La Camera di Commercio di Modena ha richiesto il parere della Commissione interpelli per la salute e sicurezza sul lavoro del Ministero del lavoro in ordine a tre questioni:
- se in un’attività in appalto sia obbligatorio che ci sia sempre un preposto. A titolo esemplificativo, se sia obbligatoria la figura del preposto anche quando l'attività è svolta da due lavoratori, che non esercitano una funzione di vigilanza e coordinamento l'uno nei confronti dell'altro, in quanto ognuno si occupa autonomamente della propria parte di competenza;
- se in un’attività in appalto, il preposto debba essere individuato tra i lavoratori fisicamente presenti presso il committente, o possa essere il responsabile della commessa (ad es. il project manager), che non si reca presso il cliente;
- se in un’attività in appalto svolta da un unico lavoratore, debba essere individuato un preposto.
Gli aspetti relativi alla figura del preposto – soprattutto dopo le modifiche introdotte con il Decreto-Legge 21 ottobre 2021, n. 146, che ne ha valorizzato notevolmente il ruolo – tornano a formare oggetto di richiesta di chiarimento (dopo l’interpello 5/2023 che si era già occupato di temi simili).
Questa volta la richiesta è caratterizzata dall’esplicito riferimento al sistema dell’appalto, quindi la risposta risente delle peculiarità del quadro normativo che ne disciplina i meccanismi, con riferimento al ruolo del preposto in questo specifico ambito: il Ministero richiama, infatti, l’art. 26, comma 8bis del Dlgs 81/2008, secondo il quale “nell’ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto o subappalto, i datori di lavoro appaltatori o subappaltatori devono indicare espressamente al datore di lavoro committente il personale che svolge la funzione di preposto”.
Evidente il riferimento alle interferenze ed alla compresenza di più imprese, che rendono necessaria la comunicazione al committente del soggetto chiamato a svolgere la funzione di preposto. Va subito notato che la nota del Ministero non fa mai riferimento alla costante e diuturna presenza fisica nel luogo nel quale si svolge l’appalto o il subappalto. Evidente che l’obiettivo è rendere sempre possibile al committente di individuare e contattare l’addetto al controllo sui lavoratori (anche laddove questo non sia fisicamente presente).
E che la logica sia quella della esigenza conoscitiva e non già quella di richiedere una presenza continua viene evidenziato anche successivamente dallo stesso Ministero, allorché richiama il fatto che in “alcuni casi” (quindi respingendo in via di principio l’estensione indiscriminata dell’obbligo) talune attività vengano eseguite solo sotto la diretta sorveglianza del preposto come, ad esempio, in materia di ponteggi.
Così anche quando si evidenzia che il ruolo di preposto può essere svolto “solo dal personale che possa effettivamente adempiere alle funzioni e agli obblighi ad esso attribuiti, condizione che non sembra potersi rinvenire se il responsabile della commessa (ad es. il project manager), non si reca presso il luogo delle attività”.
Che non sia pensabile affidare il ruolo di preposto a chi non ha il compito di interessarsi delle lavorazioni sotto il profilo operativo, non ha gli obblighi previsti dal Dlgs 81/2008 e non si reca in azienda, appare corretto, anche tenuto conto delle responsabilità che il legislatore (e la giurisprudenza) attribuiscono al preposto stesso, soprattutto dopo le modifiche del 2021.
Il project manager (secondo la norma tecnica UNI 11648/2022) è “responsabile di progetto con compiti organizzativo-gestionali”, dunque un soggetto con competenze totalmente diverse da quelle del controllo del personale e delle lavorazioni con la logica, intensità, modalità e finalità indicate nell’art. 19 del Dlgs 81/2008.
In ogni caso, anche tra il recarsi nel luogo di lavoro e l’essere costantemente presente corre una differenza sostanziale, resa ancor più evidente dal fatto che solo in alcuni casi le lavorazioni devono svolgersi necessariamente alla presenza del preposto.
Va richiamato, a questo proposito, anche l’interpello 29 dicembre 2015 n. 16, nel quale si richiamavano ulteriori ipotesi nelle quali la legge prevede l’obbligo di presenza del preposto. “Il d.lgs. n. 81/2008 prevede la presenza di un preposto anche nell'ambito di altre attività ritenute pericolose quali quella relativa alla costruzione, sistemazione, trasformazione o smantellamento di una paratoia o di un cassone nei cantieri temporanei o mobili per le quali è ugualmente richiesta la diretta sorveglianza di un preposto (art. 149, co. 2. d.lgs. n. 81/2008) così come per i lavori di demolizione negli stessi cantieri edili, che devono essere eseguiti sotto la sorveglianza di un preposto e condotti in maniera da non pregiudicare la stabilità delle strutture portanti o di collegamento e di quelle eventuali adiacenti (art. 151 d.lgs. n. 81/2008)”.
Anche la Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati[1], a commento della funzione del preposto, evidenzia che[2] “l’obbligo di vigilanza non consiste in un obbligo di presenza continuativa di un preposto per ogni attività di lavoro”.
Quindi, né in via generale né nello specifico ambito dell’appalto e subappalto, l’interpello e, ancor più significativamente, la legge, richiedono la presenza fisica continuativa del preposto.
Nessuno dubita che la presenza del preposto sia consigliabile e coerente con gli obblighi di legge e con la responsabilità. Deve, tuttavia, rilevarsi che la responsabilità del preposto è comunque legata all’intervento volto a prevenire l’insorgenza o il perdurare di prassi scorrette, ossia comportamenti perduranti nel tempo e non anche singole condotte estemporanee, evidentemente incontrollabili.
La giurisprudenza[3], del resto, conferma l’”impossibilità di radicare in capo all'imputato un obbligo di presenza costante e continua sui luoghi di lavoro, …. avendo peraltro l'imputato in ogni caso comprovato il dato di una presenza comunque assidua sul cantiere”.
Obbligo di presenza che, invece, viene affermata a carico del preposto per distinguere la sua posizione da quella del coordinatore per la sicurezza, dovendosi, per la giurisprudenza distinguere due ipotesi: un accidente contingente, scaturito estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori, sarebbe affidato alla sfera di controllo del datore di lavoro o del suo preposto mentre se l'evento stesso è riconducibile alla configurazione complessiva, di base, della lavorazione, sarebbe riferibile all’ambito riservato al coordinatore per la sicurezza, il che non implica, normalmente, la continua presenza nel cantiere con ruolo di controllo sulle contingenti lavorazioni in corso[4].
Come in molte altre ipotesi, la normativa è oscura e non consente di giungere a conclusioni certe e chiare. Basti pensare che, a fronte della giurisprudenza sin qui ricordata, di recente la Cassazione[5] ha giustificato la responsabilità del datore di lavoro in mancanza, anche solo temporanea, del preposto: “la presenza del preposto presso lo stabilimento era volta ad impedire, con riferimento all'area di rischio interessata dall'infortunio verificatosi, l'instaurazione di procedure (oltre che di prassi) non appropriate, quali l'uso del muletto elettrico per il trasporto di materiale. La mancata attuazione di tale vigilanza da parte del preposto e, in sua momentanea assenza, da parte del datore di lavoro ha inciso causalmente sulla verificazione dell'infortunio, verificatosi nell'utilizzo di un mezzo che il garante, obbligato alla vigilanza, aveva il dovere di inibire”.
In ogni caso, la normativa ha introdotto l’obbligo dell’individuazione del preposto e non – se non in determinati casi - l’obbligo di una sua assidua presenza; nessun interpello ha sancito l’obbligo di presenza continua del preposto nel luogo di lavoro, mentre la giurisprudenza (sia pure con qualche contrasto) esclude l’obbligo di presenza sistematica.
In effetti, anche sul versante della giurisprudenza civile[6] l’assolvimento dell’obbligo di controllo “non comporta, peraltro, sempre ed in ogni caso, una sorveglianza ininterrotta o la costante presenza fisica del controllore accanto al lavoratore, ma può anche sostanziarsi in una vigilanza generica, seppure continua ed efficace, intesa ad assicurare nei limiti dell'umana efficienza, che i lavoratori seguano le disposizioni di sicurezza impartite ed utilizzino gli strumenti di protezione prescritti”.
La motivazione dell’assenza di un obbligo di presenza continua è presente nella giurisprudenza[7], che valorizza il principio della “pretesa impossibile”: per non giudicare sulla base di un inammissibile criterio di responsabilità oggettiva (tanto più che "ad impossibilia nemo tenetur"), si deve dimostrare non solamente la qualifica di preposto ma anche l'elemento soggettivo (dolo o colpa) in concreto, dando prova (a fronte delle addotte e non implausibili giustificazioni, ad es., presenza sparsa dei vari lavoratori in uno spazio di notevole ampiezza, con conseguente impossibilità di poterli contemporaneamente osservare tutti) che l'omesso uso del copricapo, non momentaneo ed occasionale, fosse stato consentito, con connivente implicito assenso, da parte del consapevole capocantiere, ovvero reso possibile dalla negligente sorveglianza posta in essere dallo stesso, benché in condizioni di poter vigilare (ad esempio, perché operanti i trasgressori nelle immediate vicinanze) sui sottoposti, venuti meno alle direttive loro preventivamente impartite.
Occorre, quindi, riferire l’obbligo e la sanzione a carico del preposto al mancato intervento in presenza di prassi scorrette ed al mancato controllo delle stesse, non rilevando comportamenti estemporanei, oggettivamente non imputabili all’omesso controllo.
Si possono fare numerosi casi in cui la presenza fisica è impossibile e l’obbligo della presenza costanze è inesigibile: dai lavoratori che svolgono lavoro da soli o si spostino in piccoli gruppi, a quelli in trasferta, a quelli che operano in ambienti di rilevanti dimensioni[8].
Su questa base si sviluppa tutta la giurisprudenza che condiziona la responsabilità del preposto alla conoscenza o conoscibilità di prassi scorrette o, addirittura[9] (attraverso il mancato controllo e la mancata adozione delle doverose sanzioni) alla illegittima accettazione di prassi in violazione di obblighi cogenti per la sicurezza.
Diversamente opinando, si introdurrebbe una inaccettabile responsabilità penale "di posizione", tale da sconfinare nella responsabilità oggettiva, dovendo la condotta essere comunque “esigibile”[10].
Anche di recente[11] la Cassazione ha affrontato la questione della esigibilità del comportamento, con riferimento ad un'impresa di grandi dimensioni (dai connotati differenti, evidentemente, dall’area circoscritta di un cantiere o di una impresa nella quale le lavorazioni si svolgono in un ambito ben definito). In questo caso viene in rilievo il cosiddetto principio di esigibilità. La colpa ha, infatti, un versante oggettivo, incentrato sulla condotta posta in essere in violazione di una norma cautelare, e un versante di natura più squisitamente soggettiva, connesso alla possibilità dell'agente di osservare la regola cautelare. Il rimprovero colposo riguarda infatti la realizzazione di un fatto di reato che poteva essere evitato mediante l'osservanza delle norme cautelari violate. Il profilo soggettivo e personale della colpa viene generalmente individuato nella possibilità soggettiva dell'agente di rispettare la regola cautelare, ossia nella concreta possibilità di pretendere l'osservanza della regola stessa: in sostanza, nell'esigibilità del comportamento dovuto. Si tratta di un aspetto che si colloca nell'ambito della colpevolezza, in quanto esprime il rimprovero personale rivolto all'agente. A questo profilo della responsabilità colposa la riflessione giuridica più recente ha dedicato molta attenzione, nel tentativo di personalizzare il rimprovero dell'agente attraverso l'introduzione di una doppia misura del dovere di diligenza, che tenga conto non solo dell'oggettiva violazione di norme cautelari ma anche della concreta possibilità dell'agente di uniformarsi alla regola, valutando le sue specifiche qualità personali e la situazione di fatto in cui ha operato.
Da queste considerazioni deriva che la qualità dell'imputato non costituisce di per sé prova della conoscenza o della conoscibilità, da parte della stessa, di prassi comportamentali, più o meno ricorrenti, contrarie alle disposizioni in materia antinfortunistica. Ciò significa che un'eventuale condotta omissiva al riguardo non può esserle ascritta laddove non si abbia la certezza che fosse a conoscenza della prassi elusiva o che l'avesse colposamente ignorata.
Invero, la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell'evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione da parte di questi di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (la cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l'evento dannoso[12].
Il riferimento alla conoscenza o conoscibilità (o, peggio, accettazione) delle prassi scorrette ed il principio di esigibilità rendono evidente l’insussistenza di un obbligo di presenza continua e assidua in ogni parte della realtà lavorativa, dovendosi fondare la responsabilità sul presupposto della colpa (attraverso l’esigibilità del comportamento doveroso fondato su conoscenza o conoscibilità) e non della responsabilità oggettiva.
Laddove, invece, la misura dell’obbligo e della responsabilità dovesse essere riferita alla presenza continua ed in senso fisico del preposto, al fianco ad ogni lavoratore, ed il controllo fosse riferito alla singola azione lavorativa (e non alle prassi) e non in una logica organizzativa, l’unica soluzione per evitare una responsabilità oggettiva (per inesigibilità dell’obbligo) sarebbe la sostituzione (o l’integrazione dell’attività del) del preposto con la tecnologia, ossia con telecamere o dispositivi in grado di verificare, momento per momento, a prescindere dal luogo di svolgimento dell’attività, il costante e pieno rispetto degli obblighi di legge da parte di ciascun lavoratore, garantendo così la possibilità di intervento immediato, al fine di prevenire i singoli comportamenti contrastanti con le direttive aziendali e con gli obblighi di legge, senza che ciò, ovviamente, possa essere condizionato ex art. 4 l. 300/1970 da alcun accordo sindacale o autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro.
[2] Anche con riferimento alla giurisprudenza più risalente. V. Cass., 12 gennaio 1988, n. 108
[3] Cass., 15 dicembre 2015 n. 49361; Cass., 1 febbraio 2012 n. 4412
[4] Cass., 13 maggio 2016 n. 20068
[5] Cass., 30 luglio 2024 n. 31146
[6] Cass., 11/2/2020, n. 3282
[7] Cass., 5 aprile 2000, n. 4265
[8] In questi casi, si può ritenere sussistente la necessità di organizzare un sistema di vigilanza random a cura di un preposto itinerante
[9] Cass., 8 giugno 2021, n. 22262
[10] Cass., 22 luglio 2019, n. 32507; 3 aprile 2019 n. 20833
[11] Cass., 31 marzo 2021, n. 12137
[12] Sez. 4, n. 32216 del 20/06/2018, Capobianco e altro, Rv. 273568; Sez. 4, n. 24462 del 6/5/2015, Ruocco, Rv. 264128; Sez. 4, n. 5404 del 8/1/2015, Corso e altri, Rv. 262033.