come riconosce anche il Protocollo del 14 marzo, una soluzione di natura prevenzionale che andrebbe facilitata e favorita anche nel periodo della ripresa, onde evitare che dopo il 31 luglio, data di cessazione del periodo di emergenza, la stessa funzione fosse compromessa. Il possibile rientro di un gran numero di lavoratori nelle aziende determinerebbe, infatti, notevoli problemi di gestione dei distanziamenti e del rigoroso rispetto di tutte le altre misure prevenzionali adottate dalle imprese.
A seguito dell’intenso confronto svolto con il Ministero del Lavoro ieri sera è stata pubblicata una nuova faq che accoglie le istanze di semplificazione avanzate da Confindustria.
Ecco il testo della faq:
SMART WORKING: COMUNICAZIONE
Come vanno effettuate le comunicazioni di smart working previste dall'articolo 90 del D.L. n. 34/2020, convertito con modificazioni nella Legge n. 77/2020?
L'articolo 90 del Decreto legge n. 34/2020 specifica che la modalità di lavoro agile può essere applicata dai datori di lavoro privati a ogni rapporto di lavoro subordinato anche in assenza degli accordi individuali, ovvero utilizzando la procedura "semplificata" attualmente in uso, e ciò sino alla fine dello stato di emergenza (attualmente fissata al 31 luglio 2020) e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2020. Pertanto, allo stato attuale, la procedura "semplificata" è utilizzabile sino al 31 luglio 2020.
Oltre la data del 31 luglio 2020, la comunicazione di cui all'articolo 23, comma 1 della Legge 22 maggio 2017, n. 81, sarà effettuata con i modelli predisposti dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (Modello per effettuare la comunicazione – Template per comunicare l'elenco dei lavoratori coinvolti) e l'accordo è detenuto dal datore di lavoro che dovrà esibirlo al Ministero, all'Inail e all'Ispettorato Nazionale del Lavoro per attività istituzionali di monitoraggio
In sostanza l’impresa si limiterà a raccogliere il consenso dei lavoratori alla prosecuzione dello svolgimento del loro lavoro in modalità agile nei modi più semplici ritenuti opportuni (ad esempio con uno scambio di mail – cfr in calce all. 1 con una bozza di mail che potrebbe essere utilizzata dalle imprese e liberamente adattata alle singole esigenze) purchè rimanga evidenza di tale acquisizione.
Successivamente l’impresa compilerà il modello predisposto dal Ministero nel quale si limiterà a dichiarare che è in possesso degli accordi individuali dei lavoratori elencati nel file allegato alla comunicazione e che si impegna ad esibirli per attività di monitoraggio e vigilanza.
All. 1
(Bozza di mail per acquisizione consenso lavoro agile)
(Carta intestata dell’impresa)
Caro collega,
in relazione all’evoluzione dell’emergenza sanitaria da Covid 19, l’Azienda sta realizzando il rientro graduale, progressivo e sicuro presso le sedi, nel rispetto delle norme prevenzionali di cui al Protocollo del…….
La Sua prestazione lavorativa in lavoro agile, salvo l’intervento di specifiche nuove norme di legge in materia, proseguirà nelle stesse forme e modalità attualmente in essere fino al ……..
E’ sempre salva ogni diversa comunicazione aziendale.
Qualora, invece, non volesse proseguire l’attività in lavoro agile, dovrà contattare immediatamente il proprio referente del personale, che valuterà la sua richiesta in coerenza con le disposizioni di legge e in relazione alle necessità organizzative dell’Azienda.
Con l’accettazione del contenuto della presente e-mail; che vorrà farci avere nel più breve tempo possibile e nelle stesse forme (e, comunque, fatta salva una sua diversa ma immediata indicazione al proprio referente del personale), si riterrà condivisa la prosecuzione dello smart working nei termini sopra indicati.
Con i migliori saluti
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Il 25 ottobre scorso, la Conferenza Stato-Regioni ha approvato, in sede tecnica, la bozza del nuovo Accordo Stato-Regioni sulla formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Il 7 novembre la Conferenza si pronuncerà definitivamente in sede politica.
Al fine di analizzare insieme gli elementi più salienti del nuovo accordo, organizziamo una riunione on line
venerdì 15 novembre 2024,
dalle ore 11.00 alle ore 13.00
L’evento è riservato alle Associazioni del sistema.
Il link per l'iscrizione all'evento è: https://confindustria.zoom.us/meeting/register/tZMtf-GurDsqHtfXUeGDY5LVZD6giZ82ysHm
In attesa di incontrarvi, inviamo i migliori saluti.
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Facendo seguito alle precedenti comunicazioni in tema di certificazione verde COVID-19, c.d. green pass, di seguito alcune considerazioni sulla interpretazione dell’obbligo di controllo formalizzata dal Governo attraverso la FAQ n. 12, disponibile al seguente link: https://www.governo.it/it/articolo/green-pass-faq-sui-dpcm-firmati-dal-presidente-draghi/18223.
La domanda posta nella FAQ è relativa all’interrogativo se il green pass rilasciato in seguito all’effettuazione di un tampone debba essere valido per tutta la durata dell’orario lavorativo.
La risposta del Governo è negativa, posto che “il green pass deve essere valido nel momento in cui il lavoratore effettua il primo accesso quotidiano alla sede di servizio e può scadere durante l’orario di lavoro, senza la necessità di allontanamento del suo possessore”.
L’obbligo di possesso ed esibizione a richiesta del green pass in corso di validità è disposto dalla legge “ai fini dell’accesso nel luogo di lavoro”) (DL n. 52/2021, art. 9-septies, commi 1, 6 e 8), per cui la Presidenza del Consiglio ha valorizzato tale aspetto formale e non la tutela sostanziale derivante dalla presenza in azienda di un lavoratore privo di green pass al momento del controllo.
La conseguenza è che i controlli a campione predisposti all’interno dei luoghi di lavoro potranno continuare a essere effettuati, tuttavia, il lavoratore trovato sprovvisto di green pass in corso di validità all’interno del luogo di lavoro, per evitare la sanzione, potrà dimostrare – attraverso la presentazione della data e ora di scadenza evidenziata nel green pass - che, al momento dell’accesso in quel luogo di lavoro, era in possesso del green pass valido, andando così esente da ogni tipo di sanzione (sia contrattuale, che amministrativa).
Anche in relazione a questa nuova impostazione, abbiamo anche richiesto un orientamento uniforme al Ministero dell’Interno sulle procedure di comunicazione delle violazioni alle Prefetture.
Cogliamo l’occasione per rendere noto che le linee guida in materia, emanate per il lavoro pubblico, sul punto[1] (v. nota), sostengono una tesi contrastante con quanto sostenuto da Confindustria (ma anche da eminenti autori) ossia che l’assenza ingiustificata permane tale fino alla presentazione del green pass (cfr. art. 3, comma 6, del d.l. n.127/2021) e, pertanto, “prevale” su altri “titoli”, intervenuti successivamente, che giustificherebbero l’assenza stessa.
Riteniamo di dover confermare comunque la posizione già espressa in quanto la legge appare chiara nel disporre che “per i giorni di assenza ingiustificata non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato”.
[1] Nel caso in cui l’accertamento sia svolto dopo l’accesso alla sede, a tappeto o a campione: il dirigente che ha svolto l’accertamento, se del caso attraverso il responsabile della struttura di appartenenza, dovrà intimare al lavoratore sprovvisto di certificazione valida, al momento del primo accesso al luogo di lavoro, di lasciare immediatamente il posto di lavoro e comunicare ai competenti uffici l’inizio dell’assenza ingiustificata che perdurerà fino alla esibizione della certificazione verde, includendo nel periodo di assenza anche le eventuali giornate festive o non lavorative. In questo caso, inoltre, dopo aver accertato l’accesso nella sede di lavoro senza certificazione, il dirigente competente sarà tenuto ad avviare anche la procedura sanzionatoria di cui all’articolo 9-quinquies del decreto-legge n. 52 del 2021 (che sarà irrogata dal Prefetto competente per territorio). Non è consentito, in alcun modo, che il lavoratore permanga nella struttura, anche a fini diversi, o che il medesimo sia adibito a lavoro agile in sostituzione della prestazione non eseguibile in presenza, ferma rimanendo la possibilità, per le giornate diverse da quella interessata, di fruire degli istituti contrattuali di assenza che prevedono comunque la corresponsione della retribuzione (malattia, visita medica, legge 104, congedo parentale…)
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Vi informiamo che, nella Gazzetta Ufficiale n. 176 del 29-07-2022, è stato pubblicato il d.lgs. 27 giugno 2022, n. 104 (c.d. Decreto trasparenza) che attua la Direttiva UE 2019/1152 relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell'Unione europea.
Il Decreto introduce nuovi obblighi informativi, posti a carico del datore di lavoro, sia per le nuove assunzioni (a partire dal 13 agosto) che per i contratti già in corso (entro 60 gg. dalla richiesta del lavoratore).
Seguiranno, nei prossimi giorni, ulteriori note di approfondimento.
Di seguito il link al Decreto
https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2022-07-29&atto.codiceRedazionale=22G00113&elenco30giorni=false
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Protocollo nazionale per la realizzazione dei piani aziendali finalizzati all’attivazione di punti straordinari di vaccinazione anti SARS-CoV-2/Covid-19 nei luoghi di lavoro
Indicazioni operative della fase di preparazione propedeutica all’avvio della procedura vaccinale
Attività delle Associazioni per la vaccinazione da parte delle aziende 28apr21.pdf|Visualizza dettagli
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Legge di bilancio per il 2021 Primo commento (14 gennaio)
Contratti a termine
La prima disposizione da commentare è l’art. 1, comma 279, della legge di bilancio per il 2021 (l. n. 178/2020) che si limita a prorogare al 31 marzo 2021 la disciplina dell’art. 93, comma 1, del d.l. n. 34/2020, convertito in l. n. 77/2020, come modificato dall’art. 8, comma 1, lett. a) del d.l. 104/2020, convertito in l. n. 126/2020.
La norma, in sostanza, conferma la possibilità di rinnovare o prorogare contratti a termine “senza causale” (in deroga all’articolo 21 del d. lgs n. 81/2015), per un periodo massimo di 12 mesi, ma sempre nel rispetto del principio della durata massima complessiva dei 24 mesi, e “per una sola volta”.
Il rinnovo o la proroga “acausale” è possibile fino al 31 marzo 2020, il che significa che la sottoscrizione del contratto a termine, rinnovato o prorogato, può avvenire entro il 31 marzo 2020 ma l’effetto di tale proroga o rinnovo si può estendere anche oltre tale data.(cfr., in nota, un estratto della nota INL del 16 settembre 2020 sull’analoga norma introdotta dall’art. 8, comma 1, lett. a) del d.l. 104/2020 convertito in l. n. 126/2020)[1].
Il rinnovo o la proroga, come si diceva, si può effettuare “per una sola volta” e, in caso di rinnovo, non occorre neppure rispettare l’intervallo tra un contratto a termine e l’altro (cfr. sempre la già citata nota dell’INL).
Dato che la legge dispone che proroga e rinnovo possano essere effettuati una sola volta, se ne deduce che questo regime “acausale” non tiene conto dei rapporti pregressi (salvo, ovviamente, delle proroghe o rinnovi eventualmente già effettuati in vigenza della precedente norma introdotta dall’art. 8, comma 1, lett. a) del d.l. 104/2020 convertito in l. n. 126/2020).
In tema di proroghe, poi, è noto che, secondo la disciplina generale (art. 21, comma 1, del d. lgs. n. 81 del 2015), nei primi 12 mesi si possono effettuare fino a quattro proroghe “acausali”. Pertanto, l’espressione “per una sola volta”, utilizzata nella disposizione in commento, se riferita alle proroghe, lascia intendere che il contenuto del “nuovo” art. 93 ha una sua valenza del tutto autonoma e peculiare, che prescinde, seppur in parte, dalla “disciplina generale” sui contratti a termine, quanto meno in ordine alla disciplina delle proroghe.
Dunque, posto che nell’art. 93, come “riformato” dal d.l. 104/2020, si parla espressamente di deroga all’art. 21, questa proroga non si conteggia tra le quattro previste nel citato comma 1 dell’art. 21.
Sempre in tema di contratti a termine va poi ricordato che deve ritenersi tuttora vigente, almeno fino al 31 marzo 2021, l’art. 19 bis del “Cura Italia” (d.l. n. 18 del 17 marzo 2020, convertito in l. n. 27/2020) ossia la “Norma di interpretazione autentica in materia di accesso agli ammortizzatori sociali e rinnovo dei contratti a termine”.
Questa norma, in deroga alla disciplina generale sui contratti a termine e sulla somministrazione a termine, consente “ai datori di lavoro che accedono agli ammortizzatori sociali di cui agli articoli da 19 a 22 del presente decreto” (ossia al regime di cassa integrazione COVID 19, o comunque riconducibili a tale evento), di prorogare o rinnovare contratti a tempo determinato o di somministrazione a termine, “nei termini ivi indicati” (ossia nei termini temporali individuati negli stessi artt. da 19 a 22 del decreto legge n.18/2020)
Orbene, dato che tutte le proroghe di vigenza della “cassa Covid” sono state effettuate apportando modifiche agli artt. da 19 a 22 del decreto legge n.18/2020, così come è avvenuto anche ora, in occasione dell’approvazione della legge di bilancio per il 2021 (l. n. 178/2020 – cfr. comma 299 e ss.) si ritiene che la disposizione dell’art. 19 bis sia tuttora vigente fino al 31 marzo 2021, in relazione ai trattamenti di cassa integrazione ordinaria, e fino al 30 giugno 2021 per i trattamenti di assegno ordinario e di cassa integrazione salariale in deroga, ossia fino al temine di efficacia degli interventi della cassa Covid (cfr. comma 300).
La disposizione appare particolarmente opportuna laddove il regime di cassa integrazione COVID 19, in molti casi, non è determinato da una libera scelta dell’impresa ma è conseguenza delle misure restrittive introdotte dal Governo per fronteggiare l’emergenza sanitaria.
In difetto di questa disposizione molte imprese dovrebbero interrompere il rapporto con personale già “sperimentato”, perdendo l’occasione di poterlo impiegare nuovamente al momento della ripresa produttiva.
La disposizione di legge non specifica se la durata della proroga o del rinnovo possa andare oltre il periodo previsto di cassa integrazione ma, venuto meno l’intervento dell’ammortizzatore, viene meno anche il divieto di ricorso alle forme di lavoro flessibili previsto dalla disciplina generale e, dunque, è ragionevole concludere che la durata dei contratti possa andare oltre il periodo della cassa integrazione.
La disposizione in esame deroga anche all’osservanza dell’intervallo tra un contratto e il successivo (il c.d. “stop and go”), che pertanto facilità l’utilizzo di questi contratti.
Resta, comunque, la necessità di apporre una delle “causali” di legge in ogni caso di rinnovo e nel caso in cui la proroga oltrepassi il limite dei 12 mesi di durata e sempre che non si utilizzi la disposizione, precedentemente commentata, ossia quella recata dall’art. 93, comma 1, del d.l. n. 34/2020, come successivamente modificato
Licenziamenti
I commi da 309 a 311 della legge di bilancio ripropongono la nota normativa sul “blocco” dei licenziamenti, sia individuali che collettivi, differendo il termine ultimo di efficacia al 31 marzo 2021.
Vengono anche confermate le eccezioni già espressamente previste dalla precedente normativa.
Oltre all’ipotesi del “cambio appalto”, nei termini già previsti dalla legge (ossia quando operano “clausole sociali” che assicurano la continuità “sostanziale” del rapporto), le eccezioni previste sono:
- nel caso di cessazione definitiva dell’attività di impresa, conseguente alla messa in liquidazione senza continuazione, neppure parziale, dell’attività: l’eccezione viene meno se, nel corso della liquidazione, si possa configurare una cessione di un complesso di beni o di attività tale da concretare l’ipotesi di un trasferimento d’impresa o di ramo di essa, ai sensi dell’art. 2112 Cod. Civ.;
- nel caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo d’impresa, è possibile procedere ai licenziamenti solo nei settori non interessati dall’esercizio provvisorio;
- ne caso di sottoscrizione di un accordo collettivo aziendale che preveda incentivi alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscano al predetto accordo. Viene espressamente previsto che a questi lavoratori viene riconosciuta la prestazione della Naspi. L’accordo aziendale va stipulato con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale e non deve avvenire a seguito dell’avvio di una procedura di licenziamento collettivo, peraltro ancora espressamente preclusa.
In sostanza i datori di lavoro concordano accordi aziendali “quadro” che prevedono condizioni di favore per la risoluzione del rapporto, risoluzione che è consigliabile avvenga nell’ambito di un accordo di conciliazione individuale con il singolo lavoratore interessato, conciliazione nella quale, oltre all’adesione del lavoratore all’accordo quadro con il riconoscimento dell’incentivo all’esodo, ben potranno essere definite tutte le eventuali questioni derivanti dal rapporto di lavoro intercorso.
Riteniamo particolarmente opportuno ricordare che la (eventuale) conciliazione che definisca anche la risoluzione del rapporto contenga una espressa rinuncia ad ogni diritto ed azione che riguardi il pregresso rapporto (naturalmente con una precisa individuazione dei diritti oggetto della conciliazione) nonché una rinuncia ad ogni diritto ed azione che riguardi anche la risoluzione del rapporto, compresa, per maggiore sicurezza, l’eventuale violazione della procedura dettata della legge 223 del 1991.
Va infine ricordato che in data 26 novembre l’inps ha pubblicato il messaggio n. 4464 contenente importanti chiarimenti in materia di accesso alla Naspi e risoluzione del rapporto di lavoro a seguito di accordo collettivo aziendale previsto dall’art. 14 comma 3 del DL n. 104/2020.
L’Inps ha ricordato che, nel tempo, sono state riconosciute ulteriori fattispecie di accesso alla Naspi che si differenziano dal licenziamento o dalla cessazione a seguito della scadenza del contratto a tempo determinato e ha fatto riferimento al DL n. 104 del 2020, che, appunto, ha aggiunto la fattispecie dell’accordo collettivo aziendale di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, che costituisce una delle ipotesi di deroga al divieto di licenziamenti collettivi ed individuali per GMO, attualmente vigente.
L’Inps ha ricordato che la norma ha carattere generale e si applica in tutti i casi di sottoscrizione degli accordi stipulati che riguardino o meno aziende che possano accedere ancora ai trattamenti di integrazione salariale riconducibili all'emergenza epidemiologica da COVID-19.
Il messaggio ha precisato, inoltre, che l’accesso alla Naspi per i lavoratori che aderiscono agli accordi citati è ammessa solo fino al termine della vigenza delle disposizioni che impongono il divieto dei licenziamenti collettivi e individuali per GMO. Vari commentatori avevano, invece, ipotizzato che l’accordo di risoluzione del rapporto si dovesse definire entro la data ultima prevista dalla legge ma che la decorrenza della risoluzione del rapporto sarebbe potuta avvenire, concretamente, anche in data successiva, fissata dall’accordo stesso.
In realtà la formulazione utilizzata, sul punto, dal messaggio in esame non sembra dare spazio a tale interpretazione, lasciando intendere che l’accesso alla Naspi non possa avere decorrenza diversa da quella del termine della vigenza delle disposizioni che impongono il divieto dei licenziamenti collettivi e individuali per GMO.
Per accedere alla Naspi i lavoratori sono tenuti, in sede di presentazione della domanda di Naspi, ad allegare l’accordo collettivo aziendale e – qualora l’adesione del lavoratore non si evinca dall’accordo, ma sia contenuta in altro documento diverso dallo stesso - la documentazione attestante l’adesione all’accordo stesso.
Infine, l’Inps ha confermato che anche i dirigenti, eventualmente aderenti agli accordi in commento, ove ricorrano gli altri presupposti di legge, possono accedere all’indennità Naspi.
AMMORTIZZATORI SOCIALI
Per quanto riguarda le disposizioni in materia di integrazione salariale, la legge n. 178 del 2020 all’art 1 proroga
- al comma 278, per gli anni 2021 e 2022, il trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria per cessazione, anche parziale, dell’attività per un periodo massimo complessivo di 12 mesi, alle medesime condizioni già previste all’articolo 44 del DL n. 109 del 2018;
- al comma 280, per il 2021, le misure di sostegno al reddito per i lavoratori dipendenti dalle imprese di call center;
- al comma 285, per il 2021 ed il 2022, il trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria per le imprese con rilevanza economico strategica anche a livello regionale che presentino rilevanti problematiche occupazionali, trattamento già previsto all’art 22 bis del d.lgs. n. 148/2015 ed alle medesime condizioni. La proroga consente il prolungamento di un precedente periodo di cigs per crisi, per riorganizzazione o per contratto di solidarietà al fine del completamento di piani di risanamento aziendale e di riorganizzazione particolarmente complessi, volti a garantire la prosecuzione dell’attività aziendale e di piani di recupero occupazionale diretti a garantire la continuità e la salvaguardia dell’occupazione ed a gestire gli esuberi.
- Al fine del completamento dei piani di recupero occupazionale, l’art. 1 comma 289 dispone lo stanziamento di nuove risorse per la concessione di un ulteriore intervento di integrazione salariale straordinaria, per un periodo massimo di 12 mesi, per le imprese operanti nelle aree di crisi industriale complessa, ai sensi di quanto già previsto dall’art. 44, comma 11 bis, del d.lgs. n. 148 del 2015.
Per quel che concerne gli ammortizzatori sociali COVID 19, la Legge di Bilancio, all’art. 1 comma 300, dispone che i datori di lavoro che sospendono o riducono l'attività lavorativa per eventi riconducibili al covid 19 possono richiedere cigo covid, assegno orinario covid e cig in deroga covid per un massimo di 12 settimane (cfr. commi da 299 a 305).
Le 12 settimane devono essere collocate nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2021 e il 31 marzo 2021 per i trattamenti di cassa integrazione ordinaria covid e nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2021 e il 30 giugno 2021 per i trattamenti di assegno ordinario covid e di cassa integrazione salariale in deroga covid.
Come nella precedente disciplina, i periodi di integrazione salariale precedentemente richiesti e autorizzati ai sensi dell'art. 12 del DL n. 137/2020, collocati, anche parzialmente, in periodi successivi al 1° gennaio 2021 sono imputati, ove autorizzati, alle nuove 12 settimane.
Le richieste per l’accesso ai trattamenti di integrazione salariale per covid 19 devono essere inoltrate all'INPS, a pena di decadenza, entro la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell'attività lavorativa. In fase di prima applicazione, il termine di decadenza è fissato entro la fine del mese successivo a quello di entrata in vigore della legge di Bilancio per il 2021.
I trattamenti di integrazione salariale per covid 19 sono riconosciuti anche in favore dei lavoratori assunti dopo il 25 marzo 2020 e, in ogni caso, in forza alla data di entrata della Legge di Bilancio (1.1.2021).
In caso di fruizione degli ammortizzatori sociali covid 19, non è più dovuto il versamento del contributo addizionale.
ESONERO CONTRIBUTIVO
La legge di Bilancio, all’art. 1 comma 306 prevede, altresì, che i datori di lavoro privati, con esclusione di quelli del settore agricolo, che non richiedono i trattamenti di integrazione salariale per covid 19, ferma restando l'aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche, possono richiedere l'esonero dal versamento dei contributi previdenziali a loro carico previsto dall’art. 3 del DL n. 104/2020, per un ulteriore periodo massimo di otto settimane, fruibili entro il 31 marzo 2021, nei limiti delle ore di integrazione salariale già fruite nei mesi di maggio e giugno 2020, con esclusione dei premi e dei contributi dovuti all'INAIL, riparametrato e applicato su base mensile. L'efficacia del beneficio è subordinata all'autorizzazione della Commissione europea.
CONTRATTO DI ESPANSIONE
L’art 1, comma 349, proroga per 2021 la possibilità di stipulare il contratto di espansione, apportando delle modifiche al testo dell’art. 41 del d.lgs. n. 148 del 2015.
Viene infatti disposto che solamente per il 2021 il limite minimo di unità lavorative in organico necessario per accedere al contratto di espansione non è più 1000 in quanto non può essere inferiore a 500 unità e, limitatamente agli effetti previsti dalla disposizione sull’accompagnamento a pensione (comma 5bis), a 250 unità, calcolate complessivamente nelle ipotesi di aggregazione di imprese stabile con un'unica finalità produttiva o di servizi.
Viene inoltre aggiunto il comma 5 bis che prevede che:
- per i lavoratori che si trovino a non più di 60 mesi dalla prima decorrenza utile della pensione di vecchiaia, che abbiano maturato il requisito minimo contributivo, o della pensione anticipata (ex art 24, comma 10, DL n. 201/2011), nell'ambito di accordi di non opposizione e previo esplicito consenso in forma scritta dei lavoratori interessati, il datore di lavoro riconosce per tutto il periodo e fino al raggiungimento della prima decorrenza utile del trattamento pensionistico, a fronte della risoluzione del rapporto di lavoro, un'indennità mensile, commisurata al trattamento pensionistico lordo maturato dal lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro, come determinato dall'INPS.
Se la prima decorrenza utile della pensione è quella prevista per la pensione anticipata, il datore di lavoro versa anche i contributi previdenziali utili al conseguimento del diritto.
Per l'intero periodo di spettanza teorica della Naspi al lavoratore, il versamento a carico del datore di lavoro per l'indennità mensile è ridotto di un importo equivalente alla somma della prestazione Naspi e il versamento a carico del datore di lavoro per i contributi previdenziali utili al conseguimento del diritto alla pensione anticipata è ridotto di un importo equivalente alla somma della contribuzione figurativa prevista per la Naspi (art. 12 d.lgs. n. 22/2015), fermi restando in ogni caso i criteri di computo della contribuzione figurativa.
- Per le imprese o gruppi di imprese con un organico superiore a 1.000 unità lavorative che attuino piani di riorganizzazione o di ristrutturazione di particolare rilevanza strategica, in linea con i programmi europei e che, all'atto dell'indicazione del numero dei lavoratori da assumere si impegnino ad effettuare almeno una assunzione per ogni tre lavoratori che abbiano prestato il consenso per l’accompagnamento, la riduzione dei versamenti a carico del datore di lavoro opera per ulteriori dodici mesi, per un importo calcolato sulla base dell'ultima mensilità di spettanza teorica della prestazione Naspi al lavoratore.
- Per dare attuazione al contratto di espansione, il datore di lavoro interessato presenta domanda all'INPS, accompagnata dalla presentazione di una fideiussione bancaria a garanzia della solvibilità dei relativi obblighi. Il datore di lavoro deve versare mensilmente all'INPS la provvista per la prestazione e per la contribuzione figurativa. In assenza del versamento mensile l'INPS è tenuto a non erogare le prestazioni.
SGRAVIO PER ASSUNZIONE GIOVANI
La legge di Bilancio, all’art 1, commi da 10 a 15, al fine di promuovere l’occupazione giovanile, riconosce per le nuove assunzioni a tempo indeterminato e per le trasformazioni dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato effettuate nel biennio 2021-2022, uno sgravio contributivo nella misura del 100%, per massimo 36 mesi, nel limite massimo di importo pari a 6.000 euro annui, per quei soggetti che alla data della prima assunzione incentivata non abbiano compiuto il trentaseiesimo anno di età. Resta ferma l'aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche.
Tale esonero è riconosciuto per un periodo massimo di 48 mesi ai datori di lavoro privati che effettuino assunzioni in una sede o unità produttiva ubicata nelle seguenti regioni: Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna.
L'esonero spetta ai datori di lavoro che non abbiano proceduto, nei sei mesi precedenti l'assunzione, né procedano, nei nove mesi successivi alla stessa, a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo ovvero a licenziamenti collettivi, nei confronti di lavoratori inquadrati con la medesima qualifica nella stessa unità produttiva.
L’efficacia del beneficio è subordinata all'autorizzazione della Commissione europea ed è concesso nei limiti e alle condizioni stabiliti dalla medesima Commissione con il Quadro temporaneo sugli aiuti di Stato.
SGRAVIO ASSUZIONE DONNE
All’art. 1 comma 16 viene previsto, in via sperimentale, un esonero contributivo nella misura del 100%, nel limite massimo di 6.000 euro annui, in caso di assunzioni di donne lavoratrici effettuate nel biennio 2021-2022.
Le assunzioni devono comportare un incremento occupazionale netto calcolato sulla base della differenza tra il numero dei lavoratori occupati rilevato in ciascun mese e il numero dei lavoratori mediamente occupati nei 12 precedenti. Per i dipendenti con contratto di lavoro a tempo parziale, il calcolo è ponderato in base al rapporto tra il numero delle ore pattuite e il numero delle ore che costituiscono l'orario normale di lavoro dei lavoratori a tempo pieno.
L’efficacia del beneficio è subordinata all'autorizzazione della Commissione europea ed è concesso nei limiti e alle condizioni stabiliti dalla medesima Commissione con il Quadro temporaneo sugli aiuti di Stato.
OPZIONE DONNA
L’art. 1 comma 336 prevede la proroga dell’anticipazione pensionistica c.d. “opzione donna”.
Entro il 31.12.2020 le interessate devono avere un'età pari 58 anni per le lavoratrici dipendenti (pubbliche e private) e pari a 59 anni per le autonome. Entro il 31.12.2020 bisogna anche aver maturato il requisito di 35 anni di contributi effettivi. Una volta raggiunti i requisiti entro il 2020, sarà necessario attendere 12 mesi di finestra per le lavoratrici dipendenti e 18 mesi per quelle autonome.
È bene rammentare che con la scelta dell’anticipazione pensionistica in questione c’è la conversione totale al metodo di calcolo contributivo.
APE SOCIALE
Anche l’Ape sociale viene prorogato per tutto il 2021 (art. 1 commi 339-340).
I requisiti necessari entro il 31.12.2021 sono:
- almeno 63 anni di età;
- almeno 30 anni di contributi o almeno 36 anni nel caso dei lavoratori c.d. “gravosi”, mentre per le lavoratrici madri vi è una agevolazione per ogni figlio pari a 12 mesi per un massimo di 2 anni di contributi;
- quattro i profili di tutela: 1) disoccupati per l’intera durata della Naspi, 2) care-giver conviventi per almeno 6 mesi di parenti o affini entro il 2° grado con disabilità grave, 3) lavoratori disabili con invalidità civile almeno pari al 74%, 4) addetti a mansioni gravose per almeno 6 anni negli ultimi 7 o 7 anni negli ultimi 10.
È presupposta la cessazione del rapporto di lavoro
L’ape sociale ha un valore mensile pari alla pensione maturata fino a un massimo di 1500 euro lordi mensili per 12 mesi.
INCENTIVO ALL’ESODO E ISOPENSIONE
L’art. 1, comma 145, proroga fino al 2023 la possibilità - già a partire da 7 anni di anticipo rispetto all’età pensionabile - di accesso alla c.d. “isopensione” introdotta dall’art 4 della l.n. 92/2012, (legge Fornero).
QUARANTENA E LAVORATORI FRAGILI
In base all’art. 1, comma 481 della legge di Bilancio, nel periodo che va dal 1° gennaio al 28 febbraio 2021 per i lavoratori c.d. fragili, (vale a dire immunodepressi, malati oncologici e con disabilità gravi identificati dall’art. 26 comma 2, del DL n. 18/2020) viene prorogata l’equiparazione - dal punto di vista del trattamento economico spettante - al ricovero ospedaliero del periodo di assenza dal servizio.
Come per i periodi fino al 15 ottobre 2020, anche i trattamenti economici relativi ai mesi di gennaio e febbraio sono posti a carico dello Stato.
Si evidenzia altresì che il comma 484 elimina la necessità che nel certificato medico siano indicati gli estremi del provvedimento che ha dato origine alla quarantena con sorveglianza attiva o alla permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva di cui all’art.26, comma 1 , del suddetto DL n.18.
[1] Nota INL prot n. 713 del 16 settembre 2020
Art. 8 – contratti a termine
La disposizione interviene sull’art. 93 del D.L. n. 34/2020 (conv. da L. n. 77/2020), modificando integralmente il primo comma e abrogando il comma 1 bis. Nello specifico si consente, fino al 31 dicembre 2020 ed in deroga all’art. 21 del D.Lgs. n. 81/2015, di prorogare o rinnovare contratti a tempo determinato per un periodo massimo di 12 mesi e per una sola volta, pursempre nel rispetto del termine di durata massima di 24 mesi, senza necessità delle causali di cui all’art. 19, comma 1, dello stesso D.Lgs. n. 81/2015. Sul punto, in ragione delle finalità espresse dal legislatore e della formulazione utilizzata, si ritiene che la disposizione permetta altresì la deroga alla disciplina sul numero massimo di proroghe e sul rispetto dei c.d. “periodi cuscinetto” contenuta nell’art. 21 del D.Lgs. n. 81/2015. Ne consegue che, laddove il rapporto sia stato già oggetto di quattro proroghe sarà comunque possibile prorogarne ulteriormente la durata per un periodo massimo di 12 mesi, così come sarà possibile rinnovarlo anche prima della scadenza del c.d. periodo cuscinetto, sempreché sia rispettata la durata massima di 24 mesi. La previsione di una durata massima di 12 mesi della proroga o del rinnovo “agevolato”, lascia altresì intendere che il termine del 31 dicembre p.v. sia riferito esclusivamente alla formalizzazione della stessa proroga o del rinnovo. La durata del rapporto potrà quindi protrarsi anche nel corso del 2021, fermo restando il limite complessivo dei 24 mesi. Occorre altresì chiarire che la disposizione, in quanto “sostitutiva” della disciplina previgente, consentirà di adottare la nuova proroga o il rinnovo “agevolato” anche qualora il medesimo rapporto di lavoro sia stato prorogato o rinnovato in applicazione del previgente art. 93 del D.L. n. 34/2020, pur sempre nel rispetto del limite di durata massima di 24 mesi. L’art. 8 abroga poi il comma 1 bis dell’art. 93, introdotto in sede di conversione del D.L. n. 34/2020 che prevedeva una proroga automatica dei contratti a termine in essere per un periodo equivalente alla sospensione dell’attività lavorativa causata dall’emergenza COVID-19 (cfr. nota INL n. 468 del 21 luglio u.s.). Al riguardo, si ritiene che la proroga automatica fruita nel periodo di vigenza della suddetta disposizione (18 luglio – 14 agosto) vada considerata “neutrale” in relazione al computo della durata massima di 24 mesi del contratto a tempo determinato anche ai fini di quanto disposto dal nuovo comma 1 dell’art. 93. Infine, va chiarito che il rinnovo del contratto a termine in deroga assistita ai sensi dell’art. 19, comma 3, del D.Lgs. n. 81/2015 oltre il termine di legge di 24 mesi o del diverso termine previsto dalla contrattazione collettiva resta subordinato al rispetto delle condizioni di cui agli articoli 19, comma 1 e 21 del D.Lgs. n. 81/2015 (cfr. INL nota prot. n. 8120/2019).
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Facciamo seguito alla nostra news del 9 settembre scorso con cui abbiamo dato notizia dell’avvenuta pubblicazione da parte del Ministero del lavoro delle FAQ riferite al rapporto periodico sulla situazione del personale maschile e femminile, il cui invio per il biennio 2020/2021 è previsto entro il prossimo 30 settembre.
Ci riferiamo, in particolare, alla FAQ numero 7 che fornisce indicazioni in ordine all’invio del rapporto alle sedi territoriali delle organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative sul piano nazionale in caso di mancata presenza in azienda delle Rsa e delle Rsu.
Riteniamo che le indicazioni fornite nella FAQ n. 7 esorbitino dal dettato della norma di cui all’articolo 46 del decreto legislativo n. 198 del 2006 (come modificato dalla legge n. 162 del 2021) perché la ricostruzione offerta nella FAQ, che muove dall’articolo 37 del citato d.lgs., appare non fondata, riferendosi l’articolo 37 espressamente al coinvolgimento delle associazioni locali aderenti alle organizzazioni sindacali allo scopo di chiedere all’autore della discriminazione di predisporre un piano di rimozione delle discriminazioni.
Il coinvolgimento delle associazioni locali da parte dei lavoratori è, dunque, previsto nel momento in cui si presuppone l’esistenza di discriminazioni e non può essere, a nostro avviso, richiesto all’atto dell’invio del rapporto periodico.
Per le ragioni dianzi esposte riteniamo che aziende che non abbiano al proprio interno né Rsa, né Rsu possano non inviare il rapporto periodico alle sedi territoriali delle organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative sul piano nazionale
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Pubblichiamo una nota sulle prime indicazioni sulle modifiche introdotte dal d.l. n.73/2021 (c.d. “Sostegni bis”) alla disciplina dei contratti a termine, anche a scopo di somministrazione
Prime indicazioni sulle modifiche introdotte dal d.l. n.732021 c.d. Sostegni bis alla disciplina dei contratti a termine, anche a scopo di somministrazione.pdf|Visualizza dettagli
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Premessa
Nel commentare il recente DPCM del 3 novembre 2020, unitamente alla connessa Ordinanza del Ministro della Salute, prendendo spunto dal tenore palesemente restrittivo del provvedimento e tenendo conto delle sollecitazioni provenienti dal sistema, si intende offrire anche un ulteriore percorso si sicurezza volto a mitigare il cd rischio da quarantena.
L’aggravamento della situazione, la presenza di un numero rilevante di soggetti positivi al virus ma asintomatici (ossia senza visibili segni di malattia ma contagiosi) e, quindi, la difficoltà di una loro individuazione tempestiva (con conseguente alto rischio di contagio), consigliano – e molte imprese lo stanno già facendo - di contrastare il rischio da quarantena, oggi particolarmente grave per l’impresa, soprattutto nel momento in cui la produzione è attiva e vi sono segnali di ripresa.
In sostanza, oggi più che in passato, l’impresa soggiace al rischio che, pur avendo rispettato le disposizioni in vigore (in particolare, distanziamento di almeno un metro, uso della mascherina, igienizzazione delle mani), un lavoratore risulti contagiato e, di conseguenza, l’Autorità sanitaria possa disporre, in tutto o in parte, la quarantena per i colleghi di lavoro, con conseguente blocco – totale o parziale - della produzione.
Poiché la quarantena dipende in gran parte dagli effetti del contact tracing, e quindi fa riferimento alla nozione di contatto stretto, la logica della precauzione interviene soprattutto ad evitare che possano verificarsi contatti stretti, nel senso indicato dal Rapporto n. 53/2020 dell’ISS.
Il DPCM 3 novembre 2020
Il DPCM del 3 novembre 2020 sostituisce il precedente del 24 ottobre e produce i propri effetti dal 6 novembre al 3 dicembre 2020.
Le disposizioni generali
L’articolo 1, conferma, nella struttura, il precedente ed è riferito alle misure di contenimento del contagio che valgono sull’intero territorio nazionale.
Si conferma espressamente l’applicazione dei protocolli di sicurezza, ribadendo l’obbligo di portare la mascherina in tutti i luoghi, sia al chiuso che all’aperto (e ferme le regole valide all’interno dei luoghi di lavoro secondo il Protocollo del 14 marzo 2020) e confermando l’obbligo del distanziamento di almeno un metro tra le persone.
Al comma 3 si introduce un limite agli spostamenti, che vale per tutto il territorio nazionale. Nell’arco temporale che va dalle 22.00 alle 5.00, vige un espresso divieto di spostamento, mentre per tutta la giornata vige la raccomandazione (non suscettibile di sanzione) di non spostarsi con mezzi pubblici o privati (così lasciando intendere che sia libero lo spostamento a piedi o in bicicletta). Sono previste differenti deroghe per le due ipotesi: rispetto al divieto, fanno eccezione i comprovati motivi lavorativi, oltre che quelli di salute e necessità mentre alla raccomandazione, oltre che i casi precedenti, fanno eccezione i motivi di studio o per svolgere attività o usufruire di servizi non sospesi.
A questo proposito, vista l’assenza di preclusioni agli spostamenti per motivi di lavoro, appare opportuno tornare a soffermarsi sul tema delle trasferte.
Alla luce dell’ultimo DPCM, gli spostamenti per motivi di lavoro sono espressamente consentiti, in deroga alle limitazioni, nazionali o internazionali, ed evidentemente salvi i divieti di recarsi in determinate zone e l’obbligo di quarantena al rientro. Nulla è modificato, sul punto, da recenti provvedimenti di legge né il DPCM introduce nuove discipline restrittive che impediscono le trasferte. Riteniamo, quindi, che – salvi gli aspetti di sanità e le relative procedure (quarantena) - non vi siano limitazioni alla trasferta, che il Protocollo aveva inserito il 14 marzo in considerazione del lockdown dell’epoca ed in considerazione di quella situazione critica. Anche allora, comunque, s’era fatta una distinzione sulla base delle motivazioni della trasferta, la cui limitazione riguardava quella parte di spostamenti non funzionali all’esercizio dell’attività stessa, ossia tali da precludere l’attività produttiva e gli aspetti ad essa strettamente inerenti. Per questo, non avrebbe senso consentire l’attività produttiva ma impedire la realizzazione o l’installazione di impianti, con le attività connesse di formazione, aggiornamento, manutenzione, riparazione, etc.
Nulla cambia, poi, per quanto riguarda l’uso delle mascherine, per la tipologia che è possibile utilizzare e per la sottolineatura che le forme prioritarie di cautela sono il distanziamento e l’igiene (costante ed accurata) delle mani e ad esse si aggiunge l’uso della mascherina, che resta comunque essenziale.
Il comma 9 richiama altre misure, già presenti nei precedenti DPCM. Nulla cambia per quanto riguarda la chiusura delle attività di convegnistica e congressuale (lett. o), da intendersi in senso ampio (“altri eventi”) (v. circolare del Ministero degli interni del 27 ottobre 2020). Lo stesso dicasi per la raccomandazione relativa allo svolgimento delle riunioni private solamente a distanza.
Su tutto il territorio nazionale, le scuole secondarie di secondo grado (i licei) svolgono attività didattica solamente a distanza (lett. s), salve specifiche eccezioni.
Alla medesima lettera s), in tema di formazione, il provvedimento – innovando al precedente – specifica che “i corsi di formazione pubblici e privati possono svolgersi solo con modalità a distanza”, lasciando così espressamente intendere che tutta la formazione, salve le eccezioni previste nella medesima lettera s), vada svolta a distanza. Per quanto riguarda la formazione in materia salute e sicurezza, per quanto questa rientri tra le ipotesi elencate nel testo (e, quindi, tra quelle che sembrerebbe possibile svolgere anche in presenza), a tutela del datore di lavoro e dei lavoratori riteniamo opportuno confermare quanto affermato nelle precedenti comunicazioni in ordine alla opportunità di verificare prima la possibilità di riprogrammare il corso e, in caso negativo, di tenerlo nelle modalità a distanza, lasciando l’ipotesi di formazione in presenza ad una soluzione residuale e limitata alle ipotesi nelle quali contenuti degli interventi e specifiche esigenze formative non ne consentano uno svolgimento adeguato se non in presenza.
Nel testo, poi, è ancora presente l’indicazione della possibilità di svolgere i corsi di formazione in materia di salute e sicurezza a condizione del rispetto del documento dell’Inail, mentre le regole per lo svolgimento dell’attività di formazione sono in realtà presenti nelle linee guida delle Regioni allegate al DPCM.
I percorsi per le competenze trasversali e per l'orientamento (DM 774 del 4 settembre 2019) sono consentiti, e possono essere svolti “nei casi in cui sia possibile garantire
il rispetto delle prescrizioni sanitarie e di sicurezza vigenti”.
Le disposizioni per le zone maggiormente a rischio
Con gli articoli 2 e 3 si introducono regimi differenziati per le regioni maggiormente a rischio (rischi 3 e 4, come previsti dal documento dell’ISS
“Prevenzione e risposta a COVID- 19; evoluzione della strategia e pianificazione nella fase di transizione per il periodo autunno invernale”).
Lo scenario 3, in particolare, è relativo ad una “situazione di trasmissibilità sostenuta e diffusa con rischi di tenuta del sistema sanitario nel medio periodo” ed il 4 alla più grave “situazione di trasmissibilità non controllata con criticità nella tenuta del sistema sanitario nel breve periodo”.
L’individuazione delle Regioni inserite in ciascuno dei tre scenari possibili è contenuta nell’Ordinanza del Ministro della salute del 4 novembre 2020 ed è suscettibile di modifica con ulteriori Ordinanze ovvero per effetto del permanere di una situazione critica per 14 giorni.
In base a tale provvedimento, in sintesi:
- nella zona cd rossa (relativa allo scenario 4, il più a rischio) sono inserite Calabria, Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta: a queste si applicano le misure nazionali (ove non sostituite da misure regionali più rigorose) e quelle previste dall’articolo 3 del DPCM;
- nella zona cd arancione (corrispondente allo scenario 3, di rischio medio-alto), Puglia e Sicilia: a queste si applicano le misure nazionali (ove non sostituite da misure regionali più rigorose) e quelle previste dall’articolo 2 del DPCM;
- le restanti regioni restano inserite nella zona cd gialla, nella quale si applicano esclusivamente le disposizioni di portata nazionale.
Il DPCM prevede la possibilità di derogare a tale Ordinanza con altre specifiche Ordinanze del medesimo Ministro della Salute, adottate d’intesa con il Presidente della Regione, volte a mitigare gli effetti delle prime con riferimento ad eventuali specificità locali. Nulla si dice in ordine alla possibilità, per le Autorità sanitarie locali, di prevedere modifiche più restrittive.
Secondo l’articolo 2, nello scenario 3 (rischio medio-alto, riferito a Puglia e Sicilia), si applicano i divieti di entrata ed uscita (relativi sia alla Regione che al comune di domicilio, abitazione o residenza), di spostamento con mezzi pubblici e privati fuori dal comune di residenza, domicilio o abitazione: sono espressamente fatte salve le esigenze lavorative, di necessità, di salute, per svolgere la didattica in presenza o per tornare alla propria residenza, domicilio o dimora o per usufruire dei servizi o delle attività consentite. Sono sospese le attività di ristorazione (salve alcune eccezioni).
Secondo l’articolo 3, relativo al più grave scenario 4 (rischio alto, Calabria, Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta) si applicano il divieto di entrata ed uscita dai territori, sempre salve le esigenze lavorative, necessità, salute, didattica in presenza (in questo caso, a differenza del precedente art. 2, non né prevista la deroga per l’accesso alle attività consentite). Sono sospese le attività commerciali al dettaglio (sia per gli esercizi di vicinato sia nelle medie e grandi strutture di vendita[1]) e la ristorazione (in entrambi i casi, salve alcune eccezioni). Per quanto riguarda l’istruzione, solamente la scuola dell’infanzia, la primaria e la prima classe della secondaria di primo grado si svolgono in presenza (salve alcune eccezioni).
Nelle pubbliche amministrazioni, la presenza del personale negli uffici è limitata alle attività ritenute indifferibili e che richiedono necessariamente la presenza, anche per la gestione dell’emergenza. Il provvedimento specifica che “il personale non in presenza presta la propria attività lavorativa in modalità agile”.
L’articolo 4 – corrispondente all’articolo 2 dei procedenti DPCM - è relativo alle attività produttive industriali e commerciali, e resta invariato: si conferma, quindi, che la regolamentazione in tali ambiti continua ad essere assicurata dai Protocolli, senza alcuna deroga.
La norma in commento va coordinata con le previsioni limitative degli articoli 2 e 3. Le attività industriali rispondono, sull’intero territorio nazionale, al rispetto del Protocollo del 14 marzo 2020 o a quelli analoghi di settore. Gli articoli 2 e 3, nel prevedere misure più restrittive, non fanno mai alcun riferimento al tema dell’attività industriale.
Lo stesso sembra non potersi sostenere con riferimento alle attività commerciali, in quanto se ne prevede espressamente la limitazione negli articoli 2 e 3.
L’articolo 5, nell’individuare alcune misure generalizzate di sicurezza da valere sull’intero territorio nazionale, si occupa dello smart work per le pubbliche amministrazioni (che deve essere assicurato nelle “percentuali più elevate possibili” e comunque nella misura del 50%, considerate le potenzialità organizzative e salva l’effettività del servizio). Per i datori di lavoro privati, la disposizione raccomanda fortemente l’utilizzo delle modalità di lavoro agile, secondo le previsioni del DL 34/2020 e dei protocolli. Si ricorda che il Protocollo del 14 marzo 2020 prevede espressamente che “il lavoro a distanza continua ad essere favorito anche nella fase di progressiva riattivazione del lavoro in quanto utile e modulabile strumento di prevenzione”.
Gli articoli da 6 a 8 confermano il regime degli spostamenti da e verso l’estero. Anche a questo proposito, con riferimento alle trasferte, si evidenzia che tra le deroghe al divieto di spostamento ci sono le esigenze lavorative.
In particolare (comma 5, lett. c), per l’ipotesi delle persone che fanno ingresso dall’estero e sono sottoposte a sorveglianza sanitaria e isolamento fiduciario, con obbligo di sottoporsi a test molecolare o antigenico, si conferma la previsione secondo cui “in caso di necessità di certificazione ai fini INPS per l'assenza dal lavoro, si procede a rilasciare una dichiarazione indirizzata all'INPS, al datore di lavoro e al medico di medicina generale o al pediatra di libera scelta in cui si dichiara che per motivi di sanità pubblica è stato posto in quarantena precauzionale, specificandone la data di inizio e fine”.
Si tratta di una previsione che Confindustria ha da sempre chiesto di estendere a tutte le ipotesi di quarantena (a prescindere dall’ipotesi di rientro dall’estero) al fine di consentire al datore di lavoro di conoscere tempestivamente la condizione sanitaria dei lavoratori (distinguendo la malattia dalla quarantena) e che è prevista anche in Ordinanze locali (es. Ordinanza del Presidente della Regione Lazio del 26 febbraio 2020), ma non risulta mai applicata.
A questo proposito, evidenziamo che Confindustria ha proposto un apposito emendamento (attualmente all’esame del Senato) per consentire al datore di lavoro di distinguere tra certificato di malattia e certificato medico di quarantena e poter gestire il lavoratore, sul piano del rapporto di lavoro e su quello previdenziale (Inps e Inail) e della sicurezza (per sapere se può lavorare in smart work).
Per il resto, il provvedimento ricalca i precedenti (recependo le ordinanze del Ministero della salute che semplificano, attraverso l’effettuazione dei tamponi, le procedure di rientro da alcuni Paesi).
Il rafforzamento delle tutele per lavoratori e datori di lavoro
Come è evidente, la situazione pandemica in Italia e nel mondo va aggravandosi, tanto da rendere difficile il tracciamento dei casi, il principale strumento di conoscenza e prevenzione della diffusione esponenziale del contagio.
Nel ricordare che il distanziamento è la principale misura di sicurezza (cui si aggiungono sempre e comunque l’uso della mascherina e l’igiene personale), è nota la discrasia tra le previsioni di legge, dei DPCM e dei Protocolli (che fissano in un metro la corretta distanza minima da mantenere) e il sistema del contact tracing, fondato sulla nozione di “contatto stretto” previsto dal Rapporto n. 53/2020 dell’ISS.
In particolare, secondo questo documento, per contatto stretto di intende
- una persona che vive nella stessa casa di un caso di COVID-19
- una persona che ha avuto un contatto fisico diretto con un caso di COVID-19 (es. la stretta di mano)
- una persona che ha avuto un contatto diretto non protetto con le secrezioni di un caso di COVID-19 (es. toccare a mani nude fazzoletti di carta usati)
- una persona che ha avuto un contatto diretto (faccia a faccia) con un caso di COVID-19, a distanza minore di 2 metri e di durata maggiore a 15 minuti
- una persona che si è trovata in un ambiente chiuso (es. aula, sala riunioni, sala d’attesa dell’ospedale) con un caso di COVID-19, in assenza di DPI idonei
- un operatore sanitario od altra persona che fornisce assistenza diretta ad un caso di COVID19 oppure personale di laboratorio addetto alla manipolazione di campioni di un caso di COVID-19 senza l’impiego dei DPI raccomandati o mediante l’utilizzo di DPI non idonei
- una persona che ha viaggiato seduta in treno, aereo o qualsiasi altro mezzo di trasporto entro due posti in qualsiasi direzione rispetto a un caso COVID-19; sono contatti stretti anche i compagni di viaggio e il personale addetto alla sezione dell’aereo/treno dove il caso indice era seduto.
Rilevano, in particolare, le ipotesi del contatto a distanza inferiore di 2 metri per più di 15 minuti, faccia a faccia e la compresenza in ambiente chiuso senza mascherina.
Il rispetto della legge (o dei DPCM e dei Protocolli) è finalizzato a garantire distanze che sono ritenute adeguate nel contemperamento con le esigenze lavorative, mentre il concetto di contatto stretto è maggiormente cautelativo in quanto finalizzato a riscontrare il maggior numero di soggetti coinvolti, soprattutto se asintomatici.
Ne consegue che l’azienda, pur avendo rispettato pienamente il dettato normativo, potrebbe andare incontro ad un coinvolgimento nel contact tracing (per la presenza di contatti stretti secondo il documento ISS) con conseguente potenziale adozione di misure di quarantena (individuale o collettiva) da parte delle Autorità sanitarie, con evidenti riflessi negativi sull’operatività.
Dunque, la quarantena diviene un rischio da prendere in considerazione e, se del caso, da mitigare con misure cautelative maggiori rispetto a quelle previste nelle disposizioni di legge e nei protocolli.
Molte aziende stanno già applicando – ove possibile - misure restrittive, dirette a precludere il concreto verificarsi di ipotesi di contatti stretti.
Tra le misure finalizzate a prevenire possibili provvedimenti di quarantena, dunque, si potrebbe pensare, ad esempio:
- adottare un sistema aziendale di monitoraggio continuo mediante la periodica somministrazione di tamponi antigenici rapidi (o, quando saranno disponibili, tamponi salivari) a tutti i lavoratori presenti in azienda, in modo da tenere sotto controllo la presenza e la diffusione del virus, prevenendo possibili contagi. Un investimento sicuramente oneroso, ma concreto strumento di prevenzione e testimone dell’impegno nel collaborare alla riduzione della circolazione del virus (in ambito aziendale ma anche sociale)
- laddove possibile, tarare l’organizzazione aziendale, per la parte del lavoro in presenza, in modo da prevenire il contatto stretto (e non solamente il rispetto del metro di distanza). In questo senso, si potrebbe pensare di:
- ampliare a due metri il distanziamento tra le persone/postazioni di lavoro ovvero (o in aggiunta) organizzare la disposizione dei posti di lavoro evitando il contatto “faccia a faccia”
- disporre l’uso permanente della mascherina chirurgica, anche nei luoghi di lavoro (es. open spaces) che non sono spazi comuni
- per le ipotesi maggiormente a rischio (contatti continuativi ravvicinati) prevedere l’uso dei DPI (mascherine FFP2).
Queste misure si aggiungono a quelle consuete (evitare contatti fisici o contatti diretti non protetti con le secrezioni di un caso COVID19) e a quelle più generali (igiene personale delle mani, degli ambienti e delle attrezzature, areazione dei locali).
Con il rispetto di queste misure, si riduce la potenzialità che si verifichino “contatti stretti” e, ancor prima, si riduce notevolmente la possibilità di diffusione del contagio.
[1] Dlgs 31 marzo 1998, n. 114 – Riforma della disciplina relativa al settore del commercio
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PNRR - Pubblicato l’Avviso pubblico per la formazione di un elenco degli organismi di certificazione accreditati per lo schema di certificazione della parità di genere
E' stato pubblicato , il 14 febbraio scorso, nel sito del Dipartimento Pari Opportunità un Avviso pubblico per la formazione di un elenco degli organismi di certificazione accreditati per lo schema di certificazione della parità di genere UNI/Pdr 125:2022, interessati ad aderire alla misura di agevolazione a favore delle PMI prevista dal PNRR (Missione 5 "Inclusione e coesione", Componente 1 "Politiche attive del lavoro e sostegno all'occupazione", Investimento 1.3 "Sistema di certificazione della parità di genere").
L'Avviso pubblico è volto a dare attuazione ai seguenti obiettivi della Missione 5:
- Obiettivo M5C1-13: ottenimento della certificazione della parità di genere da parte di almeno 800 imprese (di cui almeno 450 PMI), entro il secondo trimestre 2026. Per l’ottenimento della certificazione sono previsti contributi a copertura dei costi della certificazione per le PMI. I contributi, fino ad un massimo di 12.500,00 al lordo di IVA per ciascuna impresa, sono articolati per fasce di grandezza delle stesse in base alla dimensione occupazionale. La dotazione complessiva destinata a finanziare i costi della certificazione della parità di genere delle PMI è pari a 5.5 milioni di Euro;
- Obiettivo M5C1-14: ottenimento della certificazione della parità di genere da parte di almeno 1000 imprese sostenute attraverso l’assistenza tecnica, entro il secondo trimestre 2026. La dotazione complessiva destinata a finanziare l'assistenza tecnica è pari a 2,5 milioni di Euro. Per l’assistenza tecnica sono previsti contributi sotto forma di servizi di tutoraggio e di supporto tecnico-gestionale erogati alle PMI.
Per far sì che le PMI possano beneficiare dei contributi destinati alla copertura dei costi della certificazione e dell'assistenza tecnica sotto forma di servizi di tutoraggio e di supporto tecnico-gestionale, si dà luogo prima (con l'Avviso pubblico del 14 febbraio scorso) alla formazione di un elenco degli organismi di certificazione accreditati e poi ad un secondo Avviso (non ancora pubblicato) per l'erogazione dei servizi di assistenza tecnica e di accompagnamento alla certificazione delle PMI e dei contributi per i costi di certificazione della parità di genere alle PMI.
L'iscrizione nell'elenco degli organismi di certificazione ha validità fino al 30 giugno 2026.
Unioncamere - Assistenza tecnica e di accompagnamento
Soggetto attuatore dell'Avviso pubblico in commento (per la formazione di un Elenco degli Organismi di Certificazione accreditati) è Unioncamere con cui il Dipartimento Pari Opportunità ha sottoscritto il 15 settembre scorso un accordo.
Unioncamere presterà, altresì, servizi di assistenza tecnica e di accompagnamento alle imprese che li richiederanno attraverso domanda di partecipazione ad un secondo Avviso che deve essere ancora pubblicato.
Nello svolgimento delle attività di assistenza tecnica e di accompagnamento, è prevista - tra l'altro - la realizzazione di incontri da remoto con esperte/i.
Referenti all'interno del Sistema Confindustria
A questo fine sarebbe particolarmente utile prima della pubblicazione del secondo Avviso che darà la possibilità alle PMI di richiedere il finanziamento dei costi legati alla certificazione di genere, nonché l'assistenza tecnica e di accompagnamento prestata da Unioncamere, individuare in ciascuna Associazione aderente a Confindustria un Referente al fine di poter costruire all'interno del Sistema Confindustria una Rete della certificazione di genere che possa affiancare le imprese nell'interlocuzione con il Sistema Camerale .
La comunicazione del nominativo del Referente individuato dall’Associazione può essere trasmessa a [email protected].
Criteri che regoleranno l'erogazione dei benefici a favore delle PMI
Di seguito si forniscono alcune indicazioni in ordine ai criteri che regoleranno l'erogazione dei benefici a favore delle PMI per l'ottenimento della certificazione di genere, secondo quanto stabilito nell'Avviso destinato alla creazione di un elenco di organismi di certificazione (come ricordato, già pubblicato nel sito del Dipartimento Pari Opportunità).
Costi ammissibili
Sono ammissibili e rimborsabili i soli costi per i servizi resi dall'organismo di certificazione per il rilascio della prima certificazione a favore di una PMI entro i limiti definiti e relativamente alle seguenti voci:
- esame della domanda;
- verifica documentale;
- verifica in sede e osservazione diretta dell'attività dell'organizzazione certificata;
- rilascio del certificato.
Non sono ammissibili e rimborsabili:
- i costi per i servizi resi dall'organismo di certificazione in caso di mancato rilascio della certificazione alla PMI. IIn questo caso, i costi devono essere sostenuti interamente dall'impresa;
- i costi per lo svolgimento di altri servizi resi dagli organismi di certificazione (es. pre-audit, di audit supplementari, di sorveglianza annuale e di rinnovo).
Obblighi dei soggetti (Odc) ammissibili
I soggetti ammissibili ed inseriti nell’ “Elenco degli organismi di certificazione” sono obbligati a:
a) formalizzare un preventivo alle PMI contenente almeno:
- la durata dell’audit per il rilascio della certificazione;
- la tariffa per ogni giornata di audit comprensiva di tutti gli oneri (spese per trasferte, attivazione della pratica, emissione del certificato, ecc.);
- le condizioni necessarie per ottenere l’agevolazione (ottenimento della certificazione).
b) specificare nel contratto con le PMI:
- l’identificativo del contributo assegnato all’impresa;
- le eventuali spese non coperte dai contributi previsti, ai sensi dell'Avviso diretto alla costituzione di un elenco di organismi di certificazione, che rimarranno a carico delle PMI beneficiarie.
Modified on by Lucia Scorza ADBEF64C-F136-2C30-4125-66E2005E805C [email protected]
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E’ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il Decreto Ministeriale sulla patente a crediti prevista dall’art. 27 del Dlgs 81/2008.
Al fine di condividere prime riflessioni sul testo, organizziamo un incontro su Teams per il giorno
25 settembre 2024, ore 9:30.
L’ incontro, riservato alle Associazioni, sarà seguito da altri incontri di approfondimento sulla base di ulteriori indicazioni
che dovessero pervenire dalle Istituzioni competenti.
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Con riferimento all’attuale situazione meteorologica di estremo caldo, il Ministero del lavoro, sollecitato dal sindacato, ha tenuto ieri una riunione con le parti sociali, Inl, Inps, Inail e Ministero della salute.
La Ministra Calderone, nel ravvisare l’esigenza di azioni a tutela della salute dei lavoratori, anche attraverso l’aggiornamento della normativa o la conclusione di accordi aziendali e protocolli tra le parti sociali, ha raccolto istanze e sollecitazioni in merito.
Il sindacato ha chiesto interventi di semplificazione in vista di una maggior flessibilità nel ricorso alla cassa integrazione (computo ad ore, neutralizzazione dei periodi dal tetto delle 52 settimane, semplificazione della prova) e misure in tema di prevenzione (tra le quali anche interventi sull'organizzazione del lavoro, eventualmente sulla base di accordi aziendali, sempre nella logica di attribuire alle aziende oneri ed obblighi di tutela, valutazione dei rischi e sorveglianza sanitaria).
Le parti datoriali hanno evidenziato la necessità di semplificare il ricorso alla CIGO (analogamente al sindacato) ma hanno sottolineato l'esistenza di tutti gli elementi utili in tema di prevenzione e, quindi, l’assenza della necessità di ulteriori interventi. In particolare, è stato raccomandato di non far gravare sull'impresa alcun profilo di responsabilità (sia in termini di obblighi ulteriori che di impropria colpevolizzazione) in relazione alla situazione emergenziale.
L'Ispettorato nazionale del lavoro ha ricordato la propria nota n. 5056 del 13 luglio scorso, nella quale ripercorre tutti gli strumenti a disposizione delle imprese per gestire la situazione di caldo (in termini di ricorso alla CIGO e di linee guida dell'Inail, riprese dallo studio Worklimate) e l'indicazione agli ispettori in merito alla verifica della considerazione e gestione del tema nel documento di valutazione dei rischi.
L'Inps ha rammentato il proprio messaggio n. 2729 del 20 luglio con il quale richiama gli elementi necessari per la richiesta di integrazione salariale per eventi meteo.
L'Inail ha ricordato le note emanate in passato ed ancora attuali relative al tema dello stress termico.
Il Ministero della salute ha indicato il proprio decalogo sulle misure da adottare per proteggersi dal caldo.
Lunedì prossimo si terrà una ulteriore riunione in merito, della quale daremo tempestivo riscontro.
In ogni caso, a prescindere dagli esiti dell'iniziativa, raccomandiamo particolare attenzione alle condizioni di sicurezza per i lavori svolti all’aperto e in orari centrali della giornata, rinviando a tutti gli strumenti sopra richiamati.
Evidenziamo che in nessuna parte dei documenti si fa riferimento al tema della sorveglianza sanitaria, profilo potenzialmente connesso alla recente normativa introdotta dal DL 48/2023, che prevede la nomina del medico competente in connessione con la valutazione dei rischi.
Riteniamo, in particolare, che il mancato richiamo dell’organo di vigilanza alla sorveglianza sanitaria (osservazione che vale anche per il documento dell’Inail e per il documento dell’OSHA) confermi il fatto che – contrariamente a quanto ritenuto da alcuni - la norma sopra richiamata non introduce una ulteriore fattispecie di obbligo di sorveglianza sanitaria, quale potrebbe essere quello del rischio da caldo.
Sottolineiamo, ancora una volta, che la nota dell’INL richiama espressamente il Documento di valutazione dei rischi (ed il Piano operativo di sicurezza) come parametro di giudizio della corretta gestione del rischio derivante dalle alte temperature.
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Pervengono numerosi quesiti in ordine al comportamento da tenere nei confronti dei lavoratori, ad esempio nelle ipotesi di contatto con persone che sono risultate positive al COVID19 (es., colleghi di lavoro del lavoratore risultato positivo) ovvero che sono entrate a contatto (anche come conviventi) con persone a loro volta entrate in contatto con persone positive al COVID19 (è il caso, ad esempio, dei conviventi del lavoratore in quarantena per essere contatto stretto del collega risultato positivo al COVID19).
In questi ed in altri casi similari occorre seguire, ovviamente, esclusivamente le indicazioni del medico di base e delle autorità sanitarie, senza adottare misure che potrebbero anche influire negativamente sui percorsi definiti dalle autorità sanitarie. Appare ovviamente essenziale il concorso del medico competente.
È altresì utile conoscere quale uso verrà fatto dei tamponi e quale sarà il percorso delle quarantene e degli isolamenti, anche al fine di programmare il rientro del lavoratore, tenendo conto della previsione del Protocollo del 14 marzo 2020, che disciplina le modalità del rientro in azienda del lavoratore risultato positivo al COVID19.
A questo proposito, evidenziamo alcuni recenti documenti ufficiali ai quali fare riferimento, anche solamente per conoscere quali sono le iniziative ed i percorsi che saranno adottate dalle autorità sanitarie.
- Quarantena e malattia
In primo luogo, appare utile richiamare innanzitutto il Messaggio dell’Inps n. 3653 del 9 ottobre 2020, che consente di operare la distinzione tra quarantena (che sussiste nelle ipotesi previste dall’art. 26, comma 1, del DL n. 18/2020[1] ) e malattia (che sussiste nell’ipotesi prevista dall’art. 26, comma 6[2]).
La quarantena è prevista nelle quattro ipotesi previste dall’art. 26, comma 1 del DL n. 18/2020:
- Art. 1, comma 2, lettere h) e i) del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13:
“h) applicazione della misura della quarantena con sorveglianza attiva agli individui che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva;
“i) previsione dell'obbligo da parte degli individui che hanno fatto ingresso in Italia da zone a rischio epidemiologico”
- Art. 1, comma 2, lettere d) ed e), del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19
- d) applicazione della misura della quarantena precauzionale ai soggetti che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva o che entrano nel territorio nazionale da aree ubicate al di fuori del territorio italiano;
“e) divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena, applicata dal sindaco quale autorità sanitaria locale, perché risultate positive al virus”
A questo proposito, si richiama la circolare del Ministero della salute del 12 ottobre 2020 (che verrà commentata a breve) dove evidenzia che la quarantena “si riferisce alla restrizione dei movimenti di persone sane per la durata del periodo di incubazione”.
- Caso e contatto
Il secondo elemento utile è la declinazione delle ipotesi di “caso” e di “contatto”, che può essere rinvenuta nel Rapporto ISS COVID-19 n. 53/2020 - Guida per la ricerca e gestione dei contatti (contact tracing) dei casi di COVID-19. Versione del 25 giugno 2020
In estrema sintesi, occorre distinguere tra “caso” (sospetto, probabile, confermato) e “contatti” (stretto o casuale) secondo le seguenti schematiche indicazioni:
CASO SOSPETTO
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Una persona con infezione respiratoria acuta (insorgenza improvvisa di almeno uno tra i seguenti segni e sintomi: febbre, tosse e dispnea) E senza un’altra eziologia che spieghi pienamente la presentazione clinica E storia di viaggi o residenza in un Paese/area in cui è segnalata trasmissione locale durante i 14 giorni precedenti l’insorgenza dei sintomi;
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Una persona con una qualsiasi infezione respiratoria acuta E che è stata a stretto contatto con un caso probabile o confermato di COVID-19 nei 14 giorni precedenti l’insorgenza dei sintomi;
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Una persona con infezione respiratoria acuta grave (febbre e almeno un segno/sintomo di malattia respiratoria – es. tosse, dispnea) E che richieda il ricovero ospedaliero (Severe Acute Respiratory Infection, SARI) E senza un’altra eziologia che spieghi pienamente la presentazione clinica.
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CASO PROBABILE
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Un caso sospetto il cui risultato del test per SARS-CoV-2 è dubbio o inconcludente utilizzando protocolli specifici di Real Time PCR per SARS-CoV-2 presso i Laboratori di Riferimento Regionali individuati o è positivo utilizzando un test pan-coronavirus.
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CASO CONFERMATO
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Un caso con una conferma di laboratorio per infezione da SARS-CoV-2, effettuata presso il laboratorio di riferimento nazionale dell’Istituto Superiore di Sanità o da laboratori Regionali di Riferimento, indipendentemente dai segni e dai sintomi clinici.
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CONTATTO - DEFINIZIONE
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Un contatto di un caso COVID-19 è qualsiasi persona esposta ad un caso probabile o confermato di COVID-19 in un lasso di tempo che va da 48 ore prima a 14 giorni dopo l’insorgenza dei sintomi nel caso (o fino al momento della diagnosi e dell’isolamento). Se il caso non presenta sintomi, si definisce contatto una persona esposta da 48 ore prima fino a 14 giorni dopo la raccolta del campione positivo del caso (o fino al momento della diagnosi e dell’isolamento) (10).
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CONTATTO STRETTO
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- una persona che vive nella stessa casa di un caso di COVID-19
- una persona che ha avuto un contatto fisico diretto con un caso di COVID-19 (es. la stretta di mano)
- una persona che ha avuto un contatto diretto non protetto con le secrezioni di un caso di COVID-19 (es. toccare a mani nude fazzoletti di carta usati)
- una persona che ha avuto un contatto diretto (faccia a faccia) con un caso di COVID-19, a distanza minore di 2 metri e di durata maggiore a 15 minuti
- una persona che si è trovata in un ambiente chiuso (es. aula, sala riunioni, sala d’attesa dell’ospedale) con un caso di COVID-19, in assenza di DPI idonei
- un operatore sanitario od altra persona che fornisce assistenza diretta ad un caso di COVID19 oppure personale di laboratorio addetto alla manipolazione di campioni di un caso di COVID-19 senza l’impiego dei DPI raccomandati o mediante l’utilizzo di DPI non idonei
- una persona che ha viaggiato seduta in treno, aereo o qualsiasi altro mezzo di trasporto entro due posti in qualsiasi direzione rispetto a un caso COVID-19; sono contatti stretti anche i compagni di viaggio e il personale addetto alla sezione dell’aereo/treno dove il caso indice era seduto.
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CONTATTO CASUALE
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Qualsiasi persona esposta al caso, che non soddisfa i criteri per un contatto stretto.
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- Trattamento dei casi e dei contatti
È quindi utile aver presenti le definizioni fondamentali ed il trattamento dei casi, individuabili nella recente circolare del Ministero della salute “COVID-19: indicazioni per la durata ed il termine dell’isolamento e della quarantena.”
Rinviando ovviamente alla lettura della circolare, si possono evidenziare le definizioni delle differenti situazioni nelle quali si può venire a trovare la persona e i conseguenti comportamenti delle autorità sanitarie.
- Isolamento dei casi di documentata infezione da SARS-CoV-2: separazione delle persone infette dal resto della comunità per la durata del periodo di contagiosità, in ambiente e condizioni tali da prevenire la trasmissione dell’infezione.
- Quarantena: si riferisce alla restrizione dei movimenti di persone sane per la durata del periodo di incubazione, ma che potrebbero essere state esposte ad un agente infettivo o ad una malattia contagiosa, con l’obiettivo di monitorare l’eventuale comparsa di sintomi e identificare tempestivamente nuovi casi.
La circolare del Ministero della salute conferma che i lavoratori in quarantena sono “sani” ma che potrebbero evidenziare la comparsa di sintomi (nel qual caso diverrebbero malati).
- Casi positivi asintomatici: persone asintomatiche risultate positive alla ricerca di SARS-CoV-2, possono rientrare in comunità dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa della positività, al termine del quale risulti eseguito un test molecolare con risultato negativo (10 giorni + test).
- Casi positivi sintomatici: persone sintomatiche risultate positive alla ricerca di SARS-CoV-2, possono rientrare in comunità dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa dei sintomi (non considerando anosmia e ageusia/disgeusia che possono avere prolungata persistenza nel tempo) accompagnato da un test molecolare con riscontro negativo eseguito dopo almeno 3 giorni senza sintomi (10 giorni, di cui almeno 3 giorni senza sintomi + test).
- Casi positivi a lungo termine: persone che, pur non presentando più sintomi, continuano a risultare positive al test molecolare per SARS-CoV-2, in caso di assenza di sintomatologia (fatta eccezione per ageusia/disgeusia e anosmia che possono perdurare per diverso tempo dopo la guarigione) da almeno una settimana, potranno interrompere l’isolamento dopo 21 giorni dalla comparsa dei sintomi. Questo criterio potrà essere modulato dalle autorità sanitarie d’intesa con esperti clinici e microbiologi/virologi, tenendo conto dello stato immunitario delle persone interessate (nei pazienti immunodepressi il periodo di contagiosità può essere prolungato).
- Contatti stretti asintomatici: i contatti stretti di casi con infezione da SARS-CoV-2 confermati e identificati dalle autorità sanitarie, devono osservare:
- un periodo di quarantena di 14 giorni dall’ultima esposizione al caso; oppure
- un periodo di quarantena di 10 giorni dall’ultima esposizione con un test antigenico o molecolare negativo effettuato il decimo giorno.
Da ultimo, si evidenzia che la Circolare raccomanda, tra l’altro, di “non prevedere quarantena né l’esecuzione di test diagnostici nei contatti stretti di contatti stretti di caso (ovvero non vi sia stato nessun contatto diretto con il caso confermato), a meno che il contatto stretto del caso non risulti successivamente positivo ad eventuali test diagnostici o nel caso in cui, in base al giudizio delle autorità sanitarie, si renda opportuno uno screening di comunità”
Alcuni casi concreti, sulla base anche dei quesiti pervenuti, riferibili alla raccomandazione contenuta nella circolare:
- il convivente di un lavoratore il cui collega (con il quale è stato a contatto stretto) sia risultato positivo non deve restare in quarantena né essere sottoposto a tampone;
- il lavoratore convivente con il figlio che sia in quarantena (non perché positivo ma) perché contatto stretto di un compagno di scuola risultato positivo al COVID19
- Uso dei tamponi
Appare poi utile conoscere come gli organi sanitari gestiranno l’uso dei tamponi, relativamente ai differenti casi sopra evidenziati. Le indicazioni sono reperibili nella nota tecnica dell’ISS “Test di laboratorio per SARS-CoV-2 e loro uso in sanità pubblica”.
In particolare, la nota tecnica evidenzia che “la persona in attesa del risultato del test deve essere posta in quarantena. Se il risultato del test è positivo il Dipartimento di Prevenzione prescriverà l’isolamento alla persona interessata e la quarantena ai contatti stretti”.
Questa indicazione sembra risolvere una parte delle questioni interpretative relative alla condizione del lavoratore nel periodo di attesa del tampone.
Il documento è completato da una tabella sinottica che raccorda le ipotesi di “caso” e “contatto” con il tipo di tampone da prescrivere e dalla rappresentazione delle finalità dei tamponi molecolare, antigenico rapido e sierologico.
- Gestione della persona in quarantena
Altrettanto utile, al fine di conoscere la gestione dei casi anche dal punto di vista dei tempi della quarantena rispetto all’evoluzione della situazione della persona in quarantena, è una recente circolare della Regione Lombardia “Aggiornamento delle indicazioni per la durata dell’isolamento e della quarantena dei casi confermati di Covid-19 e contatti stretti di casi confermati; utilizzo dei test diagnostici”
- Il rientro in azienda
Da ultimo, si ricorda che il Protocollo del 24 aprile 2020, in tema di sorveglianza sanitaria, prevede che “per il reintegro progressivo di lavoratori dopo l’infezione da COVID19, il medico competente, previa presentazione di certificazione di avvenuta negativizzazione del tampone secondo le modalità previste e rilasciata dal dipartimento di prevenzione territoriale di competenza, effettua la visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione”. (D.lgs. 81/08 e s.m.i, art. 41, c. 2 lett. e-ter), anche per valutare profili specifici di rischiosità e comunque indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia
Si evidenzia, quindi, che le modalità per il rilascio della avvenuta negativizzazione sono da riferirsi alle più recenti indicazioni contenute nelle circolari del Ministero della salute.
[1] “Il periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva di cui all'articolo 1, comma 2, lettere h) e i) del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, e di cui all'articolo 1, comma 2, lettere d) ed e), del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, dai lavoratori dipendenti del settore privato, è equiparato a malattia ai fini del trattamento economico previsto dalla normativa di riferimento e non è computabile ai fini del periodo di comporto”.
[2] “Qualora il lavoratore si trovi in malattia accertata da COVID-19”
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Nella Gazzetta Ufficiale n. 252 del 21 ottobre 2021 è stato pubblicato il decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 (cd decreto fiscale) il quale, all’art. 13, modifica il Dlgs n. 81/2008 ed introduce “Disposizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”.
Ancora una volta si punta sulle sanzioni e non sulla prevenzione e sull’onda emotiva degli infortuni e non in una logica di un aggiornamento complessivo della normativa.
Le misure si sostanziano nella valorizzazione del ruolo dell’Ispettorato nazionale del lavoro (equiparazione delle competenze in materia di vigilanza sui temi della salute e sicurezza tra ASL e Ispettorato nazionale del lavoro, attribuzione del potere di sollecitazione dei Comitati regionali previsti dall’art. 7 del Dlgs. n. 81/2008, inserimento dell’INL nel sistema del Sistema informativo nazionale per la prevenzione e valorizzazione delle funzioni informative del SINP verso ASL e INL) e nella nuova disciplina della sospensione dell’attività (art. 14 del D.lgs. n. 81/2008).
Tra gli interventi anche l’attribuzione di una maggiore partecipazione delle parti sociali, legittimate a conoscere i flussi informativi inerenti ai dati che interessano complessivamente la materia della sicurezza sul lavoro. Finora il sistema informativo non ha funzionato per il mancato coordinamento delle banche dati dei vari enti interessati e per problemi di privacy nella trasmissione e nella conoscenza dei dati.
La prima novità rilevante è, dunque, l’attribuzione all’INL – in concorso con le ASL - delle competenze ispettive in materia di sicurezza sul lavoro, allo stesso sottratte dalla legge n. 833/1978 (art. 21).
Questa innovazione organizzativa rende necessaria, ancor più che in passato, una forte azione di coordinamento: mentre la versione del testo in entrata nel Consiglio dei Ministri attribuiva opportunamente il coordinamento all’INL (“l’Ispettorato nazionale del lavoro promuove e coordina”), il testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale prevede che INL ed ASL “promuovono e coordinano sul piano operativo l’attività di vigilanza”, così annullando il ruolo dell’INL e vanificando o riducendo fortemente il coordinamento (come già avvenuto per il personale ispettivo di INPS ed INAIL).
Ulteriore elemento negativo risiede nel fatto che, in ogni caso, la collaborazione è limitata al piano operativo e non si estende, come sarebbe stato necessario, all’interpretazione ed applicazione della normativa.
Ancora, l’inadeguatezza della formazione degli ispettori del lavoro sul piano tecnico comporta che alla misura occorrerà accompagnare una campagna formativa sugli aspetti ai quali è estesa la vigilanza.
Il secondo rilevante intervento, finalizzato a valorizzare la misura della sospensione dell’attività (art. 14 Dlgs n. 81/2008), appare critico in quanto, a parte l’inasprimento dell’impianto sanzionatorio, sembra costruire un meccanismo incoerente con gli strumenti deflattivi esistenti.
Attualmente, il provvedimento di sospensione adottato dagli organi di vigilanza del Ministero del lavoro e dalle ASL (ciascuno nelle materie di propria competenza) è facoltativo (“possono adottare”) ed è finalizzato a far cessare un pericolo per la salute e sicurezza o la presenza di lavoro nero, a condizione che le violazioni in materia di salute e sicurezza siano “gravi e reiterate” ovvero se siano presenti lavoratori in nero in misura superiore al 20%.
Il grave provvedimento viene adottato quando, nei cinque anni successivi alla commissione di una violazione oggetto di prescrizione obbligatoria o di una violazione accertata con sentenza definitiva, lo stesso soggetto commette più violazioni della stessa indole, ossia della medesima disposizione.
Il provvedimento è revocato per effetto dell’accertato adempimento delle misure indicate nel provvedimento e del versamento di somme aggiuntive ed è passibile di ricorso alla Direzione regionale del lavoro territorialmente competente (in caso di presenza di lavoro nero) e al Presidente della Giunta regionale (in caso di violazioni in materia di sicurezza sul lavoro), i quali si pronunciano nel termine di 15 giorni dalla notifica del ricorso. Decorso inutilmente tale ultimo termine, il provvedimento di sospensione perde efficacia.
Il nuovo meccanismo normativo, pur muovendosi nella medesima logica di quello esistente, rende obbligatoria la sospensione ed amplia gli illeciti presupposto per la sua adozione con un’ipotesi (omessa vigilanza in ordine alla rimozione o modifica dei dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo) che estende eccessivamente la discrezionalità dell’ispettore nella valutazione dell’omissione che forma normalmente oggetto di dimostrazione in sede giudiziale.
Esso, infine, si presenta incoerente rispetto ai provvedimenti della prescrizione e della diffida obbligatorie che lo stesso personale ispettivo deve adottare prima di comminare le sanzioni e proseguire il procedimento giudiziario.
Sottolineiamo che la sanzione della sospensione non è astrattamente incoerente, a condizione che l’impianto normativo privilegi sempre e comunque la natura residuale dell’intervento sanzionatorio (quale extrema ratio), valorizzi un approccio prevenzionale e sia riferito a reali situazioni di pericolo.
Che così non sia è palesemente dimostrato da alcuni elementi:
- le violazioni contenute nell’allegato I non evidenziano ipotesi di pari rilevanza in termini di gravità o pericolosità (ad es., la mancanza di un aggiornamento, anche parziale e per un solo lavoratore, non può essere messa sul piano della mancanza del POS; la mancanza di un DPI, anche per un singolo lavoratore, non può equivalere alla mancata valutazione dei rischi; l’assenza della tavola fermapiede per un metro non può essere considerata alla stessa stregua della mancata nomina del RSPP)
- viene introdotta la possibilità per l’ispettore di “imporre specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro”, dimostrando che il provvedimento non si fonda necessariamente sull’esistenza di un pericolo imminente da gestire con misure interinali come la sospensione
- la sospensione non consegue all’inadempimento degli strumenti deflattivi della prescrizione e della diffida per il lavoro nero ma è adottata immediatamente: sono tutti strumenti obbligatori che si sovrappongono senza alcuna logica prevenzionale
- la sospensione è comminata senza dare un tempo adeguato per l’adempimento, nonostante l’assenza di un pericolo imminente: l’applicazione dalle ore 12 del giorno successivo resta affidata alla discrezionalità del personale ispettivo e non rappresenta evidentemente un tempo adeguato (né per l’organizzazione di un corso di formazione né per l’elaborazione di un documento di valutazione dei rischi)
- la adozione del provvedimento di sospensione non presuppone più la recidiva, per cui non sconta un atteggiamento ripetuto ma riguarda anche la commissione di una violazione di minima entità (un’ora di formazione) e per la prima volta.
Più specificamente, di seguito i principali elementi innovativi presenti nella nuova versione dell’art. 14 del D.lgs. n. 81/2008 e, in allegato, il nuovo allegato I.
- La sospensione non viene coordinata con le misure della prescrizione obbligatoria e della diffida per il lavoro nero: le misure orientate alla agevolazione della regolarizzazione (che non postulano alcun intervento sull’azienda) coesistono quindi con un provvedimento obbligatorio di sospensione (gli strumenti sono adottati dallo stesso soggetto, in un ambito amministrativo non ricorribile per la materia della sicurezza ed in procedimento giurisdizionale e con le tutele di questo) e potrebbero anche coesistere e contraddirsi (es., le misure cautelari potrebbero essere adottate sia nell’ambito del provvedimento amministrativo che in quello di polizia giudiziaria)
- La sospensione diviene obbligatoria, per cui non si tiene conto delle reali condizioni di pericolo (che oggi rilevano ai fini della adozione di una ulteriore, differente ed eventuale misura cautelare)
- La percentuale di lavoro nero viene ridotta al 10% e si ridefinisce la nozione di lavoro nero (“senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro”) secondo la disposizione del Dlgs n. 151/2015 (art. 22) in luogo di quella di “personale non risultante dalla documentazione obbligatoria” (che peraltro la giurisprudenza applica ancor oggi, valorizzando il fatto che il lavoratore deve essere totalmente sconosciuto alla pubblica autorità)
- Si elimina il requisito della reiterazione, per cui la sospensione opera anche in caso della prima violazione (a prescindere dalla gravità della violazione e dalla presenza di un pericolo concreto ed attuale)
- L’ambito della sospensione, che oggi riguarda “la parte dell'attività imprenditoriale interessata dalle violazioni”, secondo la nuova disposizione è relativo “alla parte dell’attività imprenditoriale interessata dalle violazioni o, alternativamente, dell’attività lavorativa prestata dai lavoratori interessati dalle specifiche violazioni individuate dal decreto di cui al presente comma o di cui ai numeri 3 e 6 dell’Allegato I”. Si tratta dell’unico elemento astrattamente positivo, che consente (in due ipotesi) di non sospendere l’attività dell’impresa ma incide sulla presenza dei lavoratori nel luogo di lavoro
- Al provvedimento di sospensione si conferma l’applicazione dell’obbligo di motivazione previsto dall’art. 3 della legge n. 241/1990 (per effetto della sentenza n. 310/2010 della Corte costituzionale)
- Gli effetti della sospensione “possono” essere fatti decorrere dalle ore dodici del giorno lavorativo successivo ovvero dalla cessazione dell'attività lavorativa in corso che non può essere interrotta, salvo che non si riscontrino situazioni di pericolo imminente o di grave rischio per la salute dei lavoratori o dei terzi o per la pubblica incolumità. La disposizione conferma il testo vigente, compresa la criticità che, salvo il caso del pericolo imminente, la decorrenza non è sempre e comunque dalle 12 del giorno successivo (termine comunque insufficiente per molti adempimenti), ma dipende dalla decisione del singolo ispettore.
- Viene eliminata la possibilità di ricorrere avverso il provvedimento di sospensione adottato per violazioni in materia di salute e sicurezza (oggi è possibile il ricorso al Presidente della Provincia): un intervento che limita impropriamente la difesa dell’impresa (forse dovuta al fatto che non si è ritenuto coerente che il Presidente della Provincia conosca dei provvedimenti dell’INL)
- Si introduce la possibilità di una misura cautelare ulteriore, ossia il fatto che il personale ispettivo, seppure nell’ambito di una attività amministrativa, unitamente al provvedimento di sospensione, possa “imporre specifiche misure atte a far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro”. La disposizione evidenzia ulteriormente la sovrapposizione con la procedura della prescrizione obbligatoria, nel corso della quale il personale ispettivo può adottare un provvedimento identico
- Tra le condizioni per la revoca della sospensione c’è “la rimozione delle conseguenze pericolose delle violazioni nelle ipotesi di cui all’Allegato I”: la disposizione, nonostante l’assenza di un esplicito riferimento, dovrebbe essere riferita all’adempimento dell’eventuale misura interinale adottata dal personale ispettivo (art. 14, comma 1, ultima parte)
- Tra le condizioni per la revoca è introdotto l’aggravamento della misura della sanzione per il lavoro nero (da 2.000 euro a 2.500 o 5.000) nel caso di recidiva infraquinquennale e di occupazione di oltre 5 lavoratori irregolari
- Le somme ricavate dalle sanzioni (che aumentano per effetto dell’obbligatorietà e dell’estensione dei casi di sospensione e delle ipotesi aggravate) sono destinate alle stesse Istituzioni che hanno contestato le sanzioni, con evidente conflitto di interessi
- Non cambiano le sanzioni per la non ottemperanza alla misura della sospensione
- Il provvedimento di sospensione decade in caso di archiviazione del procedimento indicato dal Dlgs 758/1994, art. 20 e seguenti (alla ulteriore condizione del pagamento delle somme aggiuntive). La previsione evidenzia la contemporaneità dei due procedimenti (sospensione e prescrizione), a dimostrazione che, oltre a coesistere, hanno il medesimo fondamento e la stessa logica, per cui si sovrappongono impropriamente
- Tra le ipotesi gravi, nell’allegato si inserisce la “omessa vigilanza in ordine alla rimozione o modifica dei dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo”. Sull’onda di alcuno degli eventi mortali accaduti, si fa rientrare tra i presupposti per l’adozione del provvedimento di sospensione un fatto omissivo relativo alla vigilanza su eventuali interventi di rimozione o modifica dei dispositivi di sicurezza. Si evidenzia che introdurre tra gli illeciti gravi non già un fatto obiettivo (come la mancanza di un documento o di una nomina o della formazione) ma una condizione omissiva (omessa vigilanza) la cui dimostrazione avviene in giudizio
In conclusione, un provvedimento che, senza introdurre elementi prevenzionali (nemmeno in chiave di coordinamento tra le autorità di vigilanza e di introduzione di uniformità interpretativa ed applicativa delle norme) appare palesemente ed esclusivamente finalizzato ad incrementare l’incisività di un provvedimento sanzionatorio.
Allegato
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NUOVO TESTO
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TESTO PRECEDENTE
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FATTISPECIE
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IMPORTO SOMMA AGGIUNTIVA
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FATTISPECIE
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IMPORTO SOMMA AGGIUNTIVA
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1
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Mancata elaborazione del documento di valutazione dei rischi
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2500
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idem
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3200
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2
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Mancata elaborazione del Piano di Emergenza ed evacuazione
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2500
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idem
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3200
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3
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Mancata formazione ed addestramento
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Euro 300 per ciascun lavoratore interessato
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idem
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3200
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4
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Mancata costituzione del servizio di prevenzione e protezione e nomina del relativo responsabile
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3000
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idem
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3200
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5
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Mancata elaborazione piano operativo di sicurezza (POS)
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2500
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idem
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3200
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6
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Mancata fornitura del dispositivo di protezione individuale contro le cadute dall'alto
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Euro 300 per ciascun lavoratore interessato
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idem
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3200
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7
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Mancanza di protezioni verso il vuoto
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3000
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idem
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3200
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8
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Mancata applicazione delle armature di sostegno, fatte salve le prescrizioni desumibili dalla relazione tecnica di consistenza del terreno
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3000
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idem
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3200
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9
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Lavori in prossimità di linee elettriche in assenza di disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi
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3000
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idem
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3200
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10
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Presenza di conduttori nudi in tensione in assenza di disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi
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3000
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idem
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3200
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11
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Mancanza protezione contro i contatti diretti ed indiretti (impianto di terra, interruttore magnetotermico, interruttore differenziale
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3000
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idem
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3200
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12
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Omessa vigilanza in ordine alla rimozione o modifica dei dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo
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3000
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inesistente
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13
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eliminato
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Mancata notifica all'organo di vigilanza prima dell'inizio dei lavori che possono comportare il rischio di esposizione ad amianto.
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3200
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Il 31 luglio scade il periodo di emergenza indicato nel DPCM del 31 gennaio 2020 e previsto dalle norme (DL n. 19/2020 e 33/2020) che avevano garantito al Governo la possibilità di adottare misure straordinarie per l’emergenza Covid-19.
Tra le misure straordinarie -previste, rispettivamente, all’art. 1, comma 2, lett. z) e all’art. 1, commi 14 e 15- interessano in particolare quelle che introducono la possibilità di condizionare lo svolgimento dell’attività produttiva all’adozione di appositi protocolli di sicurezza.
Nella riunione del Consiglio dei ministri del 28 luglio, il Governo ha annunciato l’intenzione di prorogare lo stato di emergenza al 15 ottobre 2020.
Il decreto legge 30 luglio 2020, n. 83 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 190 del 30 luglio 2020) sposta dunque il termine al 15 ottobre 2020.
Le conseguenze del rinvio sono, da un lato, la proroga dei termini che fanno genericamente rinvio al periodo di emergenza e, dall’altro, la possibilità per il Governo di adottare nuovi provvedimenti che estendano al 15 ottobre le misure già vigenti al 31 luglio: siamo dunque in attesa di nuovi DPCM che, riempiendo di contenuto la facoltà concessa al Governo, estendano o modifichino le misure vigenti. Si ricorda che ciascun provvedimento non potrà avere durata superiore ad un mese (Dl n. 19/2020, art. 1, comma 1).
In attesa del nuovo DPCM, il decreto-legge n. 83/2020 proroga (per il periodo massimo di 10 giorni) il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 luglio 2020 (che aveva prorogato il DPCM 11 giugno 2020).
La proroga dei termini non comporta il rifinanziamento delle misure, che dovranno essere coperte con le risorse previste dalla legislazione vigente.
Inoltre, poiché molte disposizioni adottate nel periodo di emergenza hanno previsto misure con termine finale al 31 luglio 2020, il decreto-legge individua tassativamente i termini originariamente fissati al 31 luglio che vengono prorogati al 15 ottobre 2020 ed evidenziando che tutti quelli non richiamati restano fermi al 31 luglio 2020.
Tra i termini prorogati, si segnalano quelli rilevanti ai fini della sicurezza sul lavoro:
- Art. 5bis del DL n. 18/2020
In particolare: 2. Fino al termine dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, è consentito l'utilizzo di dispositivi di protezione individuali di efficacia protettiva analoga a quella prevista per i dispositivi di protezione individuali previsti dalla normativa vigente. L'efficacia di tali dispositivi è valutata preventivamente dal Comitato tecnico-scientifico di cui all'articolo 2 dell'ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile n. 630 del 3 febbraio 2020. 3. Fino al termine dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, in coerenza con le linee guida dell'Organizzazione mondiale della sanità e in conformità alle attuali evidenze scientifiche, è consentito fare ricorso alle mascherine chirurgiche, quale dispositivo idoneo a proteggere gli operatori sanitari; sono utilizzabili anche mascherine prive del marchio CE, previa valutazione da parte dell'Istituto superiore di sanità)).
- Art. 15, comma 1 DL n. 18/2020
In particolare: 1. Fermo quanto previsto dall'articolo 34 del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9, per la gestione dell'emergenza COVID-19, e fino al termine dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020, è consentito produrre, importare e immettere in commercio mascherine chirurgiche e dispositivi di protezione individuale in deroga alle vigenti disposizioni.
- Art. 16, commi 1 e 2 del DL n. 18/2020
In particolare: 1. Per contenere il diffondersi del virus COVID-19, fino al termine dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020, sull'intero territorio nazionale, per i lavoratori che nello svolgimento della loro attività sono oggettivamente impossibilitati a mantenere la distanza interpersonale di un metro, sono considerati dispositivi di protezione individuale (DPI), di cui all'articolo 74, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.81, le mascherine chirurgiche reperibili in commercio, il cui uso è disciplinato dall'articolo 34, comma 3, del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9. 2. Ai fini del comma 1, fino al termine dello stato di emergenza di cui alla delibera del Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020, gli individui presenti sull'intero territorio nazionale sono autorizzati all'utilizzo di mascherine filtranti prive del marchio CE e prodotte in deroga alle vigenti norme sull'immissione in commercio.
- Art. 39 del DL n. 18/2020
1. Fino alla data del 30 aprile 2020, i lavoratori dipendenti disabili nelle condizioni di cui all'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità nelle condizioni di cui all'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile ai sensi dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione. 2. Ai lavoratori del settore privato affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa è riconosciuta la priorità nell'accoglimento delle istanze di svolgimento delle prestazioni lavorative in modalità agile ai sensi degli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81.
- Art. 90 del DL n. 34/2020
1. Fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19, i genitori lavoratori dipendenti del settore privato che hanno almeno un figlio minore di anni 14, a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell'attività lavorativa o che non vi sia genitore non lavoratore, hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile anche in assenza degli accordi individuali, fermo restando il rispetto degli obblighi informativi previsti dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, e a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione… 3. Per l'intero periodo di cui al comma 1, i datori di lavoro del settore privato comunicano al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in via telematica, i nominativi dei lavoratori e la data di cessazione della prestazione di lavoro in modalità agile, ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. 4. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 87 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, per i datori di lavoro pubblici, limitatamente al periodo di tempo di cui al comma 1 e comunque non oltre il 31 dicembre 2020, la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, può essere applicata dai datori di lavoro privati a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti; gli obblighi di informativa di cui all'articolo 22 della medesima legge n. 81 del 2017, sono assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (INAIL).
In via generale, quindi, l’efficacia del Protocollo risulta prorogata, inizialmente per un periodo massimo di dieci giorni (essendo stata prorogata la validità del DPCM che li richiama), salvo ulteriore estensione che sarà prevedibilmente contenuta nel prossimo DPCM.
Si segnala, invece, che non risulta prorogato l’art. 26, comma 2, del DL n. 18/2020 (che per alcune forme di fragilità prevede l’equiparazione dell’assenza dal lavoro al ricovero ospedaliero, fino al 31 luglio 2020).
Sembrano invece confermate tanto l’equiparazione dello stato di quarantena alla malattia (art. 26, comma 1, non soggetto ad alcun termine) quanto la previsione dell’art. 83 del DL n. 34/2020 (che prevede la sorveglianza sanitaria per i lavoratori fragili fino alla scadenza del periodo di emergenza sanitaria).
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Premessa: riferimenti normativi ed amministrativi
Con alcuni provvedimenti di fine anno, il Governo ha modulato diverse misure anti-Covid, tenuto conto dell’andamento dell’epidemia e di fatti rilevanti occorsi in ambito internazionale (in particolare, Cina).
Rilevano, in particolare:
- DECRETO-LEGGE 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni nella legge 30 dicembre 2022, n. 199 ( che, all’articolo 7, introduce, tra l’altro, modifiche ai termini previsti dall'articolo 2 del decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 maggio 2022, n. 52)
- Legge 29 dicembre 2022, n. 127, legge finanziaria per il 2023 (art. 1, comma 306)
- Ordinanza Ministero della salute 28 dicembre 2022 che dispone misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'epidemia da COVID-19 concernenti gli ingressi dalla Cina
- Circolare n. 51786 del 29 dicembre 2022 del Ministero della salute (aggiornata con successiva circolare n. 1 del 1° gennaio 2023 che individua gli Interventi in atto per la gestione della circolazione del SARS-CoV-2 nella stagione invernale 2022-2023
- Ordinanza 29 dicembre 2022 del Ministero della salute che proroga alcune misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'epidemia da COVID-19 concernenti l'utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie nelle strutture sanitarie e socio-assistenziali
- Circolare n. 51961 del 31 dicembre 2022 del Ministero della salute che aggiorna le modalità di gestione dei casi e dei contatti stretti di caso COVID-19.
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Gli interventi in atto per la gestione della circolare del covid nella stagione invernale 2022-2023
Con le circolari n. 51786 del 29 dicembre 2022 e n. 1 del 1° gennaio 2023, il Ministero della salute rappresenta il quadro attuale nel quale si colloca il sistema degli interventi contro la diffusione del covid.
Il Ministero evidenzia, innanzitutto, che, nonostante il trend dei contagi sia in diminuzione, il recente incremento della circolazione dei casi di COVID-19 nella Repubblica Popolare Cinese rende incerta la dinamica globale e dunque anche nazionale, in relazione alla possibile emergenza e diffusione di nuove varianti e merita la dovuta attenzione.
Il Ministero, quindi, sollecita l’attenzione sull’incrocio dei possibili fattori critici, quali le caratteristiche del virus nella stagione fredda (per la possibile comparsa di nuove varianti), il grado di adesione alla campagna vaccinale, il soggiorno in ambienti chiusi, la co-circolazione dei normali virus respiratori, il grado di immunità o suscettibilità della popolazione all’infezione o alla malattia grave, la mobilità della popolazione, gli effetti a lungo termine del virus.
Tutti elementi che rilevano anche nella gestione del rapporto di lavoro e delle misure aziendali contro la diffusione del covid.
Infatti, i due documenti si soffermano, in particolare, sull’uso dei dispositivi di protezione individuale, sul “lavoro domiciliare”, sulla riduzione delle aggregazioni di massa e sulla ventilazione degli ambienti chiusi.
Tutte misure presenti nel Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus sars-cov-2/covid-19 negli ambienti di lavoro del 30 giugno 2022 che, laddove volontariamente attuato, continua a garantire il rispetto delle previsioni dell’art. 2087 cc.
Il progressivo venir meno dell’obbligo vaccinale e del green pass
Il Decreto-legge 162/2022, in particolare:
- modificando il decreto-legge 44/2021, dispone la cessazione dell’obbligo vaccinale per le categorie interessate (lavoratori che operano nei settori sanitario, sociosanitario e socioassistenziale) e la sospensione fino al 30 giugno 2023 dei procedimenti sanzionatori (art. 7, commi 1 e 1bis)
- abroga le disposizioni del decreto-legge 44/2021 e 52/2021 concernenti il cd green pass per l’accesso ad alcune strutture[1] (art. 7ter)
Uso delle mascherine nelle strutture sanitarie
Con l’ordinanza del Ministro della salute del 29 dicembre 2022, viene prorogata fino al 30 aprile 2023 la precedente ordinanza del 31 ottobre 2022, che disponeva l’obbligo di uso delle mascherine da parte dei lavoratori e dei visitatori delle strutture sanitarie[2].
Questi obblighi sono stati estesi anche ad ambulatori e studi medici (come precisato in premessa all’ordinanza del 29 dicembre 2022).
Isolamento e autosorveglianza
Con l’art. 7quater, il DL 162/2022 si modifica la disciplina su isolamento (per i positivi) e autosorveglianza (per i contatti stretti) contenuta nell’art. 10ter del decreto-legge 52/2021, come spiegato nella circolare del Ministero della salute n. 51961 del 31 dicembre 2022:
- Isolamento per i soggetti positivi (fermo restando il divieto di mobilità dalla propria abitazione o dimora (art. 10ter, comma 1, DL 52/2021):
- per chi è stato sempre asintomatico: l’isolamento potrà terminare dopo 5 giorni dal primo test positivo, a prescindere dall’effettuazione del test antigenico o molecolare (per effetto dell’abrogazione della parte finale dell’art. 10ter, comma 2 del DL 52/2021) .
- Inoltre, per chi è stato sempre asintomatico: l’isolamento potrà terminare anche prima dei 5 giorni qualora un test antigenico o molecolare effettuato presso struttura sanitaria/farmacia risulti negativo
- per coloro che non presentano comunque sintomi da almeno 2 giorni: l’isolamento potrà terminare dopo 5 giorni dalla comparsa dei sintomi, a prescindere dall’effettuazione del test antigenico o molecolare (non è invece prevista l’anticipazione della fine dell’isolamento con l’effettuazione del tampone come nel caso di chi è sempre stato asintomatico)
- per i casi sintomatici, si ricorda che la circolare n. 37615 del 31 agosto 2022 del Ministero della salute (espressamente richiamata dalla circolare n. 51961/2022) prevede che, laddove questi soggetti risultino asintomatici da almeno 2 giorni, l’isolamento potrà terminare dopo 5 giorni, purché venga effettuato un test, antigenico o molecolare, che risulti negativo, al termine del periodo d’isolamento. In caso di positività persistente, si potrà interrompere l’isolamento al termine del 14° giorno dal primo tampone positivo, a prescindere dall’effettuazione del test.
- per i soggetti immunodepressi: l’isolamento potrà terminare dopo un periodo minimo di 5 giorni, ma sempre necessariamente a seguito di un test antigenico o molecolare con risultato negativo.
Per quanto riguarda la riammissione al lavoro dei lavoratori immunodepressi, si ritiene che tale status non sia conoscibile da medico competente se non a seguito di apposita dichiarazione del lavoratore, alla quale consegue la tutela che la legge ed il Protocollo, laddove volontariamente adottato, assicurano a tale condizione.
- per gli operatori sanitari: se asintomatici da almeno 2 giorni, l’isolamento potrà terminare non appena un test antigenico o molecolare risulti negativo.
- per i cittadini che abbiano fatto ingresso in Italia dalla Repubblica Popolare Cinese nei 7 giorni precedenti il primo test positivo: potranno terminare l’isolamento dopo un periodo minimo di 5 giorni dal primo test positivo, se asintomatici da almeno 2 giorni e negativi a un test antigenico o molecolare.
- Inoltre, con riferimento all’uso della mascherina FFP2 a completamento del periodo di isolamento, la circolare 51961/2022:
- rende obbligatorio, al termine dell’isolamento, l’uso di dispositivi di protezione delle vie respiratorie di tipo FFP2 fino al 10° giorno dall’inizio della sintomatologia (per i sintomatici) o dal primo test positivo (nel caso degli asintomatici)
- raccomanda comunque, sia nel caso dei soggetti sintomatici che asintomatici, di evitare – al termine dell’isolamento - il contatto con persone ad alto rischio e/o ambienti affollati. Queste precauzioni possono essere interrotte in caso di negatività a un test antigenico o molecolare.
Con riferimento al rientro al lavoro dopo l’infezione da covid, si ricorda che, secondo il Protocollo 30 giugno 2022, “la riammissione al lavoro dopo l’infezione da virus SARS-CoV-2/COVID-19 avverrà secondo le modalità previste dall’art. 4 del decreto legge 24 marzo 2022 n. 24 convertito in legge 19 maggio 2022 n. 52 e dalla circolare del Ministero della salute n. 19680 del 30 marzo 2022”.
E si rammenta anche che, a settembre 2022, il Ministero della salute aveva precisato che “già dall'inizio della pandemia, le disposizioni in ambito lavorativo hanno seguito una loro specificità per fini di tutela e di prudenza richiesti dalle parti sociali e, in taluni contesti anche da alcune categorie di lavoratori (fragili, malati cronici etc..). Parimenti, anche la circolare 37615 DGPREV del 31.08.2022 dispone procedure per la popolazione e non entra nel merito del contesto lavorativo. Per quest'ultimo rimangono valide, salvo diverse future disposizioni, le modalità definite dai protocolli”.
Il richiamato articolo 4 del DL 24/2022, che modifica l’art. 10ter del DL 52/2021, ad oggi non presenta più l’indicazione del tampone finale. Si ritiene, quindi - secondo approccio condiviso dal Ministero della Salute, consultato per le vie brevi - che per il ritorno al lavoro (a meno che non vi sia stato ricovero ospedaliero), il datore di lavoro non possa più richiedere la produzione del tampone con esito negativo.
Si ricorda, tuttavia, che il datore di lavoro, secondo il Protocollo (art. 1 - Informazione), informa chiunque entri nel luogo di lavoro in ordine all’impegno di rispettare tutte le disposizioni delle Autorità sanitarie e del datore di lavoro nel fare accesso in azienda.
Tra queste, ovviamente, il rispetto delle procedure relativi alla gestione dell’isolamento e della autosorveglianza descritte nella richiamata circolare n. 51961/2022.
Da questo punto di vista, poiché la circolare raccomanda comunque di evitare, tra l’altro, ambienti affollati, si ritiene che il lavoratore che rientra al termine dell’isolamento, in assenza di untampone negativo (la cui effettuazione si ritiene essere rimessa alla scelta del soggetto interessato e non possa essere imposta dal datore di lavoro), sia tenuto ad informare il datore di lavoro (attraverso il medico competente) in ordine alla necessità di evitare tali ambienti, anche attraverso il lavoro agile, ove possibile, quale strumento di prevenzione del contagio. Lo stesso dicasi nel caso di compresenza con un soggetto “ad alto rischio” (locuzione che appare riferibile anche ai soggetti fragili).
- Autosorveglianza in caso di contatto stretto con casi confermati positivi al covid (regolata dall’art. 10ter del DL 52/2021, modificato dal DL 162/2022)
- per coloro che hanno avuto contatti stretti con soggetti confermati positivi al SARS-CoV-2, è applicato il nuovo regime dell’autosorveglianza:
- fino al quinto giorno successivo alla data dell’ultimo contatto stretto, è obbligatorio indossare dispositivi di protezione delle vie respiratorie di tipo FFP2, al chiuso o in presenza di assembramenti.
- se durante il periodo di autosorveglianza si manifestano sintomi suggestivi di possibile infezione da Sars-Cov-2, è raccomandata l’esecuzione immediata di un test antigenico o molecolare per la rilevazione di SARS-CoV-2.
- gli operatori sanitari devono eseguire un test antigenico o molecolare su base giornaliera fino al quinto giorno dall’ultimo contatto con un caso confermato.
Soggetti in ingresso dalla Cina
Il recente incremento dei casi di covid in Cina, fonte di preoccupazione internazionale, ha determinato la necessità di adottare misure adeguate di prevenzione con l’ordinanza del Ministro della salute del 28 dicembre 2022, sopra richiamata.
Queste le misure indicate nel provvedimento:
a) obbligo di presentazione al vettore all'atto dell'imbarco e a chiunque sia deputato ad effettuare i controlli, della certificazione di essersi sottoposti, nelle settantadue ore antecedenti l'ingresso nel territorio nazionale, ad un test molecolare, o, nelle quarantotto ore antecedenti, ad un test antigenico effettuati per mezzo di tampone con risultato negativo;
b) obbligo di sottoporsi ad un test antigenico, da effettuarsi per mezzo di tampone, al momento dell'arrivo in aeroporto, ovvero, qualora ciò non fosse possibile, entro quarantotto ore dall'ingresso nel territorio nazionale presso l'azienda sanitaria locale di riferimento;
c) in caso di esito positivo del test antigenico, obbligo di sottoporsi immediatamente ad un test molecolare ai fini del successivo sequenziamento e ad isolamento fiduciario nel rispetto della normativa vigente;
d) obbligo di effettuare un ulteriore test antigenico o molecolare con esito negativo per porre termine al periodo di isolamento.
Sul piano del rapporto di lavoro, si ritiene che, in ogni caso, sia quindi richiesta la certificazione di negatività del tampone.
Lavoratori fragili e lavoro agile
La recente legge di bilancio per il 2023 (L. 29 dicembre 2022, n. 197) al comma 306 dispone, fino al 31 marzo 2023, per i lavoratori dipendenti pubblici e privati affetti dalle patologie e condizioni individuate dal Decreto interministeriale del 4 febbraio 2022 (nessuna proroga è prevista per i genitori con figli under 14) il datore di lavoro assicura lo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità agile anche attraverso l’adibizione a diversa mansione compresa nella medesima categoria o area di inquadramento, come definite dai contratti collettivi di lavoro vigenti, senza alcuna decurtazione della retribuzione in godimento. Resta ferma l’applicazione delle disposizioni dei relativi contratti collettivi nazionali di lavoro, ove più favorevoli.
Per le modalità e tempi della relativa comunicazione, si rinvia al comunicato del Ministero del lavoro del 31 dicembre 2022.
Non viene prevista alcuna misura per le ipotesi nelle quali le persone fragili sono adibite a mansioni per le quali non è possibile svolgere la prestazione lavorativa in modalità agile.
[1] Strutture di ospitalità, lungodegenza, residenze sanitarie assistite (RSA), hospice, strutture riabilitative e strutture residenziali per anziani, anche non autosufficienti, strutture residenziali di cui all’art. 44 del D.P.C.M. di aggiornamento dei LEA del 12 gennaio 2017 (ricoveri per: prestazioni di riabilitazione intensiva diretta al recupero di disabilità importanti; prestazioni di riabilitazione estensiva a soggetti disabili non autosufficienti; prestazioni di lungodegenza post-acuzie a persone non autosufficienti).
[2] Strutture sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali, comprese le strutture di ospitalità e lungodegenza, le residenze sanitarie assistenziali, gli hospice, le strutture riabilitative, le strutture residenziali per anziani, anche non autosufficienti, e comunque le strutture residenziali di cui all'art. 44 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017.
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UNI PdR 125:2022 - Linee guida sul sistema di gestione per la parità di genere che prevede l'adozione di specifici KPI (Key Performances Indicator - Indicatori chiave di prestazione) inerenti alle Politiche di parità di genere nelle organizzazioni – Profili di salute e sicurezza - Criticità.
Premessa
Facciamo seguito alla nostra comunicazione del 29 marzo scorso con cui abbiamo trasmesso delle slide riepilogative, aventi ad oggetto la certificazione di genere, che vede la sua origine nella Prassi di riferimento UNI n. 125 del 2022 e nell’introduzione di tale strumento nel nostro ordinamento attraverso la legge n. 162 del 2021. Tale ultimo provvedimento rinvia poi a un DPCM che identifica la Pdr n. 125 del 2022 quale “parametri minimi” per il conseguimento della certificazione medesima.
Ricordiamo che le prassi, adottate esclusivamente in ambito nazionale, rientrano fra i “prodotti della normazione europea”, come previsti dal Regolamento UE n.1025/2012, e sono documenti che introducono prescrizioni tecniche, elaborati sulla base di un rapido processo ristretto a chi ne è autore, sotto la conduzione operativa di UNI. Le prassi di riferimento sono disponibili per un periodo non superiore a 5 anni, tempo massimo dalla loro pubblicazione entro il quale possono essere trasformate in un documento normativo (UNI, UNI/TS, UNI/TR) oppure devono essere ritirate.
La Prassi di riferimento in tema di parità di genere 125:2022 è stata pubblicata da UNI il 16 marzo 2022. Il DPCM è stato adottato il 29 aprile 2022.
Con la presente nota intendiamo, anche alla luce delle prime esperienze concrete di certificazione, consentire una lettura ed applicazione corretta ed utile della Prassi di riferimento 125:2022, in relazione ai profili di salute e sicurezza.
La parità di genere e la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro
Una piena partecipazione delle donne alla vita economica e sociale e, quindi al mondo del lavoro, costituisce senza dubbio la componente principale delle pari opportunità di genere perché, attraverso il lavoro, ciascuno può costruire la propria identità, raggiungere la giusta indipendenza economica per sé e per la propria famiglia e offrire il proprio contributo allo sviluppo del Paese nel suo complesso: i luoghi di lavoro possono essere un utile vettore e supporto delle esigenze sociali.
Se l’obiettivo è condivisibile, lo strumento prescelto – la cd certificazione della parità di genere attraverso le linee guida contenute nella Prassi di riferimento UNI – è, per il fine stesso della prassi o norma, uno strumento applicabile volontariamente dalle aziende e, per come è strutturata la norma, da un numero limitato di esse.
Esso si presenta, inoltre, particolarmente dirigista, complesso e oneroso con riferimento sia alle modalità di raggiungimento degli obiettivi sia ai tempi necessari per conseguirli.
Fatte queste premesse di volontarietà di adozione , appare fuorviante e non condivisibile l’impostazione relativa al richiamo ai profili di salute e sicurezza sul lavoro.
L’attività di prevenzione di ogni forma di abuso fisico, verbale, digitale (molestia) nei luoghi di lavoro (paragrafo 6.3.2.6), doverosa in qualsiasi rapporto intersoggettivo, viene infatti impropriamente inserita all’interno dei temi di salute e sicurezza sul lavoro, essendo invece essa afferente al diverso campo del rapporto di lavoro e del connesso sistema disciplinare.
Non a caso, l’Accordo delle parti sociali europee del 26 aprile 2007 sulle molestie e la violenza nei luoghi di lavoro è stato recepito in Italia da Confindustria, CGIL, CISL e UIL sul piano delle relazioni sindacali e non in un ambito di salute e sicurezza sul lavoro con l’accordo del 25 gennaio 2016.
Analizzando la Convenzione n. 190 dell’ONU e la Raccomandazione n. 206 sulla violenza e le molestie, da un lato, e la Strategia europea per la parità di genere 2020-2025, dall’altro, può cogliersi una linea di demarcazione tra la politica di genere, volta ad assicurare pari opportunità e trattamento da ogni punto di vista, e violenza e molestie.
Il primo elemento deve caratterizzare ogni tipo di relazione umana e deve perseguire l’eliminazione di tutte le barriere (culturali, organizzative, giuridiche, etc.) che ostacolano il conseguimento dell’obiettivo: si tratta, in questo caso, di prevenire e combattere atteggiamenti culturali che, di per sé, non comportano necessariamente violenze o molestie e che il datore di lavoro dovrebbe perseguire attraverso politiche aziendali adeguate.
Molto diverso è il tema di violenza e molestie, che, laddove perpetrate nel luogo di lavoro, pur non essendo prevedibili e prevenibili (e quindi non riconducibili al datore di lavoro), non possono essere in alcun modo tollerate e devono formare oggetto di adeguati provvedimenti disciplinari.
Come si vede, nessuno dei due temi può essere ricondotto direttamente ai temi di salute e sicurezza.
Certamente, la tolleranza di situazioni del genere (tanto discriminatorie quanto, peggio, violente), in quanto palesemente in contrasto con la politica aziendale, consentirebbe di configurare una realtà lavorativa non adeguatamente organizzata e fonte di potenziale stress, questo sì da valorizzare sul piano della sicurezza, in quanto potenziale sintomo di disfunzioni organizzative, sulle quali può e deve intervenire l’azione prevenzionale del datore di lavoro.
Ma è evidente che la situazione di stress non deve essere tollerata e la reazione disciplinare del datore di lavoro, in attuazione della politica aziendale, dovrebbe essere immediata e non consentire l’instaurazione di prassi scorrette perché discriminatorie o, peggio, violente.
Vi sarebbero, poi, da indagare accuratamente, da un lato, gli aspetti definitori (definizione di discriminazione, parità di genere, violenza, molestie, etc.) e la differenza tra lo strumento della “politica aziendale” su entrambi gli aspetti e la qualificazione come profili di salute e sicurezza, aventi rilievo penalistico (con riflesso immediato sulle esigenze di tassatività, determinatezza, precisione, chiarezza, etc.). Andrebbero, poi, altresì indagati i parametri di prevedibilità e prevenibilità, condizioni necessarie per una imputazione fondata sul requisito costituzionale della colpevolezza.
In assenza di tutti questi aspetti, di ordine logico e giuridico, appare improprio l’ingresso di questi temi nei profili di salute e sicurezza sul lavoro ed in particolare il loro ingresso come “pericolo connesso alle attività lavorative” e quindi oggetto di apposita “valutazione dei rischi” da inserire nel documento di valutazione di tutti i rischi previsto dal D. Lgs n. 81/2008.
Confindustria aveva coerentemente avanzato delle proposte perché – al di fuori dei temi di salute e sicurezza sul lavoro - vi fosse una piena attuazione delle previsioni di legge e degli accordi collettivi, sottoscritti dalle organizzazioni imprenditoriali, cui l’azienda aderisce, in materia di contrasto alle molestie sui luoghi di lavoro (Confindustria nel 2016 ha sottoscritto un Accordo con CGIL, CISL e UIL in attuazione dell’accordo quadro europeo sulle molestie e la violenza nei luoghi di lavoro).
Il punto 6.3.2.6
Il punto considerato contiene alcune previsioni che sembrano far rientrare il tema della prevenzione dell’abuso fisico, verbale, digitale sui luoghi di lavoro nella salute e sicurezza.
- Infatti, secondo la Prassi di riferimento, l’organizzazione dovrebbe:
- individuare il rischio di ogni forma di abuso fisico, verbale, digitale (molestia) alla luce della salute e sicurezza nel luogo di lavoro;
- preparare un Piano per la prevenzione e gestione delle molestie sul lavoro;
- prevedere una specifica formazione a tutti i livelli, con frequenza definita, sulla “tolleranza zero” rispetto ad ogni forma di violenza nei confronti dei/delle dipendenti, incluse le molestie sessuali (sexual harassment) in ogni forma;
- prevedere una metodologia di segnalazione anonima di questa tipologia di accadimenti a tutela dei/delle dipendenti che segnalano;
- pianificare e attuare delle verifiche (survey) presso i/le dipendenti, indagando se hanno vissuto personalmente esperienze di atteggiamenti di questo tipo, che hanno provocato disagio o turbamento, all’interno o nello svolgimento del proprio lavoro all’esterno (atteggiamenti sessisti, comportamenti o situazioni di mancanza di rispetto);
- valutare gli ambienti di lavoro anche da questo punto di vista;
- prevedere una valutazione dei rischi e analisi eventi avversi segnalati;
- assicurare una costante attenzione al linguaggio utilizzato, sensibilizzando una comunicazione il più possibile gentile e neutrale.
In primo luogo, il documento fa riferimento alla individuazione di rischi di abuso fisico, verbale e digitale alla luce della salute e sicurezza nel luogo di lavoro.
Si tratta di situazioni del tutto slegate dai rischi lavorativi ai quali è esposto il lavoratore e piuttosto derivanti da comportamenti umani che prescindono dal rischio legato alle mansioni svolte e ai rischi presenti nel luogo di lavoro o riconducibili alle scelte organizzative del datore di lavoro.
In secondo luogo, si tratta di una impostazione incoerente rispetto all’impostazione del Dlgs 81/2008, il quale prevede che la valutazione dei rischi debba deve “riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli … connessi alle differenze di genere”. Quindi, la differenza di genere non è essa stessa un rischio da valutare, ma il datore di lavoro, nel valutare i rischi sul lavoro (previsti dal Dlgs 81/2008), ne deve considerare l’impatto tenendo conto delle differenze.
Si potrebbero fare molti esempi: dalle considerazioni della adeguatezza dei DPI al corpo femminile alla maggiore sensibilità a certe sostanze, dall’incidenza dell’uso di sostanze reprotossiche alla valutazione del rischio ergonomico (rischio di sovraccarico biomeccanico degli arti superiori da movimenti ripetuti e posture incongrue, rischio da movimentazione manuale dei carichi, rischio da movimentazione manuale dei pazienti), dal rischio chimico (es. tinture per capelli, metalli -piombo, cadmio, zinco) al rischio da agenti fisici (rumore, vibrazioni), dal rischio biologico (diversa suscettibilità infezioni virali) al rischio da attrezzature munite di VDT, dai rischi da fattori inerenti l’organizzazione del lavoro (es. stress) al lavoro a turni e notturno. Oltre, ovviamente, alla tutela tradizionale della gravidanza.
È evidente la differente considerazione che atteggiamenti volontari e del tutto scardinati dal fatto lavorativo e dai rischi lavorativi – dove il collegamento con il luogo di lavoro è esclusivamente di natura spaziale e temporale e non causale - come la violenza o le molestie e qualsiasi altra condotta discriminatoria, non possono rientrare nella valutazione dei rischi ai fini della salute e sicurezza sul lavoro, in quanto si tratta di una caratteristica o fattore sociale che non sono propri delle singole e peculiari attività lavorative.
Ben diverso è l’approccio che il datore di lavoro, come responsabile del personale, potrà adottare individuando le misure più opportune, quali iniziative organizzative, comunicative, di sensibilizzazione e di supporto, nonché la previsione di codici etici, con ferma applicazione di procedimenti disciplinari nei confronti degli autori delle condotte illecite, per tutelare i propri lavoratori e rendere il luogo di lavoro un luogo sicuro e libero da qualsiasi tipo di violenza o molestia.
La struttura organizzativa prevista dal D. Lgs. n. 81/2008, ormai ampiamente radicata nei luoghi di lavoro (RSPP, medico competente, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, nonché dirigenti e preposti), ben potrà contribuire a supportare queste iniziative anche in favore del più generale benessere organizzativo e al generale coinvolgimento dei lavoratori e della struttura organizzativa nelle azioni di promozione della salute.
Si ripete che, laddove l’organizzazione del lavoro fosse errata, e quindi disfunzionale rispetto alle finalità di garantire la parità di genere o la prevenzione di violenze e molestie, e si verificassero quindi condizioni di stress riconducibili ad ipotesi di discriminazione o violenza o molestie, allora ben potranno la discriminazione, la molestia o la violenza (che, se tollerate, divengono fattori disfunzionali ad una buona organizzazione del lavoro) divenire oggetto di valutazione nell’ambito della valutazione dello stress, in quanto esso stesso incidente sulla sicurezza dei lavoratori.
Da ultimo, sul punto, si evidenziano due punti che appaiono assai rilevanti.
Laddove la tematica della parità di genere e della violenza e molestie entrasse nella materia della salute e sicurezza, ogni comportamento posto in essere in violazione delle disposizioni adottate dal datore di lavoro rientrerebbe immediatamente nell’alveo delle violazioni di natura penale previste dall’art. 20, comma 2, lett. b) del Dlgs 81/2008 e, di conseguenza, all’interno delle sanzioni più pesanti previste dalla contrattazione collettiva.
In secondo luogo, va osservato che uno dei punti fondamentali nella gestione della prevenzione è la valorizzazione della funzione del preposto per effetto del DL 146/2021, a norma del quale il preposto deve “sovrintendere e vigilare sull'osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione e, in caso di rilevazione di comportamenti non conformi alle disposizioni e istruzioni impartite dal datore di lavoro e dai dirigenti ai fini della protezione collettiva e individuale, intervenire per modificare il comportamento non conforme fornendo le necessarie indicazioni di sicurezza. In caso di mancata attuazione delle disposizioni impartite o di persistenza dell'inosservanza, interrompere l'attività del lavoratore e informare i superiori diretti”.
È evidente che, laddove i comportamenti discriminatori e le ipotesi di violenza o molestie dovessero rientrare nella normativa di salute e sicurezza (ad es., la politica e le indicazioni conseguenti la valutazione del rischio fossero qualificabili come disposizioni aziendali in materia di sicurezza sul lavoro o come istruzioni impartite ai lavoratori), il preposto sarebbe chiamato a svolgere i propri compiti di vigilanza e reazione, non potendo il datore di lavoro tollerare alcuno dei comportamenti che integrano gli estremi della discriminazione, della violenza e della molestia.
Una corretta lettura della prassi di riferimento 125:2022, quindi, porta ad escludere che i profili di salute e sicurezza possano rilevare ai fini della certificazione.
La certificazione
Analizzando il documento in Appendice A (Raccomandazioni per la valutazione di conformità di terza parte – certificazione - per le organizzazioni che hanno implementato un sistema di gestione per garantire la parità di genere) non si rinviene alcun profilo di salute e sicurezza.
La verifica dell’organo di certificazione ha infatti ad oggetto:
- il perimetro e l’applicabilità della presente UNI/PdR, con la definizione degli indirizzi legali e operativi della/e sede/i dell’organizzazione
- la mappatura dei processi (interni ed esterni) e l’elenco delle relative leggi, norme e regolamenti applicabili riferibili alla parità di genere
- l’analisi degli episodi o delle minacce di violazione dei diritti riferibili alla parità di genere nonché le contromisure adottate
- le cause giudiziarie riferite a episodi di violazione dei diritti di genere in cui è eventualmente coinvolta l’organizzazione
- la registrazione delle evidenze in apposite check list/documenti di supporto per il gruppo di audit.
Il Piano di Strategico si articola in obiettivi e azioni declinate nelle macro-aree tematiche di riferimento: Recruitment, Carriera, Equità salariale, Genitorialità, work-life balance, prevenzione di violenza e cultura della organizzazione.
Gli interventi, individuati all’interno di ciascuna area tematica, sono il risultato di un’analisi preliminare di contesto e per ciascuna azione sono stati individuati sia i target sia i soggetti responsabili dell’attuazione, sia gli esiti attesi.
Più in particolare, il tema relativo alle attività di prevenzione di ogni forma di abuso fisico, verbale, digitale (molestia) sui luoghi di lavoro viene affrontato anzitutto prevedendo le metodologie di segnalazione anonime, attraverso il codice etico e il supporto all’empowerment femminile attraverso il presidio di tutte le fasi del percorso professionale della persona, lo sviluppo di un coerente e responsabile processo di comunicazione e la prevenzione di ogni forma di abuso fisico, verbale, digitale (molestia) sui luoghi di lavoro
impegnandosi a valorizzare la persona ed a mantenerne l’integrità fisica e morale.
Le azioni concrete vengono delineate anzitutto attraverso una metodologia di segnalazione o reclamo interno, anonimi, disponibile per tutti i dipendenti (attraverso la compilazione di FORM anonimi e disponibili sulla intranet aziendale) per segnalare qualsiasi forma di molestia e/o abuso sui luoghi di lavoro, ovvero problemi legati ad eventuali limitazioni o diritti negati. Gli esiti vengono misurati attraverso una verifica annuale da parte del Comitato Strategico delle segnalazioni e vengono elaborati dei report relativi alle azioni messe in campo per la risoluzione dei casi specifici.
In secondo luogo, per promuovere la diffusione dei principi etico-comportamentali, incentivandone l’osservanza e migliorando la conoscenza e la comprensione della natura della violenza di genere e le sue cause, potrebbe essere utile predisporre Linee guida sulle discriminazioni di genere e sulle molestie sessuali, su come riconoscerle e come difendersi.
Così come, per verificare la condizione dell’ambiente di lavoro, è possibile somministrare, con cadenza annuale, un questionario di valutazione del grado e livello di sicurezza dalle discriminazioni o dalle molestie percepito dei luoghi di lavoro.
Dunque, il tema della parità di genere, delle violenze, delle molestie viene affrontato sul piano del rapporto di lavoro, della responsabilità sociale, del codice etico, della politica per la parità di genere e non della sicurezza sul lavoro.
Tale documentazione deve tenere conto del grado di applicazione dei requisiti definiti nella Prassi di riferimento, come ad esempio i requisiti sistemici (es. definizione della politica, obiettivi, piano strategico e risultato del monitoraggio del sistema) e requisiti operativi (es., definizione, modalità e frequenza di misurazione degli indicatori qualitativi e quantitativi).
A conferma di quanto sopra espresso, nessuno di questi profili afferisce alla salute e sicurezza sul lavoro ma, più propriamente, alla individuazione e corretta applicazione della politica aziendale.
Questi sono gli elementi indicati, su questo tema, dalle organizzazioni positivamente certificate ai fini della Prassi di riferimento 125:2022, a riprova che si tratta di temi non legati alla sicurezza sul lavoro.
Conclusioni
La corretta valorizzazione delle tematiche e l’ adeguata individuazione degli ambiti di riferimento è presupposto per il pieno e consapevole rispetto della normativa e condizione per il conseguimento degli obiettivi del legislatore.
Una politica aziendale di valorizzazione della parità di genere passa attraverso la prevenzione e la eliminazione di ogni forma di discriminazione o, peggio, di violenza e molestia, aspetti tutti rimessi alla adeguata gestione dell’organizzazione e del personale.
Nei contratti collettivi, sono ben definite le regole per la gestione di questi temi: dalla definizione della politica aziendale relativa ai rapporti in azienda alla costituzione delle commissioni per le pari opportunità, dalle informative alle azioni per prevenire violenze e molestie fino al sistema disciplinare.
La certificazione della Prassi di riferimento 125:2022, non prevedendo elementi di salute e sicurezza, conferma positivamente questa impostazione.
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