UNI PdR 125:2022 - Linee guida sul sistema di gestione per la parità di genere che prevede l'adozione di specifici KPI (Key Performances Indicator - Indicatori chiave di prestazione) inerenti alle Politiche di parità di genere nelle organizzazioni – Profili di salute e sicurezza - Criticità.
Premessa
Facciamo seguito alla nostra comunicazione del 29 marzo scorso con cui abbiamo trasmesso delle slide riepilogative, aventi ad oggetto la certificazione di genere, che vede la sua origine nella Prassi di riferimento UNI n. 125 del 2022 e nell’introduzione di tale strumento nel nostro ordinamento attraverso la legge n. 162 del 2021. Tale ultimo provvedimento rinvia poi a un DPCM che identifica la Pdr n. 125 del 2022 quale “parametri minimi” per il conseguimento della certificazione medesima.
Ricordiamo che le prassi, adottate esclusivamente in ambito nazionale, rientrano fra i “prodotti della normazione europea”, come previsti dal Regolamento UE n.1025/2012, e sono documenti che introducono prescrizioni tecniche, elaborati sulla base di un rapido processo ristretto a chi ne è autore, sotto la conduzione operativa di UNI. Le prassi di riferimento sono disponibili per un periodo non superiore a 5 anni, tempo massimo dalla loro pubblicazione entro il quale possono essere trasformate in un documento normativo (UNI, UNI/TS, UNI/TR) oppure devono essere ritirate.
La Prassi di riferimento in tema di parità di genere 125:2022 è stata pubblicata da UNI il 16 marzo 2022. Il DPCM è stato adottato il 29 aprile 2022.
Con la presente nota intendiamo, anche alla luce delle prime esperienze concrete di certificazione, consentire una lettura ed applicazione corretta ed utile della Prassi di riferimento 125:2022, in relazione ai profili di salute e sicurezza.
La parità di genere e la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro
Una piena partecipazione delle donne alla vita economica e sociale e, quindi al mondo del lavoro, costituisce senza dubbio la componente principale delle pari opportunità di genere perché, attraverso il lavoro, ciascuno può costruire la propria identità, raggiungere la giusta indipendenza economica per sé e per la propria famiglia e offrire il proprio contributo allo sviluppo del Paese nel suo complesso: i luoghi di lavoro possono essere un utile vettore e supporto delle esigenze sociali.
Se l’obiettivo è condivisibile, lo strumento prescelto – la cd certificazione della parità di genere attraverso le linee guida contenute nella Prassi di riferimento UNI – è, per il fine stesso della prassi o norma, uno strumento applicabile volontariamente dalle aziende e, per come è strutturata la norma, da un numero limitato di esse.
Esso si presenta, inoltre, particolarmente dirigista, complesso e oneroso con riferimento sia alle modalità di raggiungimento degli obiettivi sia ai tempi necessari per conseguirli.
Fatte queste premesse di volontarietà di adozione , appare fuorviante e non condivisibile l’impostazione relativa al richiamo ai profili di salute e sicurezza sul lavoro.
L’attività di prevenzione di ogni forma di abuso fisico, verbale, digitale (molestia) nei luoghi di lavoro (paragrafo 6.3.2.6), doverosa in qualsiasi rapporto intersoggettivo, viene infatti impropriamente inserita all’interno dei temi di salute e sicurezza sul lavoro, essendo invece essa afferente al diverso campo del rapporto di lavoro e del connesso sistema disciplinare.
Non a caso, l’Accordo delle parti sociali europee del 26 aprile 2007 sulle molestie e la violenza nei luoghi di lavoro è stato recepito in Italia da Confindustria, CGIL, CISL e UIL sul piano delle relazioni sindacali e non in un ambito di salute e sicurezza sul lavoro con l’accordo del 25 gennaio 2016.
Analizzando la Convenzione n. 190 dell’ONU e la Raccomandazione n. 206 sulla violenza e le molestie, da un lato, e la Strategia europea per la parità di genere 2020-2025, dall’altro, può cogliersi una linea di demarcazione tra la politica di genere, volta ad assicurare pari opportunità e trattamento da ogni punto di vista, e violenza e molestie.
Il primo elemento deve caratterizzare ogni tipo di relazione umana e deve perseguire l’eliminazione di tutte le barriere (culturali, organizzative, giuridiche, etc.) che ostacolano il conseguimento dell’obiettivo: si tratta, in questo caso, di prevenire e combattere atteggiamenti culturali che, di per sé, non comportano necessariamente violenze o molestie e che il datore di lavoro dovrebbe perseguire attraverso politiche aziendali adeguate.
Molto diverso è il tema di violenza e molestie, che, laddove perpetrate nel luogo di lavoro, pur non essendo prevedibili e prevenibili (e quindi non riconducibili al datore di lavoro), non possono essere in alcun modo tollerate e devono formare oggetto di adeguati provvedimenti disciplinari.
Come si vede, nessuno dei due temi può essere ricondotto direttamente ai temi di salute e sicurezza.
Certamente, la tolleranza di situazioni del genere (tanto discriminatorie quanto, peggio, violente), in quanto palesemente in contrasto con la politica aziendale, consentirebbe di configurare una realtà lavorativa non adeguatamente organizzata e fonte di potenziale stress, questo sì da valorizzare sul piano della sicurezza, in quanto potenziale sintomo di disfunzioni organizzative, sulle quali può e deve intervenire l’azione prevenzionale del datore di lavoro.
Ma è evidente che la situazione di stress non deve essere tollerata e la reazione disciplinare del datore di lavoro, in attuazione della politica aziendale, dovrebbe essere immediata e non consentire l’instaurazione di prassi scorrette perché discriminatorie o, peggio, violente.
Vi sarebbero, poi, da indagare accuratamente, da un lato, gli aspetti definitori (definizione di discriminazione, parità di genere, violenza, molestie, etc.) e la differenza tra lo strumento della “politica aziendale” su entrambi gli aspetti e la qualificazione come profili di salute e sicurezza, aventi rilievo penalistico (con riflesso immediato sulle esigenze di tassatività, determinatezza, precisione, chiarezza, etc.). Andrebbero, poi, altresì indagati i parametri di prevedibilità e prevenibilità, condizioni necessarie per una imputazione fondata sul requisito costituzionale della colpevolezza.
In assenza di tutti questi aspetti, di ordine logico e giuridico, appare improprio l’ingresso di questi temi nei profili di salute e sicurezza sul lavoro ed in particolare il loro ingresso come “pericolo connesso alle attività lavorative” e quindi oggetto di apposita “valutazione dei rischi” da inserire nel documento di valutazione di tutti i rischi previsto dal D. Lgs n. 81/2008.
Confindustria aveva coerentemente avanzato delle proposte perché – al di fuori dei temi di salute e sicurezza sul lavoro - vi fosse una piena attuazione delle previsioni di legge e degli accordi collettivi, sottoscritti dalle organizzazioni imprenditoriali, cui l’azienda aderisce, in materia di contrasto alle molestie sui luoghi di lavoro (Confindustria nel 2016 ha sottoscritto un Accordo con CGIL, CISL e UIL in attuazione dell’accordo quadro europeo sulle molestie e la violenza nei luoghi di lavoro).
Il punto 6.3.2.6
Il punto considerato contiene alcune previsioni che sembrano far rientrare il tema della prevenzione dell’abuso fisico, verbale, digitale sui luoghi di lavoro nella salute e sicurezza.
- Infatti, secondo la Prassi di riferimento, l’organizzazione dovrebbe:
- individuare il rischio di ogni forma di abuso fisico, verbale, digitale (molestia) alla luce della salute e sicurezza nel luogo di lavoro;
- preparare un Piano per la prevenzione e gestione delle molestie sul lavoro;
- prevedere una specifica formazione a tutti i livelli, con frequenza definita, sulla “tolleranza zero” rispetto ad ogni forma di violenza nei confronti dei/delle dipendenti, incluse le molestie sessuali (sexual harassment) in ogni forma;
- prevedere una metodologia di segnalazione anonima di questa tipologia di accadimenti a tutela dei/delle dipendenti che segnalano;
- pianificare e attuare delle verifiche (survey) presso i/le dipendenti, indagando se hanno vissuto personalmente esperienze di atteggiamenti di questo tipo, che hanno provocato disagio o turbamento, all’interno o nello svolgimento del proprio lavoro all’esterno (atteggiamenti sessisti, comportamenti o situazioni di mancanza di rispetto);
- valutare gli ambienti di lavoro anche da questo punto di vista;
- prevedere una valutazione dei rischi e analisi eventi avversi segnalati;
- assicurare una costante attenzione al linguaggio utilizzato, sensibilizzando una comunicazione il più possibile gentile e neutrale.
In primo luogo, il documento fa riferimento alla individuazione di rischi di abuso fisico, verbale e digitale alla luce della salute e sicurezza nel luogo di lavoro.
Si tratta di situazioni del tutto slegate dai rischi lavorativi ai quali è esposto il lavoratore e piuttosto derivanti da comportamenti umani che prescindono dal rischio legato alle mansioni svolte e ai rischi presenti nel luogo di lavoro o riconducibili alle scelte organizzative del datore di lavoro.
In secondo luogo, si tratta di una impostazione incoerente rispetto all’impostazione del Dlgs 81/2008, il quale prevede che la valutazione dei rischi debba deve “riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli … connessi alle differenze di genere”. Quindi, la differenza di genere non è essa stessa un rischio da valutare, ma il datore di lavoro, nel valutare i rischi sul lavoro (previsti dal Dlgs 81/2008), ne deve considerare l’impatto tenendo conto delle differenze.
Si potrebbero fare molti esempi: dalle considerazioni della adeguatezza dei DPI al corpo femminile alla maggiore sensibilità a certe sostanze, dall’incidenza dell’uso di sostanze reprotossiche alla valutazione del rischio ergonomico (rischio di sovraccarico biomeccanico degli arti superiori da movimenti ripetuti e posture incongrue, rischio da movimentazione manuale dei carichi, rischio da movimentazione manuale dei pazienti), dal rischio chimico (es. tinture per capelli, metalli -piombo, cadmio, zinco) al rischio da agenti fisici (rumore, vibrazioni), dal rischio biologico (diversa suscettibilità infezioni virali) al rischio da attrezzature munite di VDT, dai rischi da fattori inerenti l’organizzazione del lavoro (es. stress) al lavoro a turni e notturno. Oltre, ovviamente, alla tutela tradizionale della gravidanza.
È evidente la differente considerazione che atteggiamenti volontari e del tutto scardinati dal fatto lavorativo e dai rischi lavorativi – dove il collegamento con il luogo di lavoro è esclusivamente di natura spaziale e temporale e non causale - come la violenza o le molestie e qualsiasi altra condotta discriminatoria, non possono rientrare nella valutazione dei rischi ai fini della salute e sicurezza sul lavoro, in quanto si tratta di una caratteristica o fattore sociale che non sono propri delle singole e peculiari attività lavorative.
Ben diverso è l’approccio che il datore di lavoro, come responsabile del personale, potrà adottare individuando le misure più opportune, quali iniziative organizzative, comunicative, di sensibilizzazione e di supporto, nonché la previsione di codici etici, con ferma applicazione di procedimenti disciplinari nei confronti degli autori delle condotte illecite, per tutelare i propri lavoratori e rendere il luogo di lavoro un luogo sicuro e libero da qualsiasi tipo di violenza o molestia.
La struttura organizzativa prevista dal D. Lgs. n. 81/2008, ormai ampiamente radicata nei luoghi di lavoro (RSPP, medico competente, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, nonché dirigenti e preposti), ben potrà contribuire a supportare queste iniziative anche in favore del più generale benessere organizzativo e al generale coinvolgimento dei lavoratori e della struttura organizzativa nelle azioni di promozione della salute.
Si ripete che, laddove l’organizzazione del lavoro fosse errata, e quindi disfunzionale rispetto alle finalità di garantire la parità di genere o la prevenzione di violenze e molestie, e si verificassero quindi condizioni di stress riconducibili ad ipotesi di discriminazione o violenza o molestie, allora ben potranno la discriminazione, la molestia o la violenza (che, se tollerate, divengono fattori disfunzionali ad una buona organizzazione del lavoro) divenire oggetto di valutazione nell’ambito della valutazione dello stress, in quanto esso stesso incidente sulla sicurezza dei lavoratori.
Da ultimo, sul punto, si evidenziano due punti che appaiono assai rilevanti.
Laddove la tematica della parità di genere e della violenza e molestie entrasse nella materia della salute e sicurezza, ogni comportamento posto in essere in violazione delle disposizioni adottate dal datore di lavoro rientrerebbe immediatamente nell’alveo delle violazioni di natura penale previste dall’art. 20, comma 2, lett. b) del Dlgs 81/2008 e, di conseguenza, all’interno delle sanzioni più pesanti previste dalla contrattazione collettiva.
In secondo luogo, va osservato che uno dei punti fondamentali nella gestione della prevenzione è la valorizzazione della funzione del preposto per effetto del DL 146/2021, a norma del quale il preposto deve “sovrintendere e vigilare sull'osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione e, in caso di rilevazione di comportamenti non conformi alle disposizioni e istruzioni impartite dal datore di lavoro e dai dirigenti ai fini della protezione collettiva e individuale, intervenire per modificare il comportamento non conforme fornendo le necessarie indicazioni di sicurezza. In caso di mancata attuazione delle disposizioni impartite o di persistenza dell'inosservanza, interrompere l'attività del lavoratore e informare i superiori diretti”.
È evidente che, laddove i comportamenti discriminatori e le ipotesi di violenza o molestie dovessero rientrare nella normativa di salute e sicurezza (ad es., la politica e le indicazioni conseguenti la valutazione del rischio fossero qualificabili come disposizioni aziendali in materia di sicurezza sul lavoro o come istruzioni impartite ai lavoratori), il preposto sarebbe chiamato a svolgere i propri compiti di vigilanza e reazione, non potendo il datore di lavoro tollerare alcuno dei comportamenti che integrano gli estremi della discriminazione, della violenza e della molestia.
Una corretta lettura della prassi di riferimento 125:2022, quindi, porta ad escludere che i profili di salute e sicurezza possano rilevare ai fini della certificazione.
La certificazione
Analizzando il documento in Appendice A (Raccomandazioni per la valutazione di conformità di terza parte – certificazione - per le organizzazioni che hanno implementato un sistema di gestione per garantire la parità di genere) non si rinviene alcun profilo di salute e sicurezza.
La verifica dell’organo di certificazione ha infatti ad oggetto:
- il perimetro e l’applicabilità della presente UNI/PdR, con la definizione degli indirizzi legali e operativi della/e sede/i dell’organizzazione
- la mappatura dei processi (interni ed esterni) e l’elenco delle relative leggi, norme e regolamenti applicabili riferibili alla parità di genere
- l’analisi degli episodi o delle minacce di violazione dei diritti riferibili alla parità di genere nonché le contromisure adottate
- le cause giudiziarie riferite a episodi di violazione dei diritti di genere in cui è eventualmente coinvolta l’organizzazione
- la registrazione delle evidenze in apposite check list/documenti di supporto per il gruppo di audit.
Il Piano di Strategico si articola in obiettivi e azioni declinate nelle macro-aree tematiche di riferimento: Recruitment, Carriera, Equità salariale, Genitorialità, work-life balance, prevenzione di violenza e cultura della organizzazione.
Gli interventi, individuati all’interno di ciascuna area tematica, sono il risultato di un’analisi preliminare di contesto e per ciascuna azione sono stati individuati sia i target sia i soggetti responsabili dell’attuazione, sia gli esiti attesi.
Più in particolare, il tema relativo alle attività di prevenzione di ogni forma di abuso fisico, verbale, digitale (molestia) sui luoghi di lavoro viene affrontato anzitutto prevedendo le metodologie di segnalazione anonime, attraverso il codice etico e il supporto all’empowerment femminile attraverso il presidio di tutte le fasi del percorso professionale della persona, lo sviluppo di un coerente e responsabile processo di comunicazione e la prevenzione di ogni forma di abuso fisico, verbale, digitale (molestia) sui luoghi di lavoro
impegnandosi a valorizzare la persona ed a mantenerne l’integrità fisica e morale.
Le azioni concrete vengono delineate anzitutto attraverso una metodologia di segnalazione o reclamo interno, anonimi, disponibile per tutti i dipendenti (attraverso la compilazione di FORM anonimi e disponibili sulla intranet aziendale) per segnalare qualsiasi forma di molestia e/o abuso sui luoghi di lavoro, ovvero problemi legati ad eventuali limitazioni o diritti negati. Gli esiti vengono misurati attraverso una verifica annuale da parte del Comitato Strategico delle segnalazioni e vengono elaborati dei report relativi alle azioni messe in campo per la risoluzione dei casi specifici.
In secondo luogo, per promuovere la diffusione dei principi etico-comportamentali, incentivandone l’osservanza e migliorando la conoscenza e la comprensione della natura della violenza di genere e le sue cause, potrebbe essere utile predisporre Linee guida sulle discriminazioni di genere e sulle molestie sessuali, su come riconoscerle e come difendersi.
Così come, per verificare la condizione dell’ambiente di lavoro, è possibile somministrare, con cadenza annuale, un questionario di valutazione del grado e livello di sicurezza dalle discriminazioni o dalle molestie percepito dei luoghi di lavoro.
Dunque, il tema della parità di genere, delle violenze, delle molestie viene affrontato sul piano del rapporto di lavoro, della responsabilità sociale, del codice etico, della politica per la parità di genere e non della sicurezza sul lavoro.
Tale documentazione deve tenere conto del grado di applicazione dei requisiti definiti nella Prassi di riferimento, come ad esempio i requisiti sistemici (es. definizione della politica, obiettivi, piano strategico e risultato del monitoraggio del sistema) e requisiti operativi (es., definizione, modalità e frequenza di misurazione degli indicatori qualitativi e quantitativi).
A conferma di quanto sopra espresso, nessuno di questi profili afferisce alla salute e sicurezza sul lavoro ma, più propriamente, alla individuazione e corretta applicazione della politica aziendale.
Questi sono gli elementi indicati, su questo tema, dalle organizzazioni positivamente certificate ai fini della Prassi di riferimento 125:2022, a riprova che si tratta di temi non legati alla sicurezza sul lavoro.
Conclusioni
La corretta valorizzazione delle tematiche e l’ adeguata individuazione degli ambiti di riferimento è presupposto per il pieno e consapevole rispetto della normativa e condizione per il conseguimento degli obiettivi del legislatore.
Una politica aziendale di valorizzazione della parità di genere passa attraverso la prevenzione e la eliminazione di ogni forma di discriminazione o, peggio, di violenza e molestia, aspetti tutti rimessi alla adeguata gestione dell’organizzazione e del personale.
Nei contratti collettivi, sono ben definite le regole per la gestione di questi temi: dalla definizione della politica aziendale relativa ai rapporti in azienda alla costituzione delle commissioni per le pari opportunità, dalle informative alle azioni per prevenire violenze e molestie fino al sistema disciplinare.
La certificazione della Prassi di riferimento 125:2022, non prevedendo elementi di salute e sicurezza, conferma positivamente questa impostazione.