Con il messaggio in esame l’Inps, accogliendo una richiesta di Confindustria, ha finalmente indicato le modalità concrete attraverso le quali informerà i datori di lavoro della causale alla base del certificato relativo alla condizione del lavoratore in quarantena o in malattia conclamata da Covid19.
Premessa
L’Inps, con il messaggio n. 3871 del 23 ottobre 2020, offre alcune ulteriori precisazioni rispetto al tema del conguaglio che il datore di lavoro che ha anticipato le prestazioni nelle ipotesi di quarantena e malattia da COVID19 può richiedere all’Inps.
A questo proposito ricordiamo che, con il precedente messaggio n. 3653 del 09 ottobre 2020, l’Istituto aveva precisato la differenza tra le ipotesi di quarantena (provenienza dall’estero, contatto con casi sospetti, positività negli asintomatici) e la malattia conclamata, che conferma anche nel messaggio in esame.
Una delle criticità che ancora perdurano per la regolazione dei rapporti tra datore di lavoro, lavoratore e Istituto previdenziale è la difficoltà per il datore di lavoro di conoscere la causale (quarantena o malattia conclamata) del certificato medico esibito dal lavoratore ai fini della gestione del lavoratore (sul versante del rapporto di lavoro) e del corretto rapporto con l’Inps (ai fini dei conguagli). La tutela della privacy non consente, infatti, di conoscere la prognosi e le eventuali indicazioni presenti nel certificato (ad es., il numero del provvedimento del certificato di quarantena emesso dalla autorità sanitaria).
Confindustria ha sottolineato il rilevante problema già in sede di emanazione del DL n. 18/2020 e le ha recentemente ribadite ai vertici del Ministero del lavoro e della salute.
L’Istituto, accogliendo con il messaggio in esame le istanze di Confindustria, indica finalmente le procedure grazie alle quali il datore di lavoro potrà venire a conoscenza della causale del certificato fornito dal lavoratore (ovviamente, nel rispetto della privacy).
Le informazioni necessarie (i codici che consentono di distinguere le tre ipotesi dei commi 1, 2 e 6 dell’art. 26) verranno messe a disposizione dall’Istituto sul Cassetto Previdenziale per le aziende e gli intermediari; inoltre, quotidianamente sarà inviata una PEC all’azienda con le medesime informazioni presenti sul Cassetto stesso – “CFLavoratore”, PUC del certificato medico, tutela riconosciuta, periodo dell’evento (“dataDa”, “dataA”), “codiceEvento” da utilizzare, codice conguaglio da utilizzare - e una e-mail di notifica agli intermediari.
Il messaggio
Oggetto del conguaglio sono “le prestazioni erogate ai lavoratori aventi diritto alla tutela previdenziale della malattia limitatamente all’importo anticipato per conto dell’Istituto” mentre, sul piano della individuazione del periodo di riferimento, l’Inps evidenzia che, per ora, procederà a consentire il conguaglio gestendo “gli eventi di “quarantena” a carico dell’Istituto con prognosi che si sia conclusa entro il 30 settembre 2020”.
I lavoratori, sulla base delle previsioni dell’art. 26, commi 1, 2 (relativi alla quarantena) e 6 (relativo alla malattia conclamata) del DL n. 18/2020, hanno diritto al trattamento di malattia (nei primi due casi, ai fini economici, nel secondo caso ai fini sostanziali). Il datore di lavoro che ha anticipato i relativi trattamenti ha diritto al recupero dell’anticipazione attraverso lo strumento del conguaglio.
L’Inps evidenzia che gli uffici territoriali stanno provvedendo all’accertamento del diritto dei lavoratori e al riconoscimento dell’indennità c.d. quarantena e dell’indennità ai lavoratori “fragili” sulla base delle certificazioni prodotte.
Questi dati (certificazione di quarantena o di malattia conclamata) andranno ad alimentare apposite “tabelle di scambio” con le quali saranno fornite al datore di lavoro le informazioni necessarie alla procedura dei flussi contributivi, per le successive richieste di conguaglio da parte delle aziende.
L’Istituto ha individuato i codici che consentono di distinguere le tre tipologie: MV6, relativo alla quarantena dell’art. 26, comma 1; MV7, la quarantena del comma 2; MV8, la malattia conclamata richiamata nel comma 6.
“Le informazioni contenute nelle citate tabelle di scambio circa gli eventi afferenti alle predette tutele verranno messe a disposizione dall’Istituto sul Cassetto Previdenziale per le aziende e gli intermediari; quotidianamente sarà inviata una PEC all’azienda con le medesime informazioni presenti sul Cassetto stesso – “CFLavoratore”, PUC del certificato medico, tutela riconosciuta, periodo dell’evento (“dataDa”, “dataA”), “codiceEvento” da utilizzare, codice conguaglio da utilizzare - e una e-mail di notifica agli intermediari”.
Si richiama l’attenzione sul fatto che, in presenza di certificato non riconosciuto come appartenente alle tipologie in argomento, il relativo importo posto a conguaglio sarà ritenuto indebito.
L’Istituto indica anche le modalità per rettificare eventuali conguagli operati a titolo di indennità di malattia laddove invece la condizione del lavoratore fosse individuata come quarantena.
Conclusioni
Il documento dell’Inps, se risolve la questione inerente alla corretta classificazione del conguaglio, non risolve ancora il problema della tempestiva conoscenza della causale dell’assenza ai fini della gestione del lavoratore, che presuppone che la conoscenza della reale condizione (quarantena o malattia) pervenga al datore di lavoro immediatamente.
La conoscenza, infatti, è necessaria per sapere se si è in presenza di uno stato di malattia conclamata che impedisce lo svolgimento dell’attività lavorativa ovvero di quarantena che consente, laddove sia possibile svolgere la prestazione da remoto, la prosecuzione dell’attività lavorativa, ovviamente con le dovute cautele della quarantena.
Il Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Istituto ha, a questo proposito, approvato l’ordine del giorno del 21 ottobre 2020 con il quale invita gli organi dell’Ente, “alla luce del messaggio INPS Hermes n. 3653 del 2020, che ha distinto tra quarantena e malattia, a modificare le procedure in modo da consentire di inviare al datore di lavoro, sempre con immediatezza, una comunicazione che indichi espressamente se il lavoratore sia in malattia od in quarantena”.
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Pervengono numerosi quesiti in ordine al comportamento da tenere nei confronti dei lavoratori, ad esempio nelle ipotesi di contatto con persone che sono risultate positive al COVID19 (es., colleghi di lavoro del lavoratore risultato positivo) ovvero che sono entrate a contatto (anche come conviventi) con persone a loro volta entrate in contatto con persone positive al COVID19 (è il caso, ad esempio, dei conviventi del lavoratore in quarantena per essere contatto stretto del collega risultato positivo al COVID19).
In questi ed in altri casi similari occorre seguire, ovviamente, esclusivamente le indicazioni del medico di base e delle autorità sanitarie, senza adottare misure che potrebbero anche influire negativamente sui percorsi definiti dalle autorità sanitarie. Appare ovviamente essenziale il concorso del medico competente.
È altresì utile conoscere quale uso verrà fatto dei tamponi e quale sarà il percorso delle quarantene e degli isolamenti, anche al fine di programmare il rientro del lavoratore, tenendo conto della previsione del Protocollo del 14 marzo 2020, che disciplina le modalità del rientro in azienda del lavoratore risultato positivo al COVID19.
A questo proposito, evidenziamo alcuni recenti documenti ufficiali ai quali fare riferimento, anche solamente per conoscere quali sono le iniziative ed i percorsi che saranno adottate dalle autorità sanitarie.
- Quarantena e malattia
In primo luogo, appare utile richiamare innanzitutto il Messaggio dell’Inps n. 3653 del 9 ottobre 2020, che consente di operare la distinzione tra quarantena (che sussiste nelle ipotesi previste dall’art. 26, comma 1, del DL n. 18/2020[1] ) e malattia (che sussiste nell’ipotesi prevista dall’art. 26, comma 6[2]).
La quarantena è prevista nelle quattro ipotesi previste dall’art. 26, comma 1 del DL n. 18/2020:
- Art. 1, comma 2, lettere h) e i) del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13:
“h) applicazione della misura della quarantena con sorveglianza attiva agli individui che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva;
“i) previsione dell'obbligo da parte degli individui che hanno fatto ingresso in Italia da zone a rischio epidemiologico”
- Art. 1, comma 2, lettere d) ed e), del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19
- d) applicazione della misura della quarantena precauzionale ai soggetti che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva o che entrano nel territorio nazionale da aree ubicate al di fuori del territorio italiano;
“e) divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena, applicata dal sindaco quale autorità sanitaria locale, perché risultate positive al virus”
A questo proposito, si richiama la circolare del Ministero della salute del 12 ottobre 2020 (che verrà commentata a breve) dove evidenzia che la quarantena “si riferisce alla restrizione dei movimenti di persone sane per la durata del periodo di incubazione”.
- Caso e contatto
Il secondo elemento utile è la declinazione delle ipotesi di “caso” e di “contatto”, che può essere rinvenuta nel Rapporto ISS COVID-19 n. 53/2020 - Guida per la ricerca e gestione dei contatti (contact tracing) dei casi di COVID-19. Versione del 25 giugno 2020
In estrema sintesi, occorre distinguere tra “caso” (sospetto, probabile, confermato) e “contatti” (stretto o casuale) secondo le seguenti schematiche indicazioni:
CASO SOSPETTO
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Una persona con infezione respiratoria acuta (insorgenza improvvisa di almeno uno tra i seguenti segni e sintomi: febbre, tosse e dispnea) E senza un’altra eziologia che spieghi pienamente la presentazione clinica E storia di viaggi o residenza in un Paese/area in cui è segnalata trasmissione locale durante i 14 giorni precedenti l’insorgenza dei sintomi;
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Una persona con una qualsiasi infezione respiratoria acuta E che è stata a stretto contatto con un caso probabile o confermato di COVID-19 nei 14 giorni precedenti l’insorgenza dei sintomi;
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Una persona con infezione respiratoria acuta grave (febbre e almeno un segno/sintomo di malattia respiratoria – es. tosse, dispnea) E che richieda il ricovero ospedaliero (Severe Acute Respiratory Infection, SARI) E senza un’altra eziologia che spieghi pienamente la presentazione clinica.
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CASO PROBABILE
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Un caso sospetto il cui risultato del test per SARS-CoV-2 è dubbio o inconcludente utilizzando protocolli specifici di Real Time PCR per SARS-CoV-2 presso i Laboratori di Riferimento Regionali individuati o è positivo utilizzando un test pan-coronavirus.
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CASO CONFERMATO
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Un caso con una conferma di laboratorio per infezione da SARS-CoV-2, effettuata presso il laboratorio di riferimento nazionale dell’Istituto Superiore di Sanità o da laboratori Regionali di Riferimento, indipendentemente dai segni e dai sintomi clinici.
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CONTATTO - DEFINIZIONE
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Un contatto di un caso COVID-19 è qualsiasi persona esposta ad un caso probabile o confermato di COVID-19 in un lasso di tempo che va da 48 ore prima a 14 giorni dopo l’insorgenza dei sintomi nel caso (o fino al momento della diagnosi e dell’isolamento). Se il caso non presenta sintomi, si definisce contatto una persona esposta da 48 ore prima fino a 14 giorni dopo la raccolta del campione positivo del caso (o fino al momento della diagnosi e dell’isolamento) (10).
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CONTATTO STRETTO
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- una persona che vive nella stessa casa di un caso di COVID-19
- una persona che ha avuto un contatto fisico diretto con un caso di COVID-19 (es. la stretta di mano)
- una persona che ha avuto un contatto diretto non protetto con le secrezioni di un caso di COVID-19 (es. toccare a mani nude fazzoletti di carta usati)
- una persona che ha avuto un contatto diretto (faccia a faccia) con un caso di COVID-19, a distanza minore di 2 metri e di durata maggiore a 15 minuti
- una persona che si è trovata in un ambiente chiuso (es. aula, sala riunioni, sala d’attesa dell’ospedale) con un caso di COVID-19, in assenza di DPI idonei
- un operatore sanitario od altra persona che fornisce assistenza diretta ad un caso di COVID19 oppure personale di laboratorio addetto alla manipolazione di campioni di un caso di COVID-19 senza l’impiego dei DPI raccomandati o mediante l’utilizzo di DPI non idonei
- una persona che ha viaggiato seduta in treno, aereo o qualsiasi altro mezzo di trasporto entro due posti in qualsiasi direzione rispetto a un caso COVID-19; sono contatti stretti anche i compagni di viaggio e il personale addetto alla sezione dell’aereo/treno dove il caso indice era seduto.
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CONTATTO CASUALE
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Qualsiasi persona esposta al caso, che non soddisfa i criteri per un contatto stretto.
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- Trattamento dei casi e dei contatti
È quindi utile aver presenti le definizioni fondamentali ed il trattamento dei casi, individuabili nella recente circolare del Ministero della salute “COVID-19: indicazioni per la durata ed il termine dell’isolamento e della quarantena.”
Rinviando ovviamente alla lettura della circolare, si possono evidenziare le definizioni delle differenti situazioni nelle quali si può venire a trovare la persona e i conseguenti comportamenti delle autorità sanitarie.
- Isolamento dei casi di documentata infezione da SARS-CoV-2: separazione delle persone infette dal resto della comunità per la durata del periodo di contagiosità, in ambiente e condizioni tali da prevenire la trasmissione dell’infezione.
- Quarantena: si riferisce alla restrizione dei movimenti di persone sane per la durata del periodo di incubazione, ma che potrebbero essere state esposte ad un agente infettivo o ad una malattia contagiosa, con l’obiettivo di monitorare l’eventuale comparsa di sintomi e identificare tempestivamente nuovi casi.
La circolare del Ministero della salute conferma che i lavoratori in quarantena sono “sani” ma che potrebbero evidenziare la comparsa di sintomi (nel qual caso diverrebbero malati).
- Casi positivi asintomatici: persone asintomatiche risultate positive alla ricerca di SARS-CoV-2, possono rientrare in comunità dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa della positività, al termine del quale risulti eseguito un test molecolare con risultato negativo (10 giorni + test).
- Casi positivi sintomatici: persone sintomatiche risultate positive alla ricerca di SARS-CoV-2, possono rientrare in comunità dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa dei sintomi (non considerando anosmia e ageusia/disgeusia che possono avere prolungata persistenza nel tempo) accompagnato da un test molecolare con riscontro negativo eseguito dopo almeno 3 giorni senza sintomi (10 giorni, di cui almeno 3 giorni senza sintomi + test).
- Casi positivi a lungo termine: persone che, pur non presentando più sintomi, continuano a risultare positive al test molecolare per SARS-CoV-2, in caso di assenza di sintomatologia (fatta eccezione per ageusia/disgeusia e anosmia che possono perdurare per diverso tempo dopo la guarigione) da almeno una settimana, potranno interrompere l’isolamento dopo 21 giorni dalla comparsa dei sintomi. Questo criterio potrà essere modulato dalle autorità sanitarie d’intesa con esperti clinici e microbiologi/virologi, tenendo conto dello stato immunitario delle persone interessate (nei pazienti immunodepressi il periodo di contagiosità può essere prolungato).
- Contatti stretti asintomatici: i contatti stretti di casi con infezione da SARS-CoV-2 confermati e identificati dalle autorità sanitarie, devono osservare:
- un periodo di quarantena di 14 giorni dall’ultima esposizione al caso; oppure
- un periodo di quarantena di 10 giorni dall’ultima esposizione con un test antigenico o molecolare negativo effettuato il decimo giorno.
Da ultimo, si evidenzia che la Circolare raccomanda, tra l’altro, di “non prevedere quarantena né l’esecuzione di test diagnostici nei contatti stretti di contatti stretti di caso (ovvero non vi sia stato nessun contatto diretto con il caso confermato), a meno che il contatto stretto del caso non risulti successivamente positivo ad eventuali test diagnostici o nel caso in cui, in base al giudizio delle autorità sanitarie, si renda opportuno uno screening di comunità”
Alcuni casi concreti, sulla base anche dei quesiti pervenuti, riferibili alla raccomandazione contenuta nella circolare:
- il convivente di un lavoratore il cui collega (con il quale è stato a contatto stretto) sia risultato positivo non deve restare in quarantena né essere sottoposto a tampone;
- il lavoratore convivente con il figlio che sia in quarantena (non perché positivo ma) perché contatto stretto di un compagno di scuola risultato positivo al COVID19
- Uso dei tamponi
Appare poi utile conoscere come gli organi sanitari gestiranno l’uso dei tamponi, relativamente ai differenti casi sopra evidenziati. Le indicazioni sono reperibili nella nota tecnica dell’ISS “Test di laboratorio per SARS-CoV-2 e loro uso in sanità pubblica”.
In particolare, la nota tecnica evidenzia che “la persona in attesa del risultato del test deve essere posta in quarantena. Se il risultato del test è positivo il Dipartimento di Prevenzione prescriverà l’isolamento alla persona interessata e la quarantena ai contatti stretti”.
Questa indicazione sembra risolvere una parte delle questioni interpretative relative alla condizione del lavoratore nel periodo di attesa del tampone.
Il documento è completato da una tabella sinottica che raccorda le ipotesi di “caso” e “contatto” con il tipo di tampone da prescrivere e dalla rappresentazione delle finalità dei tamponi molecolare, antigenico rapido e sierologico.
- Gestione della persona in quarantena
Altrettanto utile, al fine di conoscere la gestione dei casi anche dal punto di vista dei tempi della quarantena rispetto all’evoluzione della situazione della persona in quarantena, è una recente circolare della Regione Lombardia “Aggiornamento delle indicazioni per la durata dell’isolamento e della quarantena dei casi confermati di Covid-19 e contatti stretti di casi confermati; utilizzo dei test diagnostici”
- Il rientro in azienda
Da ultimo, si ricorda che il Protocollo del 24 aprile 2020, in tema di sorveglianza sanitaria, prevede che “per il reintegro progressivo di lavoratori dopo l’infezione da COVID19, il medico competente, previa presentazione di certificazione di avvenuta negativizzazione del tampone secondo le modalità previste e rilasciata dal dipartimento di prevenzione territoriale di competenza, effettua la visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione”. (D.lgs. 81/08 e s.m.i, art. 41, c. 2 lett. e-ter), anche per valutare profili specifici di rischiosità e comunque indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia
Si evidenzia, quindi, che le modalità per il rilascio della avvenuta negativizzazione sono da riferirsi alle più recenti indicazioni contenute nelle circolari del Ministero della salute.
[1] “Il periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva di cui all'articolo 1, comma 2, lettere h) e i) del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, e di cui all'articolo 1, comma 2, lettere d) ed e), del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, dai lavoratori dipendenti del settore privato, è equiparato a malattia ai fini del trattamento economico previsto dalla normativa di riferimento e non è computabile ai fini del periodo di comporto”.
[2] “Qualora il lavoratore si trovi in malattia accertata da COVID-19”
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Inoltriamo la nota a commento al DL 125/2020 modificata.
Ci scusiamo per il disguido
Commento al DL 125-2020 mod.pdf|Visualizza dettagli
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Informiamo che il 9 ottobre scorso il Consiglio dell’UE ha emanato una Raccomandazione per favorire un “approccio coordinato alle restrizioni della libera circolazione nell’Unione europea, in relazione alla pandemia da Covid-19” (cfr. testo allegato in calce).
Con tale iniziativa, il Consiglio UE ha inteso fornire agli Stati membri una serie di indicazioni operative per una gestione coordinata delle restrizioni alla circolazione delle persone all’interno dell’Unione, in relazione alla pandemia da Covid-19, con l'obiettivo di superare l’incertezza giuridica che si era registrata all’inizio della crisi sanitaria, determinata dalla diversità di regole adottate a livello nazionale.
Il principio generale, richiamato dalla Raccomandazione, è che la libertà di circolazione all'interno dell'Unione può essere limitata dagli Stati membri soltanto per comprovati motivi di tutela della salute pubblica.
Fra gli aspetti richiamati dalla Raccomandazione, si segnalano:
- L’invito agli Stati membri a redigere elenchi volti a identificare i lavoratori che esercitano “funzioni essenziali”, tra cui, ad esempio: lavoratori stagionali, distaccati, trans-frontalieri, del settore sanitario, a cui non applicare le regole della quarantena, quando si spostano da un Paese UE ad un altro
- Il reciproco riconoscimento fra Stati membri della validità dei test sul Covid-19, quando eseguiti da autorità sanitarie certificate nei singoli Stati.
- Un formulario comune - in formato digitale – per tutti i cittadini UE che si spostano all’interno dell’Unione
- Una mappatura dei Paesi UE/regioni suddivisa in codici (“coding”), basati su diversi colori, ciascuno corrispondente ad un determinato livello di rischio, in relazione ai diversificati tassi di contagio registratisi a livello nazionale/locale
- Un sistema di raccolta e trasmissione dati – su base settimanale – dai singoli Stati membri al Centro Europeo per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie, al fine di centralizzare il controllo dei dati ed evitare mappature unilaterali da parte degli Stati membri, relativamente alla situazione dei contagi da Covid-19.
Trattandosi di una Raccomandazione, ricordiamo che le previsioni in essa contenute non sono vincolanti per gli Stati membri, tuttavia le Istituzioni UE auspicano la piena attuazione delle relative indicazioni da parte dei governi nazionali, nella consapevolezza che un approccio coordinato e trasparente sulle regole che limitano la libera circolazione in UE sia l'unico possibile per superare tutti insieme la crisi.
Sul tema della libera circolazione delle persone all’interno dell’UE, ai segnala, altresì, che è operativa la piattaforma europea “Re-Open EU”, in cui è possibile visualizzare, per ciascuno Stato membro, una serie di informazioni utili per chi viaggia (incluse le regole sugli spostamenti) connesse all’emergenza da Covid-19.
2020-10-13 council recommendation final.pdf|Visualizza dettagli
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Premessa
Il DPCM 13 ottobre 2020, adottato per fronteggiare l’emergenza COVID19, introduce alcune restrizioni rispetto a quelle previste nel precedente documento del 7 ottobre (che prorogava quello del 7 settembre).
Il dato più recente sull’andamento dell’epidemia ha indotto il Governo ad adottare misure maggiormente vincolanti soprattutto con riferimento alle attività sociali, posto che, secondo gli esperti, “la trasmissione locale del virus, diffusa su tutto il territorio nazionale, provoca focolai anche di dimensioni rilevanti soprattutto segnalati in ambito domiciliare/familiare”.
Il provvedimento si muove sulle linee del decreto legge n. 125/2020, che – oltre a formalizzare per via normativa la proroga dello stato di emergenza al 31 gennaio 2020 adottata con Delibera del Consiglio dei Ministri del 7 ottobre 2020 - aveva già previsto interventi di maggior rigore.
In particolare, ci si riferisce all’art. 1, comma 1, lett. b), dove prevedeva la possibilità di introdurre l’”obbligo di avere sempre con sé dispositivi di protezione delle vie respiratorie, con possibilità di prevederne l'obbligatorietà dell'utilizzo nei luoghi al chiuso diversi dalle abitazioni private e in tutti i luoghi all'aperto a eccezione dei casi in cui, per le caratteristiche dei luoghi o per le circostanze di fatto, sia garantita in modo continuativo la condizione di isolamento rispetto a persone non conviventi, e comunque con salvezza dei protocolli e delle linee guida anti-contagio previsti per le attività economiche, produttive, amministrative e sociali, nonché delle linee guida per il consumo di cibi e bevande”.
Contemporaneamente, sempre al fine di aggiornare gli strumenti di contrasto al virus, vanno sottolineati altri interventi: tra questi, l’aggiornamento delle linee guida delle Regioni, allegate al DPCM, con provvedimento dell’8 ottobre; la revisione delle modalità per la gestione della quarantena (circolare del Ministero della salute del 12 ottobre 2020, in linea con il parere del CTS del giorno precedente) e la pianificazione delle attività di contrasto al COVID19 in vista del periodo autunnale-invernale (circolare del Ministero della salute del 12 ottobre 2020).
Il DPCM fa espressamente salvi i protocolli di sicurezza
In primo luogo, va evidenziato che il provvedimento, in linea con la garanzia contenuta nel decreto-legge n. 125/2020, fa ripetutamente salvi i Protocolli previsti per le attività produttive.
Nel precedente DPCM, la precisazione era contenuta esclusivamente nell’articolo 2, da sempre dedicato, nei vari DPCM succedutisi nel tempo, al riferimento ai Protocolli, e sempre si faceva salva l’applicazione delle misure generali senza che queste derogassero ai Protocolli.
Nel provvedimento in commento, invece, la garanzia della salvezza dei protocolli è presente anche all’articolo 1, dove – ripetendo il testo del decreto-legge richiamato – si rafforza espressamente (“e comunque”) la previsione della prevalenza dei Protocolli nei luoghi di lavoro.
Resta, ovviamente, la previsione dell’articolo 2, nella formulazione identica a quella presente nei precedenti DPCM.
Deve, dunque, ritenersi che l’espressa eccezione alle regole generali confermi integralmente la “riserva” in favore dei protocolli.
La sottolineatura si rende opportuna in quanto il comma 1 dell’art. 1 del DPCM introduce, per la intera cittadinanza, l’obbligo di portare sempre con sé la mascherina e di indossarla “nei luoghi al chiuso”. Il comma 4 – ad ulteriore dimostrazione che la disposizione non si riferisce alla mascherina chirurgica prevista per i luoghi di lavoro - precisa che si può trattare di qualsiasi tipo di protezione per la bozza ed il naso. Inoltre, tra i luoghi al chiuso sarebbero ricompresi anche tutti i luoghi di lavoro, se lo stesso comma 1 non facesse subito salva l’applicazione dei protocolli e delle linee guida.
Così come la previsione dell’obbligo di indossare la mascherina “in tutti i luoghi all’aperto” porrebbe dubbi interpretativi con riferimento, ad esempio, alle regole disposte per i cantieri e per tutte le attività produttive che si svolgono all’aperto, se mancasse la disposizione della salvezza dei protocolli.
Nessuna modifica, quindi, alle regole da osservare nei luoghi di lavoro, né con riferimento agli uffici (come anticipato da qualche articolo giornalistico nei giorni scorsi) né riguardo agli spazi comuni (per i quali continuano a vigere le stesse regole previste nel protocollo del 14 marzo 2020).
Diversamente opinando, la sussistenza dell’obbligo di indossare ovunque e continuamente la mascherina (di qualunque tipo, non necessariamente quella chirurgica e salve le ipotesi di obbligo di DPI), a prescindere dal rispetto della distanza, supererebbe tutte le previsioni che, invece, nei luoghi di lavoro, ne legano l’uso obbligatorio ad ipotesi specifiche (distanza inferiore ad un metro, spazi comuni, etc.): le due situazioni giuridiche sono evidentemente incompatibili tra di loro e, soprattutto, con la espressa salvezza dei protocolli.
Deve, quindi, ritenersi che la espressa garanzia contenuta nel decreto-legge e ripetutamente presente nel DPCM consente di affermare la perdurante validità dei Protocolli.
L’adeguatezza del Protocollo 14 marzo 2020
La circolare del 12 ottobre 2020 del Ministero della salute, nel delineare le linee di “Prevenzione e risposta a Covid-19: evoluzione della strategia e pianificazione nella fase di transizione per il periodo autunno-invernale”, riporta un passaggio che conferma espressamente la piena adeguatezza del Protocollo anche in prospettiva, così supportando la scelta del Legislatore e del Governo di mantenerne salva l’efficacia, anche in una situazione di potenziale peggioramento della situazione pandemica.
Secondo questo documento, infatti, a proposito del “Contributo del sistema di prevenzione aziendale nei luoghi di lavoro”, “il sistema realizzatosi nel tempo si è già rivelato, con maggiore valenza di sempre, come una naturale infrastruttura in grado di contribuire alla mitigazione del rischio, alla luce della integrazione di misure organizzative di prevenzione e protezione previste a partire dal “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro” del 14 marzo e la sua integrazione del 24 aprile e nei Protocolli di settore, favorendo – anche per il periodo autunno-invernale – la tutela della salute e sicurezza dei 23 milioni di lavoratori interessati, con inevitabili ricadute positive anche sulla collettività. Particolare rilievo continua a rivestire la sorveglianza sanitaria anche in relazione alle attività di informazione sul rischio nonché per la tutela dei lavoratori cosiddetti “fragili”.
L’uso della mascherina nei luoghi isolati
Il DPCM, ripetendo l’analoga previsione del DL n. 125/2020, esclude l’obbligo di indossare la mascherina nei “casi in cui, per le caratteristiche dei luoghi o per le circostanze di fatto, sia garantita in modo continuativo la condizione di isolamento rispetto a persone non conviventi”.
La previsione ha ingenerato perplessità interpretative, in quanto non sarebbe chiaro se si riferisca solamente ai luoghi all’aperto o anche ai luoghi al chiuso, così facendo sorgere la questione della sussistenza o meno dell’obbligo relativamente ai luoghi di lavoro nei quali possa, in qualche modo, essere garantito l’isolamento continuativo.
Anche da questo punto di vista, va rilevato che, immediatamente dopo, la norma fa espressamente salvo il riferimento ai protocolli: a prescindere, dunque, dalla interpretazione del passaggio normativo, deve ritenersi che continuino in ogni caso a trovare applicazione le regole dei protocolli, legate all’uso della mascherina laddove non sia possibile il distanziamento di un metro (salvo quanto previsto per gli spazi comuni).
Le misure di precauzione: distanziamento fisico, igiene e mascherine
Il comma 2 dell’art. 1 conferma l’obbligo di distanziamento di almeno un metro, mentre al comma 5 si afferma che distanziamento fisico e costante e regolare igienizzazione delle mani costituiscono misure “invariate e prioritarie”, alle quali si aggiunge l’uso della mascherina. La declinazione delle misure evidenzia il carattere residuale della mascherina, che, evidentemente, costituisce un rimedio meno efficace dei due prioritari ma che, sommata ai precedenti, contribuisce ad integrare efficacemente la tutela della salute.
La raccomandazione dell’uso della mascherina in tutti i luoghi chiusi, anche nella privata dimora
Il provvedimento (art. 1, comma 1) contiene una forte raccomandazione (nella impossibilità di introdurre un obbligo giuridicamente rilevante) a indossare la mascherina nelle abitazioni private (in presenza di persone non conviventi).
Sebbene tale misura riguardi l’abitazione privata, si può ritenere che, per analogia, e pur nella conferma dei Protocolli, la raccomandazione possa valere anche per i luoghi di lavoro, che è possibile avvicinare al luogo chiuso della abitazione (restando escluso che i colleghi di lavoro possano rientrare nel novero dei conviventi).
Resta evidente la distinzione tra obbligo e raccomandazione: l’andamento dell’epidemia, tuttavia, non può che suggerire comportamenti precauzionali sempre in linea con le evidenze scientifiche.
La misurazione della febbre
Il comma 6 individua ulteriori misure di precauzione. In particolare, si conferma l’obbligo di rimanere al proprio domicilio per chi ha la temperatura superiore a 37,5°: la previsione consente di evidenziare che, prima ancora del divieto di ammissione al lavoro, vige a monte l’obbligo di tenere sotto controllo la temperatura ed il divieto di recarsi al lavoro, oltre a quello di contattare il medico di famiglia.
La conferma dei protocolli
L’articolo 2, come sopra richiamato, nel testo del tutto identico a quello dei precedenti DPCM, conferma l’obbligo di rispetto dei protocolli e delle linee guida relativamente alle attività produttive.
Spostamenti da e verso l’estero
Viene disciplinato il tema degli spostamenti da e per l’estero, anche al fine di integrare nel provvedimento governativo le recenti indicazioni del Ministero della salute (in particolare, ordinanza del 7 ottobre 2020).
In particolare, ferma la sostanziale conferma delle regole attualmente vigenti, per l’ingresso dai Paesi indicati nell’allegato C, non si prevede la quarantena ma la sottoposizione ad un tampone molecolare o antigenico (nel Paese di partenza ovvero in Italia, all’arrivo e, comunque, entro le 48 ore, con obbligo di isolamento fiduciario in attesa di sottoporsi al test).
Si conferma, poi, l’esenzione dalle limitazioni concernenti l’isolamento o la quarantena per chi fa ingresso dall’estero per ragioni non differibili, previa autorizzazione del Ministero della salute, e si sia sottoposto al tampone molecolare o antigenico con esito negativo nelle 72 ore precedenti.
Profili sanzionatori
I profili sanzionatori relativi alle violazioni delle prescrizioni contenute nel DPCM restano indicati nel testo aggiornato dell’articolo 4 del DL n. 19/2020 (convertito nella legge n. 35/2020), di cui il DPCM costituisce attuazione.
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Premessa
L’Inps, con il messaggio INPS.HERMES.09/10/2020.0003653, interviene su alcuni aspetti particolarmente critici relativi alla gestione delle certificazioni mediche di malattia e della quarantena legate alla pandemia. Il messaggio fa seguito al precedente del giugno 2020.
Confindustria ha, fin dall’inizio dell’emergenza, evidenziato all’Istituto, ai Ministeri del lavoro e della salute, i numerosi e gravi problemi inerenti a questo tema.
Una circolare dell’Inps è stata da tempo sottoposta al Ministero del lavoro, ma è ancora in attesa di valutazione. Il messaggio, nonostante alcuni profili non condivisibili, pone le premesse per risolvere alcune delle questioni evidenziate da Confindustria.
Ambito applicativo
Innanzitutto, per comprendere le conclusioni cui perviene l’Istituto, occorre precisare che il chiarimento dell’Inps si riferisce alle ipotesi di quarantena (commi 1 e 2) e di certificazione di malattia (comma 6) previste dall’art. 26 del DL n. 18/2020.
Il comma 1 dell’art. 26 – richiamando espressamente i DL 6 e 19 del 2020 - fa conseguentemente riferimento a tre ipotesi di quarantena:
- quarantena per contatto stretto con casi confermati di positività (il DL n. 6/2020, art. 1, comma 2, lettera h), sostituito dal DL 19/2020, art. 1, comma 2, lettera d)
- quarantena per provenienza da paesi a rischio epidemiologico (DL n. 6/2020, art. 1, comma 2, lettera i), sostituito dal DL 19/2020, art. 1, comma 2, lettera d)
- quarantena per certificazione di positività al virus (DL n. DL 19/2020, art. 1, comma 2, lettera e).
Il comma 2 fa riferimento ai lavoratori cd fragili, la cui situazione è equiparata al ricovero ospedaliero.
Alle ipotesi di quarantena si aggiunge la certificazione di “malattia accertata” (art. 26, comma 6, DL n. 18/2020).
Quarantena e malattia
Primo aspetto di rilievo è la espressa affermazione che “la quarantena e la sorveglianza precauzionale per i soggetti fragili - di cui rispettivamente ai commi 1 e 2 dell’articolo 26 del D.L. n. 18 del 2020 - non configurano un’incapacità temporanea al lavoro per una patologia in fase acuta tale da impedire in assoluto lo svolgimento dell’attività lavorativa”.
A parte l’errato riferimento ai lavoratori di cui al primo comma dell’art. 26, definiti come fragili, la disposizione consente di distinguere le ipotesi della quarantena dalla situazione della malattia conclamata o accertata: nonostante l’equiparazione ai fini economici della quarantena alla malattia, nella quarantena non trova applicazione la tutela previdenziale della malattia in quanto manca lo status di malattia accertata, che preclude lo svolgimento dell’attività lavorativa.
Ne consegue che il lavoratore in quarantena perché positivo al virus ma asintomatico non ha alcuna incapacità allo svolgimento dell’attività lavorativa, mancando, in questa situazione, una “patologia in fase acuta tale da impedire in assoluto lo svolgimento dell’attività lavorativa”, che è il “presupposto per il riconoscimento della tutela previdenziale della malattia comune”.
Risulta così superato il dubbio che il lavoratore positivo ma asintomatico possa lavorare, ovviamente in modalità di lavoro agile.
Resta da considerare che il soggetto in quarantena le cui mansioni lavorative sono compatibili con il lavoro agile, percepiranno la normale retribuzione, per cui non opererà la equiparazione tra quarantena e malattia ai fini economici. Nella differente ipotesi in cui le mansioni non sono compatibili con il lavoro da remoto, tornerà ad operare la situazione di equiparazione tra quarantena e malattia, con conseguente subentro della prestazione previdenziale economica.
L’Istituto non ha chiarito quale sia la situazione del lavoratore nel periodo tra il triage telefonico e la disposizione dello stato di quarantena, aspetto rilevante in quanto la legge tutela la situazione di quarantena solamente in presenza di un provvedimento formale che la disponga.
Nella diversa ipotesi in cui ci si trovi in una situazione di “malattia conclamata”, attestata da certificato medico, l’Istituto richiama correttamente la temporanea incapacità lavorativa, con diritto alle prestazioni previdenziali. Il presupposto, in questo caso, è la perdita della capacità di guadagno.
Il messaggio non approfondisce espressamente il tema del concetto di “malattia conclamata” (quella che, nel comma 6 dell’art. 26, viene definita come “accertata”) e la conseguente distinzione tra semplice contagio, da un lato, e “patologia in fase acuta tale da impedire in assoluto lo svolgimento dell’attività lavorativa”, che costituisce il “presupposto per il riconoscimento della tutela previdenziale della malattia comune”, dall’altro.
Nel momento in cui, tuttavia, l’Istituto ha ricondotto l’ipotesi del lavoratore positivo al virus ma asintomatico alla ipotesi della quarantena, può dirsi che dall’ambito della quarantena resta estranea esclusivamente la situazione del lavoratore positivo al virus e sintomatico, ipotesi nella quale si è in presenza di una malattia conclamata (o accertata). Tale distinzione conferma gli aspetti differenziali tra contagio nel soggetto asintomatico e malattia con sintomi e, quindi, anche tra guarigione dal virus e guarigione clinica dalle manifestazioni cliniche (v. comunicazione del CTS del 19 marzo 2020).
A tal proposito, si evidenzia anche la incongruenza delle modalità di tutela assicurativa Inail, che fanno decorrere l’obbligo di denuncia dalla data di attestazione positiva del contagio, senza distinguere tra contrazione del virus e malattia (v. circolare n. 3675 del 17 marzo 2020), e, quindi, equiparando la sola positività all’infortunio, a prescindere dal fatto che il soggetto manifesti o meno i sintomi.
Sul piano operativo, residuano criticità – a causa della trasmissione al datore di lavoro della sola prognosi e non della diagnosi - in merito alla possibilità per il datore di lavoro di conoscere tempestivamente se il lavoratore si trovi in condizione di malattia conclamata, che impedisce la prestazione, ovvero la quarantena per una delle diverse motivazioni previste dalla legge, che apre la strada alla valutazione della possibilità di lavoro in modalità agile. La questione è stata sottoposta all’Inps, che si è impegnato a trovare tempestivamente una soluzione (ad esempio, comunicando all’azienda la situazione di quarantena).
Le ordinanze che introducono divieti di spostamento e la quarantena
Il secondo aspetto di rilievo riguarda la qualificazione e le conseguenze dell’ordinanza dell’autorità locale che introduce divieti di spostamento (con conseguente preclusione della possibilità di rendere la prestazione lavorativa): è necessario, infatti, comprendere se sussistono, in questo caso, i presupposti per il riconoscimento delle prestazioni previdenziali connesse allo status di quarantena.
L’Istituto, sulla base della previsione che legittima, in ipotesi similari, il ricorso agli strumenti di sostegno al reddito[1], esclude la possibilità di applicare il regime della quarantena, che presuppone un provvedimento dell’operatore di sanità pubblica (ma occorre rilevare che anche l’ordinanza limitativa degli spostamenti ha natura di cautela sanitaria).
Deve, quindi, ritenersi che l’interpretazione analogica dell’Istituto consenta di applicare i medesimi principi (ricorso agli ammortizzatori sociali) ad eventuali altri casi (“in tutti i casi”, interpreta estensivamente l’Istituto). Va rilevato che le ipotesi di ricorso agli ammortizzatori sociali in queste situazioni sono legate al finanziamento degli stessi, per cui l’interpretazione estensiva appare introdurre potenzialmente oneri non adeguatamente coperti da apposite previsioni legislative.
La quarantena in trasferta
Il terzo aspetto di rilievo riguarda la situazione del lavoratore posto in quarantena durante la trasferta in un Paese estero, ipotesi di particolare rilievo nell’attuale frangente. Secondo l’Istituto, la quarantena disposta dagli organismi sanitari dei Paesi nei quali la trasferta è svolta, non provenendo dalle autorità sanitarie Italiane, non legittima l’applicazione della tutela previdenziale (situazione di quarantena equiparata alla malattia). La conclusione non appare condivisibile, in quanto le tutele previdenziali seguono il lavoratore all’estero, e appare difficilmente sostenibile che, al pari dei certificati medici delle autorità sanitarie straniere, anche quello relativo alla quarantena non possa essere accolto dalle autorità sanitarie nazionali e adeguatamente valorizzato al fine di riconoscere la tutela economica previdenziale.
Rapporto tra quarantena e strumenti di sostegno al reddito
L’ultima precisazione dell’Istituto riguarda la questione (affrontata già in passato dall’Istituto) del rapporto tra ricorso agli strumenti di sostegno al reddito e malattia (compresa la quarantena).
Quanto alla situazione del lavoratore destinatario di ammortizzatori sociali, il messaggio conferma che, sulla base della chiara previsione dell’art. 3, comma 7, del D.lgs. n. 148/2015, va applicato il “noto principio della prevalenza del trattamento di integrazione salariale sull’indennità di malattia”, anche perché, secondo l’Istituto, la fruizione dell’ammortizzatore sociale “determina di per sé la sospensione degli obblighi contrattuali con l’azienda”, il che “comporta il venir meno della possibilità di poter richiedere la specifica tutela prevista in caso di evento di malattia”.
L’equiparazione della quarantena alla malattia ai fini economici comporta, poi, che “le medesime indicazioni sopra esposte debbano essere applicate anche per la regolamentazione dei rapporti tra i trattamenti di integrazione salariale e le prestazioni della quarantena o della sorveglianza precauzionale per soggetti fragili, essendo le diverse tutele incompatibili tra loro”.
I lavoratori destinatari degli ammortizzatori sociali, quindi, non potranno beneficiare dell’indennità di malattia.
Ricordiamo che, alla assolutezza del principio espresso dalla legge, fa da contraltare la posizione dell’Inps che, da sempre, interpreta la chiara disposizione legislativa in modo riduttivo, introducendo varie ipotesi (non previste dalla normativa) nelle quali prevale la malattia (da ultimo, precisate con il messaggio n. 1822 del 30 aprile 2020).
Si tratta di una ricostruzione non condivisibile per la quale sono in corso degli approfondimenti con il Ministero del lavoro.
[1] Decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, art. 19
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In allegato la nota di commento
Cordiali saluti
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Premessa
Il Protocollo del 14 marzo 2020, integrato (ma non aggiornato) il 24 aprile 2020, è espressamente richiamato nei DPCM (nell’ultimo, del 7 agosto prorogato al 7 ottobre, all’art. 2[1]) e figura nei relativi allegati.
Sul piano normativo, va ricordato che il decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33 (Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito con la legge 14 luglio 2020, n. 74, richiama (art. 1, commi 14 e 15[2]) il rispetto dei Protocolli come condizione per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale, pena la sospensione dell’attività.
Il decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23, nel testo introdotto dalla legge di conversione 5 giugno 2020, n. 40, assicura, all’art. 29bis[3], la presunzione (relativa) del pieno rispetto degli obblighi (generici) introdotti dall’art. 2087 del codice civile laddove siano rispettati i protocolli (in primis, quello del 24 aprile 2020).
La normativa adottata dal legislatore per contrastare la diffusione del virus, se, per un verso, è indubbiamente solida nel conferire inderogabilità all’obbligo di rispettare i protocolli, per altro verso presenta evidenti aspetti evolutivi connessi alle modifiche della situazione, che devono necessariamente tenuti in adeguato conto.
Per questo motivo Confindustria ritiene necessario un aggiornamento dei contenuti del Protocollo o, comunque, una esplicita interpretazione evolutiva da parte della Pubblica amministrazione.
La diffusione del virus nei luoghi di lavoro
Questa esigenza sconta evidentemente l’attenta considerazione della situazione epidemiologica, la cui evoluzione non può non incidere sulle responsabili scelte del datore di lavoro.
Circa la diffusione del virus nei luoghi di lavoro, gli ultimi dati dell’Inail evidenziano la prevalente diffusione del virus tra gli operatori sanitari[4]: i dati confermano, quindi, la piena efficacia del rispetto dei Protocolli ai fini del contenimento del contagio nei luoghi di lavoro.
Da questa osservazione discende l’esigenza di mantenere sempre ferma la piena adesione al Protocollo e di non abbassare i livelli di tutela e di attenzione.
Il profilo interpretativo
In attesa che il legislatore o l’autorità amministrativa procedano all’aggiornamento o all’interpretazione evolutiva del Protocollo, sembra opportuno avanzare delle opzioni interpretative, confrontando la lettera e la ratio del Protocollo con lo sviluppo della normativa succedutasi fino agli atti più recenti, per valutare se alcuni profili possano essere attualizzati alla più recente regolamentazione ed alla situazione più aggiornata della pandemia.
È evidente che si tratta di ipotesi interpretative, che non possono sostituirsi alla formale modifica del Protocollo o alla sua formale interpretazione delle autorità amministrative, seppure siano sostenute da esplicite indicazioni normative sopravvenute e dalla coerenza complessiva delle disposizioni progressivamente ampliative.
Gli aspetti di maggiore interesse
Tre sono in particolare gli aspetti che appaiono meritevoli di analisi: la formazione, le riunioni e le trasferte.
Nel Protocollo (punto 10) si afferma, in particolare, che “sono sospesi e annullati tutti gli eventi interni e ogni attività di formazione in modalità in aula, anche obbligatoria, anche se già organizzati; é comunque possibile, qualora l'organizzazione aziendale lo permetta, effettuare la formazione a distanza, anche per i lavoratori in smart work”.
È evidente la logica di cautela che anima la previsione e che tante questioni sta sollevando anche con riferimento alla riapertura delle scuole.
Tuttavia, la ripresa dell’attività produttiva si accompagna anche alla esigenza di formare le persone, con riferimento sia agli aspetti legati all’emergenza sia a quelli relativi alla sicurezza.
Confindustria ha quindi sollecitato un chiarimento del Ministero del lavoro finalizzato a superare il blocco espressamente indicato nel Protocollo, ovviamente nel rispetto delle norme relative alla tutela della sicurezza.
Il Ministero del lavoro, anche sulla base del parere del CTS[5], ha risposto positivamente[6].
Il DPCM del 7 agosto 2020, all’allegato 9, nella scheda tecnica dedicata alla “Formazione professionale”, ha regolato lo svolgimento della formazione (ivi espressamente compresa quella in materia di salute e sicurezza).
Il parere del Ministero del lavoro, quello del CTS e la specifica indicazione contenuta nel DPCM consentono di ritenere dunque definitivamente superata la questione inerente la possibilità di fare formazione in presenza, fermo restando l’evidente suggerimento di preferire la videoconferenza in modalità sincrona laddove possibile.
Il Protocollo del 24 aprile 2020 (punto 10) dispone che “non sono consentite le riunioni in presenza. Laddove le stesse fossero connotate dal carattere della necessità e urgenza, nell'impossibilità di collegamento a distanza, dovrà essere ridotta al minimo la partecipazione necessaria e, comunque, dovranno essere garantiti il distanziamento interpersonale e un'adeguata pulizia/areazione dei locali”.
Il Decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, convertito nella legge 14 luglio 2020, n. 74, all’articolo 1, comma 10, prevede che “le riunioni si svolgono garantendo il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro”.
Il DPCM 7 agosto 2020, nella scheda relativa agli uffici (pubblici e privati) prevede che “per le riunioni (con utenti interni o esterni) vengono prioritariamente favorite le modalità a distanza; in alternativa, dovrà essere garantito il rispetto del mantenimento della distanza interpersonale di almeno 1 metro e, in caso sia prevista una durata prolungata, anche l’uso della mascherina”.
Tra le risposte del Governo alle richieste di chiarimenti, si evidenzia quella relativa alla possibilità di riunire assemblee (da quelle societarie a quelle condominiali)[7].
Il carattere non assoluto della preclusione allo svolgimento delle riunioni in presenza evidenziato nel Protocollo e le espresse aperture di ordine normativo e regolamentare, unitamente alla ripresa delle attività produttive e al riavvio della formazione, inducono a ritenere che, salvo l’ovvio rispetto delle regole fondamentali (distanziamento, mascherina, igiene personale, sanificazione ed aerazione adeguata degli ambienti, aerazione, flussi in entrata ed uscita dai luoghi chiusi, etc), le riunioni siano ormai possibili.
Secondo il punto 8 del Protocollo del 24 aprile 2020, “sono sospese e annullate tutte le trasferte/viaggi di lavoro nazionali e internazionali, anche se già concordate o organizzate”.
Si tratta dell’aspetto sicuramente più delicato, perché molta parte dell’attività economico-produttiva è legata alla commercializzazione dei prodotti ed alla vendita, installazione e manutenzione degli stessi, così come è legata all’esecuzione degli appalti, sul territorio nazionale ed all’estero.
A fronte del divieto assoluto presente nel protocollo, comprensibile per la contingenza in essere alla metà del mese di marzo 2020, ed ancora presente, ad esempio, nel DL n. 33/2020 (art. 1), successivamente il tema è stato profondamente rivisto nella normativa e nella regolamentazione introdotta dai DPCM.
Le limitazioni degli spostamenti all’interno del Paese sono ormai venute meno mentre residuano quelle da e verso i Paesi esteri, regolate dalle disposizioni degli articoli 4, 5 e 6 del DPCM 7 agosto 2020. La disciplina delle trasferte per lavoro è espressamente presa in considerazione, tanto che la motivazione dello spostamento per motivi di lavoro costituisce espressa deroga ai divieti di spostamento (art. 4, comma 1, lett. a)) e, in alcune ipotesi, anche agli obblighi in caso di ingresso o di uscita dall’Italia (art. 6, comma 6, lett. d) e comma 7, lett. a, c, e ed f).
Dunque, il divieto di spostamento per motivi di lavoro è stato progressivamente ridotto e poi regolato per via normativa, superando così il rigoroso divieto comprensibilmente contenuto nel Protocollo del 14 marzo 2020 ed ancora presente, in mancanza di aggiornamenti, nel Protocollo del 24 aprile 2020.
Oggi, dunque, venuto meno il divieto assoluto indicato nel Protocollo, le trasferte per motivi di lavoro sono espressamente regolate dal DPCM 7 agosto 2020, prorogato al 7 settembre.
Inoltre, Confindustria, nella consapevolezza dell’importanza fondamentale dello strumento della trasferta e, allo stesso tempo, della esigenza di assicurare la piena tutela ai lavoratori che si spostano per motivi di lavoro, ha formalmente chiesto ai Ministeri competenti di ampliare temporalmente l’ipotesi di deroga alla quarantena (attualmente riferita esclusivamente alle trasferte della durata massima di 120 ore) e – per le trasferte di durata superiore - di sostituire la quarantena con l’esecuzione del tampone molecolare.
È evidente che, laddove si decida di organizzare una trasferta, occorrerà tener conto dell’andamento della pandemia e delle conseguenti misure adottate nei Paesi destinatari delle trasferte così come occorrerà gestire opportunamente le trasferte di personale straniero in Italia, dando piena attuazione alle disposizioni inerenti le condizioni di ingresso nel nostro Paese e, poi, in azienda.
[1] Art. 2: “Sull'intero territorio nazionale tutte le attività produttive industriali e commerciali, fatto salvo quanto previsto dall'art. 1, rispettano i contenuti del protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Governo e le parti sociali di cui all'allegato 12, nonché, per i rispettivi ambiti di competenza, il protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID-19 nei cantieri, sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e le parti sociali, di cui all'allegato 13, e il protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del COVID-19 nel settore del trasporto e della logistica sottoscritto il 20 marzo 2020, di cui all'allegato 14”.
[2] Art. 1, commi 14 e 15: “Le attività economiche, produttive e sociali devono svolgersi nel rispetto dei contenuti di protocolli o linee guida idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore di riferimento o in ambiti analoghi, adottati dalle regioni o dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome nel rispetto dei principi contenuti nei protocolli o nelle linee guida nazionali. In assenza di quelli regionali trovano applicazione i protocolli o le linee guida adottati a livello nazionale. Le misure limitative delle attività economiche, produttive e sociali possono essere adottate, nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità, con provvedimenti emanati ai sensi dell’articolo 2 del decreto-legge n. 19 del 2020 o del comma 16. 15. Il mancato rispetto dei contenuti dei protocolli o delle linee guida, regionali, o, in assenza, nazionali, di cui al comma 14 che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza”.
[3] Art. 29-bis (Obblighi dei datori di lavoro per la tutela contro il rischio di contagio da COVID-19).”Ai fini della tutela contro il rischio di contagio da COVID-19, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all'obbligo di cui all'articolo 2087 del codice civile mediante l'applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del COVID-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, e successive modificazioni e integrazioni, e negli altri protocolli e linee guida di cui all'articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, nonché mediante l'adozione e il mantenimento delle misure ivi previste. Qualora non trovino applicazione le predette prescrizioni, rilevano le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.
[4] Inail, Ottavo rapporto del 21 settembre 2020. “Rispetto alle attività produttive (classificazione delle attività economiche Ateco- Istat 2007) coinvolte dalla pandemia, il settore della sanità e assistenza sociale (ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche e policlinici universitari, residenze per anziani e disabili…) registra il 71,2% delle denunce; seguito dall’amministrazione pubblica (attività degli organismi preposti alla sanità – Asl - e amministratori regionali, provinciali e comunali) con il 9,0%; dal noleggio e servizi di supporto (servizi di vigilanza, di pulizia, call center,…) con il 4,4%; dal settore manifatturiero (addetti alla lavorazione di prodotti chimici, farmaceutici, stampa, industria alimentare) con il 2,9% e dalle attività dei servizi di alloggio e di ristorazione con il 2,5%. Con la graduale ripresa delle attività a partire dal mese di maggio, si osserva una progressiva riduzione dell’incidenza dei casi di contagio nel settore della sanità e assistenza sociale (che passa infatti dal 71,6% del periodo marzo-maggio, al 56,0% di giugno-agosto e al 47,2% nel solo mese di agosto) ed un incremento della quota di denunce in quelle attività economiche che, soprattutto nel periodo estivo, hanno avuto una crescita di lavoro come i servizi di alloggio e ristorazione (passati dal 2,5% di marzo-maggio, al 4,3% di giugno-agosto, con il 5,0% solo ad agosto) o il noleggio, le agenzie di viaggio e i servizi di supporto alle imprese (rispettivamente 4,3%, 7,7% e 13,7%)”. “L’analisi per professione dell’infortunato evidenzia la categoria dei tecnici della salute come quella più coinvolta da contagi, con il 39,7% delle denunce (più di tre casi su quattro sono donne), oltre l’83% delle quali relative a infermieri. Seguono gli operatori socio-sanitari con il 20,9% (l’81,5% sono donne), i medici con il 10,2%, gli operatori socio-assistenziali con l’8,9% e il personale non qualificato nei servizi sanitari (ausiliario, portantino, barelliere) con il 4,8%. Il restante personale coinvolto riguarda, tra le prime categorie professionali, impiegati amministrativi (3,1%), addetti ai servizi di pulizia (1,9%) e dirigenti sanitari (1,0%). Anche per le professioni, si osserva una progressiva riduzione dell’incidenza dei casi di contagio nella categoria dei tecnici della salute (che passa infatti dal 40,3% del periodo marzo-maggio, al 29,2% di giugno-agosto) e dei medici (passati dal 10,4% di marzo-maggio al 4,5% di giugno-agosto) ed un incremento della quota di denunce per gli operatori socio assistenziali (passati dall’8,9% di marzo-maggio al 13,4% di giugno-agosto), per il personale non qualificato nei servizi di pulizia (passati dall’1,9% di marzo-maggio al 2,8% di giugno-agosto), per gli esercenti dei servizi di albergo e ristorazione (passati dallo 0,6% di marzo-maggio all’1,7% di giugno-agosto, con il 3,5% solo ad agosto) e per gli addetti ai servizi di sicurezza, vigilanza e custodia (passati dallo 0,5% di marzo-maggio all’1,2% di giugno-agosto, con il 2,6% solo ad agosto)”.
[6] “Come già chiarito da questo Ministero, la formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro riveste carattere di particolare importanza, anche in relazione a specifici obblighi previsti dalla normativa di settore.
Pertanto, con la ripresa delle attività produttive, nei casi in cui non vi siano oggettivamente le condizioni per attivare modalità in videoconferenza sincrona per svolgere la formazione obbligatoria in materia di salute e sicurezza sul lavoro, ovvero quando sia necessario svolgere sessioni obbligatorie pratiche dei corsi di formazione, è possibile svolgere attività formativa in presenza, a condizione che siano adottate idonee misure di contenimento del rischio di contagio, quali ad esempio:
- utilizzo di locali dotati di adeguata areazione;
- distanziamento fisico di almeno 1 metro;
- utilizzo della mascherina chirurgica;
- accessibilità all'igiene frequente delle mani;
- garanzia dell'igiene delle superfici;
- in particolare, in presenza di utilizzo di macchine o attrezzature di lavoro, adeguata igienizzazione e disinfezione tra un utilizzo e l'altro secondo le specifiche indicazioni emanate dall'Istituto Superiore di Sanità.
Tali indicazioni trovano altresì applicazione per la formazione obbligatoria in materia di salute e sicurezza rivolta alle figure della prevenzione. Anche in tali casi rimane da preferire, in questa fase, la modalità a distanza di "videoconferenza in modalità sincrona" anziché la formazione "in presenza", fatta eccezione per i moduli formativi che espressamente prevedono l'addestramento pratico, come per gli addetti al primo soccorso in azienda.
Anche in questi casi, che richiedono lo svolgimento di attività formative "in presenza", sarà necessario il pieno rispetto di tutte le misure di contenimento del rischio indicate in precedenza.
Tali indicazioni sono state confermate dal Comitato Tecnico Scientifico operante presso il Dipartimento della Protezione Civile, che - nella riunione del 28 maggio 2020 - si è espresso su uno specifico quesito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con il parere allegato”.
[7] “Le assemblee di qualunque tipo, condominiali o societarie, ovvero di ogni altra forma di organizzazione collettiva, possono svolgersi in “presenza fisica” dei soggetti convocati, a condizione che siano organizzate in locali o spazi adeguati, eventualmente anche all’aperto, che assicurino il mantenimento continuativo della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro fra tutti i partecipanti, evitando dunque ogni forma di assembramento, nel rispetto delle norme sanitarie di contenimento della diffusione del contagio da COVID-19.
Resta ferma la possibilità di svolgimento delle medesime assemblee da remoto, ove ciò sia compatibile con le specifiche normative vigenti in materia di convocazioni e deliberazioni”.
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In data 30 settembre è stata pubblicata la circolare Inps n.115 che fornisce primi chiarimenti relativamente alle novità introdotte in materia di ammortizzatori sociali con il decreto – legge n. 104 del 14 agosto 2020.
L’articolo 1 del citato decreto prevede che i datori di lavoro che nel 2020 sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza covid 19 possono richiedere cigo covid, assegno ordinario covid, cig in deroga covid per periodi che vanno dal 13 luglio al 31 dicembre 2020 per massimo 9 settimane incrementabili di ulteriori 9, purché sia già stato interamente autorizzato e decorso il precedente periodo di 9 settimane.
Rinviando al testo della circolare per una più approfondita lettura, sintetizziamo i principali aspetti di rilievo.
- Le nuove richieste si sganciano dall’utilizzo precedente di ammortizzatori sociali per i periodi fino al 12 luglio, pertanto anche quel datore di lavoro che non ha mai presentato alcuna domanda di integrazione salariale covid potrà farlo.
- I periodi di integrazione salariale già richiesti ed autorizzati in base alla precedente normativa e che si collocano, anche solo in parte, dal 12 luglio in poi vanno computati all’interno delle nuove 9 settimane, andando così a decurtarle in proporzione.
- Le domande presentate, ma non ancora autorizzate, relative a periodi che si collocano a cavallo del 13 luglio, verranno valutate anche alla luce del nuovo decreto-legge. Pertanto, per i periodi fino al 12 luglio sarà preliminarmente verificato il rispetto dei limiti stabiliti dalla previgente normativa, mentre i periodi decorrenti dal 13 luglio, saranno valutati in base alla nuova disciplina ed imputati alle prime nuove 9 settimane.
Viene introdotto un importante cambiamento nel criterio di calcolo delle settimane autorizzabili.
- Da una parte, si azzera il conteggio delle settimane riferite alla pregressa disciplina, dall’altra parte si modifica il precedente indirizzo che legava il ricorso ai trattamenti di sostegno al reddito all’effettiva fruizione degli stessi.
L’utilizzo delle settimane previste dal DL Agosto ora è possibile esclusivamente nei limiti dei periodi autorizzati senza tener conto del dato relativo al fruito.
Non è più, pertanto, possibile richiedere l’eventuale completamento delle prime 9 settimane, anche laddove le stesse non fossero state effettivamente fruite per intero.
- Dietro istanza di Confindustria, la circolare Inps chiarisce altresì che la nuova normativa trova applicazione con riferimento ai lavoratori che risultino alle dipendenze dei datori di lavoro richiedenti la prestazione al 13 luglio 2020.
PRESENTAZIONE DELLA DOMANDA
Evidenziamo che, a seguito di reiterati solleciti effettuati da Confindustria, il termine di presentazione delle domande di sostegno al reddito per covid, fissato al 30 settembre, è stato differito al 31 ottobre.
Per presentare la domanda relativa alle prime nove settimane, o al minor periodo che risulta scomputando i periodi già autorizzati, l’Inps precisa che si utilizzerà la causale “COVID-19 nazionale” già esistente.
Le domande dovranno tenere conto dei periodi successivi al 12 luglio 2020 già autorizzati.
In caso di domande, riferite alla medesima unità produttiva, per un numero di settimane superiore al massimo consentito (nove complessive), le sedi provvederanno a rideterminare correttamente il limite mediante un accoglimento parziale delle richieste.
Segnaliamo una importante precisazione fornita dalla circolare.
Qualora le imprese, avendo esaurito i trattamenti spettanti in relazione alla pregressa normativa, avessero richiesto trattamenti di cigo ai sensi del D.Lgs. n. 148/2015 per periodi successivamente ricompresi nella tutela prevista dal nuovo DL Agosto, le settimane non ancora autorizzate e quelle autorizzate ma per le quali non siano stati emessi i relativi pagamenti dall’Istituto o per le quali l’azienda non abbia provveduto all’esposizione del codice evento su Uniemens, potranno essere convertite d’ufficio in periodi con causale “COVID-19 nazionale”, su espressa richiesta dei datori di lavoro.
Pertanto, le imprese provvederanno a inviare apposita comunicazione nel cassetto previdenziale, comunicazione bidirezionale, indicando gli estremi della domanda originaria e le settimane per cui richiedono la conversione della causale.
Per quanto riguarda le domande di assegno ordinario del FIS e dei Fondi di solidarietà, l’azienda interessata a modificare la causale e quindi la disciplina di riferimento, dovrà inviare espressa richiesta di annullamento della precedente domanda e inoltrare nuova apposita domanda con causale “COVID-19 nazionale”. A tal fine, per il FIS, le aziende provvederanno a inviare apposita comunicazione nel cassetto previdenziale, comunicazione bidirezionale, indicando gli estremi della domanda originaria e le settimane da variare.
Per i Fondi di solidarietà diversi dal FIS, che sono autorizzati con delibera dei rispettivi Comitati centrali, la comunicazione di variazione andrà inviata via pec all’indirizzo [email protected]. Le sedi Inps dovranno trasmettere con comunicazione PEI alla Direzione Centrale Ammortizzatori Sociali eventuali comunicazioni già pervenute.
RICHIESTA ULTERIORE PERIODO DI 9 SETTIMANE E FATTURATO
L’art. 1 del DL Agosto ha previsto che in caso di richiesta delle ulteriori 9 settimane le imprese saranno tenute al versamento di un contributo addizionale determinato sulla base del raffronto tra il fatturato aziendale del primo semestre 2020 e quella del corrispondente semestre del 2019.
La misura del contributo addizionale, calcolato sulla retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate durante la sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, è pari:
- al 9% per le imprese che hanno avuto una riduzione del fatturato inferiore al 20%;
- al 18% per le imprese che non hanno avuto alcuna riduzione del fatturato;
- I datori di lavoro che hanno subito una riduzione del fatturato pari o superiore al 20% o hanno avviato l’attività di impresa successivamente al primo gennaio 2019 non sono tenuti al versamento del contributo.
Ai fini dell’esonero dal versamento per le imprese che hanno iniziato l’attività successivamente al primo gennaio 2019, si tiene conto della data di inizio dell’attività di impresa comunicata dall’azienda in Camera di Commercio.
Pertanto, si deve fare riferimento alla data di inizio dell’attività di impresa riferita al codice fiscale dell’azienda e non alla data di apertura della matricola aziendale.
Il contributo addizionale, laddove dovuto, è riferito a tutti i trattamenti di sostegno al reddito: cigo covid, assegno ordinario covid, cig in deroga covid
Per richiedere, dunque, l’ulteriore periodo di nove settimane le imprese sono tenute a presentare domanda con una causale specifica, con una dichiarazione di responsabilità, resa ai sensi di quanto previsto dall’articolo 47 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, in cui autocertificano:
- la sussistenza e l’indice dell’eventuale riduzione del fatturato
oppure
- il diritto all’esonero dal versamento del contributo addizionale in quanto l’attività di impresa è stata avviata (nel senso sopra precisato) in data successiva al primo gennaio 2019.
Con l’autocertificazione di cui al punto a), il datore di lavoro dovrà attestare l’eventuale riduzione del fatturato secondo gli indici di calcolo e le modalità di raffronto illustrate dalle circolari dell’Agenzia delle Entrate.
La specifica domanda per le ulteriori 9 settimane ha come nuova causale “COVID 19 con fatturato”.
RICHIESTE DI CIGO COVID CON SOSPENSIONI CIGS
La circolare Inps n. 115 chiarisce la possibilità di richiedere la sospensione della cigs/cds per accedere allo strumento della cigo covid.
L’articolo 1 del DL Agosto, ai fini dell’accesso ai trattamenti di integrazione salariale, richiama gli articoli da 19 a 22-quinquies del DL n.18/2020.
Pertanto, anche le imprese che alla data del 13 luglio 2020 hanno in corso un trattamento Cigs/CdS e devono sospenderne il programma a causa dell’interruzione dell’attività produttiva per effetto dell’emergenza covid 19, possono accedere al trattamento di cigo, per massimo 18 settimane (9 + 9) per periodi decorrenti dal 13 luglio 2020 al 31 dicembre 2020, a condizione che rientrino in un settore per il quale sussista il diritto di accesso alla prestazione di cassa integrazione ordinaria.
La domanda di integrazione salariale ordinaria deve essere presentata con causale “COVID-19 nazionale – sospensione CIGS”.
L’Inps provvederà ad autorizzare le domande di CIGO di cui trattasi nel rispetto dei periodi di sospensione del programma di cassa integrazione salariale straordinaria stabilito dai decreti ministeriali.
I datori di lavoro che, al termine delle prime 9 settimane di CIGO volessero accedere al secondo periodo di 9 settimane devono comunicare al Ministero del Lavoro la volontà di prolungare ulteriormente il programma di cigs/cds.
CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI IN DEROGA
Il DL Agosto non ha apportato grandi cambiamenti alla disciplina precedente in materia.
La domanda CIGD va presentata all’Inps e dovrà essere preceduta dalla definizione di un accordo sindacale che l’azienda e le organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale possono concludere anche in via telematica. Ne sono esonerati esclusivamente i datori di lavoro con dimensioni aziendali fino ai 5 dipendenti.
Ai beneficiari dei trattamenti in deroga continuano ad essere riconosciuti la contribuzione figurativa e i relativi assegni al nucleo familiare (ANF), ove spettanti.
Limitatamente ai lavoratori del settore agricolo, per le ore di riduzione o sospensione delle attività, nei limiti ivi previsti, il trattamento è equiparato a lavoro ai fini del calcolo delle prestazioni di disoccupazione agricola.
I datori di lavoro che richiedono il trattamento di CIGD per periodi successivi al 13 luglio 2020 possono trasmettere domanda all’Inps, anche qualora non abbiano completato i periodi di competenza regionale/ministeriale.
Con riferimento alle aziende plurilocalizzate, potranno inviare domanda come “deroga plurilocalizzata” (v.msg n.2946/2020) esclusivamente le aziende che hanno ricevuto la prima autorizzazione con decreto del Ministero del Lavoro; tutte le altre aziende, invece, dovranno trasmettere domanda come deroga INPS (v. circolare 86/2020).
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La Commissione europea ha definito una quarta proposta di revisione della direttiva 2004/37/CE, allegata, in tema di agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro.
La proposta di modifica della direttiva è parte di un progetto di revisione complessivo della materia ed è la quarta dall'inizio della Commissione in materia (vedi, per ultimo, la news del 24 giugno 2019).
Alla prima proposta, del maggio 2016, è stata data attuazione con la direttiva (UE) 2017/2938; alla seconda, del gennaio 2017, è stata data attuazione, con la direttiva 2019/130, alla terza, dell’aprile 2018, è stata attuazione con la direttiva (UE) 2019/983.
La proposta di direttiva in esame modifica l’allegato III della direttiva 2004/37/CE e contiene i valori limite di esposizione per 3 sostanze: il benzene (già presente nella direttiva, viene proposto un nuovo valore limite), l’acrilonitrile ed i composti del Nichel.
La proposta riprende quanto definito nei pareri dal Comitato consultivo salute e sicurezza della Commissione europea (vedi nostra news del 15 luglio 2019).
Vi terremo informati sul successivo iter Parlamentare.
Proposta COM 2020 571 it.pdf|Visualizza dettagli
Proposta COM 2020 571 Allegato it.pdf|Visualizza dettagli
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