Introduzione
In previsione dell’approvazione dell’accordo Stato-Regioni sulla formazione ed in considerazione della evoluzione giurisprudenziale nella lettura della figura e del ruolo del preposto (v. news Confindustria 2 maggio 2024), si ritiene opportuno ripercorrere alcune rappresentative conclusioni che possono orientare nella adozione di corrette misure prevenzionali.
La corretta formazione è il presupposto per poter pretendere il comportamento corretto da parte dei lavoratori. Essa è collegata strettamente al ruolo del preposto (nel correggere i comportamenti non rispondenti alle direttive aziendali o alle norme) e la sua erogazione è presupposto essenziale allorché si intenda contestare l’efficacia esclusiva del comportamento del lavoratore in caso di evento infortunistico.
Per quanto riguarda il preposto, responsabile nella fase esecutiva de lavoro (a differenza del dirigente, che organizza le attività e del datore di lavoro che, dotato del potere di spesa, assume le decisioni aziendali di fondo), la giurisprudenza – dopo la formalizzazione del ruolo con la normativa di fine 2021 - sta delineando i presupposti per la corretta individuazione di questa figura, secondo un iter motivazionale che, seppure astrattamente corretto, pone delicati aspetti applicativi. Partendo da un ruolo di vigilanza ai limiti della pedanteria si è passati alla vigilanza organizzativa per poi giungere a sostenere, da ultimo, che tale figura debba svolgere un ruolo principale di vigilanza ed uno secondario che riguarda le proprie mansioni lavorative.
Su tutti resta centrale la valutazione del rischio, anche in relazione ai comportamenti dei lavoratori laddove gli stessi, seppur imprudenti, possono essere prevedibili.
Questi aspetti pongono in luce l’importanza delle decisioni di fondo relative alla valutazione dei rischi ed alla buona organizzazione adottate dal datore di lavoro, aspetti che costituiscono elemento centrale del percorso formativo del datore di lavoro che, per la prima volta, verrà delineato dal futuro Accordo Stato-Regioni sulla formazione in materia di salute e sicurezza.
Di seguito si riportano alcune recenti pronunce che – non senza alcuni profili di criticità – evidenziano concretamente gli aspetti sopra evidenziati.
Il rispetto dell’obbligo formativo come presupposto per una possibile responsabilizzazione del lavoratore
Cass., 24 febbraio 2025, n. 7489
“Il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell'infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore il quale, nell'espletamento delle proprie mansioni, ponga in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi”
Cass., 28 marzo 2025, n. 12253
“Un comportamento, anche avventato, del lavoratore, se realizzato mentre egli è dedito al lavoro affidatogli, può essere invocato come imprevedibile o abnorme solo se il datore di lavoro ha adempiuto tutti gli obblighi che gli sono imposti in materia di sicurezza sul lavoro. Questi principi sono stati chiariti - e meglio specificati - sottolineando che, "in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia". Ponendosi in questa prospettiva si è affermato che il comportamento negligente, imprudente e imperito tenuto dal lavoratore nello svolgimento delle mansioni a lui affidate può costituire concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, solo se questi "ha posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante”
Cass., 17 gennaio 2025, n. 2021
“Il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell'infortunio del lavoratore, e ciò anche quando - contrariamente a quello che è stato accertato - derivi da negligenza nello svolgimento delle proprie mansioni, atteso che è proprio attraverso l'adempimento di tale obbligo che il datore di lavoro rende edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti.
Pertanto, allorquando il datore, come nel caso in esame, non adempia a tale fondamentale obbligo, sarà chiamato a rispondere dell'infortunio occorso al lavoratore, nel caso in cui l'omessa formazione possa dirsi causalmente legata alla verificazione dell'evento, come pure ritenuto nelle conformi decisioni di merito, sul punto in alcun modo attinte dai motivi di ricorso.
Cass., 19 febbraio 2025, n. 6775
“La Corte territoriale, quindi, dato atto che nella sentenza di annullamento questa Corte aveva ritenuto che l'area interessata dall'infortunio fosse un luogo di lavoro e che il comportamento del lavoratore non era stato abnorme (la vittima si era attivata per individuare la fonte del rumore anomalo proveniente dalla macchina e ciò non permetteva di ritenere la esorbitanza dell'azione del lavoratore rispetto alle sue mansioni), ha escluso che la condotta del lavoratore avesse interrotto il nesso di causalità ai sensi del capoverso dell'art. 41 cod. pen. e ha ritenuto sussistente la responsabilità degli imputati (che nelle rispettive qualità rivestivano la posizione di garanzia del lavoratore deceduto sul colpo per le lesioni riportate dallo schiacciamento) per colpa specifica (violazione dell'art. 71, comma 1 D.Lgs. 81/2008).
In particolare, è stato osservato che nella parte superiore della macchina vi erano organi lavorativi in movimento che, alla data dell'infortunio, non erano completamente segregati e ad essi, sia pure con difficoltà, era possibile accedere, in mancanza di ripari che li rendessero del tutto inaccessibili e che impedissero il funzionamento della macchina qualora un addetto avesse acceduto alia parte superiore; è stato, quindi, rilevato che, pur considerato che il lavoratore aveva tenuto una condotta imprudente, gli imputati non avevano posto in essere tutte le cautele necessarie finalizzate alla disciplina ed al governo del rischio di comportamento imprudente e che, con alta probabilità logica il comportamento alternativo lecito omesso dagli imputati (installazione dei due cancelletti che avrebbero reso difficile l'accesso alla zona pericolosa e, comunque, bloccato il funzionamento della macchina) avrebbe impedito l'infortunio.
La motivazione ha colmato le lacune motivazionali evidenziate dalla Corte di Cassazione ed è congrua e logica nonché conforme al principio di diritto, secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente”.
Cass., 19 marzo 2025, n. 10902
“Il legislatore ha certamente incluso il lavoratore nel novero dei soggetti garanti della sicurezza sui luoghi di lavoro (cfr. art. 20 D.Lgs. n. 81/2008), ma il modello "collaborativo" così delineato - in virtù del quale gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori -non implica alcun esonero di responsabilità in capo al datore di lavoro all'interno dell'area di rischio, nella quale si colloca il suo obbligo di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore (Sez. 4 n. 21587 del 23/03/2007, Pelosi, Rv. 236721 - 01). Ed è sempre in ragione di tale complessità del sistema prevenzionistico che la giurisprudenza ha cercato di delimitare con sufficiente chiarezza i presupposti in forza dei quali un comportamento non corretto del lavoratore può interrompere il nesso eziologico tra l'omissione attribuita al datore di lavoro e l'infortunio patito dal lavoratore stesso (vedi, per esempio, Sez. 4, n. 33976 del 17/03/2021, Vigo, Rv. 281748 - 01, in cui si è affermato che, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (in fattispecie in cui la Corte ha riconosciuto l'abnormità della condotta del lavoratore, deceduto in conseguenza dell'utilizzazione di un macchinario pericoloso, diverso da quello fornito in dotazione e non presente in azienda, ma autonomamente acquisito dal lavoratore all'insaputa del datore di lavoro); analogamente, Sez. 4, n. 7012 del 23/11/2022, dep. 2023, Cimolai, Rv. 284237 - 01, in cui la Corte ha annullato la decisione impugnata, demandando al giudice del rinvio l'accertamento dell'abnormità della condotta del lavoratore, che era deceduto in conseguenza di un infortunio occorso durante lo smontaggio di un parapetto, operazione dallo stesso compiuta sebbene avesse poco prima intimato a un collega di astenersi dal suo compimento, così mostrando di conoscere la procedura di sicurezza e di avere l'intenzione di rispettarla; Sez. 4, n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, Musso, Rv. 275017 - 01, in fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva escluso la responsabilità del datore di lavoro per le lesioni riportate da un lavoratore che, per sbloccare una leva necessaria al funzionamento di una macchina, aveva introdotto la mano all'interno della macchina stessa anziché utilizzare l'apposito palanchino di cui era stato dotato).
Nella specie, il comportamento imprudente della persona offesa non ha eliso il nesso causale tra le omissioni datoriali e l'evento, proprio perché si è inserito all'interno dell'area di rischio che era compito specifico del datore di lavoro governare. E, all'interno di essa, la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo solo ove sia tale da attivarne uno eccentrico o esorbitante dalla sfera governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4 n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603 - 01; n. 5007 del 28/11/2018, dep. 2019, Musso, Rv. 275017 - 01); oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4 n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222 -01). Ciò che, nel caso all'esame, è stato motivatamente escluso dai giudici di merito sulla scorta delle raccolte evidenze”.
Cass., 10 febbraio 2025, n. 5187
Perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta colposa del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia eccezionale ed imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (cfr. nel solco dei principi enunciati da Sez. U, n. 38343 de! 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261106, in motivazione, Sez. 4, n. 46841 del 03/10/2023, Bovini, non mass.; Sez. 4, n. 51455 del 05/10/2023, Fiochi Rv. 285535 - 01; Sez. 4, n. 27759 del 20/04/2023, Scopelliti, non mass.; Sez. 4, n. 43852 del 19/07/2018, Bartolini, Rv. 274266 - 01; Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603;).
Ciò nel solco del consolidato dictum secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente (cfr. ex multis Sez. 4 n. 7364 del 14/01/2014, Rv. 259321).
Costituisce, infatti, ius receptum il principio secondo cui in tema di infortuni sul lavoro, il principio informatore della materia è quello per cui non può esservi alcun esonero di responsabilità all'interno dell'area di rischio, nella quale si colloca l'obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore.
All'interno dell'area di rischio, quindi, deve ribadirsi il principio per il quale la condotta del lavoratore può ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, non tanto ove sia imprevedibile, quanto, piuttosto, ove sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia, oppure ove sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro.
Cass., 28 marzo 2022, n. 11030
“Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità quando il comportamento del dipendente, rientrante nelle mansioni che gli sono proprie, sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4, n. 7188 del 10/01/2018, Bozzi, Rv. 272222; Sez. 4, n. 7267 del 10/11/2009, dep. 2010, Iglina, Rv. 246695). In tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 5794 del 26/01/2021, Chierichetti, Rv. 280914). Perché possa ritenersi che il comportamento ne9ligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242).
In linea di principio, la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio proprio della lavorazione svolta e di conseguenza il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore e le sue conseguenze presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive di organizzazione ricevute (Sez. 4, n. 25532 del 23/05/2007, Montanina, Rv. 236991; Sez. 4, n. 21587 del 23/03/2007, Pelosi, Rv. 236721).
Si è poi affermato, sempre in tema di rilevanza esclusiva del comportamento del lavoratore, secondo un primo orientamento interpretativo circoscritta a condotte tenute in ambito del tutto eccentrico rispetto alle mansioni affidate e come tali imprevedibili da parte del garante - che può essere considerato imprudente e quindi abnorme ai fini causali anche il comportamento che rientri nelle mansioni che sono proprie ma che sia consistito in qualcosa di radicalmente e ontologicamente lontano dalle ipotizzabili e quindi prevedibili imprudenti scelte dei lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016, dep. 2017, Gerosa, Rv. 269603; Sez. 4, n. 5007 del 28/11/2008, dep. 2009, Musso, Rv. 275017).
Per concludere sul punto, partendo dal presupposto che ciò che viene rimproverato al datore di lavoro è la mancata adozione di condotte atte a prevenire il rischio di infortuni, la condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore, idonea ad escludere il nesso causale, non è solo quella che esorbita dalle mansioni affidate al lavoratore, ma anche quella che, nell'ambito delle stesse, attiva un rischio eccentrico od esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia.
Nel caso di specie va dunque valutato se la condotta tenuta dalla vittima e dagli altri dipendenti fosse o meno prevedibile per il titolare della società coinvolta nell'attività di lavoro, sì da attribuire efficacia causale alle sue eventuali omissioni”.
Rilevanza della valutazione dei rischi rispetto alla possibile responsabilità del lavoratore per comportamento imprudente
Cass., 23 gennaio 2025, n. 2768
Cass., 28 febbraio 2025, n. 8301
“L'art. 28 del D.Lgs. n. 81/2008, norma dal chiaro tenore letterale, pone al centro del sistema prevenzionistico lavorativo il momento della valutazione e, dunque, della previsione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, previsione che spetta al datore di lavoro e deve essere completa, dovendo riguardare, per l'appunto, "tutti i rischi". Trattasi di norma che riempie di contenuto quella che pone l'obbligo datoriale per eccellenza, neppure delegabile, delineato all'art. 17, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 81/2008, quello cioè di redigere il documento di cui all'art. 28 citato. Già da tempo la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il datore di lavoro è tenuto a indicare, all'interno di tale documento, in modo specifico i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda, in relazione alla singola lavorazione o all'ambiente di lavoro e le misure precauzionali e i dispositivi adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori e, trattandosi di un dovere fondamentale del sistema prevenzionistico, il conferimento a terzi della delega relativa alla redazione di suddetto documento non esonera il datore di lavoro dall'obbligo di verificarne l'adeguatezza e l'efficacia, di informare i lavoratori dei rischi connessi alle lavorazioni in esecuzione e di fornire loro una formazione sufficiente ed adeguata (Sez. 4, n. 27295 del 02/12/2016, dep. 2017, Furlan, Rv. 270355 - 01). Il che giustifica, altresì, la costante giurisprudenza della Corte di legittimità, secondo cui il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, anch'egli debitore, in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, di un obbligo di garanzia (art. 20 D.Lgs. n. 81/2008), può costituire concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, soltanto allorquando questi abbia attuato anche le cautele che sono finalizzate a disciplinare e governare il rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019, Simeone, Rv. 276242 - 01)”.
Rilevanza della nomina del preposto
Cass., 17 marzo 2025, n. 10461
“6. La normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro è fondata sul principio di matrice Euro unitaria, derivante dalla originaria Direttiva 89/391/CEE, già attuata con D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, della centralità della prevenzione, il che impone la costante ricerca del rischio specifico.
7. Nel caso di specie, il rischio che il DUVRI ed il POS di VERDEMPIANTI Srl non hanno contemplato e contrastato con le idonee misure non è quello generico dei cantieri mobili, ma il rischio insito all'appalto oggetto del contratto intercorso con ANAS Spa caratterizzato dalla rapidità di esecuzione dei lavori di ripristino della sede stradale, costituita da quattro corsie con alti limiti di velocità. Tale modalità di esecuzione dell'attività conferita in appalto, di riflesso, ha connotato la prestazione lavorativa dei dipendenti dell'impresa appaltatrice. Il datore di lavoro, dunque, avrebbe dovuto, una volta esplicitate tali fonti di rischio, prevedere misure adeguate al loro contenimento, quali l'individuazione nominativa della squadra di tre lavoratori da inserire in turni di lavoro avvicendati, indicazione rivolta a ciascun dipendente della collocazione, all'interno dei mezzi aziendali affidati ai lavoratori, dei dispostivi di segnalazione del cantiere mobile d'emergenza; informazione ai dipendenti sullo specifico rischio e formazione relativa alle corrette procedure precauzionali antecedenti all'attività esecutiva.
8. È pacifico che il datore di lavoro è tenuto a redigere e sottoporre ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 del D.Lgs. n. 81 del 2008, all'interno del quale deve indicare in modo specifico i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda, in relazione alla singola lavorazione o all'ambiente di lavoro e le misure precauzionali ed i dispositivi adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. È altrettanto pacifico che la redazione, per quanto sopra chiarito carente, di suddetto documento (come la difesa ha opposto nel caso all'esame), non lo esonera dall'obbligo di verificarne l'adeguatezza e l'efficacia, di informare i lavoratori dei rischi connessi alle lavorazioni in esecuzione e di fornire loro una formazione sufficiente ed adeguata.
9. Ciò vale anche nel caso di nomina di un preposto: la designazione di tale figura al rispetto delle misure di prevenzione non esonera, infatti, il datore di lavoro da responsabilità ove risulti, proprio come nella specie, secondo quanto ricostruito dai giudici di merito in base alle evidenze, l'inidoneità di una misura prevista nel documento di valutazione dei rischi (Sez. 4, n. 22256 del 3/3/2021, Canzonetti, Rv. 281276 - 01, in cui, in applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto la penale responsabilità del datore di lavoro per le lesioni che un suo dipendente, alla guida di un muletto, aveva cagionato ad altro lavoratore, in quanto, pur avendo nominato un preposto, non aveva organizzato i luoghi di lavoro in modo tale da garantire una viabilità sicura, regolamentando la circolazione con cartellonistica e segnaletica orizzontale).
10. Infatti, la redazione del documento di valutazione dei rischi e l'adozione di misure di prevenzione non escludono la responsabilità del datore di lavoro quando, per un errore nell'analisi dei rischi o nell'identificazione di misure adeguate, non sia stata adottata idonea misura di prevenzione. Si è peraltro già chiarito che il datore di lavoro ha l'obbligo di adottare idonee misure di sicurezza anche in relazione a rischi non specificamente contemplati dal documento di valutazione dei rischi, così sopperendo all'omessa previsione anticipata
8. Dunque, nel caso di specie, l'addebito si concentra nella mancata previsione del rischio specifico all'interno delle misure organizzative imposte dalla legge e dalla concretizzazione di quel rischio determinata dall'evento. È quindi evidente che la carenza delle misure adottate dal datore di lavoro, realizzatosi proprio l'evento che le misure di prevenzione avrebbero dovuto evitare, esplica valenza causale piena, qualunque attività i due lavoratori stessero svolgendo nel momento dell'impatto.
Anche a voler ammettere che i due lavoratori, pacificamente presenti sul posto in ragione della propria attività di lavoro, avessero appena effettuato il sopralluogo e fossero in procinto di andar via, la fattispecie manterrebbe la stessa struttura, sia dal punto di vista della contestazione che del concreto accertamento giudiziale. L'efficienza causale della inottemperanza agli obblighi imposti al datore di lavoro in tema di sicurezza, infatti, non dipende dalla esatta identificazione dell'azione compiuta dai lavoratori nel momento in cui furono travolti dalla collisione tra l'autoarticolato e l'autocarro NISSAN, in quanto si tratta di aspetti non essenziali nel processo di ricostruzione della fattispecie colposa e della sua causalità. Sia l'attività di mera ricognizione dello stato del manto stradale che quella di effettivo ripristino non risultano eccentriche rispetto al rischio specifico oggetto dell'appalto. Allo stesso modo non elidono il nesso causale le eventuali inosservanze, da parte dei lavoratori, delle procedure amministrative di notifica dell'esecuzione del singolo intervento alla committente, trattandosi di attività non attinenti alla gestione del rischio poi concretizzatosi.
10. Pertanto, la motivazione offerta dalla Corte di appello, che ha sostanzialmente concesso una certa flessibilità nella indicazione dei tempi di percorrenza del C.C. a bordo dell'autocarro NISSAN, non solo non è manifestamente illogica, ma neanche invalida la ricostruzione degli accadimenti adottata dai giudici di merito, perché non decisiva ai fini della prova della responsabilità dell'imputato.
11. Correttamente poi è stata ritenuta la relazione causale tra la carenza di informazione e di formazione e l'evento. Infatti, l'accertato inadempimento degli obblighi di informazione e formazione dei lavoratori relativamente ai rischi specifici connessi all'attività lavorativa in concreto espletata, che la Corte distrettuale ha correttamente valutato anche considerando l'intenso ritmo lavorativo a cui erano soggetti i lavoratori, conferma la responsabilità del datore di lavoro, in applicazione del consolidato principio secondo cui il datore di lavoro che non adempie agli obblighi di informazione e formazione gravanti su di lui e sui suoi delegati risponde, a titolo di colpa specifica, dell'infortunio dipeso dalla negligenza del lavoratore che, nell'espletamento delle proprie mansioni, ponga in essere condotte imprudenti, trattandosi di conseguenza diretta e prevedibile della inadempienza degli obblighi formativi, né l'adempimento di tali obblighi è surrogabile dal personale bagaglio di conoscenza del lavoratore.
Cass., 17 gennaio 2025, n. 2021
Secondo il consolidato insegnamento della Corte di cassazione, la designazione di un preposto al rispetto delle misure di prevenzione non esonera il datore di lavoro da responsabilità ove risulti l'inidoneità di una misura prevista nel documento di valutazione dei rischi (Sez. 4, n. 22256 del 3/03/2021, Canzonetti, Rv. 281276-01).
D'altra parte, nel caso in esame il rischio concretizzatosi non attiene ad una contingenza propria della fase esecutiva della lavorazione, che come tale avrebbe dovuto suggerire una modifica del piano operativo di sicurezza (come immotivatamente sostenuto in ricorso), ma piuttosto a scelte proprie del datore, che si è accertato essere ab origine carenti (cfr., sui limiti entro i quali la presenza del preposto può determinare l'esclusione della responsabilità del datore di lavoro o del dirigente, Sez. 4, n. 24136 del 06/05/2016, Di Maggio).
Il ruolo del preposto: l’efficacia del controllo
Cass., 28 febbraio 2025, n. 8289
“Il ruolo del preposto è definito, dall'art. 2 lett. e) del TU 81/2008, quale soggetto che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa.
I poteri di iniziativa, previsti dalla suddetta norma, sono evidentemente funzionali al miglior espletamento dei compiti di controllo.
In tale contesto, è vero che non esiste un divieto di doppia mansione, ma eventuali compiti accessori rispetto a quello principale - che per il preposto, ai sensi dell'articolo 2 citato, è costituito dall'attività di controllo - devono esser individuati ab origine come secondari rispetto alla suddetta attività.
Al preposto, che è pur sempre un dipendente, non possono attribuirsi cumulativamente compiti di controllo e incarichi a svolgere attività operative, qual è ad esempio quella di carrellista, senza alcuna direttiva che garantisca la priorità della vigilanza, in caso di contestualità tra le due funzioni.
L'argomento è ricavabile, per identità di ratio, dal principio secondo cui, qualora sussista la possibilità di ricorrere a plurime misure di prevenzione di eventi dannosi, il datore di lavoro è tenuto ad adottare il sistema antinfortunistico sul cui utilizzo incida meno la scelta discrezionale del subordinato, al fine di garantire il maggior livello di sicurezza possibile.
La censura proposta al riguardo dal ricorrente non coglie nel segno.
Si sostiene che il preposto (E.E.), dotato di perfetta autonomia gestionale, qualora avesse ritenuto quell'attività particolarmente rischiosa, avrebbe potuto organizzare il lavoro in maniera diversa (pagina 7 del ricorso), non compiendo contestualmente altre operazioni e segnalando al F.F. (carrellista) il pericolo immediato che in quel momento si stava verificando.
Si tratta evidentemente, come viene evocato dalle stesse espressioni utilizzate dal ricorrente, di profili organizzativi che avrebbero dovuto essere pianificati dal datore di lavoro.
La Corte distrettuale ha evidenziato, con motivazione priva di vizi logici, che nella circostanza, il preposto, era stato incaricato a svolgere anche il lavoro di carrellista, motivo per cui il controllo demandatogli di fatto non era garantito.
E in effetti la manovra posta in essere dal D.D. avrebbe dovuto essere sottoposta ad attento controllo da parte del preposto. Costui, ove avesse ricevuto, a livello organizzativo, la predetta direttiva sulla priorità della vigilanza, sarebbe stato impegnato, ex professo, a segnalare l'errata manovra al carrellista, il quale, anziché procedere a marcia indietro con cicalino sonoro in funzione e con visuale libera, conduceva il mezzo in avanti senza alcuna visibilità, ostruita dal posizionamento delle balle di cellulosa trasportata.
Lo stesso preposto, avrebbe potuto verificare la presenza del B.B. ed immediatamente segnalare il pericolo, in modo da consentire al carrellista di bloccare l'errata manovra che provocava l'evento mortale.
In sintesi, per prevenire la concretizzazione del rischio che si intendeva evitare, il datore di lavoro avrebbe dovuto, a livello organizzativo, garantire la presenza di una persona che vigilasse, senza demandare ad altri la scelta discrezionale di dedicarsi ad impegni alternativi opzionabili dal subordinato.
Tale garanzia evidentemente non poteva essere assicurata, affidando al preposto una pluralità di compiti, che contestualmente lo impegnavano in altre funzioni, e senza una precisa direttiva a interrompere le accessorie attività operative, in caso fosse risultato necessario dedicarsi alla principale funzione di controllo.
In secondo luogo, la Corte territoriale ha fornito ampia e approfondita motivazione sulla violazione di ulteriori regole cautelari da parte del A.A. e sulla rilevanza causale delle stesse rispetto all'infortunio mortale.
Ha sottolineato che nel piazzale dove si verificò il sinistro, nel quale normalmente confluivano più operatori, quali i carrellisti e gli autisti dei camion, non era stata installata segnaletica per il corretto posizionamento dei camion, non erano presenti specchi per agevolare la visuale durante la movimentazione dei mezzi sulla panchina, non erano previsti corridoi appositamente dedicati al passaggio pedonale.
La decritta situazione rendeva l'ambiente particolarmente pericoloso anche per gli autisti dei camion, i quali, sebbene fosse previsto che avrebbero dovuto rimanere all'interno della cabina o nei pressi del proprio mezzo, di sovente si spostavano, sia per attendere alle ordinarie operazioni di carico e scarico quali l'apertura e la chiusura dei teloni, la rimozione e il posizionamento dei piantoni, sia per esigenze personali, ad esempio fisiologiche, evenienza che risultava altamente pericolosa, non essendovi spazi adibiti agli spostamenti delle persone.
Tale evenienza peraltro non era evento eccezionale, atteso che dall'istruttoria (testimonianza Taccone) era emerso che, in diverse occasioni, anche altri autisti erano scesi dai propri mezzi; ciò avrebbe reso necessario un controllo stringente ed attento da parte del preposto, figura prevista ed individuata nel E.E..
Al riguardo, risulta aspecifica la censura del ricorrente, secondo la quale il rischio dell'urto tra macchine e persone era previsto nel DVR, con indicazione delle procedure da seguire, sulle quali sia il preposto che il carrellista erano stati formati (pag. 7 del ricorso).
Il datore di lavoro, infatti, avrebbe dovuto assicurarsi che le precauzioni (segnaletica per il corretto posizionamento dei camion, specchi per agevolare la visuale durante la movimentazione dei mezzi sulla panchina, corridoi appositamente dedicati al passaggio pedonale) fossero in concreto realizzate.
Il fatto che il rischio connesso alla presenza di pedoni nell'area di carico fosse stato, sia pure con le modalità generiche di cui si è detto, previsto nel DVR, non fa che comprovare la consapevolezza dell'imputato dell'esistenza del rischio stesso; mentre la circostanza che di tale rischio fosse stata data informazione ai lavoratori non è sufficiente a sollevare il datore di lavoro dalle responsabilità per omissione derivanti dalla mancata predisposizione, sul campo, degli indicati sistemi di sicurezza.
Questa Corte ha già affermato che in tema di infortuni sul lavoro, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione. (sez. 4, n. 18826 del 9.2.2012, Pezzo, Rv. 253850, fattispecie in cui si è ritenuta la responsabilità del datore di lavoro per il reato di lesioni colpose nonostante fosse stata dedotta l'esistenza di un preposto di fatto).”