Premessa
Confindustria ha già avuto modo di esprimere le rilevanti criticità presenti nel documento.
Ora, a valle della pubblicazione del decreto legislativo nella Gazzetta Ufficiale, occorre verificare gli aspetti specificamente riguardanti la materia della sicurezza sul lavoro, evidenziando immediatamente che – a norma dell’art. 1, comma 1 – le disposizioni del decreto si applicano ai “controlli amministrativi”, quindi laddove non siano presenti od emergano violazioni di natura penale.
Per altro verso, si evidenzia che l’Analisi di impatto della regolamentazione che accompagna il provvedimento evidenzia che l’intervento regolatorio intende risolvere alcune criticità, delle quali la prima è l’elevato numero dei controlli sulle attività economiche e l’eccessiva onerosità degli stessi. Partendo dai dati della CGIL di Mestre, l’analisi sottolinea che “come era facilmente prevedibile, tra i 4 settori analizzati nel suddetto report quello a più alta “densità” di potenziali controlli è l’area ambiente e sicurezza nei luoghi di lavoro. Sono 60, infatti, i principali controlli che una piccola attività può incorrere durante l’anno. Le voci più a “rischio” riguardano la conformità/mantenimento dell’efficienza degli impianti (elettrici, idrici, gas, etc.), il rispetto delle norme sugli scarichi, sulla corretta gestione dei rifiuti e sulle misure antincendio. In tutte le circostanze sono 6 diversi enti che hanno specifiche competenze in materia di controllo”.
Il provvedimento, tuttavia, non si applica ai temi afferenti a violazioni penali, per cui - abbastanza contraddittoriamente – proprio il tema della sicurezza sul lavoro, come si vedrà, non è particolarmente inciso dal Decreto legislativo in commento.
Il quadro normativo
Il provvedimento si muove su tre filoni d’interesse: la programmazione della vigilanza (art. 3 e 5), la diffida in caso di violazioni sanabili e casi di non punibilità per errore scusabile (art. 6) e i meccanismi di dialogo e collaborazione (art. 7).
Vigilanza
Senza modificare in alcun modo la complessiva normativa sulla vigilanza in materia di salute e sicurezza, né con riferimento agli strumenti disponibili (tra questi, diffida, prescrizione obbligatoria, sospensione dell’attività e, in previsione, ai controlli della cd patente a crediti) né alla misura delle sanzioni, la previsione individua i principi generali del controllo nell’articolo 5.
Innanzitutto, si prevede che, per agevolare e promuovere la comprensione e il rispetto sostanziale della normativa applicabile in materia di controlli, i Ministeri competenti e le regioni pubblicano sui propri siti istituzionali, anche a seguito dell’attività di dialogo e confronto di cui all’articolo 7, apposite linee guida o FAQ, anche tenendo conto della complessità della disciplina di riferimento. Sul punto, non si può che rinviare alle indicazioni del Ministero del lavoro.
In via generale, si prevede che le logiche del controllo sono orientate a minimizzare le richieste documentali secondo il criterio del minimo sacrificio organizzativo per il soggetto controllato.
La prima precisazione relativa alla sicurezza sul lavoro è relativa alla previsione del comma 3, che fa salva l’immediata effettuazione dei controlli “nei casi di controlli per la sicurezza sui luoghi di lavoro e, comunque, ogni qual volta emergano situazioni di rischio”, che deroga alla programmazione e agli intervalli temporali degli accessi correlati alla gravità del rischio.
Così delimitata e ridotta in modo assai rilevante l’applicazione della disciplina della organizzazione e programmazione della vigilanza al tema della sicurezza – sulla quale si tornerà alla luce dei chiarimenti che dovessero pervenire –, il legislatore (art. 5, comma 4) intende semplificare il controllo nei confronti dei soggetti che volontariamente (art. 3, comma 1) sono disponibili ad ottenere, su domanda, il Report di basso rischio, prevedendo che, in questo caso, le Amministrazioni programmano ed effettuano i controlli ordinari non più di una volta l’anno (salvi i casi di cui al comma 3, tra i quali sono ricompresi i controlli sulla sicurezza sul lavoro: quindi, una ulteriore limitazione).
Il rilascio del Report sopra richiamato sconta la definizione di “basso rischio”, che è rimessa all’UNI: ci riserviamo di tornare sul punto in relazione alle conclusioni dell’ente di normazione volontaria, anticipando fin d’ora che i criteri ai quali è rimessa la definizione di rischio basso generano notevoli perplessità, sia per la complessità[1] (e la conseguente difficile applicabilità alle PMI, che rappresentano il 95% della platea delle imprese italiane, sulle quali, peraltro, si riversa il maggior numero di ispezioni) sia per la previsione di condizioni onerose (audit periodici) per il mantenimento del Report stesso[2].
Da notare che la Relazione tecnica al provvedimento evidenzia appositamente che “il sistema di identificazione e valutazione del rischio è a carico delle imprese che decidono di sottoporsi volontariamente a tale procedura di classificazione”.
Va poi considerato che, a norma dell’articolo 4, comma 3, la “violazione di obblighi o adempimenti che riguardano la tutela della salute, la sicurezza e l’incolumità pubblica e la sicurezza sui luoghi di lavoro comporta la revoca del Report certificativo”. In assenza di riferimenti selettivi alla gravità o tipologia della violazione, deve ritenersi che la revoca prescinda del tutto da tale requisito e, quindi, riguardi anche limitate ed insignificanti violazioni.
Alcune disposizioni appaiono riferite a tutte le imprese – salvo differenti indicazioni che dovessero essere emanate - e non solamente a quelle in possesso del Report.
In particolare, al fine di rendere più efficienti e coordinare i controlli sulle attività economiche ed evitare duplicazioni e sovrapposizioni, nonché programmare l’attività ispettiva in ragione del profilo di rischio (art. 4), le Amministrazioni sono chiamate – prima di effettuare il controllo – a consultare e alimentare il Fascicolo informatico d’impresa (l. 580/1993), adempimento del quale l’impresa controllata dovrebbe verificare il rispetto. Anche su questo aspetto si rinvia ad eventuali indicazioni procedurali del Ministero del lavoro.
L’articolo 5 prevede, poi, che non possono essere effettuate due o più ispezioni diverse sullo stesso operatore economico contemporaneamente, a meno che le amministrazioni non si accordino preventivamente per svolgere una ispezione congiunta. Anche sui concetti di “ispezioni diverse” e sulla contemporaneità occorre attendere ulteriori precisazioni.
Inoltre, in una logica premiale, il comma 6 prevede che, quando, all’esito del controllo, l’amministrazione procedente accerta la conformità agli obblighi e agli adempimenti imposti dalla disciplina di riferimento, il soggetto controllato è esonerato dai medesimi controlli nei successivi dieci mesi (sempre salvi i casi di cui al comma 3, quindi la disposizione non si applica alle ispezioni in materia di sicurezza sul lavoro) e nel rispetto delle disposizioni di attuazione del diritto dell’Unione europea. Il periodo di esonero dai controlli è menzionato nel fascicolo informatico d’impresa.
Ancora, in una logica di tutela del contraddittorio, il comma 7 dispone che le amministrazioni improntano la propria attività al rispetto del principio del contraddittorio e adottano i provvedimenti di propria competenza, ivi incluse eventuali sanzioni, in modo proporzionale al livello di rischio (art. 3, comma 2), al pregiudizio arrecato, alle dimensioni del soggetto controllato e all’attività economica svolta. Inevitabile il rinvio a disposizioni attuative per comprendere come concretamente verranno declinate queste logiche.
Anche la logica collaborativa che emerge nel comma 8 non appare applicabile alle ispezioni in materia di salute e sicurezza, laddove si prevede che, in attuazione del principio di trasparenza (salvo che ricorrano i casi di cui al comma 3 o motivi di urgenza del controllo o esigenze di ricorrere ad accessi ispettivi imprevisti o senza preavviso), l’amministrazione fornisce in formato elettronico, almeno dieci giorni prima del previsto accesso presso i locali dell’attività economica, l’elenco della documentazione necessaria alla verifica ispettiva.
Per l’effettuazione dell’attività di vigilanza, le amministrazioni possono utilizzare soluzioni tecnologiche (art. 9), con tutte le cautele del caso (descritte nel medesimo articolo).
Va ricordato che, in tema di salute e sicurezza sul lavoro, l’INL già prevede la pianificazione annuale delle attività di vigilanza e la programmazione (v. Documento di programmazione della vigilanza per il 2024) è preceduta da una approfondita attività di intelligence, sia a livello nazionale che territoriale, che consenta di conseguire significative percentuali di efficacia degli accessi ispettivi attraverso l’individuazione di puntuali obiettivi che presentino particolari indici di rischio in modo da orientare l’attività ispettiva esclusivamente nei confronti delle aziende irregolari.
Occorre, poi, tener conto della pianificazione della complessiva attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza come regolata nell’Accordo Stato-regioni del 27 luglio 2022 e delle iniziative delle Regioni[3].
Violazioni sanabili e casi di non punibilità per errore scusabile
L’articolo 6 prevede – “salvo che il fatto costituisca reato” - una ipotesi di diffida amministrativa che, per espressa disposizione del comma 1, “non si applica a violazioni di obblighi o adempimenti che riguardano la tutela della salute, la sicurezza e l’incolumità pubblica e la sicurezza sui luoghi di lavoro”, oltre alla considerazione che le violazioni del Dlgs 81/2008 sono prevalentemente di natura penale, e quindi già escluse dall’incipit della norma.
Resta piuttosto oscura la disposizione secondo la quale (comma 5) “in ogni caso il soggetto controllato non è responsabile quando le violazioni sono commesse per errore sul fatto non determinato da colpa”.
La disposizione sembra richiamare l’analoga previsione dell’art. 3, comma 2, della legge n. 689/1981, che, secondo la giurisprudenza[4], “pone una presunzione di colpa a carico dell'autore del fatto vietato, riservando a questi l'onere di provare l'assenza di elemento soggettivo; in particolare, poiché il giudizio di colpevolezza non è ancorato al dato puramente psicologico, una volta integrata e provata dall'autorità amministrativa la fattispecie tipica dell'illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dall'art. 3 della L. n. 689 del 1981, l'onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza”.
Al de là della portata della disposizione, essa si applica esclusivamente nell’ambito del sistema sanzionatorio amministrativo e non anche in quello penale, restando così esclusa in radice l’applicabilità alla quasi totalità delle violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Meccanismi di dialogo e collaborazione
L’articolo 7 introduce lo strumento dell’interpello “quando vi sono condizioni di obiettiva incertezza sulla corretta interpretazione delle fonti normative riguardanti fattispecie di carattere generale, di massima o di particolare importanza ovvero gravi e ripetute difformità applicative nell’ambito del territorio nazionale, relative a obblighi e adempimenti che sono oggetto dei controlli”.
Possono proporre interpello, prospettando una soluzione motivata, le associazioni nazionali di categoria di cui all’articolo 4 della legge 11 novembre 2011, n. 180, ossia le associazioni di categoria rappresentate in almeno cinque CCIAA, ovvero nel Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e le loro articolazioni territoriali e di categoria.
Le risposte fornite dalle amministrazioni centrali sono pubblicate nella sottosezione «Controlli sulle imprese» della sezione «Amministrazione trasparente» del sito istituzionale e costituiscono criteri interpretativi di carattere generale.
Va ricordato che, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, è già prevista la possibilità di proporre interpello, con la medesima (ridottissima) efficacia giuridica, ma che lo strumento resta poco utilizzato in quanto non risponde all’esigenza di conferire certezza del diritto al quadro normativo ed interpretativo (a differenza di quanto accade con l’interpello previsto nel D.gs 124/2004).
Conclusioni
L’analisi condotta consente di confermare sia il giudizio critico originario sia l’osservazione che il vero nodo del miglioramento delle condizioni di tutela della salute e sicurezza risiede nell’aggiornamento del quadro normativo secondo logiche di chiarezza, certezza del diritto, determinatezza, tali da facilitare l’interpretazione e l’applicazione della norma, attribuendo all’interprete ed alla vigilanza una funzione fondamentale ma residuale e riferibile a ipotesi realmente peculiari e rischiose.
[1] I parametri richiamati sono:
a) il possesso di almeno una certificazione del sistema di gestione, rilasciata da un organismo di certificazione accreditato ai sensi del regolamento n. 765/2008 del 9 luglio 2008;
b) altre certificazioni, analogamente rilasciate sotto accreditamento, riconducibili ai principi ESG;
c) l’esito dei controlli subiti nei precedenti tre anni di attività;
d) il settore economico in cui opera il soggetto controllato;
e) le caratteristiche e la dimensione dell’attività economica svolta dal soggetto controllato.
[2] Secondo l’art. 3, comma 7, dopo il rilascio del Report certificativo l’organismo di certificazione sottopone il soggetto controllato ad audit periodici per verificare il mantenimento della conformità alla norma di riferimento.
[4] Cass., ord. 28 marzo 2024, n. 8397